Donata Borgonovo Re e lo tsunami a cinque stelle


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Dato che Beppe Grillo vuole fare politica, fondi un partito, metta in piedi un’organizzazione, si presenti alle elezioni: vediamo quanti voti prende

Piero Fassino, luglio 2009

Faccia le primarie, le vinca e ne riparliamo.

Balabiótt sulla candidatura di Borgonovo Re, marzo 2013

È assai probabile che, ai ballottaggi delle elezioni amministrative moltissimi voti del PDL, della Lega, di Fare per fermare il declino e, forse, di Rivoluzione Civile, confluiranno sul M5S, nella speranza di poter mettere in discussione lo status quo in Trentino. Il M5S è già il primo partito a Pergine, Riva ed Arco.

Il PD trentino, come il PD nazionale prima delle politiche, sembra pensare di avere la vittoria in tasca, se non si farà male da solo. Non credo che le cose stiano così.

Non lo crede neanche Alexander Schuster (Trentino, 13 marzo 2013): “La classe politica rimane nettamente declinata al maschile e assai navigata. Forse pensa di poter appagare il desiderio di rinnovamento con baldi delfini cresciuti all’ombra dei maggiorenti di sempre…Spira aria nuova sulle vette dolomitiche, ma il comandante tiene fermo il timone e prosegue come se nulla fosse. Possiamo anche destarci ogni cinque anni e andare al voto, magari facendo una croce di protesta. Ma qui c’è da tornare ad essere cittadini, ogni giorno, divenendo parte della vita politica, riportando dentro i partiti partecipazione, idee e metodo democratico, andando al di là degli slogan elettorali. Solo così il patrimonio del passato diventerà il patrimonio del futuro, al riparo da impetuosi tsunami”.

Borgonovo Re in campo (l’Adige, 1 marzo 2013)

Donata Borgonovo Re conferma di essere pronta a candidarsi per le prossime provinciali, esclude di farlo per la segreteria del Pd, rivendica la necessità per i partiti tradizionali di prendere gli aspetti positivi del Movimento 5 Stelle che considera un possibile interlocutore. Fondamentale per la docente universitaria «aprirsi alla società e discutere con loro e dentro il Pd sul programma con il massimo rispetto».

Donata Borgonovo Re, passate le elezioni nazionali ci si proietta verso quelle locali: lei si candiderà per la presidenza alla Provincia?

Facciamo un passo alla volta: naturalmente confermo che il mio nome resta dentro la discussione per le prossime provinciali, ma adesso stiamo cercando di aprire un dialogo dentro e fuori il Pd con una forte attenzione alla coalizione, elemento che è uscito confermato dalle elezioni nazionali.

I tre partiti Patt, Pd e Upt sono dunque secondo lei i tre da cui prendere le mosse?

Lo scenario da cui partiamo è quello di un’alleanza e della condivisione di una esperienza politico- amministrativa. Certo, dopo occorrerà capire quali e quante sono le candidature dentro e quali sono i percorsi migliori che permettono di tenere aperto il dialogo tra i partiti.

Secondo lei come dovrebbe avvenire la scelta delle candidature?

A mio parere le primarie sono uno strumento ineludibile, perché consentono una discussione aperta e sono un passaggio importante sia per dare una maggiore solidità ai candidati sia perché consentono una partecipazione diretta dei cittadini. Ma le primarie non sono il punto di partenza in questo coinvolgimento, bensì un punto di arrivo.

Cosa intende?

Credo che come partiti dobbiamo usare strumenti di democrazia e coinvolgimento, pensando all’esperienza di Grillo da cui distillo alcuni elementi positivi, come la dimostrazione che c’è un desiderio dei cittadini di partecipare direttamente alla vita politica.

E poi?

Il programma, non si può costruire tutto a tavolino, in una dimensione percepita come chiusa o poco trasparente della nomenclatura Ora i cittadini pretendono di essere ascoltati, altrimenti si rischia che abbandonino i partiti tradizionali. Le elezioni nazionali suonano, in questo senso, come un campanello d’allarme: ci spingono non a gestire il successo, ma ad andare sul territorio a discutere apertamente e con rispetto così come dentro il partito sul futuro. Abbiamo bisogno di ragionare su quanto dobbiamo fare: non va riprodotto un modello che ha funzionato fino a oggi. Dobbiamo andare tra i cittadini e ricreare fiducia.

