Reichstag o Golfo del Tonchino? Tutti e due! (un ripassino sul futuro dell’Occidente)

police-state-swat-when-did-this-become-this

Tsarnaev incriminato per uso di armi distruzione di massa [pentole a pressione esplosive! Attenti quando cuocete i cavolfiori: potrebbe esserci un drone sopra caosa vostra]

Adnkronos

La cellula terroristica, secondo le fonti della polizia, “era supportata da Al Qaeda in Iran, ma non ci sono prove di un coinvolgimento di Teheran”. Obiettivo, un convoglio in partenza dal territorio canadese e diretto negli Stati Uniti

Repubblica 22 aprile 2013

[CASUALMENTE, proprio quando il primo ministro neocon canadese Harper cercava di accelerare la promulgazione di una contestatissima nuova legge anti-terrorismo che elimina il fondamentale diritto di rimanere in silenzio per non auto-incriminarsi]

Alti funzionari del governo hanno distorto i fatti e ingannato l’opinione pubblica americana circa gli eventi che hanno portato al pieno coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam.

Quei complottisti picchiatelli dell’Istituto Navale degli Stati Uniti, Accademia Navale di Annapolis

http://www.usni.org/magazines/navalhistory/2008-02/truth-about-tonkin

Pensate alle conseguenze di un altro massiccio attacco (terroristico) negli Stati Uniti – magari la detonazione di una bomba radiologica o sporca, oppure di una mini bomba atomica o un attacco chimico in una metropolitana. Uno qualunque di questi eventi provocherebbe morte, devastazione e panico su una scala tale che al confronto l’11 settembre apparirebbe come un timido preludio. Dopo un attacco del genere, una cappa di lutto, melanconia, rabbia e paura resterebbe sospesa sulle nostre vite per una generazione. Questo tipo di attacco è potenzialmente possibile. Le istruzioni per costruire queste armi finali si trovano su internet ed il materiale necessario per costruirle lo si può ottenere pagando il giusto prezzo. Le democrazie hanno bisogno del libero mercato per sopravvivere, ma un libero mercato in tutto e per tutto – uranio arricchito, ricino, antrace – comporterà la morte della democrazia. L’armageddon è diventato un affare privato e se non riusciamo a bloccare questi mercati, la fine del mondo sarà messa in vendita. L’11 settembre con tutto il suo orrore, rimane un attacco convenzionale. Abbiamo le migliori ragioni per avere paura del fuoco, la prossima volta. Una democrazia può consentire ai suoi governanti un errore fatale – che è quel che molti osservatori considerano sia stato l’11 settembre – ma gli Americani non perdoneranno un altro errore. Una serie di attacchi su vasta scala strapperebbe la trama della fiducia che ci lega a chi ci governa e distruggerebbe quella che abbiamo l’uno nell’altro. Una volta che le aree devastate fossero state isolate ed i corpi sepolti, potremmo trovarci, rapidamente, a vivere in uno stato di polizia in costante allerta, con frontiere sigillate, continue identificazioni e campi di detenzione permanente per dissidenti e stranieri. I nostri diritti costituzionali potrebbero sparire dalle nostre corti, la tortura potrebbe ricomparire nei nostri interrogatori. Il peggio è che il governo non dovrebbe imporre una tirannia su una popolazione intimidita. La domanderemmo per la nostra sicurezza. E se le istituzioni della nostra democrazia fossero incapaci di proteggerci dai nostri nemici, potremmo andare anche oltre e farci giustizia da soli. Abbiamo una tradizione di linciaggi in questa nazione e quando la paura e la paranoia ci saranno entrati nelle ossa, potremmo finire per ripetere i peggiori episodi del nostro passato, uccidendo i nostri vicini, i nostri amici.

Michael Ignatieff, New York Times Magazine, il 2 maggio 2004

Il massacro di Boston è la terza atrocità di massa in meno di 12 mesi (Colorado e Newtown sono state le prime due). Non sembrano esserci precedenti per una serie del genere, neppure negli Stati Uniti. Il cinico/scettico/pensatore non-ovino potrebbe avere il sospetto che ci si trovi di fronte ad un qualche tipo di condizionamento, sul modello della storicamente documentata “strategia della tensione”. Lo schieramento di quasi 10mila agenti paramilitari in un’area metropolitana (sebbene il sospetto si trovasse a oltre 10 km di distanza dal centro di Boston), in uno stato di legge marziale di fatto, è sicuramente senza precedenti.

Il caso più recente: un diciannovenne – se è veramente il colpevole – fa esplodere delle bombe in un luogo pubblico intensamente videosorvegliato, manda un tweet in cui dice a tutti di mettersi al sicuro, poi va in giro per la città, la sera va a una festa e gli amici lo vedono rilassato; non si procura soldi, non si preoccupa di avere una macchina pronta per la fuga,  non pensa minimamente al suicidio e non comunica alcun messaggio politico di alcun genere in nessuna forma. È incosciente di ciò che ha fatto.

Uno psicopatico non si comporterebbe così. Un fanatico non si comporterebbe così.

Lo schema è pressoché identico in tutti e tre gli episodi: tutti incensurati, non esiste una storia pregressa di violenza, non c’è indottrinamento ideologico che spinga alla violenza (persino nel caso di Tamerlan, non è provato che gli account fossero i suoi – ce ne sono tanti a suo nome, ma ad ogni modo il fratellino era un giovane amato da tutti che assisteva volontariamente i disabili), sono ragazzi di successo, molto stimati da amici ed insegnanti, sono impegnati nel volontariato, non hanno mostrato di aver accumulato risentimento verso la società o qualcuno in particolare. Il più “problematico” – Adam Lanza – era geniale, timido e introverso, ma non era infelice e né i genitori, né i parenti, né gli amici, né gli insegnanti avevano mai pensato che avesse bisogno di psicoterapia, anche perché non aveva mai creato alcun inconveniente.

Poi, ad un tratto, senza alcuna spiegazione, questi tre ragazzi si sono trasformati in zombie assassini con eccellenti capacità operative.

Questo è piuttosto il comportamento di qualcuno la cui mente è stata sdoppiata (personalità multiple) in un Dr. Jekyll ed in un Mr. Hyde con tecniche sviluppate a partire dalle pratiche e sperimentazioni illegali effettuate dalla CIA (dagli anni Cinquanta in poi) e documentate dalla stampa americana:

http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2005/06/15/AR2005061502685.html

http://www.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,2008962_2008964_2008992,00.html

http://www.examiner.com/article/secret-mind-control-program-project-mkultra

È probabilmente significativo che Dzhokar Tsarnaev fosse inquieto perché recentemente aveva avuto ben tre incubi in cui vedeva la popolazione americana “zombificarsi”, quasi che il suo inconscio lo stesse mettendo in guardia.

