Monte dei Paschi di Siena e PD: un crollo annunciato

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Oggi su Repubblica, nel tentativo di difendere gli amati “progressisti” Scalfari sostiene che la vicenda Monte dei Paschi e’ solo panna montata. Il sistema sarebbe sano. Non si tratterebbe di limitare l’uso dei derivati, di separare lo ruolo del rischio dal risparmio, di proteggere la funzione pubblica delle Fondazioni, ossia di intervenire con riforme sistemiche. No basta fare fuori i mascalzoni che erano al vertice. In sostanza Scalfari si comporta come Craxi all’inizio di Tangentopoli: “Chiesa? Un mariuolo!”. Il fondatore di Repubblica non si accorge che “Bancopoli” e’ iniziata da tempo e Bersani invece di “sbranare” i suoi “avversari” fino a ieri sostenuti nel governo, farebbe bene a riflettere sui guasti del sistema. Altrimenti gli succede il contrario. Ovvero: da “abbiamo una Banca!” (Fassino) al melanconico “avevamo una Banca”.
Alfonso Gianni, 27 gennaio 2013

“Non c’è nessuna responsabilità del Pd, per amor di Dio: il Pd fa il Pd, le banche fanno le banche”.

Pier Luigi Bersani, 23 gennaio 2013

“Il Pd non si è mai occupato del Monte dei Paschi. Il sindaco non è il Pd, è eletto dal popolo, è un’istituzione, non c’è nulla di scandaloso e strabiliante”.

Massimo D’Alema, 24 gennaio 2013

Passare alla storia come il premier del governo dei banchieri non sarà certo piacevole, ma se il sistema creditizio italiano oltre a divenire ostaggio di una finanza opaca e massonica, oltre ad aver succhiato immense risorse dalle tasche degli italiani, oltre ad aver maltrattato imprese e clienti oggi si mostra come un verminaio di interessi inconfessabili di chi è la colpa? Solo di quel Giuseppe Mussari che il Pd non può aver licenziato se prima non lo avesse arruolato? E la lobby dei banchieri che lo ha voluto al vertice dell’Abi? E la Banca d’Italia che non si era accorta di nulla? E intanto il ministro dell’Economia Grilli di cosa si occupava, del suo bell’appartamento ai Parioli? Pagheranno sempre e solo i risparmiatori? Tra un mese si vota e sarà l’occasione più propizia che gli italiani avranno per regolare i conti con chi li ha truffati. Altro che fantasie elettorali, presidente Monti, queste sono solide realtà.

Antonio Padellaro, Il voto e il monte, Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2013.

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Giuseppe Mussari, ex presidente del Monte dei Paschi di Siena e presidente dell’Associazione Bancaria Italiana fino al 22 gennaio, ed Ernesto Rabizzi (75.000€), Vice Presidente del Monte Paschi di Siena (Mps).

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“Non so se Bersani dovrà chiedere l’aiuto alle forze di centro per poter governare. Ma penso che lo farà. Immagino che ci sarà un governo piuttosto ampio di forze che lo sostengono”.

Alessandro Profumo, presidente di Mps, 22 gennaio 2013

http://www.firstonline.info/a/2013/01/22/profumo-mps-bersani-governera-con-monti-e-sul-caso/c5c9cc18-9876-40d8-b128-b4c8bee8d501

Sebbene gli onorevoli democratici scartino l’idea di Profumo come candidato a palazzo Chigi, non negano che un futuro nel Pd per lui ci possa comunque essere. Magari, come ministro, sempre che si vincano le elezioni. Un avvicinamento, quello di Profumo al partito democratico, che non sarebbe poi così strano, scrive l’agenzia di stampa Dire. Nel 2007 l’ex ad di UniCredit era in fila ai gazebo per votare alle primarie che incoronarono Veltroni. Era lì per sostenere la moglie, Sabina Ratti, candidata come capolista nella lista di Rosy Bindi e poi eletta nell’assemblea costituente. Il capogruppo Pd in commissione Bilancio, Pier Paolo Baretta, dice che sarà difficile vederlo in politica, però «se è libero, un ministero per lui si trova».

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-09-21/gioco-preferito-palazzo-sara-181702.shtml?uuid=AYIWTASC

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Non ci sono solo i 98 mila euro donati dalla famiglia Riva (Ilva) a Pier Luigi Bersani. A sfogliare i libroni dei contributi registrati alla Camera dei deputati, si scopre che la sinistra italiana, negli ultimi dieci anni, spesso non ha guardato troppo per il sottile di fronte a un generoso imprenditore. Per restare in tema di acciaierie, Enrico Letta ha incassato 40 mila euro nel 2008, proprio come Bersani, dall’associazione padronale di categoria, quella Federacciai che vanta come vicepresidente Nicola Riva, ora indagato a Taranto per inquinamento. Letta è uno dei politici di sinistra più graditi agli imprenditori. […]. Impressionante anche l’elenco delle donazioni dei manager del Monte dei Paschi ai Ds di Siena. Ci sono molti nomi del presente e del passato del gruppo bancario nell’elenco degli ultimi dieci anni di contributi ai Ds locali: da Marco Spinelli a Moreno Periccioli dal compianto Stefano Bellaveglia ad Antonio Sclavi. In testa ai manager-finanziatori ovviamente c’è l’ex presidente Giuseppe Mussari. L’attuale presidente dell’Abi ha donato, negli ultimi dieci anni, 673 mila euro ai Ds senesi. Dei quali 100 mila nel 2010 e 99 mila euro nel 2011. Mentre il vicepresidente della banca, Ernesto Rabizzi, ha donato 125 mila euro nell’ultimo biennio. Nonostante i conti disastrosi della banca abbiano imposto al governo Monti di iniettare 4 miliardi di euro pubblici nell’istituto, i due manager e il loro partito non ne hanno risentito. Mussari è tuttora presidente dell’Abi e nel 2011 ha guadagnato ben 712 mila euro, mentre Rabizzi si è accontentato di 412mila euro”. (Marco Lillo e Valeria Pacelli,  il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2012)

http://shop.ilfattoquotidiano.it/2012/12/01/soldi-dalle-aziende-a-dalema-letta-vendola-e-gli-altri/

“Generoso si rivela pure Giuseppe Mussari, presidente del Monte Paschi di Siena, diessino di lungo corso e finanziatore dei Ds cittadini con 160 mila euro”.

13 marzo 2008

http://www.senzasoste.it/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=3764

“Prende le distanze anche il Pd, nonostante il ruolo degli enti locali toscani nella nomina dei vertici della Fondazione Mps e lo storico supporto a Mussari da parte di pietre miliari del partito come Giuliano Amato e Franco Bassanini, per quanto riguarda Roma, mentre a Siena l’ascesa dell’avvocato calabrese fin dall’inizio è stata sostenuta dall’ex responsabile locale del Pd, Franco Ceccuzzi, già sindaco della città fino al commissariamento e attuale candidato per riprendersi la poltrona”.

23 gennaio 2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/23/mps-sospesa-in-borsa-per-eccesso-di-ribasso-9-dopo-scandalo-derivati/477748/

Rossa da sempre, ma con un potere multicolore forte e compatto intorno alla banca, in un compromesso storico di ferro. Pci, Pds, Ds, i democratici governavano comunque si chiamassero, ma facendo tutti felici nel codice che funzionava garantendo la “centralità millenaria” della banca. A Rocca Salimbeni sono tutti rappresentati: partiti, chiesa, Opus Dei, massoneria, che a Siena è il partito della della borghesia, come diceva Benedetto Croce, e anche del ceto medio impiegatizio e commerciale, secondo Antonio Gramsci. Mancano soltanto i gay, che infatti, più di una volta hanno protestato: perché la Curia ha un posto in Fondazione e noi no? E tutti hanno il loro bel tornaconto. Se, per dire, il plenipotenziario berlusconiano Denis Verdini ha bisogno di qualche milione per far fronte alla bancarotta della sua ex banchetta personale e per le costose abitudini della sua famiglia, il Monte sovviene discreto e generoso. Per non dire dei 200 milioni o giù di lì, raccolti in tutta Italia, ma distribuiti dalla Fondazione a pioggia intorno a Piazza del Campo per garantire il benessere dei 55 mila abitanti.