La coalizione è però uscita rafforzata dal voto delle nazionali.

Posta la solidità della coalizione, in cui comunque l’Upt in questo momento è in parte rosicchiata da Progetto trentino, dobbiamo costruire un nuovo passaggio. La coalizione ha un valore perché vuole realizzare un progetto per il Trentino. Sul programma sarà messa alla prova.

Il Movimento 5 Stelle sarà sicuramente presente alle provinciali. Come lo considera?

Ho contatti con il M5S e anche con Sel. Il Movimento lo considero un possibile interlocutore: occorrerà capire se sono più i punti di contatto che quelli di distanza e quali sono i termini di una collaborazione. Per adesso è presto per dire qualcosa, ma anche per arroccarsi. Ci confronteremo sui programmi, loro sono un pezzo significativo della società.

Che cosa pensa invece di Progetto Trentino?

Rispetto tantissimo le persone che ragionano su come partecipare a una comunità, non so esattamente chi siano, nel senso che ne leggo sui giornali, e da quanto ho appreso sono un nucleo consistente. Se lavorano per il bene comune, va bene. Però sommessamente dico che sarebbe meglio che ci fosse il nuovo che avanza assieme a esperienze positive del passato. Ma se il nuovo che avanza ha un nome e una figura che ha governato e costruito il sistema contro cui oggi si scaglia, qualche dubbio mi viene.

Il programma su cosa si baserà?

Dobbiamo trovare assieme e con rispetto reciproco le parole d’ordine sulla base di un disegno che dobbiamo fare insieme. Un piccolo slogan che abbiamo coniato è: l’autonomia per diventare più autonomi, come persone, come realtà associative, come imprese. Abbiamo, cioè, bisogno di riscoprire le capacità che ogni persona, gruppo, realtà ha in sé, senza aver sogno di essere alimentati da questo organismo materno, la Provincia, che tiene i suoi figli in una fase di adolescenza. L’ente pubblico deve essere solido nel sostenere i più deboli.

http://www.ladige.it/articoli/2013/03/01/borgonovo-re-campo

Femminicidio

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La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia

Marcela Lagarde, antropologa

“Il termine sembra astratto ma se si legge ognuna di queste vite si capisce come siano diverse e come siano simili i loro assassini”

http://temi.repubblica.it/micromega-online/femminicidio-la-spoon-river-delle-donne/

“Ricordo che ero ragazzina quando mia madre mi spiegò che quel giorno veniva abolito il delitto d’onore, ed era solo il 1981. Ed era ancora come fosse ieri, che mia nonna materna si infilò guanti e cappello, guardò il marito in poltrona e gli comunicò: “Io vado a votare”. Era il 1946 ed era la prima volta che era autorizzata a farlo. Da poco, veramente da pochi anni, noi donne stiamo faticosamente cercando di autodeterminare la nostra vita, sia nel lavoro sia nel privato e questo cambiamento epocale ha alterato in modo irreversibile la relazione tra uomini e donne, portando un comprensibile disorientamento tra chi per anni aveva goduto di un potere di scelta totale all’interno della coppia”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/21/siamo-persone-non-beni-di-proprieta/388866/

Massimo Gramellini, La Stampa del 15/11/2012: Savita è una giovane dentista indiana che abita in Irlanda con il marito Praveen, ingegnere. Aspetta un bambino da quattro mesi quando si presenta in ospedale. Ha dolori atroci alla schiena e la possibilità concreta di perdere, insieme col figlio, la vita. Al termine di una notte di scelte non facili, chiede ai medici di interrompere la gravidanza. Le rispondono che l’Irlanda è un Paese cattolico dove, finché si sente battere il cuore del feto, non è possibile interrompere niente. Savita non è irlandese e non è cattolica, ma deve stare alle regole. Soffrire. Aspettare. Il 23 ottobre il cuore del feto si ferma e i medici lo asportano, ma è troppo tardi. Il 28, a una settimana esatta dal ricovero, Savita muore di setticemia nell’ospedale universitario di Galway: in piena Irlanda, in piena Europa, in pieno ventunesimo secolo.  

