La gente deve riflettere di più. I fatti non sono dettagli

fatti_parole“L’ondata d’afa eccezionale di questi giorni? È l’effetto del riscaldamento globale”
Luca Mercalli, meteorologo

“Gli estremi climatici erano comuni alla fine del Periodo Caldo Medievale, con l’incedere della Piccola Era Glaciale”.
H.H. Lamb, il più grande climatologo del secolo scorso, “The Changing Climate”, 1968

Homo Sapiens Hibernus – Una visione realisticamente ottimista del futuro della civiltà umana nella prossima fase glaciale (2018-2080)

Gli eurofobi, di norma, sono putinofili.

“Putin: ‘è arrivato il momento di avere una moneta unica’…E prende come esempio i paesi dell’Ue che sono entrati nell’Eurozona”.
http://www.wallstreetitalia.com/article/1807365/economia/putin-e-arrivato-il-momento-di-avere-una-moneta-unica.aspx

Gli ultracomplottisti eurofobi non potranno che concludere che Putin è il “poliziotto cattivo” (o buono, a seconda dei punti di vista) che serve a instaurare il Nuovo Ordine Mondiale.
Non sanno spiegare perché dovrebbe servire un poliziotto cattivo, visto che sarebbe bastato aggravare la crisi finanziaria, organizzare un attentato terroristico biochimico in una qualche capitale europea o scatenare una guerra mondiale “controllata” per realizzare questo obiettivo.
Non spiegano a cosa serve un Nuovo Ordine Mondiale, visto che i cartelli bancari già fanno il bello e cattivo tempo nel mondo.
In realtà non spiegano proprio nulla, però sono certi di aver capito tutto, un po’ come i serristi. Ogni fatto dissonante viene serenamente e devotamente ignorato.

In alternativa – tenuto conto del fatto che gli americani stanno facendo di tutto per rimuovere Putin e destabilizzare la Russia – l’eurofobia è una creazione anglo-americana (es. il nemico giurato dell’euro per antonomasia, Ambrose Evans-Pritchard, figlio di un emissario coloniale britannico, è culo e camicia con i servizi segreti inglesi da almeno 20 anni, ma la cosa non sembra turbare chi lo cita sui siti di contro-informazione).
In quel caso chi sta usando l’euro per distruggere l’eurozona e l’Unione Europea è infiltrato/corrotto e sta difendendo il sistema del petrodollaro, come si è fatto in passato, distruggendo Gheddafi e Saddam Hussein, entrambi determinati a rimpiazzare il dollaro con l’euro o con una valuta unica africana/mediorientale
.
http://www.theguardian.com/business/2003/feb/16/iraq.theeuro
https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_Uniti_d%27Africa

Gli eurofobi putiniani, come i serristi, dovranno ignorare questa notizia, perché crea troppa dissonanza. Anni di crociate per la causa sbagliata…inaccettabile

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“the proportions of climate sceptics appear to be increasing in many countries”.
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0959378015000758

P.S. Un’altra delle contraddizioni dell’eurofobia è la tesi che due tra i principali fautori dell’euro – Rueff e Perroux – erano due pensatori anti-sovranisti e autoritari (il secondo dei due addirittura nostalgico del nazismo). Mi si deve spiegare, allora, come mai Charles De Gaulle – statista sovranista e anti-nazista per eccellenza – li abbia scelti come consiglieri.

https://plus.google.com/+StefanoFaitFuturAbles/posts

Emilio L.: un punto di vista “scomodo” su eurozona ed economia italiana

Mi sembrano considerazioni degne di essere dibattute, ma non hanno ricevuto l’attenzione che secondo me meritavano. Sono “scomode” perché contraddicono alcune mie convinzioni e mi sembrano più solide delle medesime. Le condivido nella speranza che qualcuno accetti la sfida di Emilio L.

“Buongiorno.
Ho letto il lavoro del Prof. Bagnai “Crisi finanziarie e governo dell’economia” e desidero condividere con l’Autore e con i Lettori alcune considerazioni, con l’auspicio di proporre spunti utili a stimolare l’approfondimento ed il confronto su tematiche così importanti per il futuro del nostro paese e scusandomi della lunghezza dell’intervento (spezzata in due post).

Facendo uno sforzo di estrema sintesi, la tesi esposta nel paper potrebbe essere così riassunta:

• Nonostante la lezione ricevuta con la crisi finanziaria del 1992, l’Italia ha perseverato nell’errore di entrare nella moneta unica, per motivazioni politiche che nulla hanno a che fare con il benessere della gente.

• Purtroppo l’Italia è meno competitiva della Germania e degli altri paesi dell’area marco, ed avendo perso ogni possibilità di riequilibrio delle ragioni di scambio attraverso la svalutazione, questo riequilibrio può avvenire solo sulla pelle dei lavoratori, attraverso moderazione salariale e flessibilità. Né la politica fiscale può più essere utilizzata liberamente in funzione anticiclica, a causa dell’introduzione di criteri di convergenza che hanno posto un tetto al disavanzo pubblico.

• In queste circostanze il nostro deficit delle partite correnti ha finito per ampliarsi, anche a causa della politica “sleale” attuata dalla Germania di contenimento del tasso di crescita dei propri prezzi e salari, al di sotto del livello degli altri paesi.

• Questa nuova crisi finanziaria trae dunque origine proprio dal deficit strutturale delle partite correnti, piuttosto che dal debito pubblico, che anzi negli anni pre-crisi si era ridotto.

• Per concludere, la moneta unica è uno strumento di dominio e sopraffazione della Germania: l’unica, inevitabile soluzione è uscirne al più presto!

Seguono adesso alcune considerazioni.

• Come scrive l’Autore, la crisi finanziaria c’è perché qualcuno ha preso in prestito dei soldi che non riesce a restituire ed è internazionale perché creditore e debitore risiedono in paesi diversi. Nella crisi italiana, esplosa nella seconda metà del 2011, i debitori sono lo Stato e le banche nazionali, l’insolvenza non si è ancora verificata, ma il rischio percepito ha fatto schizzare in alto il premio che i creditori pretendono per continuare a rifinanziare il debito.
• I problemi di affidabilità delle banche sono in realtà riconducibili a quello dello Stato: fino a metà dello scorso anno ci si compiaceva che le nostre banche fossero uscite praticamente indenni dalla crisi in quanto, a differenza di quelle degli altri paesi, non avevano finanziato grosse bolle immobiliari e non avevano investito in titoli tossici o di paesi a rischio. La credibilità delle banche italiane è iniziata a colare a picco insieme a quella dello Stato, quando gli investitori internazionali si sono resi conto che esse avevano in portafoglio ingenti quantità di titoli di stato e che in caso di avversità lo Stato non avrebbe trovato facilmente le risorse per ripatrimonializzarle.

• Il debitore in crisi è dunque lo Stato italiano, ma l’Autore sembra non volerlo ammettere.

È vero che le evidenze non hanno permesso agli economisti di sviluppare una teoria universalmente accettata della sostenibilità del debito pubblico, ciò non di meno il problema della sostenibilità del debito pubblico italiano esiste nel concreto. È vero che negli anni precedenti la crisi il debito pubblico si è ridotto in rapporto al PIL, ma considerato il livello da cui si partiva esso si è comunque mantenuto troppo elevato (forse non per gli economisti, ma sicuramente per i creditori).

• Il ragionamento dell’Autore sulla sostenibilità del debito sembra essere questo: trattandosi del rapporto tra due grandezze, l’entità del debito pubblico al numeratore e la capacità del paese di creare ricchezza al denominatore, misurabile dal PIL, non sarebbe il debito ad essere troppo elevato, bensì il PIL troppo basso, in quanto la sua crescita sarebbe stata minata dal deficit strutturale delle partite correnti verso l’estero provocato dalla moneta unica.
• La causa della crisi finanziaria italiana sarebbe dunque da ricondurre non tanto all’entità del debito pubblico in sé, bensì ai vincoli della moneta unica imposti dai perfidi tedeschi, che ci hanno impedito di ricorrere ancora una volta alla svalutazione per rendere i nostri prodotti più convenienti e riequilibrare il deficit della bilancia commerciale, che è alla base del saldo delle partite correnti.

• Tale situazione sarebbe poi esasperata dal fatto che la Germania opera per rendere i propri prodotti ancora più competitivi attraverso il controllo dell’inflazione ed una crescita salariale contenuta entro i limiti della produttività, attuando così un’odiosa politica di svalutazione reale competitiva (beggar-thy-neisurplusghbour) che andrebbe punita dagli altri paesi.

• Il primo dubbio è di natura etica: se si depreca la Germania per la sua svalutazione reale non è chiaro il motivo per il quale la svalutazione del cambio che l’Autore propone per l’Italia dovrebbe risultare invece più legittima e meno odiosa per i paesi vicini…

• Venendo alla tesi centrale, che la crisi del nostro debito pubblico sia da attribuirsi non tanto alla sua dimensione bensì alla particolare debolezza delle nostre ragioni di scambio con l’estero, non si comprende allora perché gli investitori avrebbero dovuto colpire proprio l’Italia, una delle poche economie a livello mondiale che presenta ancora un surplus negli scambi di prodotti industriali non alimentari, lasciando invece indenne la Francia che presenta una bilancia commerciale strutturalmente peggiore rispetto alla nostra!

• Né si comprende perché l’indebolimento della nostra bilancia commerciale, che pure c’è stato ma non solo per l’Italia, debba essere attribuito alla concorrenza tedesca, quando in gran parte esso è dipeso dall’espansione commerciale della Cina, che hanno sottratto quote di mercato alle nostre produzioni più tradizionali (tessile, abbigliamento, mobili, etc.).