Alberto Statera (Repubblica)

http://www.giornalettismo.com/archives/728471/il-monte-dei-paschi-di-siena-e-le-colpe-di-bersani/

“Eccoci quindi ad uno storico potere italiano, nel ramo bancario, nel quale il radicamento Pd può vantare una lunga storia. Ci riferiamo al Monte dei Paschi che è controllato direttamente dal Pd senese quindi su una base territoriale con rilievo nazionale. Ora non ha importanza descrivere qui la guerra tra bande che si è aperta nel Pd a Siena con la crisi di Mps, una guerra che nessuno in Toscana riesce a spegnere tale è l’autonomia del partito democratico senese dal resto della regione. Bisogna soprattutto brevemente raccontare come l’Mps, grazie alla acquisizione sbagliata di Antonveneta e ad una lunga serie di operazioni speculative andate a male, da almeno un lustro si trova in cattive acque. Tanto che, nell’autunno del 2012, il governo Monti decreta, su un testo approvato da un relatore Pd ed uno Pdl, un aiuto alla banca senese pari a 3,9 miliardi di euro. Aiuto poi messo in discussione dal Bce ma superiore, dal punto di vista finanziario, ai “risparmi” che la riforma Fornero ha prodotto con i tagli alle pensioni…Aiuto che è servito, tra l’altro, ad evitare che la banca fosse commissariata dallo stato, disintegrando il residuo potere piddino senese e nazionale nei corridoi di Mps…Pochissimi giorni fa, con delle prove fornite dal Fatto Quotidiano, esce la prova inoppugnabile che Mussari, allora presidente di Mps e fino a poche ore fa presidente dell’associazione delle banche italiane (praticamente un ministro), aveva fatto una pesante operazione di cosmesi finanziaria con il bilancio 2009 del Monte dei Paschi. In poche parole aveva acquisito come abomba adttivo una serie di pericolosi derivati, contratti con una banca giapponese, che altro non erano che letali bombe ad orologeria nei bilanci della banca senese. E bravi Monti e il Pd, con il concorso del Pdl, che hanno decretato aiuti, e di quali proporzioni, ad una banca che è piena di vere e proprie bombe ad orologeria finanziarie. Tutto questo per sottrarre la banca ad un vero controllo pubblico…Tutto questo, naturalmente, senza che Mps abbia minimamente migliorato la propria offerta finanziaria a imprese, famiglie, singoli, coppie in cerca di mutuo. Si è presa una parte notevole di denaro pubblico per farla sparire nel niente di una voragine di bilancio.

A questo punto chiedersi cosa sia veramente il Pd non fa certamente male. Al di là delle operazioni di creazione di simulacro per attirare elettori resta la sostanza materiale di un potere profondamente immobiliare (Ipercoop non è solo grande distribuzione), legato alle grandi opere (le cooperative edilizie) e speculativo-finanziario (Unipol e Mps). Si tratta di tipici poteri del liberismo odierno nazionale, quello legato al circuito mattone-moneta”.

http://www.senzasoste.it/nazionale/mps-la-banca-del-pd-che-nel-2012-e-costata-3-9-miliardi-agli-italiani-pi-dei-tagli-della-riforma-fornero

“…feudi del Pci-Ds-Pd che nominano 13 consiglieri su 16 in fondazione. Erano loro a decidere, fomentati dagli elettori-cittadini che, quando non lavorano in banca, ne sono clienti o beneficiari come sponsorizzazioni, iniziative, erogazioni. Un circolo chiuso, tutti alla greppia e nessun controllo autonomo”.

Andrea Greco, La Repubblica, 19 ottobre 2012

“Il Monte dei Paschi di Siena manovra oltre il 30% dell’economia Toscana”.

http://altracitta.org/2012/05/14/gli-affari-del-pd-intorno-al-monte-dei-paschi-di-siena/

 “Pierluigi Bersani respinge ogni accusa di un ruolo del PD nella vicenda: “Nessuna responsabilità, per l’amor di Dio. Il PD fa il PD e le banche fanno le banche”. Certo, dopo la scalata tentata da Unipol allo stesso Monte dei Paschi (“Abbiamo una banca?” si domandava in una famosa intercettazione Piero Fassino) le insinuazioni a danno del PD non erano certamente evitabili”.

http://www.mondoinformazione.com/notizie-italia/monte-dei-paschi-di-siena-il-crack-che-fa-tremare-la-politica/81401/

“Mussari è stato probabilmente uno dei principali finanziatori privati del Pds-Ds-Pd di Siena. Secondo i dati ufficiali della Camera dei Deputati, dal 27 febbraio del 2002, data del suo primo assegno al partito, fino al 6 febbraio dello scorso anno, Mussari ha versato a titolo personale nelle casse del movimento ben 683.500 euro. Finanziamenti ovviamente leciti e tutti dichiarati. Ma che danno comunque il senso della stretta vicinanza tra il manager e il partito”.

http://www.huffingtonpost.it/2013/01/23/mps-finanziamenti-leciti-giuseppe-mussari-ds-pd-di-siena_n_2533052.html?utm_hp_ref=italy

“Dai primi anni Novanta, la “privatizzazione” ha eliminato dall’ordinamento italiano il principio della pubblica utilità del credito, per cui le banche vengono destinate unicamente a fare profitto. I partiti sono tuttavia riusciti a mantenere il controllo sui capitali delle ex banche pubbliche, scorporando da esse le Fondazioni bancarie.

Così iniziava in Italia il ventennio del trionfo dell’economia del debito, capace di generare nel mondo “derivati” per un valore oltre dodici volte superiore a quello del lavoro annuo di tutta l’umanità. Le Fondazioni, e non solo le banche, hanno partecipato alla speculazione: col risultato che le sole prime 12 Fondazioni avrebbero bruciato, al settembre 2011, ben 10 miliardi di euro, cui nel 2012 si dovrebbero aggiungere altri 14 miliardi di perdite sui titoli di Stato presenti nei loro portafogli.

Dato che il patrimonio delle 88 Fondazioni bancarie italiane ammonta a oltre 50 miliardi di euro, ci rendiamo conto di quanto la crisi finanziaria mondiale abbia intaccato uno dei più importanti patrimoni dell’Italia, costituito nel tempo dal lavoro degli Italiani e originariamente destinato al sostegno delle attività non lucrative, tra le quali, in primo luogo, la cultura.

Le improvvise, per gli ignari, notizie sulla grave crisi del Monte dei Paschi, che irrompono sulla campagna elettorale, annunciano, a nostro avviso, ulteriori difficoltà del sistema creditizio e delle fondazioni nel nostro paese: proprio quando recenti analisi di esperti confermano il fatto che questo sistema continua a sostenere soltanto le grandi aziende e le pubbliche amministrazioni, lasciando famiglie e piccole e medie imprese prive di denaro proprio quando sarebbe più necessario.

Una scelta strategica rivelatrice del fatto che per la finanza internazionalizzata il denaro non è il controvalore del lavoro di un popolo, ma lo strumento per renderlo schiavo attraverso la creazione del debito”.

http://www.clarissa.it/editoriale_n1873/Monte-dei-Paschi-ancora-il-debito-contro-il-lavoro

“Ho segnalato tempo fa che il PD attraverso le fondazioni bancarie presiedute dai suoi amministratori locali controlla le tre maggiori banche italiane, che detengono gran parte del debito pubblico italiano e continuano ad ottenere prestiti e fortissimi vantaggi da parte del governo. Fassino presiede la fondazione cassa di risparmio di torino che detiene il maggior pacchetto di unicredit subito dopo gli arabi, chiamparino alla compagnia di san paolo controlla nettamente intesa con oltre il 10%, su siena e mps non mi pare di dovermi dilungare…Monti è stato creato in questo suo ruolo da Napolitano e sostenuto costantemente dal PD…io ritengo che il PD non si sia fatto catturare dal montismo e ne sia vittima, bensi che sia proprio tra i mandanti e creatori, con il movente di difendere il prprio potere economico-finanziario. Allora la lista monti non è un avversario del pd bensì una pedina posta in parlamento per poter poi costituire un governo post elezioni e non dover calare del tutto la maschera presentandosi come la coalizione erede del governo monti. Io credo che già sappiano che non avranno una maggioranza solida al senato e così potranno giustificare l’alleanza con il centro-monti, un secondo miracolo per enrico letta. Sel sarà ininfluente e comunque condita nelle sue liste di “responsabili” che per non far cadere il paese nel caos resteranno nel governo”.

Pierfrancesco Ciancia, 7 gennaio 2012

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/11/gli-animali-da-fuori-guardavano-il-maiale-e-poi-luomo-poi-luomo-e-ancora-il-maiale-ma-era-ormai-impossibile-dire-chi-era-luno-e-chi-laltro-orwell/

“Pierluigi Bersani ha sostenuto…con la copertura della discrezione di Repubblica e Unità, uno dei più robusti e silenziosi, almeno a livello di opinione pubblica, tentativi di salvataggio di banche tossiche della storia d’Italia. Stiamo parlando di una iniezione di liquidità superiore ai tagli delle pensioni della recente riforma Fornero a favore di uno dei feudi piddini: il Monte dei Paschi.  Allo stesso tempo, a differenza della Gran Bretagna (che è IL paese liberista) la decisiva immissione di liquidità non ha comportato che la banca passasse sotto controllo pubblico. Insomma, la società italiana ha compiuto uno sforzo immenso per pagare le avventure di MPS, e di riflesso del Pd, nel mondo della speculazione finanziaria.  Di fatto ha dovuto pagare anche il disastro MPS dell’acquisizione di Antonveneta (costata 9 miliardi), ma il controllo del Monte, a differenza di quanto accaduto in Gran Bretagna per casi analoghi, resta privato. Nonostante questo Moody’s ha declassato…i titoli MPS a spazzatura. Un’operazione da serio, serissimo dibattito politico. Lusi, Penati e lo scandalo Enac, di un altro collaboratore stretto di Bersani, rispetto a quanto è costato alla società italiana MPS, e a fondo perduto, a confronto sono questioni da ricettazione di un camion trafugato pieno di salumi”.

http://senzasoste.it/internazionale/i-disperati

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Come sarà ripagato il prestito del governo Monti?
“Con quel decreto del Consiglio dei ministri che dava l’ok alla modifica dei Monti bond apposta per Mps, preparato da Grilli e pubblicato in Gazzetta ufficiale l’11 dicembre, veniva sancito che alla banca andavano quasi 4 miliardi di euro, e che lo Stato poteva anche essere rimborsato, se Mps fosse andata in rosso (cosa piuttosto probabile visto che Mps ha chiuso il primo semestre 2012 con un buco di 1,617 miliardi), non in contanti ma anche in azioni della banca stessa o in nuove obbligazioni. In sostanza, miliardi in cambio di carta“.