Mi ostino a sperare che questa storia sia falsa o almeno incompleta. Che fra il comportamento dei medici cattolici e il decesso della dentista indiana non ci sia il nesso che traspare dalla denuncia dell’Irish Times, confermata dal marito della vittima e ripresa dai principali network del mondo. Ma l’idea che le religioni – associazioni di uomini mosse dal più nobile degli afflati, quello spirituale – possano ispirare comportamenti fanatici, superstiziosi e sostanzialmente ottusi non ha purtroppo bisogno di conferme: è sotto i nostri occhi ogni istante, in ogni angolo del mondo. Mai come oggi abbiamo bisogno di spiritualità. Mai come oggi non abbiamo bisogno di fanatici, questi esseri sfocati che vivono di testa e di viscere, avendo dimenticato che in mezzo c’è un cuore.

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È morta la giovane 23enne vittima di uno stupro di gruppo, che ha suscitato un’ondata di reazioni in tutta l’India: ricoverata in un ospedale di Singapore, le sue condizioni erano disperate. Era stata violentata, picchiata e torturata su un autobus di New Delhi lo scorso 16 dicembre. A causa della violenza subita, aveva riportato un arresto cardiaco, infezioni ai polmoni e all’addome, oltre a un grave trauma cranico. Ieri una ragazza di 17 anni si è tolta la vita, dopo aver subito uno stupro di gruppo il 13 novembre scorsoi genitori sperano che la morte della figlia porterà un futuro migliore per le donne a New Delhi e in tutta l’India

http://www.repubblica.it/esteri/2012/12/28/news/india_in_fin_di_vita_ragazza_stuprata_da_branco-49555220/

Questa povera ragazza non solo è stata brutalmente violentata da 6 uomini. È stata picchiata in testa con una sbarra di ferro e le hanno danneggiato irreparabilmente gli organi interni con la suddetta sbarra. Un abominio, un abominio non ignoto nel “civile” Occidente, dove si sono usate anche bottiglie di vetro rotte.

[In India] è la vittima che deve subire l’onta e l’ostracismo sociale”, ha dichiarato Ranjana Kumari, direttore del Centro di Delhi per la Ricerca Sociale e membro della commissione nazionale per i diritti delle donne. “Non può sposarsi, per esempio. Questo farà in modo che lo stupratore si vergogni [sic!]. Non gli sarà possibile ottenere un posto di lavoro, o un posto dove vivere e sarà tagliato fuori dalla società. Si tratta di un potente deterrente”.

[…].

All’inizio di questa settimana, Abhijit Mukherjee, un parlamentare figlio del presidente, è stato costretto a chiedere scusa dopo aver definito le manifestanti “donne dipinte” che “hanno pochi legami con la realtà concreta” e non “hanno niente di meglio da fare”. L’incidente ha messo in luce spaccature profonde all’interno della società indiana. Descritte come “provocazioni femminili”, le molestie sessuali è endemico e la colpa dello stupro ricade sistematicamente sulle donne, considerate irresponsabili e inclini ad un comportamento “non-indiano”.

http://www.guardian.co.uk/world/2012/dec/28/india-name-shame-sex-offenders#comment-20281341

Questa è anche la ragione per cui molte donne indiane vittime di stupro “scelgono” di suicidarsi piuttosto che continuare a vivere con lo stigma dell’ “impurità”, dell’essere state “contaminate”, che è parte integrante della mentalità patriarcale che incolpa la vittima in luogo dell’aggressore. È questa mentalità, la mentalità fascista che divide le donne in angeli o puttane, ma comunque sempre strumenti, giocattoli e proprietà dell’uomo. Una mentalità che non sarebbe mai dovuta essere tollerabile, e non solo in India.

Quante prostitute in Italia subiscono violenze perché sono considerate Untermenschen; e non possono difendersi e ben pochi sono pronti a credere che siano state violentate, visto il mestiere che fanno?