• Se si hanno a cuore le sorti delle imprese che si confrontano quotidianamente con la competizione internazionale, si provi a chiedere ai diretti interessati quali siano i fattori di freno: carico fiscale sul lavoro e sulle imprese, alto costo dell’energia, risorse insufficienti per la politica industriale, giustizia inefficiente. Tutti problemi che chiamano in causa l’entità delle spesa pubblica e l’efficacia delle politiche attuate. Nessuno parla di euro e di svalutazione competitiva.
• Volendo concludere, la personale opinione è che abbiamo più che mai bisogno della lucidità e coesione necessari ad affrontare tre grandi nodi rimasti irrisolti: 1) la riqualificazione della spesa pubblica ed il reperimento delle risorse da destinare allo sviluppo; 2) una riforma del sistema fiscale, che contemperi l’obiettivo di incentivare nuovi investimenti produttivi, con quello di ridistribuire il carico su redditi evasi e patrimoni; 3) un approccio cooperativo tra lavoratori e imprese, basato sulla programmazione di obiettivi comuni di competitività, investimento e compartecipazione ai risultati.
• Per raggiungere questi obiettivi non sembra utile addossare ad altri la responsabilità dei nostri malanni e proporre fughe indietro nel tempo, ad un “età dell’oro” che non c’è mai stata (altrimenti, chi ci avrebbe potuto costringere ad abbandonarla per cercare nuove strade ?).

Cordiali saluti.

Emilio L.

DIALOGO IMMAGINARIO CON IL PROF. ALBERTO BAGNAI

Gentile Professore,

ho iniziato a frequentare con interesse il suo blog per comprendere ragioni e prospettive della proposta di abbandono dall’euro, che sta alimentando tanta parte del dibattito a sinistra.

A tale fine, ho letto con attenzione il suo paper e ne ho tratto spunto per alcune considerazioni che mi piacerebbe poter condividere con Lei e con i Lettori del blog, nell’auspicio che possano essere di stimolo per ulteriori approfondimenti e confronti di opinione.

Ho inviato tali mie considerazioni nella mattina di domenica 23, in risposta al suo post “Liquidità o compensazione: quale Bretton Woods?”. Ma non avendo finora visto la pubblicazione, ne ho desunto che sicuramente si doveva essere verificato un problema tecnico e mi sono permesso di inviarLe la presente per riproporre nuovamente quanto sopra.

Nel ringraziare per l’attenzione e lo spazio che vorrà riservarmi, desidero esprimerLe apprezzamento per lo sforzo di ricerca e divulgazione di nuove linee di pensiero, nonché il mio augurio per l’esercizio equilibrato della sua responsabilità di accompagnare crescita culturale e apertura mentale dei giovani studenti che le sono affidati.

Un cordiale saluto.

RISPOSTA
Guardi, nel mio blog mi sono dato la regola di non pubblicare commenti a puntate, come lei saprebbe se avesse letto le istruzioni. Trovo molto significative le sue considerazioni e le pubblicherò in un post, in tempi direttamente proporzionali all’insistenza dei suoi solleciti (cosa altresì chiarita nelle istruzioni).
Cordialmente.

REPLICA
La ringrazio, non era mia intenzione forzarle la mano.

Cordiali saluti.

RISPOSTA
Non si preoccupi, è che sono molto preso dal libro del quale lei ha praticamente scritto la recensione. Mi interesserà molto vedere su quali dati e competenze la appoggia, ma prima occorre che la pubblichi, è inutile che ne parliamo in privato.

A presto.

REPLICA
Buonasera,
spero stia bene.

Ieri verso le 14.00 ho inviato un contributo sul post “Catalano alla riscossa”. In sintesi: la tesi da lei sostenuta nel post è che l’esplosione del debito pubblico negli anni Ottanta sia stata causata dalla crescita dei tassi di interesse, conseguente la svolta in senso restrittivo delle politiche monetarie a livello internazionale, piuttosto che dai disavanzi pubblici (eccesso di spesa rispetto alle entrate fiscali o viceversa).

La mia osservazione era circa questa

• tra 1980 e 1992 il debito pubblico italiano è esploso dal 58 al 116% del PIL (+60 p.p.);

• nello stesso periodo il debito pubblico delle altre grandi economie industriali con cui siamo usi confrontarci (ger, fra, uk, us, jpn) è cresciuto molto meno;

• come si spiega questa divergenza, considerato che il tasso di interesse reale sul debito pubblico italiano, sebbene in forte crescita rispetto ai valori negativi degli anni Settanta, si manteneva comunque inferiore a quello degli altri paesi?

• Hanno forse sbagliato gli altri paesi … ?

Salvo che non sia dipeso da un problema tecnico (nel qual caso la prego di non considerare quanto segue) riterrei che la sua decisione di non dare visibilità al mio punto di vista possa essere interpretata in uno dei modi seguenti:

1.sta valutando la risposta più opportuna, in quanto non ne ha una immediatamente pronta;

2.non ha intenzione di rispondere, in quanto la risposta potrebbe instillare nella sua piccola corte la sensazione che la realtà è sempre più complessa dell’interpretazione data secondo schemi ideologici predefiniti (sia ortodossi che eterodossi).

Se invece ritiene che la mia osservazione sia basata sull’errore e vuole evitarmi il pubblico ludibrio, beh! la ringrazio, ma ho le spalle grosse e in fondo “sbagliando si impara”.

Per concludere, so bene che si tratta di casa sua e che lei può farci entrare chi vuole … ma non conoscendola di persona desideravo solo comprendere di che pasta è fatto veramente. Capire se lei, che dimostra così tanta passione e capacità nel denunciare il pensiero unico, i condizionamenti del potere, etc. etc. … nel suo piccolo usa poi le stesse odiose strategie per creare e difendere il piedistallo su cui si è issato.

Un cordiale saluto.

ALESSIO

@Emilio L.
Secondo me ha fatto benissimo il prof. Bagnai a non risponderti. D’altronde perché dovrebbe perdere tempo con una persona che non conosce la differenza tra la bilancia commerciale dei beni industriali e la bilancia dei pagamenti? E poi, ti è mai venuto in mente che usare la svalutazione attraverso la flessibilità del cambio della moneta serva semplicemente per difendersi dalla svalutazione reale attuata da un paese che, in un regime di cambi fissi, ha violato i trattati non rispettando il tetto del 2% dell’inflazione? Delle due, l’una, o sei ignorante, per cui ti mancano le conoscenze basilari per fare una ricostruzione cronologica dei fatti che hanno scatenato la crisi dell’eurozona, oppure sei in malafede.

Gentile Alessio,

ti ringrazio per la risposta. Personalmente mi sento ancora “in ricerca”: desidero capire, non ho risposte pronte e verità incontrovertibili in tasca. Apprezzo taluni aspetti della democrazia che purtroppo sono stati persi nel dibattito politico, quali il confronto basato sui fatti ed il rispetto delle persone. Io apprezzo il Prof. Bagnai e ne seguo costantemente il blog, quello che mi ha ferito è stato appunto il vedere applicate su di me quelle stesse forme di censura che si erge a denunciare. Da questo punto di vista, è più apprezzabile un blog come questo che mi concede liberamente spazio e mi permette di entrare in contatto e confrontarmi con persone come te. Quanto ai contenuti, ti faccio solo alcune domande:

1) Se trovi odiosa la svalutazione reale della Germania, come pensi che i tedeschi abbiano reagito alle continue svalutazioni nominali cui l’Italia è dovuta ricorrere dagli anni Settanta fino al 1992-94 ? Credi che sia politicamente possibile mantenere una zona di libero scambio senza stabilità valutaria?

2) Cosa o chi credi che abbia generato la maggiore inflazione che l’Italia ha sperimentato dall’entrata dell’euro in poi e che ne ha rivalutato il cambio reale? Credi tale fenomeno sia stato un bene per i lavoratori ? Credi che uscendo dall’euro le cause di questo zoccolo di inflazione si risolvano?

3) Da ultimo, in un mondo che è radicalmente cambiato rispetto a quello della grande svalutazione 1992-94, credi che svalutare risolva tutti i nostri problemi: saremo in grado di riprenderci le produzioni che sono state progressivamente trasferite in Cina e nell’Europa dell’est (tessile, abbigliamento, mobili, etc.) ? Saremo all’altezza di fare concorrenza alle produzioni ad elevata intensità di capitale/ricerca su cui la Germania ha costruito il suo export e che le permettono alle aziende tedesche di pagare già oggi un costo del lavoro superiore del 40% rispetto all’Italia ? L’unica certezza è che pagheremo di più petrolio e materie prime (70 mld di import netto nel 2011) e tutte le altre cose che non siamo più in grado di realizzare in Italia (chimica fine, farmaceutica, elettronica, aeromobili, etc.).

Un cordiale (e democratico) saluto.

Emilio L.

http://www.sinistrainrete.info/europa/2288-alberto-bagnai-tecnica-e-politica.html

La “Modesta proposta per superare la crisi dell’Euro” di Yanis Varoufakis

Varoufakis ha perso la sua cattedra all’Università di Atene a causa della crisi e delle politiche europee e ora vive in “esilio”, migrando come visiting scholar da una facoltà estera all’altra.

E’ categoricamente contrario all’uscita dall’eurozona, per delle ragioni assolutamente condivisibili.

Alcune sue interviste rilasciate in italiano e analisi tradotte in italiano.