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10 domande (inquietanti) sul caso Monte dei Paschi

http://www.lettera43.it/economia/finanza/10-domande-inquietanti-sul–caso-montepaschi_4367581441.htm

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Chi vota PD, o Monti, o Berlusconi, vota per questo:

I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo più ampio, niente meno che la creazione di un sistema globale di controllo finanziario in mani private in grado di dominare il sistema politico di ciascuna nazione e l’economia mondiale nel suo complesso. Questo sistema andava controllato in stile feudale dalle banche centrali di tutto il mondo, agendo di concerto, per mezzo di accordi segreti raggiunti in frequenti incontri privati e conferenze. Al culmine della piramide ci doveva essere l’elvetica Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che a loro volta erano imprese private…non bisogna immaginare che questi dirigenti della principali banche centrali del mondo fossero loro stessi dei ragguardevoli potenti nel mondo della finanza. Non lo erano. Erano piuttosto dei tecnici e gli agenti dei massimi banchieri commerciali delle loro rispettive nazioni, che li avevano allevati ed erano perfettamente capaci di liberarsene…e che rimanevano in gran parte dietro le quinte…Questi costituivano un sistema di cooperazione internazionale e di egemonia nazionale più privato, più potente e più segreto di quello dei loro agenti nelle banche centrali. Il dominio dei banchieri commerciali era fondato sul controllo dei flussi di credito e dei fondi di investimento nelle loro nazioni e nel mondo….potevano dominare i governi attraverso il controllo dei debiti nazionali e dei cambi. Quasi tutto questo potere era esercitato dall’influenza personale e dal prestigio di uomini che in passato avevano dimostrato la capacità di portare a compimento con successo dei golpe finanziari, di mantenere la parola data, di mantenere la mente fredda nelle crisi e di condividere le loro opportunità più vantaggiose con i loro associati.

Carroll Quigley, docente di storia, scienze politiche e geopolitica a Princeton, Harvard e Georgetown e mentore del giovane Bill Clinton, da “Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time” (New York: Macmillan, 1966).

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/27/complottismo-for-dummies-le-trame-finanziarie-spiegate-al-bruco-del-mio-basilico/

“Il Grigiocrate Mario Monti. Nell’era dei mediocri” di Augusto Grandi (Il Sole 24 Ore, Premio Saint-Vincent)

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Durante l’anno del Governo Monti I il PIL italiano ha registrato una contrazione del 2,4%. La contrazione del PIL non ha giovato alle politiche di rigore, che avevano tra i primi obiettivi la riduzione del debito pubblico. Il debito pubblico dell’Italia nel novembre 2011 ammontava a 1916 miliardi di euro, il 119% del PIL: un anno dopo aveva sfondato il tetto dei 2000 miliardi, e si era attestato al 126% del PIL. L’aumento del debito pubblico di sette punti percentuali rispetto al PIL è da addebitarsi anche e soprattutto alla pronunciata contrazione di quest’ultimo. Il deficit annuo dell’Italia è infatti leggermente diminuito per effetto dei tagli alla spesa sociale, dell’introduzione dell’IMU, del rincaro dell’IVA e delle accise. Questi provvedimenti hanno comportato un aumento della pressione fiscale esercitata dallo Stato sui cittadini dal 50,5% al 55,2%. Progressi significativi sono stati fatti sul fronte della lotta all’evasione fiscale, in linea di continuità con le politiche del precedente governo Berlusconi. La disoccupazione è cresciuta dall’8,6% al 10,8%. I consumi degli italiani si sono contratti del 3,6%. Risultati positivi si sono avuti sul piano dello spread, sceso da 500 a 300 punti, grazie soprattutto all’energica difesa dell’euro da parte del presidente della BCE, Mario Draghi”.

Passaggio censurato nella voce “Mario Monti” di wikipedia

Nonostante clamore e dibattiti, purtroppo la censura wikipediana non si è fermata, e mentre si accingeva a pubblicare questo testo, lo scrivente è stato testimone di un altro episodio tra il grave e il grottesco. In data 6 gennaio un utente aveva creato la voce Lista dei membri del gruppo Bilderberg, già presente sulle wikipedie inglese, tedesca, francese, spagnola, finlandese etc. etc. La voce era strettamente compilativa (se ne può consultare una bozza “sopravvissuta” qui) e non faceva altro che riportare la lista dei nomi dei vari membri dei Direttivi del gruppo, in primis quelli di David Rockefeller e dell’attuale presidente del gruppo Henri de Castries, amministratore delegato di AXA, presente alla riunione straordinaria del Bilderberg a Roma del 13 e 14 novembre 2012 (invitati d’onori Mario Monti ed alcuni suoi ministri, tra i quali la Fornero), documentata da Servizio Pubblico (vedi anche qui) ma anche dal Corriere della Sera. Sparsi tra i vari membri elencati, si potevano ritrovare anche i nomi di Franco Bernabè, Mario Monti, Romano Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, Gianni e Umberto Agnelli, e dei pochi altri italiani (una dozzina in tutto) che hanno avuto l’onore di far parte del comitato-guida del Bilderberg dal 1954 ad oggi (i nomi sono reperibili sul sito ufficiale stesso). Ma la lista è stata quasi immediatamente cancellata (insieme alla voce su Henri de Castries), stavolta dall’amministratore Vituzzu, a testimonianza che la censura delle informazioni scomode sulla Wikipedia italiana non si ferma mai: così, dopo la clamorosa censura di Natale sui risultati economici del governo Monti, ecco la censura dell’Epifania sui membri, italiani e non, del Bilderberg ! Quale sarà la prossima puntata?

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11315

Il Grigiocrate Mario Monti. Nell’era dei mediocri (Fuorionda editore, 2012), scritto dallo stimato giornalista de Il Sole24Ore Augusto Grandi insieme agli scrittori e saggisti Daniele Lazzeri e Andrea Marcigliano con la prefazione di Piero Sansonetti.

[Intervista per Tiscali].

Grandi, lei denuncia il fatto che il premier può fare quello che sta facendo perché la classe politica “assiste inerme e impotente”. Lei definisce i partiti politici come “topolini che corrono più o meno festanti o riottosi verso il precipizio”.

“Quando noi parliamo di era dei mediocri non ci riferiamo alla Banda Monti e alla Fornero, che sono sicuramente mediocri, ma soprattutto a questa classe politica che va a suicidarsi. Abbiamo dei politici che dopo Berlusconi non hanno saputo reagire, che ancora oggi vanno a dire alla gente quanto sia bravo Mario Monti e che ripetono che non lo vogliono ma sono pronti a seguire tutti i punti della sua agenda. Questo è il suicidio della politica”.

In Spagna dove la politica non ha ceduto il suo ruolo ai tecnici, la situazione non è stata migliore. Il politico Rajoy non è tanto differente dal tecnico Monti.

“Ma quando parliamo di una classe politica mediocre non dobbiamo pensare che sia solo un caso italiano. Vale anche per Rajoy che, anche se è stato eletto, è stato messo lì per fare quello che hanno deciso di fargli fare. Mi spiego: la classe politica non è mediocre quando riesce a ribellarsi a questi poteri che ti dettano l’agenda. Non illudiamoci è esattamente quello che succederà presto in Italia con il ‘Monti bis’ o con un nuovo governo che decida di applicare le sue politiche. In base a che cosa tu dovresti andare a votare per elezioni primarie del centrosinistra per Renzi o Bersani quando a decidere tutto saranno ancora una volta Monti e Napolitano? Ma attenzione lo stesso discorso vale per il centrodestra, basta sentire quello che dicono Frattini e tanti altri. In queste condizioni è del tutto inutile andare a votare”.

Dal vostro libro emerge però che Monti e Napolitano sono in realtà un mezzo o un tassello di un disegno più ampio per impoverire l’Italia. Qual è questo progetto?

“La dimostrazione di quanto noi sosteniamo è sotto gli occhi di tutti. Quando Mario Monti dice che a questo punto l’Italia è in saldo ed è ora che qualcuno la compri e oggi Goldman Sachs dice che noi siamo una sorpresa positiva e meritiamo maggiori investimenti capisci che la svendita è iniziata. Noi avevamo ipotizzato questa situazione a maggio, oggi si è avverata. Prendiamo ad esempio anche l’Ilva. Per anni non ti sei preoccupato di imporre all’azienda determinate regole, si è giunti alla chiusura della fabbrica e ora sei pronto a versare tre miliardi di euro di finanziamento sapendo benissimo che non basteranno e che entreranno in scena altri investitori che non aspettano altro. Il prossimo obiettivo è Finmeccanica già sotto attacco, ma poi questa svendita proseguirà con tutti i beni dell’Italia“.