Perché la notizia che un noto conduttore televisivo inglese ha violentato 400 bambine e bambini non ha scatenato una furiosa autoanalisi nella società inglese e in tutto l’Occidente?

https://versounmondonuovo.wordpress.com/category/pedofilia-2/

Come si inserisce in questa problematica il noto bestseller “Cinquanta sfumature di grigio” che rende “appetibile” la relazione morbosa tra un “vampiro” sociopatico ed una “crocerossina”?

http://www.diariodipensieripersi.com/2012/07/cinquanta-sfumature-di-nero-quando-la.html

Il marito dell’autrice pubblicherà un’opera analoga, ma per adolescenti (i consumatori vanno allevati)

http://www.joplinglobe.com/enjoy/x1483812486/Lee-Duran-Erotic-literature-fuels-publishing-world

Mi sembra sempre più chiaro che questa società, che si crede così avanzata, emancipata, progressista, illuminata, sia tragicamente retrograda. Non volendo però affrontare il suo degrado, cerca dei comodi capri espiatori. Come il famigerato prete misogino, molto probabilmente una persona che necessita di cure specialistiche, tali sono le ossessioni che affliggono i suoi discorsi, i suoi pensieri, persino le sue interviste giornalistiche.

C’è un problema più vasto: noi uomini facciamo fatica ad accettare la diversità femminile quando non ci torna comoda. Troviamo spiacevole dipendere da una donna, essere considerati inferiori rispetto ad una donna.

Se una donna si candida per una carica importante, non è quasi mai presa davvero sul serio

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/14/donata-borgonovo-re-presidente-del-trentino-nel-2013-la-mia-scelta-per-un-mondo-nuovo/

A meno che non abbia dato prova di essere inflessibile (lady di ferro) come la Thatcher, o una spietata valchiria come la Merkel, o una figura semi-angelica come Aung San Suu Kyi. Il modo in cui l’establishment indiano tratta Arundhati Roy è particolarmente emblematico, ma anche la trasformazione subita da Hillary Clinton, che con gli anni è diventata un superfalco ed ha perso la sua umanità, fino ad arrivare alla salacità psicopatica con cui ha commentato il linciaggio di Gheddafi.

Il fatto è che non c’è un luogo del mondo in cui donne e uomini sono uguali o sono percepiti come tali (figuriamoci i bambini!). Eppure l’umanità, la nostra civiltà, se vuole sopravvivere, ha bisogno di società eque, dove le risorse, le energie, la dignità siano riconosciute equamente a uomini e donne. Più di tutto, dobbiamo costruire società in cui la violenza – psicologica e fisica e non solo verso le donne – sia tenuta sotto controllo, società in cui l’aggressività possa trovare sbocchi costruttivi e creativi (come succede nell’arte o nella ricerca tecnologica e scientifica, se non è pensata per applicazioni belliche) in ogni ambito della vita.

Iside cerca Osiride, come lo yin cerca lo yang. Dovrebbero trovarsi, in equilibrio.

Scrive il sociologo Marco Deriu, sul Manifesto (“La tv e l’uomo che non c’è“, 7 marzo 2012): “Insistere sulla vittima, lasciando sullo sfondo l’autore, permette infatti di “demonizzare” o “disumanizzare” l’uomo violento. “Chi picchia una donna non è un uomo”, taglia corto una pubblicità sociale. Sospetto che per molti sia meno problematico mantenere un’immagine disumana o bestiale di questi individui piuttosto che prendere atto della profonda ambivalenza presente in molti uomini, compagni o padri nei quali possono convivere e alternarsi affetto e risentimento, protezione e minaccia, fragilità e violenza, bisogno e negazione dell’alterità.

Nei pochi casi in cui nella comunicazione sociale sul problema della violenza ci si rivolge apparentemente (anche) agli uomini, spesso lo si fa riattivando stereotipi e contribuendo a rendere più difficili le cose. “Gli uomini picchiano le donne” sentenziava senza tanti distinguo un manifesto politico qualche tempo fa. Un’altra pubblicità mostrava “Mario e Anna” un bambino e una bambina di pochi anni, nudi, con ai piedi la didascalia “Carnefice” e “Vittima”, come se fossero già predestinati a diventare persecutori e prede. Si tratta di generalizzazioni che rischiano paradossalmente di “naturalizzare” la violenza maschile e di impedire invece di domandarsi in profondità perché alcuni (molti) uomini sono violenti e (molti) altri no. D’altra parte affermare, come fanno molte campagne, “I veri uomini non stuprano”, “I veri uomini non picchiano” ecc… non rischia di riconfermare l’idea di virilità unica e assiomatica anziché aiutare gli uomini a rivendicare la loro soggettività e la loro responsabilità aprendo un confronto tra forme di maschilità differenti?