[Premetto che il grave limite di Varoufakis, come di Bagnai, è quello di rifiutarsi di considerare l’idea di complotti finanziari globali che hanno finalità politiche e non solamente di mero profitto. Penso che a questo punto sia surreale non tenerne conto. Varoufakis incolpa principalmente i banchieri tedeschi, il nazionalismo tedesco e le manovre sul dollaro e l’egemonia americana (un complottino, insomma) che sono solo una dimensione del problema, Bagnai riduce il tutto alle naturali dinamiche della finanziarizzazione dell’economia (bah). Ciò non toglie che occorre fornire un’alternativa affinché la gente possa dire: “allora non è vero che non ce n’erano”, “allora sono veramente dei criminali”. Varoufakis, Stuart Holland e Joseph Halevi hanno fatto precisamente questo e qualcuno lo doveva fare. Per altri è stato Bagnai a farlo ma, dal mio punto di vista, la fuga dall’eurozona è effettivamente un suicidio, come sostengono i critici. Per chi vuole qualcosa di più di questo è interessato a sentir parlare di economia e finanza ad alti livelli (ma con stile divulgativo) con un dibattitto che includa i veri complotti in corso – in particolare come l’indebitamento sia impiegato per rifeudalizzare le democrazie occidentali (ma senza riferimenti ad alieni, Haarp, scie chimiche o altro) -, rimando a (in inglese!): http://www.golemxiv.co.uk

Ci dovrebbe essere più integrazione in Europa per combattere la crisi?

“Assolutamente, ma possiamo farlo domani. Non abbiamo bisogno di una Federazione europea, di un nuovo trattato o di cose del genere. Il Fondo Salvastati deve intervenire direttamente nella ricapitalizzazione delle banche, senza passare dai governi. La Banca centrale europea dovrebbe prendersi carico dei debiti pubblici e lo potrebbe fare immettendo gli eurobond. Abbiamo bisogno degli investimenti bancari europei per creare le condizioni per avere la meglio sulla recessione”.

Ci sono alcuni Paesi, come la Germania, che non voglio creare una maggiore integrazione economica. Come se ne esce?

“La Germania, prima di accettare un’integrazione economica, vuole una unione politica. Finché la crisi non verrà arrestata non ci saranno unioni politiche, perché per crearle serve molto tempo. E noi non abbiamo tempo. Dobbiamo fermare la crisi il prima possibile in modo da avere la possibilità di un’unione politica. Se continuiamo così non uniremo altro che cenere“.

http://affaritaliani.libero.it/esteri/yanis-varoufakis-ad-affaritaliani200612.html

Tre cose. I passi molto semplici che devono essere fatti. In Europa, sia in Grecia che in Spagna, quello che succede ora è che le banche insolventi sono strette in un abbraccio mortale con gli stati insolventi. Così, gli Stati prendono in prestito denaro dal centro dell’Europa al fine di finanziare le banche, e le banche prendono in prestito per dare allo Stato, e sia le banche che gli stati sono bloccati in una sorta di abbraccio mortale. Quindi quello che dobbiamo fare è rompere questo legame tra le banche insolventi e gli stati insolventi. Il modo per farlo è unificare il sistema bancario, europeizzarlo all’interno dell’Unione Europea, finanziandolo direttamente e non attraverso i governi nazionali. Questo è un passo molto semplice, ma è un passo che sembra essere troppo lontano dall’Unione Europea.

In secondo luogo ciò che serve è una mutualizzazione, una sorta di debito comune, come in Australia, dove il governo federale ha il proprio debito al di sopra degli Stati.

In terzo luogo, abbiamo bisogno di una politica di investimento in tutta la zona euro. Perché siamo in un’area monetaria, è necessario disporre di una strategia di investimento, di un meccanismo di riciclaggio del sistema. Se non abbiamo queste cose, e la Germania non vuole avere queste cose, temo che non ci sia assolutamente la possibilità di evitare questo deragliamento al rallentatore.

L’economia Greca non può essere sistemata. L’economia Greca è finita. L’economia Greca è in una grande, grande depressione. L’economia sociale è nel lungo, lungo inverno del suo scontento. Non c’è nessun potere, nessuna forza all’interno dell’economia Greca, della società Greca, che possa evitare tutto questo – è come se fossimo nell’Ohio nel 1931, e ci chiedessimo: che cosa possono fare i politici dell’Ohio per tenere l’Ohio fuori dalla Grande Depressione? La risposta è: niente.

Tutto dipende da ciò che accade nella zona euro. Proprio come quello che è successo in Ohio è dipeso dell’ascesa del presidente Roosevelt e dal New Deal – a meno che non ci sia un new deal per l’Europa, la Grecia non ha possibilità. Questo non vuol dire che se l’Europa si sistema, anche la Grecia si sistemerà. Una condizione necessaria è che la zona euro trovi un piano razionale per se stessa. Ma non è una condizione sufficiente. L’Europa potrebbe mettersi a posto e la Grecia, così fragile e maligna, potrebbe ancora avere grossi problemi e non recuperare mai. Ma fino a quando la zona euro non troverà un piano razionale per fermare questo disastro ferroviario che avanza al rallentatore in tutta l’Unione Europea, in tutta la zona euro, la Grecia non ha alcuna possibilità.

Questa è la nostra Grande Depressione. Non solo in senso economico, ma anche in senso psicologico. I Greci passano da uno stato catatonico a uno stato di rabbia, ed è un tipico caso di depressione maniacale. Non ci sono prospettive. Non c’è luce alla fine del tunnel. Ci sono sacrifici, ma nessuno ha la sensazione che si tratti di sacrifici che assumono la forma di un qualche tipo di investimento per girare l’angolo. Questo è il problema quando si è bloccati in una zona euro davvero mal progettata, che sta crollando, e che non dà la possibilità alle sue parti più deboli di venirne fuori attraverso una sorta di crisi rigeneratrice, di catarsi.

http://www.frontediliberazionedaibanchieri.it/30-categorie-12335539.html

Come si pone la crisi greca rispetto a quella che assume sempre più i connotati, anche politici, di una crisi dell’intera zona euro?

Io sono convinto che si debba, finalmente, ammettere come la crisi economica greca non sia, in realtà, greca, non nel senso di un paese vittima del proprio debito. Si pensi a uno tsunami: l’onda esiste indipendentemente dalla città che poi andrà a colpire. La Grecia aveva, e continua ad avere problemi che non hanno il Paese come unico obiettivo. Semplicemente, Atene è la prima destinazione di un percorso che sta investendo l’intera zona dell’euro.

Si faccia l’ipotesi che, dal 1998 al 2008, la Grecia fosse stata guidata da governi saggi e angelici i quali, per esempio, avessero colpito corruzione ed evasione fiscale: non saremmo stati la prima vittima dello tsunami, eppure questo sarebbe comunque arrivato anche a noi, qualsiasi cosa avessimo fatto. Si pensi al Portogallo: non ha un deficit esorbitante e anche l’ammontare del debito non è paragonabile al nostro. L’Irlanda, poi, non conosce fenomeni di corruzione e rappresentava il modello del Fmi, della zona euro e del Washington consensus. Eppure entrambi i Paesi sono vittime della crisi che stiamo vivendo ed è chiaro che l’Irlanda, come la Grecia, avrà presto bisogno di un secondo prestito. Questo, penso, significa che siamo di fronte a una crisi sistemica della moneta unica ed è un falso assoluto che l’euro sia vittima di attacchi speculativi; molto semplicemente, l’Euro è vittima della sua stupidità [come Bagnai, anche Varoufakis, per ragioni che mi sfuggono, nega l’evidenza del fatto che gli attacchi speculativi coordinati ci sono stati e sono stati documentati dai maggiori quotidiani internazionali, come ad esempio il New York Times, l’Huffington Post e la Repubblica: https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/02/mercati-mercatini-e-monti-bis/, https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/01/il-complotto-delle-banche-daffari-documentato-dallhuffington-post-non-da-un-blogger-paranoico/, NdR]

Si faccia l’esempio della Spagna, un paese che, allo scoppio della crisi, nel 2008, aveva surplus finanziario e, in questo preciso istante, ha un debito e un deficit inferiori a quelli britannici. Ciononostante, mentre la Gran Bretagna non affronta nessun problema a farsi prestare denaro dai mercati internazionali, non è così per la Spagna, la quale rimane attaccata a una moneta problematica; l’euro. Questa è la vera questione: se io fossi un investitore giapponese e detenessi bond inglesi e spagnoli sarei fortemente preoccupato dello stato di salute dei due Paesi; telefonerei al mio broker e gli direi, per esempio, di vendere i bond inglesi. A quel punto potrei reinvestire il ricavato della vendita o in Gran Bretagna o, continuando l’esempio, in Germania. Se scegliessi di investire fuori dalla Gran Bretagna vendendo, pertanto, sterline per comprare euro, il prezzo delle prima crollerebbe, rendendo le esportazioni inglesi vantaggiose, le importazioni costose, dunque migliorando la bilancia dei pagamenti inglese. Sia che si tenga un bond inglese sia che si venda, qualcosa di buono per l’economia britannica accadrà comunque.

Nel caso, invece, dei bond spagnoli dell’esempio, se io chiedessi al broker di liquidare e acquistare bond tedeschi non registreremmo la vendita di valuta spagnola; gli euro uscirebbero, semplicemente, dalla Spagna che, non avendo una moneta nazionale, non potrebbe far altro che assistere impotente alla propria emorragia. Ecco perché, nonostante le statistiche vitali della Spagna siano migliori della Gran Bretagna, quest’ultima si trova in posizione di vantaggio rispetto alla penisola iberica.