Finmeccanica è sotto attacco da parte della magistratura?

“Finmeccanica fa quello che fanno tutti i suoi concorrenti a livello internazionale ovvero cerca di oliare per chiudere una trattativa. Ma in Francia questo meccanismo, se utilizzato per corrompere governi o investitori esteri, è considerato un merito. Invece la magistratura francese interviene solo in caso di corruzione interna”.

Lei ricorda che Monti è accusato di applicare un “modello cinese”. Poi provocatoriamente ipotizza che il “modello italiano”, privato costantemente di diritti essenziali per i lavoratori, sarà presto peggiore di quello asiatico.

“La Cina si è resa ormai conto che il capitalismo d’assalto applicato in questi ultimi anni non può essere più portato avanti. Per questo, ad esempio, Pechino ha imposto che i figli debbano occuparsi dei genitori perché in un sistema sociale che funziona è necessaria la coesione e la famiglia. Non si tratta di affetto, ma di un calcolo preciso: il figlio che assiste il genitore alleggerisce il costo per lo stato. Mentre in Italia si invitano i giovani ad emigrare altrove, in Cina c’è una forte attenzione al fatto che tutti devono poter vivere. Ho visto tre lavoratrici pulire una fontana con tre spazzolini minuscoli, un lavoro per il quale bastava una persona con uno spazzolone. La filosofia è che guadagnano meno ma lavorano tutte e tre. Anche il forte inquinamento, che è reale, è da qualche tempo combattuto con tecnologie ecosostenibili. Noi, al contrario, da mesi non sentiamo parlare d’altro che di tagli e risparmi a scapito dello stato sociale. Emblematica l’ultima dichiarazione di Monti sulla Sanità“.

Le dico due parole: Gruppo Bilderberg e Rivoluzione Oligarchica.

“Non voglio addentrarmi nel campo di elite e aristocrazia che si contrappongono all’oligarchia, ma che Paese è quello in cui gli organi di informazione ignorano la riunione del  Gruppo Bilderberg a Roma e la notizia viene diffusa solo da Dagospia? Lei cita Bilderberg ma potremmo dire anche Goldman Sachs. Quando un uomo come Henry Paulson lascia la Goldman per diventare sottosegretario del Tesoro degli Stati Uniti, gestisce il fallimento e uccide la Lehman e poi torna in Goldman non si può parlare di complottismo. La stessa Goldman ha più volte ammesso pubblicamente di adottare il sistema della ‘porte girevoli’ che consiste nel mettere i propri uomini di fiducia nelle istituzioni e, dopo aver svolto il lavoro, riprenderseli. A questo punto è legittimo chiedersi se Mario Monti che era un uomo della Goldman stia lavorando per loro o per il Paese. Le recenti dichiarazioni della Goldman sull’investire in Italia lasciano molti dubbi. Stesso discorso per il Gruppo Bilderberg che non ha mai nascosto il progetto di un governo mondiale che possa prendere della decisioni a livello planetario. Questo governo degli oligarchi esiste a livello mondiale, ma anche a livello locale. In Italia quella che si considera elite, ma che è solo un’oligarchia, mostra il suo disprezzo per il popolo e cerca di mantenere il suo status. Un ministro come la Fornero arriva a dire: i vostri figli sono mammoni e devono andare all’estero. Ma i loro sono tutti a casa”.

Il vostro libro è stato valutato positivamente dalla critica specializzata, ma la grande distribuzione letteraria l’ha ignorato ed è edito da una piccola casa editrici alternativa. Un caso oppure una volontà precisa?

“Non credo sia stato un caso. Se un giornale del livello del Financial Times si è interessato al nostro lavoro e ha espresso un giudizio positivo, non credo possa essere messo in discussione il valore del libro [si trattava dell’edizione tedesca del Financial Times, così indipendente da essere stata chiusa con un pretesto, nonostante le proteste dell’intera redazione, convinta di essere stata punita per non essersi allineata, NdR]. Recentemente abbiamo ricevuto responsi favorevoli anche da un noto quotidiano di Bombay. Qui in Italia è stato ignorato dai grandi quotidiani come La Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa dai loro gruppi editoriali. In realtà non ci siamo sorpresi perché nel libro attacchiamo alcuni giornalisti di queste testate“.

28 novembre 2012

http://spettacoli.tiscali.it/articoli/libri/12/11/il-griogiocrate-mario-monti-intervista-augusto-grandi.html

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Noi di Qelsi ne abbiamo parlato con uno degli autori: Augusto Grandi, giornalista economico del Sole24Ore, scrittore di saggi politico-economici e di narrativa. Vincitore del premio St. Vincent di giornalismo, ha recentemente realizzato con reportage di viaggio alcune mostre fotografiche sullo sfruttamento del lavoro nel mondo.

In questa intervista esclusiva rilasciata a Qelsi, Augusto Grandi ci parla del “Grigiocrate”.

Augusto Grandi, la tesi principale de “Il Grigiocrate” suggerisce che l’Italia sia stata indicata come luogo giusto per sperimentare un nuovo modello politico. In cosa consiste questo modello? E perché l’Italia?

Il modello è quello di un’Europa del sud trasformata in una sorta di Bangladesh per l’Europa del nord. Bassi salari, fuga dei cervelli e importazione di braccia per lavori non qualificati. Ma un Bangladesh anche a vocazione turistica. Il paradiso dove verranno a svernare ricchi cinesi e tedeschi, russi e americani. Perché l’Italia? Perché la Grecia è troppo piccola e debole per sperimentare un modello. L’Italia è la terza economia europea, la seconda manifatturiera. Dunque la sperimentazione ha davvero senso.

Nel libro, Mario Monti è definito “un uomo abituato a essere nominato e non eletto”. Chi è Mario Monti? E perché è stato scelto lui?
Un uomo per tutte le stagioni. Commissario europeo in quota centrodestra e pure in quota centrosinistra. Membro del cda Fiat all’epoca delle tangenti di cui non si era accorto. E poi Goldman Sachs e agenzia di rating che declassava l’Italia mentre lui non se ne accorgeva. Un tipo distratto, ma silente e sobrio esecutore degli ordini dei poteri forti. Quei poteri forti che secondo lui non esistono, per poi sostenere che aveva perso il loro favore. L’uomo ideale per svolgere il lavoro sporco nell’interesse dei mercati internazionali e a danno dell’Italia.

Mario Monti si può definire un “uomo solo al comando” oppure la sua ascesa è frutto di un intreccio di rapporti e amicizie?

Mai solo al comando. Sempre e soltanto all’interno della sua cerchia di potenti e di camerieri dei potenti.

Altra figura di spicco di questo governo è Elsa Fornero, ministro del lavoro. Una frase del libro recita “In realtà ad Elsa interessava scardinare tutto il sistema sociale italiano, basato su tutele a volte eccessive ma comunque indispensabili per garantire la sopravvivenza dell’economia nazionale”. Perché questo?

La Fornero è il braccio armato del governo. Ha portato l’età delle pensioni ai livelli record d’Europa. Non si è accorta, distratta anche lei, delle decine di migliaia di persone che, grazie a lei, perdevano pensione e reddito da lavoro. Ha dato la libertà di licenziare e di fronte a 800 mila disoccupati in più ha ricordato che in un’azienda gli occupati erano aumentati. Grazie alle follie della Fornero i lavoratori italiani sono costretti ad accettare condizioni indecenti o ad emigrare. Il progetto di impoverire l’Italia non può prescindere da lei.

Nel “Grigiocrate” si fa più volte riferimento ai “giornali amici” del governo tecnico. Quali sono?

C’è solo l’imbarazzo della scelta. A partire dal Corriere, che ha avuto Monti come editorialista per vent’anni, per passare a Repubblica che su Monti vuol creare il partito “scalfariano”. E poi l’ipocrisia de La Stampa che descrive sbavando servilmente le sobrie vacanze di Monti a St. Moritz. E ancora Il Messaggero casiniano.

L’Italia ha già conosciuto precedenti esperienze di governi tecnici: Amato e Ciampi. Quali sono le analogie e quali le differenze con Monti?

Amato era un politico. E non a caso è finito nella squadra di Monti, visto che anche Amato era molto distratto quando non si accorgeva delle tangenti. In fondo Monti completa il disastro di Amato e Ciampi che hanno portato il debito italiano all’estero, creando le condizioni per la speculazione attuale. Il Giappone, con un debito doppio rispetto all’Italia, paga interessi pari a un terzo, perché il debito è in mano giapponese.

Cosa impedisce all’Italia di fare come il Giappone?

Avere governanti al servizio degli speculatori. Il debito deve rientrare in Italia, ma se i soldi dell’Imu e delle altre tasse servono per pagare gli interessi, non ci sono più per ricomprare il debito. E alla speculazione fa molto più comodo incassare il 6 per cento sui titoli italiani.

Cosa cambierà nell’Italia del dopo Monti? E quali alternative hanno gli italiani, soprattutto giovani?