E ancora, molte campagne insistono sulla violenza compiuta, sugli effetti fisici e psicologici più evidenti, mettendo in primo piano lividi, tumefazioni, ossa rotte, umiliazioni. Che effetto dovrebbero avere simili campagne sugli uomini? Siamo sicuri di riuscire a stabilire una comunicazione in questo modo? O non creiamo l’effetto inverso di presa di distanza e di allontanamento?

Occorre immaginare una forma di comunicazione che abbia il coraggio di assumere gli uomini come interlocutori reali, nel bene e nel male. Perché senza un loro impegno non è possibile affrontare il problema della violenza maschile sulle donne”.

http://maschileplurale.it/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=533:mar-2012-qla-tv-e-luomo-che-non-ceq-di-mderiu&catid=16:25-novembre&Itemid=18

Omosessualità, islam ed europa

 

Ho notato una certa ritrosia da parte di molti blogger eterosessuali ad occuparsi di questioni relative ai diritti dei loro fratelli omosessuali (fratelli nell’umanità). Io stesso non mi sono degnato di farmi sfiorare dall’idea di farlo. Tempo di cambiare, tempo di comportarsi da fratello e non da estraneo.

Articolo di Gaelle Roux tratto dal sito France24 del 30 marzo 2012, liberamente tradotto da Marco Galvagno.

“Ludovic Mohammed Zahed, il primo musulmano francese a essersi sposato religiosamente con un uomo, ha appena pubblicato “Le Coran et la Chair” (Il Corano e la carne). Racconta il suo percorso difficile e ci rivela un’audace interpretazione del Corano.

“Oggi sono convinto che se il profeta Maometto fosse vivo unirebbe in matrimonio coppie di omosessuali“.

L’autore di queste righe, Ludovic Mohammed Zahed, è un fervente musulmano, fine conoscitore del Corano, omosessuale e sposato dalla fine di febbraio con la benedizione di un imam francese a Quiya, un sudafricano, anche lui musulmano.

Nella sua opera “Le coran et la chair”, edizione Max Milo, uscito (ndr in Francia) il ventinove marzo (2012) in libreria, ci fornisce una testimonianza  straziante sul percorso  difficile di un omosessuale musulmano, pieno di dubbi ed umiliazioni.

“L’omosessualità […] non è una scelta e bisognerebbe essere matti per scegliere d’essere omosessuali quando si proviene dall’ambiente socio-culturale dal quale vengo”, scrive. Intellettuale brillante, scrittore dotato e militante intrepido, Ludovic Mohammed ha fatto dell’islam e dell’omosessualità, la propria ragione di vita, grazie alla sua associazione d’aiuto e difesa degli omosessuali musulmani, HM2F (Homosexuels musulmans de France), ma anche attraverso le sue ricerche universitarie. Il giovane che studia antropologia e psicologia nella prestigiosa École des hautes études en sciences sociales (EHESS) e sta preparando da diversi anni una tesi di dottorato appunto su islam e omosessualità.

Bastonate per imparare a essere un uomo

Nato in Algeria, nel 1977, Ludovic Mohammed è il secondo di tre fratelli. All’età di 3 anni i suoi genitori lasciano l’Algeria per trasferirsi nella regione parigina. La famiglia tornerà nel proprio paese solo l’estate durante le vacanze e durante la difficile situazione algerina degli anni 90.

Ludovic Mohammed è un bambino timido ed effeminato. “Ero una via di mezzo: un po’ bambino un po’ bambina”, si rende conto, a otto anni. Ma suo padre, una canaglia maschilista, e suo fratello non ci sentono da questo lato… Ho passato la mia infanzia con un padre che mi diceva che ero solo una femminuccia, una bambinetta, un piagnucolone. Per insegnarli a essere un uomo il fratello maggiore lo picchia di santa ragione fino a spaccargli il naso. Aveva  vergogna di avere un fratello malato.

In cerca  della propria identità

L’adolescente s’immerge nella religione, preso a carico da un gruppo di salafiti, impara a memoria in arabo una parte del Corano, prega cinque volte al giorno, osserva scrupolosamente gli insegnamenti dei maestri.