Prima dell’avvento dell’Euro, pertanto, il problema non esisteva e la crisi ha rivelato le debolezze del sistema della moneta unica.

Dieci anni fa la crisi non c’era e gli Stati Uniti, principalmente, assorbivano le eccedenze tedesche attraverso le importazioni. Nel 2008 tutto questo cessò e la struttura della moneta unica, per come è stata edificata, non è stata capace di assorbire una frana di tali dimensioni.

Chiaro che, nel corso di un terremoto, la prima abitazione a crollare è quella le cui fondamenta sono marce. Ma se non fosse stata la Grecia, sarebbe stato un altro Paese. Il fatto, però, non è riconosciuto a livello delle istituzioni europee che continuano ad additare la Grecia come il grande colpevole. Io credo che si tratti del rifiuto psicologico ad ammettere errori. Si ipotizzi che, nel giro di pochi minuti scompaiano tutti i greci: cambierebbe qualcosa? Ci sarebbero sempre la Spagna e l’Italia e quando cadessero anche loro, l’Euro cesserebbe di esistere. Bisogna, pertanto, mettere da parte sciocchezze e cercare soluzioni ai problemi strutturali dell’Euro.

Il governo greco, alla frana di più di un anno fa, rispose con il ricorso a un meccanismo di salvataggio che comprendeva un prestito di 110 miliardi, erogati dalla Ue, dalla Bce e dal Fmi. In virtù di tale prestito, la Grecia si impegnò all’adozione di misure che avrebbero dovuto risanare il deficit. Oggi sappiamo che il deficit non solo non diminuisce con i ritmi previsti ma il debito sale a ritmi vertiginosi e saranno presto necessari altri 100 miliardi di prestito. Cosa non ha funzionato?

Senz’altro le previsioni del meccanismo erano sbagliate eppure la responsabilità maggiore grava sul governo greco che non doveva accettare molta parte delle imposizioni.

Sono almeno duecento anni che conosciamo e siamo tutti d’accordo su due cose. Innanzitutto, quando qualcuno ha fallito, non puoi ”aiutarlo” garantendogli un nuovo prestito e, per giunta, con tassi di interesse molto alti. Questo è solo un aiuto temporaneo che, però, non fa che accrescere il problema. Il fatto che la Grecia stia trattando un nuovo prestito rappresenta una tragedia.

Il secondo elemento è che quando un’economia è in recessione, se si diminuiscono le spese pubbliche la recessione si aggrava. Ora, con il memorandum firmato un anno fa, abbiamo fatto proprio le due cose che non dovevamo fare: abbiamo preso un prestito enorme e abbiamo tagliato le spese pubbliche. Questa è la definizione della paranoia: fare tutte le volte la stessa cosa e tutte le volte aspettarsi un risultato diverso.

Lei ha proposto una soluzione alla crisi dell’Euro articolata in tre punti che non richiedono il raggiungimento, irreale al momento, di un’organizzazione politica dell’Ue diversa da quella presente. Al tempo stesso sostiene con fermezza la necessità di mantenere l’Euro come moneta della Grecia, definendo il ritorno alla dracma come ritorno all’età della pietra.

Innanzitutto, bisogna riconoscere che stiamo vivendo una crisi strutturale dell’euro e il problema non è risolvibile attraverso la proposta, dall’esito altamente improbabile, della creazione di una struttura politica europea altra da quella presente. La crisi si fonda sull’incidenza di tre fattori: del primo nessuno parla in una congiura del silenzio, dal momento che tutte le banche, non solo greche, sono ”zombie banks” in tutta Europa, ossia, detta semplicemente, esse non hanno liquidità a disposizione [es. Deutsche Bank, NdR]. Il debito statale rappresenta solo il secondo fattore, non l’unico, mentre si deve aggiungere che, dal 2008, non si attua in tutta Europa, nessun investimento di una qualche rilevanza.

Dobbiamo, pertanto, affrontare contestualmente le tre questioni. Il Fondo strutturale europeo (Fse) deve smettere di prestare agli Stati e invece sostenere le banche europee, garantendo loro capitali a basso tasso d’interesse, perché possano ricapitalizzarsi; il Fse otterrebbe in cambio azioni che poi rivenderebbe al fine di non incidere sui contribuenti europei.

Rispetto al debito, chiarito che non è possibile garantire nuovi prestiti a chi è già indebitato a dismisura, la soluzione sta nel sollevare il debitore di quella parte di debito ammessa dal trattato di Maastricht, ossia il 60 per cento del Pil. Il modo per farlo è che la Bce prelevi i bond nazionali in scadenza e li trasformi in un bond europeo di buona qualità e, pertanto, appetibile ai mercati.

Il terzo asse su cui ruota la mia proposta è che la Banca europea per gli investimenti (Bei) assuma il ruolo di coordinatrice di un vero e proprio piano Marshall per l’Europa, ove il 50 per cento di ogni misura messa in atto verrà finanziata dai bond europei invece che dai singoli stati.

[nota bene: chi, come me, apprezza Webster G. Tarpley, sarà lieto di sapere che le sue proposte coincidono con quelle di Varoufakis]

La soluzione, pertanto, potrebbe essere molto semplice, anche se la cancelleria tedesca non ne vuole sentire parlare e, di conseguenza, il governo greco non la propone neppure. Di conseguenza scegliamo, ancora una volta, la via dell’ulteriore indebitamento e delle misure che esso comporta. Tuttavia, anche se riuscissimo a rispettare proprio tutte le condizioni che porrà il nuovo prestito, in pochi anni l’esposizione al debito della Grecia sarà superiore al 400 per cento. Non è pensabile, dunque, che il Paese, prima o poi, non dichiari default sovrano, con la differenza che più tardi avverrà, peggiori saranno le conseguenze; basti pensare che allora lo Stato non avrà più nulla da sfruttare, dal momento che avrà svenduto tutto nel frattempo.

http://it.peacereporter.net/articolo/29047/Grecia.+Processo+all%27euro.+Una+ricetta

Yanis Varoufakis: la sua “Modesta proposta per superare la crisi dell’Euro”, presentata fra l’altro sul sito del Levy Institute in un articolo con Stuart Holland, è stata oggetto di ampio dibattito fra gli economisti e anche sui mass media greci ed europei (inclusa la BBC). La proposta è vicina ha quella avanzata da molti studiosi e politici e consiste nel trasferire una quota del debito pubblico dei paesi europei presso la BCE, che ne potrebbe assicurare la sostenibilità a bassi tassi di interesse. Ulteriori notizie sono ricavabili dal sito: http://yanisvaroufakis.eu/.

Nella lettera qui sotto tradotta egli si rivolge al primo ministro Greco Papandreu affinché resista all’imposizione delle politiche restrittive imposte dall’Europa, socialmente devastanti e, ahimè, inutili, sostenendo invece con l’appoggio del popolo greco una diversa soluzione lungo le linee delineate nella “Modesta proposta”. Nella lettera traspare, fra l’altro, il dramma di un governo di sinistra salito al potere, come sempre, con un  carico di speranze che finisce per accettare umilianti politiche anti-popolari. Prima che ciò accada anche nel nostro paese, nella Lettera aperta a Bersani abbiamo cercato di inviare un avviso preventivo al segretario del PD a riflettere sulla necessità di una riposta progressista alla crisi, ma il monito è esteso anche agli altri leader della sinistra. S.Cesaratto, L.Turci

«Caro George,

Pochi giorni dopo le elezioni 2009 che ti hanno portato al potere, hai detto al tuo governo in un incontro trasmesso in tv: “Siamo anti-autoritari al potere”. La maggior parte del tuo governo, uomini e donne che avevano per anni ambito al potere, ti hanno guardato increduli, mentre i tuoi detrattori ti derisero. Sembravi piuttosto solo in quel momento. E tuttavia, nella misura in cui ti conosco, sei stato assolutamente autentico a pronunciare quel pensiero.
Da allora molta acqua avvelenata è passata sotto il proverbiale ponte. Le dichiarazioni utopiche sono state sommerse dallo sforzo carico d’angoscia per salvare il paese. Ti ha costretto non solo a stringere i denti, e a nascondere la tua natura utopica, ma anche a rinunciare ad alcune delle tue convinzioni di base su ciò che dovrebbe, e ciò che non dovrebbe, essere fatto da coloro che hanno autorità. Nella misura in cui ti conosco, sono convinto che consideri le tue difficili decisioni le migliori possibili di un orribile lotto. E posso immaginare la tua solitudine immediatamente dopo aver preso ognuna di loro.
Così siamo arrivati a maggio 2010, un momento in cui sei stato colto dalla necessità della decisione più importante che il primo ministro ha dovuto affrontare finora in tempo di pace. Tu sai che eravamo in disaccordo sulla questione se è stata la decisione corretta. Poco importa ora. Ti hanno convinto che l’accordo su cui hai messo la tua firma sia stato un vero e proprio piano di salvataggio, un giubbotto di salvataggio offerto dopo un naufragio scioccante per consentire al naufrago l’opportunità di guadagnare tempo e trovare la sua strada, attraverso le acque tempestose, verso la terraferma. Ho considerato lo stesso ‘bailout’ un enorme palla al piede attaccata alle nostre caviglie collettive, trascinando l’intera zona euro verso il basso (le nazioni in surplus e in deficit allo stesso modo, Nord e Sud uniti in una trappola mortale). Hai scelto di seguire il consiglio dei tuoi collaboratori e dei capitani della finanza, giudicando che il ‘salvataggio’ necessario, infatti, e acquistando tempo prezioso. Tuttavia, nella misura in cui ti conosco, la tua decisione ti ha riempito di angoscia e tristezza.