Per cambiare servirebbe una volontà politica di cambiamento. Invece, con l’attuale classe politica, si rischia che il dopo Monti sia un altro Monti, o comunque una indecente ammucchiata che mantenga lo sfruttamento degli italiani per accontentare i mercati. Per i giovani italiani esiste un modello alternativo, quello dell’Argentina della tostissima Kirchner.

Si parla spesso di complotti delle banche, signoraggio primario e secondario, piani per impoverire i Paesi dell’Europa del sud. Eccessivo complottismo o c’è qualcosa di vero?

Nessun complottismo. La strategia per cambiare l’assetto europeo è dichiarata ufficialmente. Nessuna segretezza. I poteri forti non si nascondono neppure più.

Risanare i conti pubblici e ridurre il debito pubblico: sembrano queste le priorità del governo tecnico. Si tratta solo di spauracchi sventolati in faccia agli italiani o sono esigenze reali?

Risanare si deve. Ma per ridurre il debito pubblico si deve crescere. Se si continua a massacrare il risparmio degli italiani, si riducono i consumi e si provoca la recessione. E in queste condizioni non si risana l’economia e non si riduce il debito.

Quello di Monti è stato spesso definito dai critici un “modello cinese”, nel “Grigiocrate” si sostiene invece che il modello Monti rappresenti una regressione rispetto a ciò che sta avvenendo in Cina. Perché?

La Cina si è resa conto che deve migliorare le condizioni economiche della popolazione, Monti le peggiora in nome degli speculatori. La Cina recupera Confucio e chiede che i giovani si occupino degli anziani, Monti e Fornero vogliono che i giovani emigrino lasciando gli anziani a morire negli ospizi.

Il governo Monti può essere definito una sconfitta della politica? Se sì, in cosa ha sbagliato la classe politica italiana?

Sicuramente Monti è una sconfitta della politica. Che ha rinunciato a governare per asservirsi totalmente ai mercati internazionali. Politici che non hanno avuto la capacità di realizzare le riforme, che hanno assunto decine di migliaia di finti lavoratori per mero clientelismo. Che non hanno avuto il coraggio di prendere esempio dal governo peronista argentino. A Buenos Aires la popolazione vale più dei banchieri e degli speculatori.

All’Italia converrebbe uscire dall’euro oppure no? E’ vero che l’uscita dall’eurozona sarebbe una catastrofe?

Sarebbe un disastro per l’Europa, prima ancora che per l’Italia. Per noi i problemi potrebbero essere ridotti da accordi internazionali con Paesi come la Russia, in grado di garantire liquidità.

http://www.qelsi.it/2012/mario-monti-un-pericolo-mortale-intervista-ad-augusto-grandi-giornalista-del-sole24ore/

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“Pare strano per un milanese “doc”, ma tutto iniziò a Torino. Più di quarant’anni fa. La parabola del professor Mario Monti, da giovane e promettente docente di Economia a presidente del Consiglio di un’Italia commissariata e messa in svendita dalla finanza internazionale, prende infatti le mosse dall’arrivo del ventisettenne economista alla facoltà universitaria subalpina. Monti viene invitato dal suo “mentore” Onorato Castellino, che successivamente sarebbe diventato preside di Economia e Commercio e presidente della Compagnia di San Paolo, la potentissima fondazione dell’omonimo istituto bancario. E fin dall’inizio già si scorge una delle costanti della vita professionale del “nostro”: la cooptazione. Uno strumento tipico delle élite di cui il professore ha sempre usufruito in prima persona e che, a sua volta, ha usato per tessere intorno a sé una fitta rete di rapporti umani e professionali.

Nella Torino ancora “One Company Town” dei primissimi Anni Settanta, grigia e operaia, agitata dagli ultimi riflessi dell’Autunno Caldo e scossa dai primi vagiti del terrorismo rosso, il futuro premier si trova benissimo. Non al punto, però, di trasferirsi in pianta stabile: sull’asse Milano-Torino viaggia sobriamente in treno, in settimana trascorre le sue giornate dividendosi tra le aule universitarie e lo studio del professor Onorato, a due passi dalla facoltà di Economia, e va a dormire (presto, si suppone) nel centralissimo Hotel Patria, un albergo di buon livello ma tutt’altro che lussuoso. Monti, insomma, è già un uomo in grigio. Ma non ancora un “grigiocrate”, per usare l’azzeccato neologismo coniato da Augusto Grandi, Daniele Lazzeri e Andrea Marcigliano, gli autori appunto del volume Il grigiocrate (edizioni FuoriOnda), biografia non autorizzata di Mario Monti, con la prefazione di Piero Sansonetti.

Ci metterà un bel po’ a diventare da “grigio” a “grigiocrate”, ma intanto nel corso dell’esperienza torinese Monti entra in contatto (e in amicizia) con il gotha degli accademici subalpini, personaggi che poi ritroverà nel suo iter professionale: Franco Reviglio, Giovanni Zanetti, Mario Deaglio e la moglie di quest’ultimo, Elsa Fornero, che gli studenti avevano soprannominato “Elsa la belva”. Ora anche gli italiani hanno capito il perché.

Via elencando, gli autori ripercorrono la lunga e proficua carriera di Mario Monti, decollata nel 1988 con la nomina nel CdA Fiat: «La presenza di Monti nei consigli d’amministrazione del gruppo torinese – scrivono Grandi, Lazzeri e Marcigliano – coincide anche (nel senso che è una coincidenza) con l’epoca delle tangenti pagate dalla Fiat ai politici. (…) Ma il problema è un altro. Monti sapeva? Davvero poteva non sapere? Consigliere silente e pure non vedente? (…) . D’altronde le vicende del professore nostro si sono spesso incrociate con quelle di Giuliano Amato (un altro della scuola torinese, ndr), il cosiddetto “dottor sottile”. Così sottile, così acuto che, pur essendo stabilmente ai vertici del Psi, non si era mai accorto di quanto gli stava succedendo intorno. Sarà per questo che, prima Amato e poi Monti, non si sono accorti dei danni che le loro rispettive  politiche economiche  provocavano all’Italia? E, ovviamente, neppure si sono accorti dei vantaggi assicurati da entrambi  alla speculazione internazionale. Pure coincidenze operative».

Il volume scritto dal trio per l’editore toscano FuoriOnda ha più di un pregio: in primo luogo lo stile rapido, incisivo, giornalistico nel senso migliore del termine. Cita le fonti, fa nomi e cognomi, scava nel passato del Professore e soprattutto va a curiosare dietro le quinte. Ma c’è un’altra qualità da sottolineare: Il grigiocrate è un libro coraggioso, perché ha rotto il muro d’omertà che da novembre a oggi ha contraddistinto la saggistica e l’informazione giornalistica su tutto ciò che circonda il premier Monti. Lo spettacolo, diciamo la verità, non è stato edificante. Sarà anche una conseguenza dell’orgia (in tutti i sensi) berlusconiana, ma a partire dagli iniziali soffietti sulla sobrietà dell’professore in loden è stato tutto un crescendo di lodi sperticate all’uomo della Provvidenza bancaria. Un’informazione dopata, ricca soprattutto di censure, omissioni, edulcorazioni, infingimenti, riguardi, squilli di tromba e lingue felpate che ha dimostrato una volta di più la lontananza della casta giornalistica dal mondo reale e dagli umori dei lettori.

E se persino sui giornali italiani è capitato di leggere qualche accenno agli scheletri nell’armadio di Monti – dagli incarichi alla Goldman Sachs ai ruoli dirigenziali delle note organizzazioni mondialiste Trilateral e Bilderberg Club, fino al compito non troppo chiaro ricoperto per l’agenzia di rating americana Moody’s – è solo perché la vera controinformazione è circolata in Rete: sui blog, sui social network, su decine e decine di siti indipendenti. E lì ci si rende conto fin da subito quali sono le opinioni che prevalgono, fra la gente: basti dire che digitando le parole “Mario” e “Monti” su Google, la prima parola automaticamente associata dal motore di ricerca al nome del premier è “massone”…

“Il grigiocrate” ripercorre anche i primi mesi del governo Monti e sposa apertamente la tesi, che di recente sta trovando sempre più adepti, secondo la quale il Professore non sarebbe affatto stato chiamato per salvare un’Italia ormai sull’orlo del baratro, bensì per affondarla definitivamente; salvaguardando però gli interessi di quelle stesse élite da cui proviene e che ha sempre servito nel corso della sua lunga e prestigiosa carriera di tecnocrate. Nel capitolo intitolato «L’obiettivo non è il rilancio dell’Italia», Grandi, Lazzeri e Marcigliano lo scrivono con chiarezza: «Non a caso, appena insediato Monti, è cominciata la corsa ad accaparrarsi parti pregiate di Finmeccanica, 70 mila dipendenti, rispettati nel mondo. Tutela dell’italianità di aziende strategiche? Neanche a parlarne. Ce lo chiede l’Europa. In realtà ce lo chiede la Francia, che alle aziende strategiche altrui è sempre stata interessata. (…) Ovviamente  è vietato ricordare che Sarkozy aveva fatto ricorso a Mario Monti per la commissione Attali, che avrebbe dovuto rilanciare l’economia transalpina. Forse il rilancio francese passa attraverso Finmeccanica».