Ma anche là i suoi modi considerati troppo effeminati finiscono  con il disturbare “i fratelli” che lo emarginano dalla comunità. Siamo nel 1995, l’ Algeria s’impantana nella guerra civile. Il 30 gennaio un camion pieno d’esplosivi devasta il centro d’Algeri. Quarantadue persone perdono la vita. L’attentato è rivendicato dal gruppo salafita GIA.

Deserto spirituale

Quel giorno mi sono sentito sconvolto al solo pensiero che quella gente aveva anche solo una qualche vaga parentela con me. L’attentato e l’esclusione dal gruppo dei salafiti algerini segnano l’inizio di un lunghissimo deserto spirituale. Quindici anni durante i quali rifiuterà violentemente l’islam.
A ventun anni confessa alla famiglia di essere omosessuale. Sua madre é inconsolabile per vari mesi, ma suo padre, proprio lui che per anni, non rivolgeva nemmeno la parola a quel figlio ritenuto poco virile, risponde: “é così, capisco, bisogna accettare”, una mano tesa, alla fine benevola. A quell’epoca Ludovic Mohammed è sieropositivo da due anni.

Nonostante la rottura con i salafiti, la sete di spiritualità gli cova dentro. Il giovane per un breve periodo si avvicina al buddismo. “Mi sono reso conto che l’omofobia e la misoginia sono presenti ovunque” aggiunge con lo sguardo fisso dietro gli occhiali rotondi. A poco a poco l’islam prende di nuovo piede in lui.

“Ho ricominciato a poco a poco a pregare e poi sono andato per la prima volta a fare il pellegrinaggio alla Mecca, alle fonti dell’Islam per riappropriarmi della mia religione. Ho riscoperto una pace interiore che avevo perso dall’infanzia”. Dopo essere tornato in Francia fonda l’associazione “Les Enfants du sida” per la quale viaggia in tutto il mondo per un anno.

“Mi sono reso conto d’essere una persona buona, asserisce oggi. Ho capito anche che potevo essere omosessuale e praticare la mia religione”. Fonda allora una seconda associazione Hm2F (omosessuali musulmani francesi).

L’etica islamica attuale condanna questo orientamento sessuale, ma in effetti niente nel Corano lo vieta. Del resto nel corso dei secoli i musulmani non concepivano l’omosessualità come abominio, come vizio assoluto come invece fanno ora.

 La pace

Sul tema islam e omosessualità Ludovic Mohammed è inesauribile: “L’omosessualità non ha niente contro natura, secondo una certa rappresentazione dell’islam, al contrario […]”, scrive così nel Coran et la chair. H2Mf lo porta a viaggiare soprattutto in Sud Africa dove partecipa a una conferenza organizzata da un’associazione simile alla sua, fondata da un ex imam, che scoprendosi omosessuale, ha divorziato e si è consacrato all’organizzazione.
Ludovic ha incontrato Quiyammuden. Si sono sposati civilmente nel giugno 2011, il matrimonio legale in Sud Africa non è riconosciuto in Francia, poi nell’ottobre dello stesso anno, si trasferiscono alla periferia di Parigi. E li che il 18 febbraio celebrano religiosamente la loro unione, la prima in Francia.
Nonostante le lungaggini amministrative per ottenere i documenti per Quiyamuden, nonostante le email e le minacce telefoniche dopo che ha deciso di vivere alla luce del sole islam e l’omosessualità, Ludovic Mohammed ha infine trovato pace.

“Sono pacificato” afferma con un lieve sorriso disegnato sulle labbra. “Potrei andarmene domani, alla fine sono sereno”.

Testo originale: Concilier islam et homosexualité. Le combat de Ludovic Mohammed Zahed

http://www.gionata.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3885:conciliare-islam-e-omosessualita-la-battaglia-di-ludovic-mohammed-zahed&catid=28&Itemid=100517

 

L’esecutivo francese ha approvato un progetto di legge per consentire il matrimonio omosessuale e permettere l’adozione alle coppie gay. L’organizzazione Calem , prima associazione europea che difende i diritti degli omosessuali di fede islamica, ha fatto molte pressioni per ottenere questa controversa norma. Un impegno che nasce dalla storia personale di Ludovic Mohamed Zahed, fondatore di questo gruppo. Questo ragazzo francese di origine algerina si è sposato con il suo compagno qualche anno fa in Sudafrica, ha celebrato la sua unione in Francia, alla presenza di un Imam, e aspetta di poter riconoscere le nozze anche nel suo Paese.