Da mesi si sapeva che il ‘salvataggio’ stava fallendo perché era nel suo DNA di fallire (e non perché non è stato seguito nel miglior modo possibile dal tuo governo). Noi economisti, come ben sai, non siamo d’accordo su quasi nulla. La storia, tuttavia, ci ha insegnato due lezioni: (1) Non è possibile salvare il fallito grazie a costosi nuovi prestiti, e (2) austerità a fasi alterne non può ridurre e non ridurrà il deficit e i debiti di una macro-economia catturata da una recessione selvaggia, soprattutto quando non si è in grado di svalutare la propria moneta e, per di più, costretto ad operare in un contesto di recessione globale e regionale. Il ‘bailout’ dello scorso anno ha violato entrambi i principi. C’è da meravigliarsi che non sia riuscito?
Non sapevi che sarebbe andata cosi? E ‘possibile che tu sperassi in un miracolo di natura economica (ad esempio qualche grosso flusso di crescita dell’economia europea che avrebbe aiutato la Grecia trascinarsi fuori dal fango) o forse di tipo politico (alcune visite ad Angela Merkel da parte dello Spirito Santo). Ahimè, non è accaduto. E ora sei chiamato, per la seconda volta in un anno, ad andare contro l’essenza di quello che credi, le informazioni in tuo possesso, i tuoi istinti, le tue esperienze (dell’anno passato, quantomeno). Ti dicono, proprio come hanno fatto l’anno scorso: “primo ministro, pensa a quello che accadrà alla nostra nazione, se non otteniamo prestiti freschi. Come faremo a pagare gli stipendi del settore pubblico e le pensioni? “Nella misura in cui ti conosco, so che ti stai mordendo la lingua.

Alcuni mesi fa ti è diventata famigliare una proposta politica di tre semplici passi, denominata “Modesta proposta per superare la crisi Euro”. Le mie informazioni sono che tu pensi molto bene di questa proposta, sia in termini di meriti tecnici che con riguardo al suo potenziale politico (anche tra l’elettorato tedesco, olandese, austriaco e finlandese)Infatti, sei stato recentemente informato che questa proposta è stata adottata dal Consiglio europeo dei sindacati, per volere dei suoi membri tedeschi e austriaci.

Come sai, le tre indicazioni contenute nella “Modesta proposta” affrontano in modo efficace (e senza invocare la necessità di modifiche sostanziali del Trattato di Lisbona), tre aspetti della crisi: (A) la crisi bancaria che infuria all’interno della zona euro da Francia a Grecia e dalla Germania alla Spagna; (B) la crisi del debito sovrano che sta trascinando la periferia verso il basso (e con essa la BCE e le regioni in surplus della zona euro); e (C) la crisi di sotto-investimento che solo una programma europeo di ripresa dagli investimenti può essere in grado di affrontare, piantando così l’ultimo chiodo sulla bara della crisi. Se ti credessi in disaccordo con questa modesta proposta, non avrei scritto questa lettera. Ma ho molta paura … che tu sia d’accordo con questa. (In caso contrario, dillo.)

Tu potresti dire: “Diciamo che sono d’accordo con la tua proposta. Come posso, come Primo Ministro di un piccolo paese in bancarotta, andare a Bruxelles e proporre una ridefinizione di tutta la zona euro? Soprattutto quando i miei consiglieri attuali mi dicono di abbandonare tali idee? “

Se me lo dicessi, la mia risposta sarebbe: “Come puoi tu, come Primo Ministro di un piccolo paese in bancarotta, andare a Bruxelles per accettare un nuovo prestito di svariati miliardi che, in tutte le ipotesi plausibili (anche se tutte le privatizzazioni e gli obiettivi di tagli di spesa fossero raggiunti in pieno), non riesce a rallentare (per non parlare di invertire) il percorso esplosivo del debito nazionale del paese? Come tu, e i leader dell’Unione, affronterai ad un anno da oggi  la inevitabile crisi di legittimità sia nel Nord che nel Sud Europa , dal momento che le garanzie sui prestiti dei contribuenti tedeschi e olandesi alla fine (tramite lo Stato greco) risiedono nelle casse di banche zombie quasi in bancarotta, mentre per tutto il tempo il debito greco continua a crescere, il PIL greco è in calo, i greci sono spinti ulteriormente nella miseria senza nulla in cambio, e gli olandesi e i tedeschi sono invitati a scavare più a fondo una volta ancora per salvarli?

Potresti chiedere: “Allora, che cosa devo fare?

Io ti risponderò in un modo che suonerà a molti utopistico, ma che sono convinto sia la tua ultima possibilità realistica. Se qualcuno può capire il realismo della mia proposta, quella persona sei tu: Salta sulla tua bicicletta questa sera, da solo, senza guardie del corpo o consulenti, e pedala verso piazza Syntagma, la piazza centrale di fronte al nostro Parlamento, dove le manifestazioni anti-austerità, contro il governo si verificano ogni notte. Una volta lì, la gente sarà infastidita in un primo momento, ma, visto che sei solo, la folla si aprirà come il Mar Rosso e si formerà un percorso che ti consentirà di spostarti al centro della piazza, dove uno Speaker’s Corner è stato allestito. Richiedi agli organizzatori il diritto di parlare per dodici minuti, la durata del tempo concesso a tutti. E affronta la folla stordita.

Dì loro che è giunto il momento per i greci di recuperare la nostra dignità perduta. Annuncia che il tuo governo non accetterà altri prestiti fino a quando la zona euro si rifiuterà di discutere la sua ristrutturazione istituzionale  e il suo orientamento politico lungo le linee di una serie di principi razionali. Proclama che il tuo governo, se necessario, procederà nell’ambito della zona euro, ma senza prestiti. Se qualcuno ti chiede quali sono i principi razionali su cui la zona euro deve essere rifondata, e come questo potrebbe essere realizzato in tempi brevi, conosci la risposta, l’abbiamo fornita nella Modesta Proposta. L’hai già studiata, ad ogni modo. Spiegala tu stesso al popolo riunito. E aggiungi che fino a che non si terrà un dibattito a Bruxelles su queste linee (linee che seri politici europei come JC Juncker e G. Tremonti hanno già illustrato), non accetterai un solo euro dei nostri partner. Afferma chiaramente che si domanda un dibattito sull’idea di Eurobond e sull’uso delle euro-obbligazioni, al fine di stimolare la Banca europea degli investimenti, per realizzare un New Deal per l’Europa.

Suggerisci che il EFSF dovrebbe ricapitalizzare le banche, invece di concedere prestiti agli Stati. Mostra al tuo popolo, e al mondo, che sai che esiste un’alternativa. Afferma a chiare lettere che fino a che fino a che questo dibattito non creerà nuove prospettive di crescita e la prosperità della zona euro, la Grecia farà quello che avrebbe dovuto fare da tanto tempo: vivere con i propri mezzi! E se ti chiedono di come si pagheranno i salari e le pensioni, rispondi che  ridurrai  lo stipendio più alto del settore pubblico al livello del secondo più grande e quindi entrambi a livello del terzo più grande e quindi questi tre al livello del quarto, e così via fino a  tutte le riduzioni necessarie siano effettuate fino a che  lo Stato greco non raggiunga il break evenAggiungi che porremo fine tutti i contratti della difesa fino a nuovo avviso. Che lo Stato greco farà tutto ciò che è necessario al fine di sopravvivere senza un euro di addizionali e costosi prestiti da parte della UE.

Man mano che ti avvicini alla fine del tuo discorso, alza la voce per dire che è assurdo che le stesse persone che accusano la Grecia di vivere col denaro preso in prestito stanno ora insistendo sul fatto che la Grecia umiliata e in bancarotta dovrebbe accettare molti miliardi in più di prestiti quando tutti sanno che sarà impossibile ripagarli. Concludi facendo un paragone con i maneggioni che, negli Stati Uniti, prima del 2008, costrinsero a costosi prestiti famiglie povere insolventi, ma che questa volta l’azione è rivolta contro un intero paese. Dichiara una volta per tutte che, come un cittadino europeo, e presidente della Internazionale socialista, non ti senti in diritto di firmare un altro contratto di finanziamento che mette a rischio non solo un piccolo paese del Mediterraneo, ma tutta la zona euro e, anche, l’idea di una Europa unita e democratica.

Alla fine, guarda in una delle telecamere puntate nella tua direzione da parte  del pubblico,  video  che presto troverà la sua strada su YouTube, guarda la sua lente e rivolgiti allo spettatore tedesco, in inglese, dicendo: ” E’ uno scandalo di primo grado che tu, tedesco che lavori sodo, dovresti fornire prestiti al mio governo che, tragicamente, sono costretto a non utilizzare per rinvigorire la nostra economia in crisi, ma per rimborsare le banche zombie che, pienamente consapevoli del loro stato terribile, si accaparrano i soldi, rifiutano prestiti alle imprese e, quindi, diventano buchi neri che assorbono le tue energie economiche, nello stesso momento in cui il tuo omologo greco soffre senza speranza per il futuro.”

A quel punto, un saluto rapido e raggiungi a piedi  la tua bicicletta parcheggiata. Per la prima volta in tanto tempo, non ti senti più solo. Avrai contribuito a un emozionante momento di democrazia partecipativa, la forma di democrazia che tu ed io abbiamo discusso  un bel po’ di volte, e sparso un sacco di inchiostro e sudore cercando di integrarla nella piattaforma del partito tanti anni fa. Piazza Syntagma, non può essere, come ai manifestanti sarebbe piaciuto, un luogo di democrazia diretta (cosa che richiede non solo la partecipazione ma anche reale potere esecutivo), ma, credo, costituisce una riedizione moderna di Agorà che calza come un guanto all’anti-autoritario George che conosco.