E via con gli altri esempi, che riproducono vent’anni dopo gli scenari emersi dal famoso vertice del 2 giugno 1992 sullo yachtBritannia, quando una folta schiera di manager ed economisti italiani decise, in compagnia dei banchieri inglesi, l’avvio delle privatizzazioni in Italia. Che, com’è noto, furono il più grande saccheggio di beni pubblici della storia repubblicana; avvenuto, proprio come capita adesso, in occasione di un forte “vuoto” della politica.

[…]

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=43557

Complottismo for dummies (le trame finanziarie spiegate al bruco del mio basilico)

I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo più ampio, niente meno che la creazione di un sistema globale di controllo finanziario in mani private in grado di dominare il sistema politico di ciascuna nazione e l’economia mondiale nel suo complesso. Questo sistema andava controllato in stile feudale dalle banche centrali di tutto il mondo, agendo di concerto, per mezzo di accordi segreti raggiunti in frequenti incontri privati e conferenze. Al culmine della piramide ci doveva essere l’elvetica Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che a loro volta erano imprese private…non bisogna immaginare che questi dirigenti della principali banche centrali del mondo fossero loro stessi dei ragguardevoli potenti nel mondo della finanza. Non lo erano. Erano piuttosto dei tecnici e gli agenti dei massimi banchieri commerciali delle loro rispettive nazioni, che li avevano allevati ed erano perfettamente capaci di liberarsene…e che rimanevano in gran parte dietro le quinte…Questi costituivano un sistema di cooperazione internazionale e di egemonia nazionale più privato, più potente e più segreto di quello dei loro agenti nelle banche centrali. Il dominio dei banchieri commerciali era fondato sul controllo dei flussi di credito e dei fondi di investimento nelle loro nazioni e nel mondo….potevano dominare i governi attraverso il controllo dei debiti nazionali e dei cambi. Quasi tutto questo potere era esercitato dall’influenza personale e dal prestigio di uomini che in passato avevano dimostrato la capacità di portare a compimento con successo dei golpe finanziari, di mantenere la parola data, di mantenere la mente fredda nelle crisi e di condividere le loro opportunità più vantaggiose con i loro associati.

Carroll Quigley, docente di storia, scienze politiche e geopolitica a Princeton, Harvard e Georgetown e mentore del giovane Bill Clinton, da “Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time” (New York: Macmillan, 1966).

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«In effetti, meno dell’1 per cento delle società risulta in grado di controllare il 40 per cento dell’intero intreccio», sostiene Glattfelder. La maggior parte è costituita da istituti finanziari. La Top 20 comprende: Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co, nonché il Goldman Sachs Group. Le prime 50 fra le 147 società superconnesse: 1. Barclays plc 2. Capital Group Companies Inc 3. FMR Corporation 4. AXA 5. State Street Corporation 6. JP Morgan Chase & Co 7. Legal & General Group plc 8. Vanguard Group Inc 9. UBS AG 10. Merrill Lynch & Co Inc 11. Wellington Management Co LLP 12. Deutsche Bank AG 13. Franklin Resources Inc 14. Credit Suisse Group 15. Walton Enterprises LLC 16. Bank of New York Mellon Corp 17. Natixis 18. Goldman Sachs Group Inc 19. T Rowe Price Group Inc 20. Legg Mason Inc 21. Morgan Stanley 22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc 23. Northern Trust Corporation 24. Société Générale 25. Bank of America Corporation 26. Lloyds TSB Group plc 27. Invesco plc 28. Allianz SE 29. TIAA 30. Old Mutual Public Limited Company 31. Aviva plc 32. Schroders plc 33. Dodge & Cox 34. Lehman Brothers Holdings Inc* 35. Sun Life Financial Inc 36. Standard Life plc 37. CNCE 38. Nomura Holdings Inc 39. The Depository Trust Company 40. Massachusetts Mutual Life Insurance 41. ING Groep NV 42. Brandes Investment Partners LP 43. Unicredito Italiano SPA 44. Deposit Insurance Corporation of Japan 45. Vereniging Aegon 46. BNP Paribas 47. Affiliated Managers Group Inc 48. Resona Holdings Inc 49. Capital Group International Inc 50. China Petrochemical Group Company”

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/i-147-padroni-del-pianeta-terra.html

L’incredibile omissione è quella della vera SPECTRE della finanza mondiale, la BlackRock, che molto probabilmente ha in mano i vostri fondi pensione: “Oggi la società di gestione patrimoniale statunitense è divenuta, ad esempio, la principale azionista della borsa tedesca (che di recente si è fusa proprio con quella di New York) e controlla quote azionarie delle principali aziende della Germania: Adidas, Allianza, Basf, Deutsche Bank, le industrie farmaceutiche Merck, il produttore di materiali edili HeidelbergCement, solo per fare qualche nome. Lo stesso è avvenuto anche altrove, come in Italia, a seguito di una delle più importanti operazioni sviluppate da BlackRock, la fusione con Barclays Global Investor, rilevata da BlackRock nell’estate 2009 per 13,5 miliardi di dollari. Questa operazione, alla quale hanno partecipato con 2,8 miliardi di dollari anche i fondi sovrani, si noti, di Cina (Cic) e Kuwait (Kia), il super gestore Usa ha ora in portafoglio fra l’altro il 2,7% di Eni, il 3,8% di Unicredit (dal 2,2% della sola Barclays), il 3% di Enel, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Ubi (rispetto a quote Barclays pari al 2%), il 2,9% di Generali (dal 2%) e di Fonsai, il 2,8% di Telecom e di Bulgari, il 5,8% di Mediaset (prima era sotto il 5% e diventa così il secondo socio dopo Fininvest), il 2,7% di Fiat, il 2,2% di Atlantia e di Finmeccanica, il 3,5% di Banco Popolare (dal 2%), il 2% di Terna (2).

Al 31 marzo 2011, BlackRock dichiara nei suoi documenti ufficiali pubblici di gestire 3.648 miliardi di dollari di patrimoni amministrati: una cifra incredibile, pari all’intero Prodotto Interno Lordo della Germania [verificate voi stessi], superiore anche a quello italiano che oltrepassa i 2.000 miliardi di dollari. Si tratta probabilmente della più grande azienda finanziaria della storia che, in virtù dei collegamenti con i maggiori investitori privati e istituzionali del mondo, dispone ovviamente di un potere senza equivalenti.

In una recente occasione (3), abbiamo già visto infatti che BlackRock detiene quote azionarie anche delle maggiori agenzie di rating, come Moody’s e Standard&Poor’s, agenzie che hanno acquisito il potere, da una parte, di valutare l’affidabilità di banche e Stati, ma, dall’altra, anche degli stessi prodotti che BlackRock controlla e offre ai suoi clienti, senza che questo abbia dato finora luogo a nessun tipo di reazione politica”.

www.clarissa.it/editoriale301/Padroni-dell-universo-e-sovranita-dei-popoli-il-caso-BlackRock

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La giornalista Emma Alberici (ABC) intervista alcuni funzionari bancari ed operatori finanziari pentiti (diversamente da quel che molti credono, è una vita abbastanza spiacevole, per chi ha una coscienza)

JONATHAN SUGARMAN: Ci sono reparti ospedalieri e scuole che chiudono, servizi pubblici tagliati perché non ci sono soldi. I soldi sono andati alle banche. I vostri soldi, i miei soldi – i soldi di tutti sono finiti nelle banche. Ciò di cui abbiamo bisogno è che le normative esistenti siano fatte rispettare.

ALBERICI: Finora Jonathan Sugarman non ha mai parlato pubblicamente delle sue esperienze. Nel 2007 è diventato un dirigente di alto livello di UniCredit, la più grande banca d’Italia – una delle prime cinque banche in Europa. È stato il responsabile della gestione del rischio in Irlanda.

JONATHAN SUGARMAN: In banca abbiamo una licenza per operare come una banca che è molto simile ad una patente di guida. Spiega che questa è la velocità a cui si può andare, questo è quello che si può fare e che si deve operare all’interno di questi limiti e il mio compito era fare in modo che ciò avvenisse ogni giorno.

ALBERICI: Jonathan Sugarman sorvegliava i responsabili del controllo delle operazioni e gli operatori finanziari. Ben presto si rese conto che i conti non tornavano. Sospettava che la sua banca violasse le rigide regole sulla quantità di denaro e beni che è obbligatorio mantenere come riserva.

JONATHAN SUGARMAN: Ed ho insistito che si informasse immediatamente il responsabile dell’osservanza di queste regole, che è esattamente ciò che è prescritto dai termini della nostra licenza e dalle norme del diritto irlandese.

ALBERICI: Quanto è sicuro che UniCredit abbia infranto la legge mentre lei lavorava lì?

JONATHAN SUGARMAN: Sicuro al 100% ed è per questo che ho chiamato questa società informatica londinese che aveva una buona reputazione a Dublino e il risultato è stato abbastanza orribile, perché, mentre la violazione che avevo segnalato al regolatore costituisce una violazione del venti per cento, mentre la deviazione ammissibile era dell’uno per cento, mi telefonarono una sera poco dopo che si erano collegati ai nostri sistemi per dirmi che in realtà la violazione era del quaranta per cento.