È stato difficile accettare la tua omosessualità?

All’ inizio non è stato facile. L’Islam mi è sempre interessato molto, sia perché fa parte della mia identità, sia perché è la mia guida morale e spirituale. Sono cresciuto in una famiglia musulmana non particolarmente praticante e mi sono avvicinato alla religione per una scelta personale. Durante la mia adolescenza, frequentavo la moschea e studiavo il Corano per memorizzarlo. A diciotto anni, quando ho scoperto di essere omosessuale, mi sono iniziato a domandare perché la mia religione, che avevo sempre considerato universale ed ecumenica, escludesse alcune persone a causa dell’orientamento sessuale. Quando mi sono trasferito in Francia, ho vissuto da omosessuale per un certo periodo, senza praticare la mia religione, ma non ero felice.

Questa sofferenza ha cambiato la tua opinione sull’Islam?

Ho imparato a distinguere tra religione e tradizione. Avevo appreso l’Islam in un ambiente conservatore e questo mi aveva allontanato dalla fede, perché mi sentivo escluso dalla comunità. Ho perciò cercato di ritrovare la mia spiritualità in un’altra filosofia di vita e ho fatto un pellegrinaggio in Tibet per approfondire la mia conoscenza del Buddismo. Tuttavia, anche in quel contesto, ho scoperto che c’erano delle idee e degli atteggiamenti omofobi e misogini. Ad esempio, alcuni monaci mi hanno detto che le persone, quando non hanno un “buon karma”, si reincarnano in un corpo femminile. Così sono tornato in Francia e ho ricominciato ad approfondire la mia conoscenza dell’Islam.

Come hai fatto a convincerti che non c’è contraddizione tra omosessualità e Islam?

Ho conosciuto alcuni membri dell’organizzazione “David and Jonathan”, un gruppo che difende i diritti degli omosessuali cristiani, e ho capito che dovevo studiare meglio la mia religione. Ho letto molto sulla storia dell’Islam, in particolare alcuni libri che trattano della presenza di omosessuali nel periodo di Maometto. Alcuni di loro partecipavano alla vita di diverse famiglie e il loro orientamento sessuale era, a volte, tollerato o accettato. Secondo alcune interpretazioni di un Hadith di Abu Dawood (libro 32, 4095), lo stesso Profeta avrebbe ammesso un “mukhannath” (effemminato o eunuco) alla presenza delle sue mogli per un certo periodo. Nel 2010 ho fondato l’organizzazione per i diritti dei musulmani omosessuali Calem. Ora prego cinque volte al giorno e studio il Corano. Recentemente ho fatto un pellegrinaggio alla Mecca.

Che tipo di discriminazioni subiscono i ragazzi omosessuali che aiutate in Francia?

Ci sono delle differenze tra gli omosessuali islamici che ho conosciuto in Algeria e in Francia. Nel Paese africano molti si nascondono, in Europa è più facile parlare. Tuttavia esistono delle discriminazioni anche in Francia. Una ricerca IFOP ha evidenziato che più del 75% dei musulmani francesi considera l’omosessualità un tabù. I musulmani più giovani sono invece più aperti e soltanto il 29% condivide questa opinione. In generale, molti dei problemi vengono dalla famiglia. La nostra sfida più importante è convincere i genitori che non c’è nulla di male ad avere un figlio omosessuale.

Che valore ha avuto per te il matrimonio?

Nella tradizione islamica, il matrimonio è un contratto, una testimonianza di fedeltà di fronte alla comunità, non un sacramento. Per me e mio marito è stata una festa ed una promessa pubblica di amore. Ovviamente, per noi il matrimonio ha anche un valore religioso e perciò abbiamo voluto la presenza di un Imam alla cerimonia. Inoltre volevamo dare un segnale a tanti altri musulmani che sono discriminati a causa del loro orientamento sessuale e dimostrare che si può essere gay e praticare la propria fede.

http://mondo.panorama.it/tra-istanbul-e-il-cairo/matrimonio-gay-Imam-Ludovic-Mohamed-Zahed

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