Ti aspetto stasera. Intorno alle 19 sarebbe bello!

PS. Ora che ci penso, forse è meglio non venire da solo. Perché non portare con sé (a patto di possedere una bici e voler partecipare) il tuo vecchio amico di college, Antonis Samaras (il leader dell’opposizione ufficiale). Fate a turni ad affrontare la folla, cantando più o meno dallo stesso libro di inni, facendo così la storia. Forse i nostri partner europei, non domandano consenso all’opposizione in questo momento cruciale? Diamogli quindi il consenso.

Yanis Varoufakis

http://www.melogranorosso.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=169:lettera-aperta-al-primo-ministro-greco&catid=27:documenti&Itemid=313

Lucio Caracciolo, “L’Europa è finita?” (considerazioni di immenso buon senso sull’Europa, sull’Italia e su altro ancora)

Estratti da “L’Europa è finita?”, di Enrico Letta, Lucio Caracciolo. Torino : Add, 2010.

Lucio Caracciolo scrive:

18-19: L’Europa che vorrei dovrebbe essere anzitutto un grande spazio di democrazia, di libertà e di protezioni sociali nei limiti in cui demografia ed economia ce lo permetteranno. Sotto il profilo istituzionale, non penso a un’Ue-Stato. Vedo semmai diversi sottogruppi europei, alcuni più, altri meno integrati. I primi potrebbero sviluppare delle confederazioni europee, cioè degli Stati con diversi livelli di sovranità concordata, gli altri svilupperebbero l’integrazione attuale, approfondendone gli aspetti economici (per esempio riguardo alla mobilità della forza lavoro), a istituzioni politiche più o meno costanti.

20-21: Penso a una Confederazione europea nell’Unione europea, che comprenda i sei Paesi fondatori (Italia, Francia, Germania, Olanda, Lussemburgo e Belgio) più Spagna, Portogallo, Austria. Aggiungerei la Svizzera, se mai gli elvetici dovessero cambiare idea sull’Europa, cosa di cui dubito fortemente. Escludo quindi le isole britanniche, la cui storia si fonda sull’idea di impedire l’unità europea. Ed escludo anche nuovi o risorti Stati dell’Europa centrale e orientale, la cui priorità attuale non è l’integrazione comunitaria ma il consolidamento della recuperata sovranità nazionale. In termini diacronici, sono nazioni risorgimentali. Alcune delle quali ancora in cerca di confini stabili.

21-22: Alcuni popoli europei – penso ai catalani piuttosto che ai fiamminghi o agli scozzesi – usano l’Europa come grimaldello per emanciparsi, in prospettiva, dai rispettivi Stati (multi)nazionali, o almeno per conquistare autonomie sempre più accentuate.

L’attuale crisi economica, che è sempre più una crisi sociale, rischia poi di mettere in questione il senso concreto degli Stati nazionali, a cominciare dal nostro. Quando i tedeschi riscoprono l’Euronucleo come insieme riservato ai Paesi connessi all’economia e alla cultura monetaria germanica, constatiamo che ne risulta rafforzata la tesi «padana» per cui il Nord Italia pertiene a questo spazio, il Sud niente affatto.

22: Non so fino a dove si spingeranno fra vent’anni i confini dell’Unione europea, se ancora esisterà. In ogni caso mi pare difficile che possa recuperare una funzione integrativa, mentre probabilmente si acccentuerà la tendenza opposta. Ne risulterà una geopolitica più complessa, quindi di più ardua gestione.

25: Il mio timore è che l’Ue finisca per delegittimare le democrazie nazionali – le uniche di cui disponiamo – senza produrre una democrazia europea.

26: Se per fare l’Europa dobbiamo negare il cittadino, tengo il cittadino e butto l’Europa.

31: Infatti la Germania non pensava a un euro per tutta l’Europa – roba da europeismo ingenuo – quanto a una moneta dell’ area del marco: un vestito europeo per la moneta tedesca.

33: Se riprendiamo in mano i giornali tedeschi o olandesi della seconda metà degli anni Novanta, quando si dibatteva del diritto di questo o quello Stato di entrare nell’euro, vi troviamo gli stessi stereotipi che corrono di nuovo oggi, sull’onda della crisi partita dalla Grecia: PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna = maiali), Club Med e altre simpatiche definizioni di stampo antropologico. Categorie irrazionali ma potentemente radicate nelle opinioni pubbliche e nelle élite, che illustrano il presunto carattere dei vari popoli, echeggiando le teorie di Schumpeter sulla cultura monetaria come espressione della cultura nazionale. Quindici anni dopo, senza dracma né peseta né lira ma con l’euro in mano, siamo ancora a questo genere di polemica etnomonetaria. Un razzismo soft. Alla faccia dell’affratellamento europeo che l’euro avrebbe inevitabilmente generato.

42-43: Un’Europa per non con gli europei, elaborata da un club di ottimati nei loro inaccessibili laboratori. Quell’ europeismo si considerava figlio di una filosofia della storia che avrebbe prodotto l’Europa per surrogazione tecnocratica, non per effetto di una scelta politica discussa e condivisa, ritenuta impossibile. Un tentativo titanico, che meriterebbe un’ analisi aperta e approfondita, invece dei mascheramenti che tuttora lo occultano. Un orizzonte talmente astratto dalle dinamiche storiche da contenere in nuce le premesse della sua irrealizzabilità.

45-46: Trovo…straordinariamente affascinante e originale il ragionamento dell’ europeismo «alto». Quello che nonostante tutto continua a crederci davvero. O almeno non sa rinunciare a credere. Questi, più che rispettabili politici e pensatori, mi ricordano Tertulliano: credo quia absurdum. È una fede. Una fede, per me paradossale, nelle virtù salvifiche delle crisi. La tesi: dobbiamo stare molto male per diventare buoni. Più costruiamo meccanismi imperfetti – l’euro senza Europa -, più ci costringiamo a perfezionarli. A questo può portare la sfiducia degli eletti nei cittadini europei, o futuri tali. Soffrire fa bene all’Europa? Non condivido. Confesso di non essere obiettivo nella mia analisi, perché il cilicio continua a sembrarmi una forma di perversione anziché un veicolo di perfezionamento. Dunque non mi convince la teoria dell’ europeismo classico, fondata sulla speranza nell’effetto maieutico delle crisi. Tu stesso hai citato l’esempio della seconda guerra mondiale o dell’ attuale crisi economica. La crescente consapevolezza del deficit politico dell’Europa prodotta dalla crisi dell’ euro sarebbe destinata a produrre più Europa. Mi pare un’idea catastrofica. In senso tecnico. Per me le catastrofi sono catastrofi, le crisi crisi. Punto. E non sono affatto certo che mi o ci migliorino. Tanto meno che facciano l’Europa. È semmai durante le crisi che emergono i nostri lati peggiori: nefandezze collettive talvolta riscattate dall’ eroismo di pochi. Egoismi, diffidenze, chiusure, tentazione di scaricare sui più deboli i problemi dei forti (e viceversa). In ogni caso, anche se la teoria delle catastrofi potesse un giorno molto futuro rivelarsi corretta e dunque produrre davvero l’Europa, preferirei non rischiare l’esperimento. Invoco il principio di precauzione.

46-47: il vincolo esterno. Tu ne hai fatto le lodi. lo non ci riesco proprio…Un riflesso pericoloso perché fondato sulla radicale sfiducia in noi stessi. Nell’Italia e negli italiani. Ma se non siamo capaci di governarci da soli, in che senso saremmo una repubblica e una democrazia? Se non ci fidiamo di noi stessi, dobbiamo per forza cercare qualche soggetto esterno che abbia tempo da perdere con l’Italia, per eterodirigerla.

47: Ci poniamo volutamente in una condizione di inferiorità che non ci permette di essere percepiti come pari da chi si considera al cuore del progetto europeo. Ciò rende paradossale il nostro europeismo, perché è tanto più spinto quanto più grave è la sfiducia in noi stessi. È l’esatto contrario dell’idea di Europa dei Paesi più forti: l’Europa come moltiplicatore della propria potenza, non come compensazione della propria impotenza. Il vincolo esterno è la dichiarazione di non-europeità dell’Italia.

48: Se l’Italia vorrà avere un ruolo di rilievo in Europa nei prossimi anni, dovrà prima di tutto occuparsi di se stessa, recuperando un’idea sufficientemente forte di unità nazionale.

49: In un Paese dove efficienza e legittimazione dello Stato non solo sono storicamente deficitarie ma decrescenti, parlare di federalismo significa lavorare per lo smantellamento di quel poco di istituzioni comuni di cui ancora disponiamo. Significa produrre un patchwork di regioni semi-indipendenti molto dissimili tra loro sotto ogni profilo, che dovrebbero essere tenute assieme miracolosamente da un centro sempre più delegittimato. E come per l’europeismo, il federalismo all’italiana non esprime un progetto.

49: Il paradosso è che invece di utilizzare lo slancio europeo per costruire un’Italia che si tenga in piedi con le proprie gambe e dia, in quanto tale, un proprio contributo alla costruzione dell’Europa, con il mito del vincolo esterno abbiamo contribuito a decostruire quel poco che rimane del nostro Stato democratico.