La programmazione sta funzionando a meraviglia: la popolazione è terrorizzata ed accoglie a braccia aperte, festante, la deriva autoritaria. Qualche altro eccidio e non resterà nessuno disposto ad opporsi a misure eccezionali:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/22/stati-uniti-di-polizia-la-fase-finale-della-guerra-al-terrore-e-cominciata/

Intanto l’FBI continuerà a collaborare con tutti i potenziali terroristi, come fa almeno dal primo attentato al World Trade Center, nel 1993 – ufficialmente per sventare i complotti ma, occasionalmente, se l’opinione pubblica necessita di una spintarella:

http://www.nytimes.com/2012/04/29/opinion/sunday/terrorist-plots-helped-along-by-the-fbi.html?pagewanted=all&_r=3&

http://www.nytimes.com/1993/10/31/nyregion/bomb-informer-s-tapes-give-rare-glimpse-of-fbi-dealings.html?pagewanted=all&src=pm

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/21/lfbi-organizza-e-sventa-la-maggior-parte-degli-attentati-terroristici-islamici-sul-suolo-americano-ricerca-della-ucla/

Tutti si aspettano che questo attentato darà il via ad una nuova ondata di misure di “sicurezza” (= liberticide).

Già ora la Bill of Rights (incluso il fondamentale habeas corpus) è interpretabile, non vale per cittadini americani all’estero e Obama ha solamente assicurato che la garantirà sul suolo americano (a sua discrezione). Non sappiamo se sia questa la sua intenzione e non sappiamo se chi verrà dopo di lui sarà così “auto-disciplinato”. Sappiamo che il ministro della Giustizia americano (Attorney General) rivendica con nonchalance il diritto di assassinare cittadini americani con i droni sul suolo americano (!!!)

http://www.huffingtonpost.com/2013/03/05/us-drone-strike_n_2813857.html

È antiamericano affermare che una tale rivendicazione è offensiva e preoccupante e rimanda la memoria all’arbitrio sulla vita e la morte dei cittadini caratteristico delle dittature anticomuniste e comuniste?

È antiamericano indignarsi (e preoccuparsi) alla notizia che tutte le comunicazioni saranno monitorate ed archiviate (Operazione Vento Stellare)

http://en.wikipedia.org/wiki/Stellar_Wind_%28code_name%29

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/21/utah-2013-dal-grande-fratello-allimmenso-fratello/

ed alla notizia che si applica la legge marziale a Boston e la gente festeggia nelle strade, senza capire le sue implicazioni?

La constatazione che l’America sta diventato uno stato di polizia orwelliano può essere rassicurante solo per gli stolti e gli ignoranti. Chiunque abbia anche solo un minimo senso della storia non può che sentirsi inquieto e minacciato, specialmente se vive in quella che è, a tutti gli effetti, una colonia degli Stati Uniti:

http://www.repubblica.it/esteri/2013/04/21/news/usa_11_miliardi_per_adeguare_le_atomiche_agli_f-35-57197605/?ref=HREC1-6

Molti sanno qual è la destinazione finale di tutto questo, ma troppi non hanno il coraggio di dire quello che pensano, purtroppo.

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Allegate potrete trovare le informazioni che avete richiesto riguardo alla politica ed alle linee guida dell’esercito in merito all’istituzione di un programma di lavoro carcerario per civili e di campi di prigionia civili in installazioni militari. Queste informazioni non sono ancora state pubblicate (sono in corso di stampa), comunque, questi programmi sono stati finanziati, hanno ottenuto l’assegnazione del relativo personale e riflettono l’attuale politica dell’esercito. Spero che troverete queste informazioni utili,

Cordiali saluti,

Sinceramente vostro

BILL HEFNER

Membro del Congresso

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/10/amerika/

DISOCCUPAZIONE IN AMERICA

La disoccupazione americana è molto più elevata delle statistiche ufficiali. Prova ne sia il fatto che la popolazione aumenta (+ 10 milioni tra il 2009 ed il 2013) mentre il numero di occupati resta pressoché invariato (147 milioni nel 2007 – 142 milioni nel 2009 – 142 milioni nel 2012 – 143 milioni nel 2013 e moltissimi sono precari ma vengono conteggiati come occupati):

http://www.bls.gov/home.htm

Il dato dei disoccupati e dei sotto-occupati si aggira verosimilmente intorno al 22%:

http://www.nypost.com/p/news/business/how_nation_true_jobless_rate_is_N4E6MjtfhnMcCi537pucaJ

http://www.shadowstats.com/alternate_data/unemployment-charts

http://www.usnews.com/opinion/mzuckerman/articles/2013/02/01/mort-zuckerman-how-we-can-end-our-modern-day-depression

il prossimo anno, grazie ai terribili tagli concordati con i repubblicani (75mila miliardi di dollari sottratti all’economia ed ai consumatori), le cose peggioreranno ulteriormente, i sussidi si esauriranno e ci saranno indubbiamente le prime rivolte. Ora sappiamo che aspetto avranno le città americane in cui i primi “scalmanati” protesteranno violentemente contro il disastro socio-economico causato dalle oligarchie finanziarie e da politici fin troppo accondiscendenti. Gli indignati nonviolenti del movimento Occupy Wall Street hanno già subito innumerevoli vessazioni. Ma questo è nulla rispetto a quel che attende i giovani americani (ed europei?) se sceglieranno la strada della violenza e non della politica attiva e del coinvolgimento dell’intera popolazione in proteste pacifiche e scioperi nazionali (insubordinazione di massa). 

gardenplot

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/garden-plot-e-rex-84-le-origini-del.html

POLITICA ESTERA

La strategia del “taglio netto” deve contemporaneamente “rendere sicuro il confine settentrionale” di Israele e “indirizzarsi ad una strategia classica di equilibrio di potenza”, ovviamente a vantaggio del Paese: per fare questo, Israele deve essere pronta non solo a colpire le infrastrutture siriane in Libano, ma affermare il concetto che il territorio siriano non è inviolabile e, ove le azioni dirette in Libano non bastino, “colpire obiettivi selezionati nella Siria stessa”. Per quanto riguarda il perseguimento di un equilibrio fondato sulla potenza, il documento ipotizza la creazione di un “asse naturale” strategico fra Turchia, Israele, Giordania e Iraq centrale, che ridisegni la mappa del Medio Oriente a scapito della Siria. Per fare ciò, fra le varie cose da fare, si legge che sarà utile “distogliere l’attenzione della Siria usando elementi dell’opposizione libanese per destabilizzare il controllo siriano del Libano”.

http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=173&tema=Divulgazione

«La Siria sfida Israele sul suolo libanese. Un approccio efficace, con cui gli americani potrebbero simpatizzare, prevede che Israele acquisisca l’iniziativa strategica lungo i suoi confini settentrionali impegnando Hezbollah, Siria e Iran»

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/24/il-principe-delle-tenebre-spiega-gaza-e-solo-laperitivo/

Quel che Israele fa nel Medio Oriente, gli Stati Uniti+NATO lo stanno facendo su scala mondiale. L’unico problema è che gli obiettivi della piccola potenza non coincidono più con quelli della grande potenza e le divergenze tra bulli difficilmente si risolvono a vantaggio del bullo più piccolo.