ALBERICI: Quando ha avvertito il suo direttore generale, la risposta è stata sprezzante. Era un errore di sistema. Gli è stato chiesto di continuare ad approvare i contratti. Jonathan Sugarman era nel bel mezzo di una cultura bancaria spericolata che era in rotta di collisione con un disastro.

JONATHAN SUGARMAN: Beh, nei giorni in cui il sistema ha vomitato queste cifre che mi dicevano fossero errate dovevamo firmare e dire: “Oh, questo è un errore di sistema e siamo sicuri che è tutto a posto” e andare avanti come se niente fosse. Non abbiamo mai notificato nessuno. Tenete presente che, quando Nick Leeson ha fatto crollare la Barings Bank, si trattava di una questione di ottocento milioni di sterline, io stavo sottoscrivendo più di cinque miliardi al giorno che non possedevamo.

NICK LEESON: Stando alla definizione del vocabolario ed al fatto che ho trascorso quattro anni e mezzo in carcere io sono un criminale. Ho sempre saputo che quel che stava facendo era sbagliato e credevo di essere un criminale fin dall’inizio? Assolutamente no.

ALBERICI: Sono passati sedici anni da quando Nick Leeson, da solo, ha fatto fallire la più vecchia banca della Gran Bretagna, Barings. È un caso spettacolare, audace e scandaloso di imbrogli finanziari e Hollywood ne ha ricavato un film.

NICK LEESON: Il successo è stata la cosa che ho sempre voluto e viceversa la mia più grande paura era quella di sentirmi un fallito; la paura del fallimento è stata probabilmente quel che mi ha impedito di ammettere che avevo commesso un errore e questo errore aveva portato ad altri errori peggiorando il problema: era l’unica cosa che non mi sentivo di fare.

ALBERICI: La banca esisteva da 233 anni. Era sopravvissuta a guerre ed alla Grande Depressione, ma è bastato un operatore di future di 25 anni per mandarla gambe all’aria.

NICK LEESON: In primo luogo non sapevo che la banca stesse per crollare. Non sapevo quale fosse la base di capitale della banca e non ero realmente interessato alla cosa fino a quando i soldi continuavano ad arrivare; capivo che l’effetto delle mie azioni sarebbe stato drammatico, ma non mi ero reso conto di quanto sarebbe stato catastrofico.

ALBERICI:  Prima che Leeson diventasse un operatore di Barings a Singapore, era un contabile a Londra. Sapeva come funziona il sistema, come nascondere le perdite in un fondo segreto. Era così bravo a coprire le sue tracce che Barings pensava che rendesse milioni e gli mandava sempre più soldi con cui giocare. Ci sono voluti tre anni perché la banca si accorgesse di cosa stava succedendo, ma a quel punto era troppo tardi.

NICK LEESON: Non me la stavo godendo. C’era sempre il timore che quello che stava accadendo sarebbe diventato di dominio pubblico, e quella è sempre stata la mia più grande paura, perché avrebbe rivelato a tutti la mia incompetenza, negligenza ed incapacità e quella era l’unica cosa che non volevo che accadesse.

ALBERICI: Ti sei mai fermato a pensare che stavi perdendo i soldi di qualcuno?

NICK LEESON: mmmh, no, non penso che uno stia a pensare a quello.

ALBERICI: Nick Leeson è stato condannato per frode e ha trascorso quattro anni in un carcere di Singapore. È stato rilasciato nel 1999 ed è tornato in Irlanda per rifarsi una vita.

[Sette anni di carcere a Kweku Adoboli, l’ex trader di Ubs colpevole della maxi truffa costata 1,8 miliardi di euro]

OLIVER METZNER: Non penso che ci siano operatori disonesti in banche oneste. Le truffe avvengono perché le banche le autorizzano.

ALBERICI: Nonostante i progressi tecnologici dai tempi di Nick Leeson a Singapore, sofisticati sistemi di monitoraggio degli operatori e dichiarazioni delle banche che stanno in guardia, si sostiene che Kweku Adoboli abbia agito a loro insaputa. Le sue attività criminali sono iniziate nel 2008, al culmine della crisi finanziaria globale, e nello stesso periodo il contribuente svizzero è stato costretto a sborsare sei miliardi di dollari per salvare UBS dal baratro del fallimento.

OLIVER METZNER: La crisi del 2007-2008 ha portato a conferenze e dibattiti in cui abbiamo detto che avremmo fatto questo e quello, e nulla è stato fatto … nulla è stato fatto.

ALBERICI: Oliver Metzner è uno dei più ricercati avvocati penalisti del mondo in questo genere di casi. Il suo cliente, Jerome Kerviel, ha impugnato la sentenza di condanna per una frode alla banca francese Société Générale. Ha detto di aver perso sei miliardi e mezzo di dollari – la perdita più grande nella storia dei mercati finanziari. Proprio come nello scandalo UBS, Kerviel ha inventato acquirenti, venditori ed offerte fantasma per nascondere le sue perdite.

OLIVER METZNER: è normale che i padroni delle banche responsabili di aver portato alla rovina le proprie banche non vengano puniti per questo? Ci sono problemi reali ed in effetti è difficile per l’uomo della strada capire perché ci si concentri su un Jerome Kerviel o un Nick Leeson e non sulle banche stesse.

JEROME KERVIEL: Mi assumo la mia parte di responsabilità, ma vorrei che lo facessero anche gli altri. Tutti hanno approfittato di questo sistema e non voglio essere io a restare col cerino in mano. Tutto è stato monitorato dal sistema informatico della Société Générale.

[…].

JOHN COATES: Penso che il più grande bonus di cui abbia sentito parlare nel mondo bancario sia stato di circa 200 milioni [di dollari].

ALBERICI: Per un anno di lavoro?

JOHN COATES: sì.

ALBERICI: C’è davvero poca scienza rigorosa nelle azioni degli operatori del mercato finanziario, ma la scienza può aiutare a spiegare come si comportano.

JOHN COATES: “Durante la bolla di internet ho notato che il comportamento degli operatori aveva subito un cambiamento notevole. Di solito sono prudenti, yuppies con famiglia a carico, ma durante la bolla del dot com molti di loro divennero euforici, deliranti…I loro pensieri si rincorrevano, sentivano meno il bisogno di dormire. Stavano prendendo molti più rischi rispetto al passato. Il rischio era davvero eccessivo rispetto ai vantaggi possibili e sembravano anche più arrapati del solito data la quantità di pornografia sullo schermo dei loro computer. È stato solo più tardi che ho scoperto che si trattava dei sintomi clinici delle manie.

ALBERICI: John Coates ha trascorso dodici anni a Wall Street, lavorando per Goldman Sachs e Deutsche Bank. Ha mollato tutto per prendere un dottorato di ricerca a Cambridge. La sua specialità? Neuro-economia

JOHN COATES: L’altra cosa che avevo notato era che le donne erano relativamente immuni al comportamento che vedevo nei trader. Ho pensato che ci fosse una causa chimica ed è così che ho iniziato a fare ricerche su testosterone

[…].

SIR JOHN VICKERS: Se c’è una situazione in cui la gente crede che una banca non fallirà mai perché il governo la salverà con i soldi dei contribuenti, questa è una cosa che incoraggia … è quasi una licenza a rischiare indisciplinatamente…Se vogliono tentare cose sofisticate, complicate, internazionali, va bene, affari loro, ma abbiamo bisogno di una struttura che garantisca che il contribuente non sia chiamato a tappare i buchi quando le cose vanno male.

ALBERICI: gole profonde come Jonathan Sugarman non hanno molta fiducia nelle autorità di regolamentazione e nelle loro regole. Cosa hanno fatto finora?

JONATHAN SUGARMAN: In effetti niente, niente di niente. È come entrare in una centrale di polizia con un coltello insanguinato e dire “ho appena ucciso qualcuno” ed aspettarsi che la polizia chieda “dove sta il corpo, che cosa hai fatto?”. E invece ti dicono: “bene, basta che non lo fai di nuovo”. Il che mi ha lasciato interdetto….Mi ci è voluto un po’ per rialzarmi e poi quando ho iniziato a cercare altre posizioni come risk manager, ho trovato un sacco di porte chiuse e ho constatato che dire la verità non paga.

http://www.abc.net.au/foreign/content/2011/s3367080.htm

Bersani o Renzi? Ma anche no!

I DISPERATI – Senza Soste

“Il grandissimo Elias Canetti [uno che cita Canetti per parlare di Renzi e Bersani è già indiscutibilmente un grande, NdR] parlava della disperazione come dell’unica forma disinteressata di esistenza. Insomma, un sentimento così profondo da superare, in importanza, l’interesse e il potere. Si trattava di un modo di esistenzializzare la disperazione. Come se fosse esclusivamente legata alla viva percezione della mortalità e al deperimento, alla caducità del senso del proprio agire. Nell’Italia della politica istituzionale la disperazione è invece legata al mantenimento, ad ogni costo, di ciò che si pensa essere interesse e potere. Persino a prescindere dal fatto che, una volta portato a compimento un piano, interesse e potere ci siano davvero. La disperazione rappresenta così i tratti complessivi di una antropologia del declino della ragione strumentale della politica mainstream, sedimentatasi nell’Italia dell’ultimo trentennio, quella dove le forme di soggettivazione si riproducono solo in tattiche di potere senza visione e senza uscita. Infatti, come non definire un disperato Mario Monti che parla di uscita dalla crisi entro pochi mesi?