56: SULLE PECCHE DELA GRECIA: Il pericolo è fare di questa giusta critica un argomento etnico. Un razzismo appena mascherato. Questa forse è la peggiore delle derive della tecnocrazia, che tendendo a esautorare la politica riporta in auge gli stereotipi culturali. Come se vi fossero Paesi geneticamente dediti a spendere e spandere, e altri Paesi costitutivamente dediti alla virtù. In ogni stereotipo, come in ogni leggenda, c’è una base di verità. Farne però la regola immutabile, il destino di un popolo, è la fine della politica. Nel caso dell’ euro, concepire come hanno fatto e tendono di nuovo a fare i tedeschi, un Euronucleo di Paesi automaticamente virtuosi, è un modo di ragionare antipolitico. Una sorta di etnomonetarismo. Trascurando, come tu ricordavi, che la stessa Germania, oltre naturalmente alla Francia, ha allegramente deviato dalle presunte virtù e dalle regole scritte in più di un’ occasione. E dimenticando che gli altri europei hanno pagato un prezzo molto alto per l’unificazione tedesca, contribuendo allo sforzo di Berlino volto a riempire il buco nero della Rdt con enormi trasferimenti finanziari, dai risultati peraltro discutibili. E purtroppo questo etnomonetarismo si sposa con analoghe tendenze interne agli Stati membri. Penso anzitutto al Belgio, ma anche all’Italia, alla propaganda leghista sull’inconciliabilità fra Nord e Sud.

74: Noi tendiamo purtroppo a rimuovere il nostro passato recente. E a immaginarci come un continente spontaneamente democratico. Noi pensiamo di essere più democratici degli altri. Come se la democrazia fosse nel nostro Dna.

75: Che tale vincolo sia eterno, ne dubito. Continuando a minare la logica della politica democratica, potremmo risvegliare le bestie intolleranti che animarono i nostri avi.

79: Contesto che esista un’opinione pubblica europea. Niente affatto. Esistono diverse opinioni pubbliche nazionali in Europa. La prova? Ogni volta che si tenta di varare un medium europeo, non funziona. Non si riesce a vendere lo stesso giornale a Cipro e a Dublino, a Roma e a Riga, a Londra e a Lubiana, a Parigi e a Berlino (nemmeno a Berlino e a Francoforte). Le culture e i gusti di queste popolazioni, tutte orgogliosamente rivendicanti la loro radice europea, sono troppo diverse.

84: L’altro protagonista ad avere le idee chiare sull’ allargamento a est era la Gran Bretagna. In parte perché condivideva la russofobia di quei Paesi; in parte perché vedeva l’ex Est come un’ area da non lasciare al predominio esclusivo della Germania; e in parte perché, come gli americani, voleva collegare gli ex satelliti di Mosca al mondo atlantico più che al mondo europeo. Londra non voleva «europeizzare» l’ex Est, voleva «atlantizzarlo» anche attraverso Unione europea. Con ciò rendendo complessivamente l’Ue meno europea e più atlantica. E ha vinto. L’allargamento battezzato da Bruxelles è stato un grande successo di Londra e Washington.

107-108: Il tuo ragionamento mi sembra uno sviluppo radical-utopistico del funzionalismo, per cui istituzioni e funzioni che si scoprono imperfette devono essere surrogate da autorità non-statuali e non legittimate da meccanismi democratici condivisi. Sicché le attuali istituzioni democratiche nazionali dovrebbero finire per autocommissariarsi per il bene della nostra moneta. Mi sembra politicamente difficile. Con tutto quello di buono che l’esperimento della moneta «unica» (nell’Ue ne circolano altre undici, ma continuiamo a chiamarla così, misteri dell’ eurogergo) può aver prodotto sotto il profilo economico, dobbiamo prendere atto che abbiamo raggiunto e superato il limite entro il quale il funzionalismo aveva un effetto integrativo. Adesso ha una funzione disintegrativa.

109-110: Stiamo chiedendo in nome dell’Europa sacrifici che i cittadini europei non sono disposti a concedere. Diamo così alimento alle teorie cospirative degli estremisti, che vedono un solo grande complotto mondiale di speculatori, banchieri e loro tirapiedi politici [Beh, è così: 1% contro 99%, ma l’1% non è compatto, per fortuna – NdR]. Con l’Europa pallido vampiro che affonda i denti nei nostri corpi infiacchiti dalla recessione. Temo che presto potremo trovarci di fronte a rivolte di piazza, a ondate di violenza, quanto meno a una protesta diffusa e rabbiosa che metterà sotto pressione le nostre istituzioni democratiche. Credo che il «rigore» così astrattamente concepito sia una risposta sbagliata, che avrebbe un effetto deprimente sulla stessa idea di Europa, per quel che ne resta. Non penso solo alla Grecia, ma anche all’Italia, una volta che alcuni ammortizzatori sociali avranno terminato o ridotto il loro effetto.

Se Europa non vorrà più dire pace e benessere, ma violenza e deflazione, chi oserà più difenderla?

121-122:   Un incendio è un incendio; molti incendi sono molti incendi. E la crisi che stiamo vivendo a mio avviso non ha nulla di positivo. Anzi, nasce proprio dall’ assenza di una prospettiva comune tra i principali Paesi europei sul da farsi. Insomma, se vogliamo parlare di unione politica dobbiamo parlare di politica.

Ascoltandoti, e conoscendo il tuo carattere moderato, mi colpisce l’impronta rivoluzionaria del tuo ragionamento. Quando parli di Europa mi sembri un bolscevico, che si augura che la crisi finaale del capitalismo diffonda nelle masse la consapevolezza dell’ oppressione di classe, spingendole ad affidarsi al Partito per conquistare il socialismo. Perché questo è il destino dell’umanità scoperto da Marx. Sostituisci Europa a socialismo e hai il ritratto dell’ideologia europeista.

lo non credo che la crisi che stiamo vivendo renda gli europei più consapevoli della necessità dell’Europa. Però il tuo ragionamento è interessante, perché lo sento ripetere ormai da molto tempo e da persone di diverso orientamento politico, che si riconoscono in tale presunta necessità della storia. Ora, non vedo alcuna necessità della storia, né nel caso europeo né in alcun altro caso. Sarò troppo ottimista, ma resto convinto che la storia non sia data ma sia anche frutto delle nostre azioni, spesso involontarie, nei brevi limiti della nostra esistenza e scontando l’inerzia formidabile del passato.

121-122: L’Europa che sogno è uno Stato confederale, dotato quindi di vari livelli di sovranità, dall’Europa al comune. I suoi confini saranno quelli dell’Europa centro-occidentale che ho sopra evocato. Questa Confederazione europea sarà una potenza attiva su scala globale. E sarà parte della molto più vasta e lasca Unione europea, da estendere a sud-est, verso la Turchia e il Nord Africa, che chiamerei quindi Unione euromediterranea.

Come si avvicina questo sogno? Non certo a partire dalle istituzioni comunitarie, perché non hanno la legittimità né l’autorità per farlo. Qualsiasi proposta per l’Europa futura non può che partire dalle autorità nazionali, le sole titolate a organizzare il consenso dei cittadini.

123-124: Se davvero si costituisse un Euronucleo paracarolingio, forse ne saremmo esclusi. In tal caso metteremmo a rischio l’unità nazionale. Perché se il criterio di quel nucleo è l’appartenenza alla sfera economica tedesca, Fino a Verona ci siamo, più a sud molto meno. Bossi avrebbe buon gioco a rispolverare i suoi argomenti secessionisti. Per la Lega l’Euronucleo torneerebbe a rivelarsi la leva per dividere l’Italia, non per unire l’Europa. E l’unica reazione possibile è quella di metterci definitivamente insieme come europei.

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https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/22/contro-i-miti-etnici-alla-ricerca-di-un-alto-adige-diverso-un-libro-preveggente/

Jacques Attali, “Domani chi governerà il mondo?” (2012) – estratti

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Jacques Attali, domani chi governerà il mondo? Roma: Fazi, 2012

10: per fare questo servirà un governo mondiale, che dovrà assumere una forma molto simile ai sistemi federali di oggi; l’Unione Europea ne rappresenta senz’altro il miglior laboratorio. Lasciando ai governi delle nazioni il compito di assicurare il rispetto dei diritti specifici di ciascun popolo e la protezione di ogni cultura, questa amministrazione si farà carico degli interessi generali del pianeta e verificherà che ogni nazione rispetti i diritti dei cittadini dell’umanità. La sua nascita sarà il risultato di un processo caratterizzato da un gigantesco caos economico, monetario, militare, ambientale, demografico, etico, politico; o, invece, meno probabilmente, avverrà semplicemente al posto di questo caos…sarà un governo totalitario o democratico, a seconda di come si instaurerà.

19-20: bisognerà senza dubbio attendere che catastrofi di ordine finanziario, ecologico, demografico, sanitario, politico, etico, culturale, come quella del Giappone nel marzo 2011, facciano capire agli uomini che i loro destini sono comuni. Essi prenderanno allora coscienza delle minacce sistemiche che hanno di fronte. Realizzeranno che il mercato non può funzionare correttamente senza uno Stato di diritto mondiale, che lo Stato di diritto non può essere applicato senza uno Stato, e che uno Stato, anche se mondiale, non può durare se non è realmente democratico.

20: come evitare che questa struttura sia la semplice ratificazione della nuova onnipotenza di qualcuno, nazioni o imprese, che tenta di imporre a tutti gli altri una nuova forma di totalitarismo, nel momento in cui gli ultimi popoli sottomessi si liberano.