 

POLITICI AMERICANI CHE NON CREDONO PIÙ ALLA VERSIONE UFFICIALE DELL’11 SETTEMBRE

Sono i presidenti della Commissione 911, un ex capo dell’antiterrorismo statunitense, il consigliere-capo della commissione 911, il presidente dell’inchiesta ufficiale del Congresso sull’11 settembre, nonché una pletora di agenti, non solo dell’FBI, citati da Richard Clarke.

Richard Clarke, l’ex zar dell’antiterrorismo americano, ha ammesso che i terroristi dell’11 settembre sono stati aiutati da elementi deviati del governo americano e da alcune figure dell’establishment saudita e ha fatto i nomi:

http://www.youtube.com/watch?v=bl6w1YaZdf8&lr=1

Qui una sintesi dell’evidenza raccolta dalle inchieste del Congresso americano che rafforzano la versione dei fatti di Clarke (sono tutti atti ufficiali riportati dalla stampa)

http://www.historycommons.org/timeline.jsp?timeline=complete_911_timeline&investigations:_a_detailed_look=911CongressionalInquiry

Il senatore Bob Graham pretende che si riapra l’inchiesta per stabilire il livello di complicità saudita e del governo americano:

http://www.huffingtonpost.com/bob-graham/911-saudi-arabia_b_1868863.html

Membri della Commissione sull’11-9 hanno notato che, “ il sospetto di cattivo comportamento [del Pentagono] divenne così profondo tra i 10 membri della Commissione che, in un incontro segreto alla fine del suo mandato nell’estate 2004, si discusse se riferire della questione al Dipartimento di Giustizia per un’indagine criminale” [17]. Il senatore Mark Dayton ha affermato che gli ufficiali del NORAD “ hanno mentito al popolo americano, hanno mentito al Congresso e hanno mentito alla vostra Commissione sull’11-9 in modo da creare una falsa impressione di competenza, comunicazione e protezione del popolo americano” [18].

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=4139

Per chi ha veramente voglia di informarsi:

http://www.amazon.com/Intelligence-Matters-Arabia-Failure-Americas/dp/0700616268

http://www.amazon.com/Disconnecting-Dots-How-Allowed-Happen/dp/0984185852

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New Orleans

LA TRAGICA FINE DEGLI INTELLETTUALI PROGRESSISTI

Quando il capitalismo entra nella sua fase degenerativa (neoliberista), comincia a cannibalizzare (letteralmente) la popolazione intraprendendo iniziative militari sempre più spericolate e sconsiderate. Il budget viene affondato da un eccesso di spese militari, sprechi clientelari (incluso l’acquisto di titoli privi di valore per salvare banche zombie) e da entrate in continuo calo, a causa di un’economia che opera molto al di sotto del suo potenziale. Per allineare i bilanci, i governi tagliano il welfare invece di cercare di recuperare i soldi sottratti all’economia dal sistema finanziario (Tobin Tax + abolizione dei paradisi fiscali, anche con la forza se necessario). Si innesca un circolo vizioso che comporta un vero e proprio omicidio di massa (suicidi, malnutrizione, incidenti dovuti a stress ed indebolimento, aumento del tasso di violenza). Queste sono politiche economiche smaccatamente fasciste e sono il preludio al fascismo vero e proprio, che non tarderà a manifestarsi in tutta la sua virulenza. Manca solo un incendio del Reichstag. Arriverà. Come i socialdemocratici tedeschi dell’epoca di Weimar, i progressisti americani stanno adottando misure repressive che torneranno molto utili al prossimo governo autoritario, democraticamente eletto. Non ci sarà da sorprendersi se molti intellettuali progressisti che hanno celebrato le due amministrazioni Obama faranno una brutta fine, come spesso accade agli utili idioti (es. socialdemocratici dopo l’avvento di Hitler).

theClassroom1

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/12/heliofant-i-pet-goat-ii-il-nostro-futuro/

Apocalisse = Rivelazione – per chi ha avuto o avrà esperienze che non sa spiegare

Jacob-Needleman

esperienze come queste, ad esempio:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/di-che-vita-parlava-gesu-della-vita-della-morte-e-delle-esperienze-extracorporee/

Jacob Needleman intervistato da Richard Whittaker, Parabola, Autunno 2012

Jacob Needleman ha abbandonato una carriera in medicina per dedicarsi alla filosofia, studiando ad Harvard e Yale, per poi insegnare alla SFSU.

Richard Whittaker: Ho pensato che, visto che lei insegna filosofia, potrei chiederle di parlare un po’ dell’ignoto nella tradizione filosofica occidentale.

Jacob Needleman:…Quando sento la frase “l’ignoto” penso prima di tutto ad Immanuel Kant, forse il più grande filosofo moderno. Ha definito qualcosa di essenziale per la modernità del mondo occidentale attraverso un libro straordinario chiamato “La Critica della Ragion Pura”. Si tratta di un vasto e complesso capolavoro, è come camminare in una grande cattedrale per l’immensità e la profondità di pensiero e di comprensione in esso contenute. Per dirla in breve, ha sostenuto con insuperabile forza di persuasione che la struttura della mente plasma la nostra realtà, che ci sono categorie con cui opera la mente, organizzando i dati che ci provengono dai nostri sensi.

Organizza tutti i dati automaticamente al di sotto del livello cosciente in modo che nel momento in cui otteniamo una percezione del fiore o del tal oggetto, essa è già stato ordinata dalle categorie attraverso le quali opera la mente. Tutta la nostra esperienza prende forma passando attraverso queste funzioni plasmanti. Quindi non possiamo veramente mai sapere come sono le cose indipendentemente dalla nostra percezione di esse….Qualunque sia il grado di certezza sul mondo che ci sembra di avere – come ad esempio la legge di causalità – è semplicemente una certezza che la mente sovrappone irresistibilmente alla nostra percezione…Per molte persone è stata e rimane ancora una presa di coscienza (!) sconvolgente pensare che l’umanità non avrà mai la possibilità di conoscere la realtà così com’è.

[…].

Mi sono reso conto che avevo una specifica capacità della mente, la capacità di ritrarre la mia attenzione da tutto ciò che si trova all’esterno, al di fuori di “Io”, rivolgendola verso me stesso.

Ora, ho trascorso molto tempo a contatto con grandi insegnamenti spirituali, come i sermoni di Meister Eckhart, la Bhagavad Gita e molte altre fonti. A un certo punto, e in alcuni contesti, quasi tutti parlano dell’opera di distogliere l’attenzione da quelli che Eckhart chiama “gli agenti dell’anima”, dai dati che ci portano i sensi, i pensieri, per rifocalizzarla su se stessi.