Le revisioni delle stime del Fmi sull’Italia, che si presume conosca, proiettano al ribasso sia la recessione del 2012 che quella del 2013. Non solo: almeno due fattori globali, il rallentamento della “crescita” cinese (ai tassi più bassi dall’inizio degli anni ’90) e il fiscal cliff americano (la fine delle agevolazioni fiscali alla “crescita”, pari al 4% del Pil, entro il 2012) fanno capire che, a differenza di altri periodi anche recenti, la stagnazione non è solo italiana ma riguarda le locomotive economiche globali. Inoltre lo stato delle banche europee, se si segue la recente inchiesta del Wall Street Journal, è persino peggiore di quelle americane. I titoli tossici, spazzatura, inesigibili, speculativi affollano disordinatamente i portafogli delle banche del continente, se si sta all’inchiesta del WSJ, maggiormente rispetto a quelli delle consorelle americane. Dove siano le condizioni strutturali della ripresa, specie quando la governance continentale delle banche resterà ufficialmente in pieno caos per tutto il 2013 (come da compromesso recente nel vertice eurozona), lo sa solo Monti.

Ma in fondo lo sappiamo anche noi: le ragioni della ripresa stanno nella propaganda della disperazione. Di quel genere di disperazione di chi sa che ha un ruolo solo reiterando all’estremo l’unica politica che conosce. Mario Monti è l’Heinrich Brüning dei nostri tempi: similmente al cancelliere del Reich dal ’30 al ’32 attua una politica di tagli di bilancio e di deflazione salariale a prescindere dalla dinamica centrifuga che queste politiche provocano nel cuore della società. Brüning, a capo di un governo di centristi appoggiato dalla sinistra “responsabile”, sfuggì a stento da Hitler, il prodotto sociale maturo di quella stagione di austerità e rigore da lui promossa. Vedremo cosa accadrà a Mario Monti. [qualcuno potrebbe insinuare che Monti sia stato messo al potere proprio per generare quel tipo di clima – Monti è troppo intelligente per fare tutto questo in buona fede, NdR].

Comportamento simile lo troviamo in altri due disperati della politica italiana: Pierluigi Bersani e Matteo Renzi. Il primo ha sostenuto, nelle scorse settimane, con la copertura della discrezione di Repubblica e Unità, uno dei più robusti e silenziosi, almeno a livello di opinione pubblica, tentativi di salvataggio di banche tossiche della storia d’Italia. Stiamo parlando di una iniezione di liquidità superiore ai tagli delle pensioni della recente riforma Fornero a favore di uno dei feudi piddini: il Monte dei Paschi.  Allo stesso tempo, a differenza della Gran Bretagna (che è IL paese liberista) la decisiva immissione di liquidità non ha comportato che la banca passasse sotto controllo pubblico. Insomma, la società italiana ha compiuto uno sforzo immenso per pagare le avventure di MPS, e di riflesso del Pd, nel mondo della speculazione finanziaria.  Di fatto ha dovuto pagare anche il disastro MPS dell’acquisizione di Antonveneta (costata 9 miliardi), ma il controllo del Monte, a differenza di quanto accaduto in Gran Bretagna per casi analoghi, resta privato. Nonostante questo Moody’s ha declassato nei giorni scorsi i titoli MPS a spazzatura. Un’operazione da serio, serissimo dibattito politico. Lusi, Penati e lo scandalo Enac, di un altro collaboratore stretto di Bersani, rispetto a quanto è costato alla società italiana  MPS, e a fondo perduto, a confronto sono questioni da ricettazione di un camion trafugato pieno di salumi.

Non fosse che i titoli dei giornali di area centrosinistra sono tutti sulle regole delle primarie. E nel frattempo, con la defiscalizzazione dei crediti inesigibili delle banche (crediti inesigibili dove, già indirettamente, ci sono molte avventure di borsa) la società italiana paga un’altra cifra pari alla riforma Fornero. Già, e in questo scenario che ti tira fuori Bersani? La polemica con Renzi per le cene elettorali organizzate da un finanziere. Perché qui siamo su un altro piano di realtà: il campo di forza della creazione di consenso. E in quel campo di forza tornano utili, per vincere alle primarie, i servizi di Repubblica, ad uso dell’elettorato di centrosinistra quindi sterilizzati dalla realtà, su Occupy come il malcontento nei confronti dell’austerità genere Ballarò o Piazzapulita. Ecco quindi che, per estrarre il consenso necessario, Bersani il timoniere politico del crack MPS, già nella sala di comando ai tempi dell’operazione BNL-Unipol (quella della telefonata Fassino-Consorte “abbiamo una banca”), fautore della rapacità delle multiutility sui territori attacca Renzi perchè fa le cene promozionali con i finanzieri proprietari di società off-shore. Quando si dice la disperazione di Bersani: per vincere le primarie usando il tema delle banche bisogna tentare di tenere separato il campo della polemica da quello della realtà. Ridurre la questione a comportamenti che fanno effetto sugli spettatori di un televoto, dove si votano i personaggi meglio riusciti, e far evaporare il resto. Quello che paghiamo noi, tutti i giorni.

Su Renzi, il cui programma politico esporrebbe il paese ad una fine simile a quella dell’Argentina sotto Domingo Cavallo, bisogna dire che i tratti antropologici della disperazione del potere italiano sono di una particolare profondità che si agita  giusto sotto la superficie del non detto. La disperazione di Renzi, e di chi lo segue, che traspare da interviste sempre meno lucide, è quella di un potere anni ’90, blairiano che non ha mai avuto cittadinanza in Italia e che percepisce nervosamente di non avere futuro, qualsiasi sia l’esito delle primarie, viste le ristrutturazioni politiche ed economiche che abbiamo di fronte.

E qui, sotto le affermazioni renziane di disprezzo del fascismo e di desiderio di una vera democrazia, vediamo agitarsi dei tratti di disperazione che appartengono alle stagioni originarie delle squadracce fiorentine che riunivano futuristi e reduci della prima guerra mondiale. Basta guardare il pubblico di Renzi in sala e sentire le loro interviste, a volte ben fatte: l’adrenalina sale quando si parla di “decisione”, concetto sulla cui appartenenza a destra ci sono pochi dubbi in antropologia politica specie se, come qui, declinato con la consapevolezza di mandare a mare pezzi interi di società dopo un processo decisionale. L’eccitazione raggiunge l’acme nel modo con cui, Renzi dal palco e i fan nelle interviste, si coniuga il concetto di “merito”: come cavallo di Troia per farne passare uno nuovo di gerarchia.

Molto simile a quello espresso nella propaganda aziendale più autoritaria. Possiamo dirlo senza problemi: nel tentativo ansioso di riproporre schemi blairiani, applicabili fuori tempo massimo, alla società italiana il renzismo rielabora, nella forma della democrazia delle primarie, i trattici archetipici presenti nel fascismo della squadraccia della “Disperata” di Firenze: disprezzo per il lento sedimentarsi della vita sociale, selezione gerarchica degli appartenenti, mistica futuristica verso il nuovo. Allora quella tipologia comportamentale si nutriva del pensiero, comunque originale, di Marinetti. Oggi la sua sottile riedizione passa attraverso un pensiero importato e rimasticato, espresso da uno slang spaghetti marketing della politica pure cognitivamente povero. Renzi della squadraccia fiorentina ha rielaborato la disperazione politica ma non la sinistra originalità: il brand più importante di un raduno alla Leopolda era di Apple, gli slogan sono vintage fine anni ’90, l’organizzazione potrebbe indifferentemente essere applicata per una raccolta fondi fatta di titoli tossici o per il casting di un reality. L’immaginario della camicia, reiterato da Renzi con un bianco troppo acceso, rivela poi inavvertitamente l’antico eco della Disperata. In questo senso, il nero, il bruno e questo genere di bianco sono politicamente colori più vicini di quanto si osi pubblicamente dire. E questo in un paese che sembra più vicino all’Italia de Il Conformista di Bertolucci, una nazione apparentemente inerte in mano ad una propaganda ossessiva e a musica banale, che a qualsiasi altro periodo precedente.

[…].

Non guardiamo i dettagli, come lo spessore anonimo dei personaggi in scena o la formale fedeltà alla democrazia, piuttosto cerchiamo di capire quanto, e come, questo passato oscuro riesce a tornare sulla scena. In questo senso i briefing per la stampa dopo i vertici a Bruxelles, le conferenze della politica indoor fatti ad uso delle telecamere, i rapidi commenti a cascata su twitter su questi eventi, i blog dei giornalisti tipo “non ci sono alternative al rigore” che si richiamano a vicenda, la stampa intrisa di scandali da furto nella canonica rappresentano qualcosa di diverso dall’esercizio democratico della sfera dell’opinione pubblica. Perché c’è un modo disperato, un tratto antropologico dell’esercizio di questa democrazia che rischia di portarci direttamente frutti, materiali e sociali, prodotti da altri regimi”.

per Senza Soste, nique la police

21 ottobre 2012
http://senzasoste.it/internazionale/i-disperati

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