22: sarà dotato di un parlamento, di partiti, di un’amministrazione, di giudici, di forze di polizia, di una banca centrale, di una moneta, di un sistema di welfare, di un’autorità delegata al disarmo e di un’altra delegata al controllo della sicurezza del nucleare civile, e di un insieme di contropoteri.

22: piano più modesto e pragmatico: per evitare il disastro, basterebbero alcune riforme, quali la fusione del G20 con il Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, ponendo sotto la sua autorità tutte le organizzazioni di competenza mondiale, come il FMI e la Banca Mondiale, e sottoponendo l’insieme al controllo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un simile trattato sta in due righe. Può essere adottato in una giornata. Alcuni lo vivranno come un’opprimente dittatura globale. È verosimile che, se votasse oggi, gran parte dell’umanità vi si opporrebbe, mentre voterebbe senza dubbio un testo generale che affermi l’unità e la solidarietà della specie umana, o che arrivi persino a reclamare la costituzione degli stati generali del mondo. È dunque da qui che bisognerà cominciare.

284: ASTEROIDI: il pianeta è stato in passato colpito da asteroidi e lo sarà di nuovo in futuro. Anche qui, non si vede come i governi e le istituzioni internazionali attuali potrebbero far fronte a tale minaccia, alla quale nessuno si sta preparando seriamente.

289: In risposta ai rischi sistemici mondiali, si vedrà in particolare crescere un’ideologia ecologica planetaria che raccomanda la riduzione della produzione per diminuire il consumo di energia e attenuare i rischi d’inquinamento, imponendo restrizioni in tutti i settori in nome della frugalità e dei vantaggi a lungo termine. Dall’altra parte, un’ideologia religiose – o più d’una – tenterà anch’essa di imporre regole conformi alle esigenze di un aldilà dove risiederà, secondo quanto sostiene, l’unica speranza di salvezza. Queste due ideologia fondamentaliste, ecologica e religiosa, convergeranno: l’una e l’altra affermeranno che il destino degli uomini è già scritto e che il vero padrone del mondo – la Natura o Dio – è altrove. L’una e l’altra, alla ricerca della purezza, denunceranno l’Occidente. L’una e l’altra sosterranno di pensare alla felicità degli uomini in termini di prospettiva. Potrebbe anche emergere un giorno un’ideologia che metta insieme le due dottrine: un fondamentalismo allo stesso tempo religioso ed ecologico. Un ossimoro, come lo fu il nazionalsocialismo. Già ha fatto la sua comparsa in Brasile, dove si sta sviluppando un fondamentalismo evangelico eminentemente interessato alla tutela dell’ambiente. Inoltre, nel 2002, Osama Bin Laden, nella sua “Lettera all’America”, accusò gli Stati Uniti di distruggere la natura più di qualsiasi altra nazione, con l’emissione di gas a effetto serra e la produzione di rifiuti industriali. Nel gennaio del 2010, sosteneva che “tutte le nazioni occidentali” sono colpevoli del cambiamento climatico. Nell’ottobre dello stesso anno, ribadiva che le vittime del cambiamento climatico sono più numerose di quelle delle guerre.

292: tale governo non sostituirà quelli nazionali. Questi veglieranno, quando saranno in grado di farlo, sui diritti specifici, sull’identità culturale di ogni popolo. Il governo del mondo si occuperà degli interessi generali del pianeta, che possono anche divergere da quelli di ogni singola nazione; verificherà che ogni Stato rispetti i diritti di ciascun cittadino e vigilerà per impedire il propagarsi di rischi sistemici mondiali. Permetterà di evitare sia il potere di uno solo sia l’anarchia di tutti.

293: catastrofi ecologiche e crisi economica, l’accrescimento del potere di un’economia criminale, l’incombere della caduta di un meteorite, la virulenza di un movimento terroristico potrebbero, alla fine, spingere i governi democratici del mondo a unire le loro forze.

304-305: BENI COMUNI E CITTADINANZA MONDIALE: ogni essere umano deve disporre di una “cittadinanza mondiale”. Nessuno deve più essere “apolide”. Ciascuno deve sentirsi a casa propria sulla terra. Chiunque deve avere il diritto di lasciare il proprio paese d’origine e di essere accolto, almeno temporaneamente, in qualsiasi altro luogo. Ogni essere umano deve avere diritto a un insieme di beni universali: l’aria, l’acqua, i prodotti alimentari, la casa, le cure, l’istruzione, il lavoro, il credito, la cultura, l’informazione, un reddito equo per il suo lavoro, la protezione in caso di malattia o di invalidità; l’eterogeneità del modo di vivere, la vita privata, la trasparenza, la giustizia, il diritto di emigrare e quello di non farlo; la libertà di coscienza, di religiose, d’espressione, di associazione; la fraternità, il rispetto dell’altro, la tolleranza, la curiosità, l’altruismo, il piacere di dare piacere, la felicità nel rendere gli altri felici, la molteplicità delle culture e delle concezioni di benessere.

305: tutte le leggi mondiali e tutti i trattati internazionali esistenti saranno raccolti in un Codice mondiale che avrà un valore giuridico superiore a quello delle costituzioni nazionali.

307: un’Assemblea mondiale, con l’incarico di rappresentare gli interessi di ogni cittadino; un Senato delle nazioni, con il compito di rappresentare l’interesse dei singoli Stati; una “Camera della pazienza” impegnata a rappresentare le generazioni future e il resto del regno dei viventi.

308: la Camera della pazienza dovrà riflettere in particolare su progetti di amplissimo respiro, come sviluppare l’altruismo e la gratuità, contrastare il cambiamento climatico di origine antropica, immaginare nuovi modi di bere, di nutrirsi, di respirare, di vivere sott’acqua o a temperature estreme, di colonizzare l’universo o di “sopravvivere”, trasformandosi geneticamente per diventare capaci di affrontare condizioni radicalmente diverse.

310: METEORITI: sarà anche messa in campo una forza di difesa e di prevenzione per difendere la terra dalla caduta di meteoriti

312: una moneta unica mondiale, sul modello del Bancor proposto da J.M. Keynes

322-323: una federazione può anche crollare quando il collante della paura smette di tenere uniti i popoli…la prima battaglia deve avere come obiettivo una presa di coscienza dell’umanità sul perché della sua esistenza e sui pericoli che gravano su di essa…deve fare in modo che ognuno prenda coscienza della sua appartenenza a una precisa specie vivente e della necessità di proteggerla.

324: questa presa di coscienza verrà dall’azione di quelli che si interessano al futuro del mondo e che ho chiamato altrove “ipernomadi”: militanti di associazioni, giornalisti, filosofi, storici, funzionari internazionali, diplomatici, attivisti di movimenti internazionalisti, mecenati, protagonisti dell’economia internazionale, dell’economia virtuale e dei social network, creativi in qualsiasi campo, ecc.

326: METEORITI: telescopi ottici sono in grado di individuare il più piccolo meteorite da uno a sei mesi prima dell’eventuale impatto, precisando il luogo con alcune settimane d’anticipo. È possibile attivare un’organizzazione mondiale efficiente: un sistema di osservazione efficace dovrebbe seguire 500mila asteroidi e conoscere le loro orbite almeno quindici anni prima della loro eventuale caduta. Per arrivare a questi risultati, basterebbe coordinare i due sistemi esistenti di sorveglianza automatizzata di questi corpi celesti: il Sentry, creato dalla NASA, e il suo equivalente italiano, il NEODyS. Insieme contano un numero considerevole di telescopi al suolo e nello spazio, che analizzano le orbite e i probabili punti d’impatto.

332: METEORITI: infine, per ridurre la minaccia di impatto di meteoriti, l’azione più efficace dovrebbe essere quella di mettere insieme i quindici paesi che hanno realmente i mezzi scientifici, umani e tecnici utili. Una volta individuato l’eventuale impatto, questo gruppo dovrà valutare il livello di rischio sistemico mondiale sulla Scala di Torino. Se il rischio sarà considerato grave, bisognerà organizzare due missioni: una per osservare la struttura dell’oggetto, l’altra, se necessario, per deviarlo; se il meteorite raggiungerà più di quattrocento metri di diametro, sarà necessaria un’esplosione nucleare. Bisognerà reagire molto prima di disporre di un’analisi affidabile sulla probabilità che raggiunga il nostro pianeta. Converrà agire nel momento in cui ci sia più di una possibilità su dieci che l’impatto avvenga, creando un cratere di più di quaranta metri di diametro. Bisognerà prendere in media una decisione di questo genere ogni dieci anni. Tale processo decisionale esige una notevole preparazione. L’Association of Space Explorers e l’International Panel on Asteroid Threat Mitigation stimano che bisogna mettere a punto entro dieci anni una rete di sorveglianza, di meccanismi decisionali e di mezzi d’azione di questo tipo.

335: Il FMI diventerebbe l’equivalente del Ministero delle Finanze del mondo…La Banca Mondiale diventerebbe il finanziatore dei beni pubblici mondiali e il principale attore della crescita globale.

CHI SI OCCUPA DELL’ORDINE MONDIALE? 336: una NATO allargata. Attali la chiama Alleanza per la Democrazia: “Questa Alleanza rivendicherà il proprio dovere d’ingerenza nelle dittature, dotandosi di mezzi per aiutare le popolazioni sottomesse a instaurare governi democratici nei rispettivi paesi…Fino a quando tutte le nazioni non saranno democrazie, l’Alleanza per la democrazia potrà trovarsi in concorrenza, o anche in contrasto, con il Governo del mondo. Se, un giorno, il mondo sarà costituito solo da sistemi di governo democratici, l’Alleanza diventerà il braccio armato del Governo planetario a avrà il ruolo di proteggerli”

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