[…]
È stata un’esperienza di estremo interesse. Potevo separarmi – in maniera molto sana – dall’esperienza di essere preso, ingoiato dai pensieri, dalle immagini emotive e dal mondo esterno. Ciò ha avuto una grande influenza su di me. Non c’era alcun senso di alienazione dalla natura o dalla vita intorno a me, ma solo la sensazione di una nuova capacità mentale, personale, che non sapevo di avere.

[…]

Penso che Cartesio sia stato demonizzato per questo, perché ha fatto una distinzione radicale tra mente e materia, queste due realtà fondamentali che, a suo dire, non hanno nulla in comune l’una con l’altra. E questo ha generato un paradosso. Come interagiscono tra loro, visto che ovviamente lo fanno
ogni volta che ci muoviamo intenzionalmente? Un paradosso che è rimasto con noi.

[…]

RW: Socrate è questa figura basilare grazie a Platone. Da dove spunta fuori? Dove ha trovato la sua conoscenza? So che è una domanda che non trova risposte definitive, ma resta una domanda interessante, non è vero?

JN: Dobbiamo riconoscere di Socrate, prima di tutto, che tutto quello che sappiamo di lui e della sua grandezza è qualcosa che si è svolto in forma di dialogo con altre persone. Era un maestro nel mostrare alle persone che non sapevano quello che credevano di sapere. Era un maestro nel togliere alle persone le loro certezze, in particolare nelle questioni morali, ma anche più in generale. Questo modo di interrogare, in un faccia a faccia, era un aspetto fondamentale di Socrate, e Platone ha colto un suo tratto, ma forse non l’intera cosa. Un altro scrittore greco, Senofonte, ha scritto dei suoi incontri con Socrate e di un altro aspetto della forza di Socrate come persona: indagava e sapeva ascoltare.

[…]

Ed è questa la liberazione che ci dona. Approfondire realmente una questione ci mette in contatto con un’altra parte di noi stessi che le nostre “risposte” normalmente occultano; questa è la libertà dal noto di cui parlano Krishnamurti ed anche altri. La grande risposta è avvertita come una domanda, quando è un maestro che ve la offre. Il noto può essere uno schiavista.

L’altra cosa principale di Socrate è che lui invitava ogni persona a conoscere se stessa – a prendersi cura di ciò che egli chiamava l’anima, prendersi cura del vero sé. Il primo obiettivo di chiunque avrebbe dovuto essere quello di essere solleciti nei confronti dell’anima. Tutto il resto ci porta fuori strada…Prenditi cura del tuo vero sé, della tua vera coscienza e spogliati delle cose che pensavi di conoscere, non solo riguardo al mondo, ma su di te. Queste due cose vanno di pari passo.

RW: Quindi, questa idea di conoscere me stesso – che cosa significa? Chiaramente, l’implicazione è che io non mi conosco.

JN: La grande incognita sono io, me stesso. Possiamo parlare quanto vogliamo di Kant e della Critica della ragion pura e di come non conosciamo le cose in sé, ma questa è la grande incognita: me stesso. […]. Ha a che fare con la coscienza. Ed è una grande incognita, questa cosa chiamata coscienza. Noi non sappiamo cosa sia la coscienza. Questo è incredibile! Non so cosa sia la coscienza, ma sono sicuro di essere consapevole! La mente, i pensieri, le categorie, le parole che riguardano ogni tipo di conoscenza specificamente umana e l’azione…Una delle grandi questioni della filosofia è come facciamo a sapere? Ma questa classica domanda filosofica è in realtà una domanda inerente alla coscienza. La coscienza è l’uomo [sta parlando dei più elevati stati di coscienza: cani e gatti sono spesso più consapevoli degli scimpanzé non in cattività, pur essendo geneticamente più distanti dall’uomo, in virtù della loro frequentazione dell’ambito umano, NdT]. Questa è la sua specificità. Quindi penso che l’idea della mente, la conoscenza, la certezza, l’ignoto, abbiano a che fare prima di tutto con la coscienza.

RW: È bellissimo. A volte mi stupisce che non si riconosca il fatto che ogni cosa esiste, prima di tutto, come esperienza.

[Questo è esattamente il punto che hanno cercato in ogni modo di farci capire i fisici quantistici, con scarso successo, purtroppo:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/fisica-quantistica-e-trascendenza.html – NdT]

JN: È sorprendente che questo non sia in cima ai nostri pensieri. Il mio “essere io” [“Iness”] si perde nella mia vita. Potrei trascorrere un intero mese, un anno, una vita intera, senza rendermi conto della mia esperienza dell’esistenza. La coscienza sono io in un senso profondo della parola. Io non sono le braccia e le gambe, il mio naso, le mie opinioni. Non sono le mie parole, i miei pensieri, le mie sensazioni. Io non sono i miei organi. Io sono un essere umano. Un essere umano è definito dalla coscienza.

[…].

Nelle neuroscienze ora è quasi di moda affermare che si possono cominciare a vedere molte cose all’interno del cervello. È notevole, ma ancora non hanno spiegato l’esperienza della coscienza. Si può dire tutto quello si vuole sui neurotrasmettitori e tutto il resto, ma come si dà conto della qualità esperienziale della coscienza, anche a suoi livelli più semplici, come l’esperienza, per esempio, di vedere un colore rosso, o blu, o qualunque altro colore?

[…]

RW: Parliamo di comunità. La comunità ed una sua possibile funzione, quella di avere una cosa di cui ho bisogno ma non conosco e manco me ne rendo conto. Questa è una realtà importante.

JN: Certo che lo è…Ma troppe comunità sono semplicemente punti di incontro di similarità e diventano un po’ come una folla. Una massa è una comunità di persone che hanno tutte la stessa illusione, la stessa paura. E c’è l’inflazione dell’ego anche lì [cf. Jung, ma anche “la rana e il bue” di Fedro – NdT].

http://www.lefiabe.com/fedro/larana-ilbue.htm

Quindi, una comunità che non abbraccia l’altro non è una comunità.

RW: Una vera comunità potrebbe abbracciare l’altro e diventare migliore nel farlo, giusto?

JN: Sì. E ci sono molti livelli in questo processo. Penso che la grandezza dell’America sia quella di rendere ancora possibili le comunità. È una qualità molto grande per una nazione quella di tutelare la libertà delle persone di costituire comunità spirituali, altri tipi di comunità. La speranza è che l’America permetta alle persone di cercare coscienza. Questo è il suo grande ideale. Il pericolo è che se lo perdiamo, allora l’America diventerà solamente un altro grosso e potente dinosauro che scomparirà.

RW: C’è un articolo di Philippe Lavastine intitolato “I due Vedanta: Il meglio e il peggio dell’India”. È notevole. Scrive che qualcosa è andato storto nell’Induismo forse alcune centinaia di anni fa. Prima la ricerca della liberazione era fatta nel contesto della comunità, assieme agli altri. Ma qualcuno ha introdotto l’idea di singoli che perseguono la loro via per conto loro. È diventato un qualcosa di individualistico.

JN: Sta parlando di come la liberazione di sé sia diventato l’obiettivo principale, piuttosto che l’integrazione della vita interiore e delle esigenze della comunità. È un articolo molto potente [sono d’accordo ma occorre fare comunità in modo intelligente, con senso critico: Lavastine, 30 anni prima nella Francia di Vichy collaborò entusiasticamente con le politiche culturali degli occupanti nazisti, NdT].

[…].

Può sembrare assurdo dire che la scienza non funziona. Sembra funzionare in maniera fantastica. Guardate tutto quello che fa. Ma un qualcosa che non serve a portare l’amore, la bellezza, il porsi al servizio del prossimo è, nel migliore dei casi solo una mezza verità in un senso profondo, e non è davvero pragmatico.

[…].

Abbiamo bisogno di un linguaggio basato sull’esperienza, su ciò che vorrei chiamare un empirismo interiore. La scienza si basa su un empirismo esterno. Ma c’è anche un empirismo interiore che ci mostra la verità su noi stessi. E quando questo è risvegliato, inizia a mostrare anche la verità del mondo. Allora gli strumenti impiegati dalla scienza cominciano a servire scopi di altro genere [più nobili, NdT].

[…].

Rivelazione [“apocalisse”, NdT] è un altro termine per quella coscienza superiore che incontra gli strumenti di cui ci ha dotato l’evoluzione o qualcos’altro, e li umanizza e divinizza trasformandoli in qualcosa di straordinario. Quindi c’è un significato dell’interiorità che non è affatto quello comune. Non è solo l’insieme dei miei pensieri, dei miei sentimenti, è un energia di una qualità molto elevata e sottile che quando entra in contatto con gli strumenti del sé, li divinizza. Si pongono spontaneamente al servizio di una causa. In questo senso, la pratica spirituale è una forma di empirismo interiore. Quindi è corretto definirla una scienza, la scienza della vita interiore.

[…].

La questione legata a questi doni e poteri speciali è a cosa ci servono, che uso ne vogliamo fare, se li abbiamo? Le persone con questa sensibilità hanno uno scopo che è onorevole e corrisponde a ciò che è meglio per il mondo? Quindi è una specie di intelligenza del cuore quella su cui dobbiamo lavorare molto sul serio, perché ci sono questi poteri, ci sono queste cose che accadono. Non c’è proprio nessun dubbio su questo.

Se uno non ha mai provato quell’esperienza, naturalmente, è libero di essere un cinico. È qui che diventano fondamentali le grandi idee, la grande filosofia, la grande musica, la grande arte: per ricordarci chi siamo.

Ci sono tante idee tossiche, tanta arte tossica, tante cose che ci fanno dimenticare quel che dobbiamo ricordare.

[In “La Città Incantata” di Hayao Miyazaki, Chihiro accetta il cambiamento di nome e l’oppressione della strega Yu-Baaba, si dimentica della sua missione, del suo vero nome, della sua vera identità, della sua origine. Solo quando un biglietto le ricorda che il suo vero nome è Chihiro e non Sen, tutto riaffiora alla memoria, assieme al coraggio ed al senso di responsabilità e dedizione alla causa. Così può salvare i suoi genitori immemori e tornare con loro in “Kansas” (cf. Il Meraviglioso Mago di Oz), NdT]

C’è un blocco nella cultura contemporanea. Non importa quali fenomeni avvengano, si cerca di spiegarli tutti riducendoli a qualcosa di inferiore rispetto a quello che sono.

[…].
Al giorno d’oggi, giovani e adulti, quando fanno esperienza di quest’altra energia, un evento che si verifica anche accidentalmente, non sanno come chiamarlo. Non ne conoscono il significato. Non si rendono conto che la loro vera natura li sta chiamando e che è questo il loro destino.

http://www.jacobneedleman.com/storage/pdf/J-Needleman_w-Whitaker_Parabola_Fall_2012.pdf

E se Gesù fosse veramente “risorto”? (Nagel contro il riduzionismo materialista)

TWScover

Thomas Nagel, uno dei massimi filosofi viventi, è ateo e ha dichiarato: “Voglio che l’ateismo sia vero e sono a disagio per il fatto che alcune delle persone più intelligenti e ben informate che conosco siano credenti. Non è solo che io non credo in Dio e, naturalmente, spero che le mie convinzioni siano corrette, è che mi auguro che Dio non esista. Non voglio che ci sia un Dio! Non voglio che l’universo sia fatto così [teleologico]”.

http://www.weeklystandard.com/articles/heretic_707692.html?nopager=1

TUTTAVIA…

Thomas Nagel conclude così i ringraziamenti in apertura del suo ultimo libro, “Mind and Cosmos: why the materialist neo-darwinian conception of nature is almost certainly false”: “Alla luce dell’eterodossia delle conclusioni, spero che questi ringraziamenti non siano presi come un’offesa”.

Il professore della New York University, tempio della cultura liberal e secolarizzata, ha sfidato frontalmente il pensiero dominante in ambito scientifico e filosofico. Nell’area delle credenze private tutto è concesso, “ma fra gli scienziati e i filosofi che si esprimono sull’ordine naturale come tale, il riduzionismo materialista è postulato come l’unica possibilità seria”. Ogni paradigma alternativo è un residuo della doxa o oppio per gli scienziati premoderni che vedono una tendenza verso l’ordine dove c’è soltanto scontro casuale di particelle senza qualità e selezione naturale; invocano una mente che avrebbe apparecchiato un cosmo intelligibile quando invece c’è soltanto una catena fortuita di eventi spiegabile senza uscire dall’ambito delle leggi fisiche. “Il riduzionismo psico-chimico è la visione ortodossa in biologia e ogni resistenza è considerata non soltanto come scientificamente scorretta, ma anche come politicamente scorretta. Per molto tempo ho trovato difficile da credere la versione materialista su come noi e gli altri organismi siamo arrivati all’esistenza, inclusa la versione standard dell’evoluzionismo. Più dettagli scopriamo sulla base chimica della vita e sulla complessità del codice genetico, più questa versione storica mi sembra incredibile”. Ancora: “Mi sembra che la presente ortodossia sull’ordine cosmico sia l’esito di premesse non dimostrate”.

[…].

Nagel anticipa le reazioni piccate che puntualmente sono arrivate: “I miei dubbi saranno considerati da molti oltraggiosi, ma questo succederà perché quasi tutti nella nostra cultura secolare sono stati costretti a considerare i dettami del riduzionismo come sacrosanti, sulla base del fatto che qualunque altra cosa non può essere considerata scienza”.

L’aggravante è che Nagel è un disertore. Un apostata dell’ateismo scientista. Era sul carro che portava gli eredi di chi ha vinto la guerra della modernità e improvvisamente è saltato giù. In “The Last Word” ha difeso con passione il proprio ateismo: “Voglio che il mio ateismo sia vero. Non voglio che ci sia un Dio”.

In “Mind and Cosmos” spiega che il suo scetticismo radicale attorno a quel materialismo che è la calce dell’edificio evoluzionista “non è basato su un credo religioso, o su un credo in qualunque alternativa definita. Credo soltanto che le evidenze scientifiche disponibili, malgrado il consenso delle opinioni scientifiche, in questa materia non ci impongano razionalmente di obliterare l’incredulità del senso comune. E questo è specialmente vero rispetto all’origine della vita”.

La forza che muove l’indagine di Nagel è il vecchio ideale filosofico di trovare “un singolo ordine naturale che unifica tutte le cose”, le montagne e l’origine della vita, i neuroni e la coscienza; quanto più il filosofo prende sul serio l’aspirazione verso il principio fondante, tanto più il dualismo cartesiano e il materialismo o l’idealismo mostrano i loro limiti. Con una differenza: Cartesio aveva in sostanza rinunciato alla ricerca di un ordine naturale unificante, mentre per poter offrire un modello credibile il materialismo ha dovuto “escludere la mente dal mondo fisico”: per sostenersi ha dovuto cioè restringere radicalmente il campo della sua indagine, accontentandosi di una “comprensione quantitativa del mondo, espressa in leggi fisiche formulate in modo matematico”. La fortuna della scienza galileiana e dell’evoluzionismo darwiniano è stata l’efficacia.

La riduzione materialista scompone i fenomeni e li analizza, spiega la biologia con la chimica e la chimica con la fisica, e il linguaggio matematico che unisce le scienze prevede e seziona l’esistente, ma soltanto a condizione di limitarsi a un “universo senza mente”.

Per non rovinare i calcoli la coscienza deve essere tenuta fuori dalla porta. Il governo americano difficilmente investirebbe 3 miliardi di dollari in uno studio su un paradigma epistemologico comprensivo per colmare le falle di Darwin e riconciliare il materialismo e l’emergere irriducibile e misterioso della coscienza, ma orgogliosamente spende 3 miliardi di dollari per mappare il cervello e “sbloccare il segreto dell’Alzheimer”, come ha detto il presidente Obama. L’indagine della scienza moderna produce risultati apprezzabili in termini materiali.

[…]

La risposta divina, dice, è oscura e si sottrae all’ambito naturale, ma prende sul serio la natura dell’universo più di quanto faccia il materialismo. “Qualunque cosa si pensi circa la possibilità di un ‘designer’, la dottrina prevalente, cioè che la nascita della vita dalla materia morta e la sua evoluzione attraverso i mutamenti accidentali e la selezione naturale fino alla sua forma attuale non sia scaturita da altro che dalle leggi fisiche, non può essere considerata inattaccabile. È un postulato che guida il progetto scientifico, non un’ipotesi scientifica confermata”.

Al filosofo americano nato a Belgrado la spiegazione in senso squisitamente materialista dell’universo è apparsa come una coperta troppo corta, una lente che mette a fuoco soltanto il primo piano e non coglie lo sfondo, almeno dai tempi di “Cosa si prova a essere un pipistrello?”, un classico della filosofia della mente apparso nel 1974.

Le leggi fisiche, chimiche e biologiche, sosteneva allora Nagel, non riescono a spiegare adeguatamente la coscienza, non esauriscono quella che lui chiama “esperienza soggettiva”. Carpire e tradurre in linguaggio matematico i processi attraverso cui il pipistrello esperisce il suo ambiente, conoscere in modo esaustivo la corteccia cerebrale e la catena di reazioni chimiche che ne determinano il funzionamento non ci dice nulla su cosa effettivamente si provi a essere un pipistrello. La coscienza cade fuori dalla portata dell’indagine materialista e, in mancanza di strumenti adeguati per esplorarla, viene bollata come un accidente, pura apparizione casuale che disturba l’irreprensibile concatenazione causale. Un mero “effetto collaterale” delle leggi fisiche. Notare: Nagel non sostiene che la mente e il suo “supporto” fisico siano distinti, non concepisce una coscienza instillata nell’uomo con un soffio divino e disgiunta dai neuroni e dalle sinapsi che la neuropsichiatria studia con zelo positivistico. Non rifiuta il naturalismo, rifiuta una concezione ridotta del naturalismo. E allo stesso modo non rifiuta la teoria dell’evoluzione, rifiuta il modello materialistico che quella teoria dell’evoluzione ha elevato a strumento inadeguatamente univoco per la comprensione della complessità dei fenomeni.

Proprio per questo il filosofo percepisce la bruciante necessità di una rifondazione della scienza. E’ qui che si squaderna la “open question” di Nagel, quella che ha fatto schiumare di rabbia i tedofori della scienza pura e “mindless” che si sono scandalosamente ritrovati sul banco degli imputati con l’accusa di aver adulterato la ragione, di averla ridotta con il pretesto di liberarla dai lacci di una teleologia superstiziosa e irriducibile alla pura fisica. Quella stessa ragione in nome della quale si sono battuti – e in nome della quale hanno vinto, almeno a livello dell’establishment accademico – per frantumare i detriti dell’oscurantismo portati dal fiume della storia. La domanda di Nagel suona così: quale principio unitario può spiegare l’esistenza della vita, degli organismi, dell’uomo, la sua evoluzione, la comparsa della mente, i desideri, i valori, l’intenzione senza uscire dall’ambito della natura e senza ridursi all’ambito della materia? Nagel non offre una risposta cartesianamente chiara e distinta – anche se gli argomenti teleologici abbondano e si trovano più somiglianze con l’impianto aristotelico-scolastico di quante l’autore sia disposto ad ammettere – ma il valore dirompente (e la vis polemica) del suo “Mind and Cosmos” è nella preparazione del terreno, nel raffinamento della domanda e nella scelta degli strumenti. “Se la biologia evoluzionista – scrive Nagel – è una teoria fisica, come è generalmente concepita, allora non può considerare la coscienza e altri fenomeni che non sono riducibili all’ambito fisico. Dunque se la mente è il prodotto dell’evoluzione biologica – se gli organismi con una vita mentale non sono miracolose anomalie ma una parte integrante della natura – allora la biologia non può essere una scienza puramente fisica. Si apre la possibilità di una concezione pervasiva dell’ordine naturale molto diversa dal materialismo, una concezione che mette al centro la mente, invece di considerarla soltanto un effetto collaterale delle leggi fisiche”. La visione materialista si incaglia sugli scogli della coscienza e per riprendere a navigare serenamente la deve “accidentalizzarla”: è solo un incidente di percorso.

[…].

“Mind and Cosmos” non è un trattato creazionista, ma una ricerca di quello che Tom Sorell chiama “monismo neutrale”, un principio per rendere ragione della natura che detronizzi le premesse riduzioniste dell’evoluzionismo riportandole al livello che compete loro. Paradossalmente il testo di Nagel può rendere a Darwin un servizio enormemente più valido di quello che offerto dai suoi più invasati seguaci, incastonando il darwinismo nell’ambito d’indagine che gli è proprio. “Mind and Cosmos” si conclude con una profezia ambiziosa almeno quanto la confutazione dalla quale muove il ragionamento: “Scommetto che l’attuale consenso scientifico nel giro di un paio di generazioni sarà considerato ridicolo. Anche se, certamente, potrebbe essere rimpiazzato da un nuovo consenso altrettanto debole”.

Quello di Nagel è un invito ad allargare la ragione per inquadrare in tutto il suo abbacinante splendore un cosmo irriducibile al paradigma della scienza galileiana; e contemporaneamente è un atto rivoluzionario in un’epoca dominata dai dati e dagli algoritmi, idoli della postmodernità cresciuti nel solco di un conformismo scientifico che Nagel non teme di rovesciare.

Mattia Ferraresi

http://www.ilfoglio.it/soloqui/17134

Simboli e maschere del potere, simboli di resistenza ed emancipazione

 

 

 

Attraversando il segno simbolico, si dischiude una dimensione supra-sensibile e supra-razionale dove gli esseri umani incontrano un mondo che è per loro realtà, come il divino e il diabolico, l’infinitamente grande o l’infinitamente piccolo, l’infinitamente alto o l’infinitamente profondo, la giustizia e l’ingiustizia, l’ordine e il caos, il potere e l’arbitrio, l’amore e l’odio, l’unione e la divisione, il puro e l’impuro, la riscossa e la rassegnazione, la pace e la guerra: realtà anch’essere, per chi le percepisce, le desidera o le teme, pur se appartenenti ad un altro “ordine di realtà” rispetto a quelle empiriche e razionali

Gustavo Zagrebelsky, “Simboli al potere”

Nelle democrazie ci sono molti che vorrebbero vedere il sopravvento di un mito chiuso. Alcuni sono isterici, come i membri della John Birch Society che vorrebbero imporre a tutti il loro mito della “way of life” americana, o come il querulo teutonismo che una generazione fa accolse con entusiasmo la formulazione della mitologia chiusa nazista del “Mito del ventesimo secolo” di Alfred Rosenberg….Poi ci sono gli intellettuali nostalgici, generalmente con forti tendenze religiose, che sono abbagliati dall’unità delle cultura medievale e vorrebbero assistere a una sorta di “ritorno” ad essa. Poi vengono le persone che sarebbero ben felici di far parte di quella sorta di élite che un mito chiuso produrrebbe. E ancora, ci sono gli individui che credono sinceramente nella democrazia e sono dell’opinione che la democrazia sia svantaggiata dal fatto di non avere un programma chiaro e indiscusso delle proprie credenze. Ma la democrazia difficilmente funziona come un mito chiuso…Una mitologia aperta non può avere un canone.

Northrop Frye, “Cultura e miti del nostro tempo”

Il grande antropologo statunitense Eric R. Wolf (1923 – 1999) esortava i colleghi ad “esplorare il nesso tra idee e potere”, ad esaminare il modo in cui “le idee divengono monopolio dei gruppi di potere” e come “le vecchie idee sono riformulate alla luce della diversità di contesto, mentre le nuove idee sono presentate come verità ancestrali”. Per capire la storia ed il presente di una società, bisogna prima di tutto comprendere le conseguenze dell’esercizio del potere ed analizzare l’intersezione di cultura e potere nella storia del presente.

C’è un’antropologia superficiale, postmodernista e patinata, à la Clifford Geertz, che studia la società balinese e si “dimentica” di menzionare la dittatura di Suharto. Poi c’è un’antropologia più profonda che non si riduce a contemplare estaticamente, astrattamente ed imperturbabilmente il caleidoscopio culturale, ma cerca spiegazioni concrete. Ogni simbolismo può nascondere, e spesso nasconde, una relazione di potere, ossia una sperequazione nella distribuzione del potere. La cultura ufficiale è anche una strategia per la preservazione dell’ordine costituito, ossia di una struttura di potere. Insomma, ogni cultura è un’ideologia ed un insieme di relazioni dialettiche di potere in un dato momento ed in un determinato luogo e la società non è quasi mai lo specchio di una cultura, ma solo l’espressione di una dimensione di quella cultura che fa comodo a chi detiene il potere. Si inventa o si ingigantisce una specificità antropologica che puntella lo status quo e la si trasforma nella chiave di lettura di un certo popolo. Il mascheramento del potere dietro una cortina fumogena di tradizioni inventate è una delle piaghe della società umana da quando esistono le organizzazioni complesse (Wolf, 1974; Wolf, 1999; Wolf/Silverman 1999).

La verità è, invece, che nessuna persona può entrare due volte nello stesso fiume. Nazioni e culture sono in costante flusso, non esistono e non sono mai esistiti sistemi isolati, puri, autentici, ecc. Il futuro è aperto, il passato è una costruzione, il presente è una convenzione. L’unica costante nella storia delle società umane è il rapporto di potere: al mondo ci saranno sempre persone che hanno più potere di altre. Questi rapporti di potere acquistano una forma simbolica, perché gli Homo Sapiens sono l’unico ominide pienamente simbolico, anzi impregnato di simbolismi, incapace di esistere senza il pensiero simbolico e, allo stesso tempo, rivelano un decisivo quanto misterioso legame tra capacità simbolica e quello che è il fondamento della condotta morale, ossia l’empatia (Tattersall, 2012). Ogni essere vivente è unico e prezioso ma, come osservava il celebre genetista e biologo evolutivo Theodosius Dobzhansky, con un riuscito gioco di parole, “ogni specie vivente è unica, ma la specie umana è la più unica”. E ciò che ci rende più unici degli altri è la nostra capacità di rimodellare il mondo nella nostra mente. Possiamo immaginare mondi nuovi, inesistenti, dissolvere la realtà in vocaboli e simboli e ricombinarla in nuove fogge. Non sappiamo come e perché abbiamo acquisito questa capacità, ma il risultato è che non v’è alcuna natura umana al di fuori della cultura. Nel suo percorso evolutivo la nostra specie ha completato una transizione essenziale, dal corpo alla mente: le prodezze della nostra mente trascendono largamente il nostro DNA e, in parte, la nostra corporeità. Esistono certamente numerosi istinti innati, ma la nostra specie, unica fra tutte, non deve per forza sottostarvi.La fisicità ci è di ostacolo, viviamo in un corpo e questo corpo plasma e limita la nostra comprensione della realtà, ma possiamo impiegare metafore ed archetipi che ricapitolano universi di significato troppo estesi per essere metabolizzati dalle nostre menti.

Come le api sono nate per fare il miele ed i castori per costruire dighe, gli esseri umani sono nati per trasmutare simbolicamente tutto ciò che li circonda, dalla carità spontanea del Buon Samaritano ai raduni di massa dei totalitarismi. Sono fatti per attingere al sublime, ma anche per cadere nella trappola dei miti politicizzati (Fait/Fattor 2010). È quello che sta accadendo a tutti noi, negli attuali frangenti, ed è bene che ci rendiamo tutti conto di quale sia la posta in gioco e che occorre rimboccarsi le maniche per costruire al più presto un’alternativa sostenibile ed umana. Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012, pp. 89-90) riesce, in poche righe, a definire con estrema precisione la questione centrale del nostro tempo, delle nostre esistenze, ma anche la direzione che dovremmo prendere (ma si veda anche la missione emancipatrice di Parnassus e la sua interpretazione simbolico-esoterica):

“Noi non sappiamo se la crisi attuale sia una di quelle cicliche che investono il mondo capitalistico, oppure se sia qualcosa di completamente nuovo, come nuove saranno le uscite. In ogni caso, ne constatiamo già gli effetti, più o meno evidenti, nella vita delle nazioni, i cui governi, da rappresentanti delle istanze popolari, decadono a strumenti amministrativi dell’ordine dell’economia finanziaria mondiale. Alla cementificazione del pensiero, all’espulsione delle alternative dal campo delle possibilità, all’omologazione delle aspirazioni, alla diffusione di modelli pervasivi di comportamento, di stili di vita e di status e sex symbol nelle società del nostro tempo, lavorano centri di ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie, think-tanks, uffici di marketing politico e commerciale, in cui vivono e operano intellettuali e opinionisti che sono in realtà consulenti e propagandisti, consapevoli o inconsapevoli, ai quali la visibilità e il successo sono assicurati in misura proporzionale alla consonanza ideologica. La loro influenza sul pubblico è poi garantita dall’accesso a strumenti di diffusione capillari e altamente omologanti. Non è forse lì che, prima di tutto, si stabiliscono i confini simbolici del legittimo e dell’illegittimo, del pensabile e dell’impensabile, del desiderabile e del detestabile, del ragionevole e dell’irragionevole, del dicibile e dell’indicibile? Del vivibile e dell’invivibile? Da qui provengono le forze simboliche potenti che, fino a ora, cercano di tenere insieme le nostre società….come in una religione, per di più monoteista. Ma a quale prezzo? A un prezzo molto elevato: il sacrificio della politica. La politica non può essere il luogo di decisioni solo esecutive. Se così fosse, non sarebbe politica, bensì tecnica. La politica è, per definizione, il luogo delle possibilità e delle scelte tra le possibilità, aperto al futuro. Se le possibilità, al plurale, scomparissero per lasciare il posto a un’unica grande possibilità, cioè alla necessità, avente come alternativa soltanto la catastrofe, allora avremmo fatto un passo decisivo all’indietro, perdendo la nostra libertà politica. Perché dovrebbero esistere allora partiti politici, movimenti social, ideali, visioni del mondo? Tutto ciò che si distacca dall’unico pensiero conforme al mondo che si è dato sarebbe solo devianza. Ma proprio qui, nella crisi di questo mondo, un mondo che sembra comprendere se stesso solo come “eterno presente” e che, quando cade, cerca di rimettersi in piedi tale e quale e a tutti i costi, semplicemente ricomponendosi, ricominciando da capo, come se null’altro fosse concepibile e possibile, si apre all’intelligenza politica il campo per l’assunzione delle sue responsabilità di fronte al dovere della libertà…incominciando – come è avvenuto e avverrà sempre in tutte le grandi trasformazioni – a lavorare dal basso sulle coscienze, con la potenza del simbolo, nella sua versione liberatrice, per interpretare bisogni ed aspirazioni, attrarre forze, produrre concretamente fiducia in vista di un futuro che non sia semplice ripetizione del presente“.

 

 

Di che vita parlava, Gesù? (della vita, della morte e delle esperienze extracorporee)


Dedicato a Franz!
(entrambi ;o)

Gesù disse, “I cieli e la terra si apriranno al vostro cospetto, e chiunque è vivo per colui che vive non vedrà la morte.” Non dice Gesù, “Di quelli che hanno trovato se stessi, il mondo non è degno?” [Tommaso, 111 – s’incontra spesso l’espressione “colui che vive”].

“Stretta invece è la porta ed angusta la via che mena alla vita, e pochi son quelli che la trovano” [Matteo 7:14]

“Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà” [Matteo 16:25]

“E se la tua mano ti fa intoppare, mozzala; meglio è per te entrar monco nella vita, che aver due mani e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile” [Marco 9:43]

“In lei (la Parola, il Logos) era la vita; e la vita era la luce degli uomini” [Giovanni 1:4]

“In verità, in verità io vi dico: Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” [Giovanni 5:24]

“Eppure non volete venire a me per aver la vita! [Giovanni 5:40]

“È lo spirito quel che vivifica; la carne non giova nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita” [Giovanni 6:63]

“Il ladro non viene se non per rubare e ammazzare e distruggere; io son venuto perché abbian la vita e l’abbiano in abbondanza” [Giovanni 10:10]

Gesù le disse: “Io son la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà” [Giovanni 11:25]

“Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna” [Giovanni 12:25]

“Perché ciò a cui la carne ha l’animo è morte, ma ciò a cui lo spirito ha l’animo, è vita e pace” [Romani 8:6].

Un lungo estratto da Michael Talbot, “Tutto è uno: l’ipotesi della scienza olografica”, Milano: Urra, 2004.

[un romanzo ammonitore di Talbot: http://www.versacrum.com/vs/2012/02/michael-talbot-vivono-di-notte.html]

L’accesso alla realtà olografica diventa disponibile esperienzialmente quando la nostra coscienza è libera dalla sua dipendenza dal corpo fisico. Fino a quando rimaniamo legati al corpo e alle sue modalità sensoriali, la realtà olografica può al meglio essere un costrutto intellettuale. Quando si [è liberi dal corpo], la si sperimenta direttamente. Ecco perché i mistici parlano delle proprie visioni con tale certezza e convinzione, mentre coloro che non hanno sperimentato questo regno in prima persona restano scettici o addirittura indifferenti.

Kenneth Ring, Ph.D. – Life and Death

[N.B. Non ho mai avuto un’esperienza extra-corporea in stato di veglia, ma a suo tempo mi è capitato più di un fatto interessante legato alla relatività spazio-temporale e mi sento di poter confermare quanto scritto sopra – tra l’altro sono sicuro che molti tra i miei lettori avranno avuto esperienze singolari, ma i dogmatismi materialisti e riduzionisti di certa scienza (per ora egemone) e dell’opinione pubblica inibiscono il dibattito. Come sempre, ognuno raccoglierà quel che ha seminato. Io ho seminato anche qui  e qui, nella speranza che la paura della morte non comprometta la nostra integrità, retto sentire e retto agire in situazioni-limite].

Il tempo non è la sola cosa illusoria in un universo olografico. Anche lo spazio va visto come prodotto della nostra modalità di percezione. Questo è ancora più difficile da comprendere dell’idea che il tempo è un costrutto, poiché quando si tratta di tentare di concettualizzare «l’assenza di spazio» non esistono facili analogie, nessuna immagine di universi ameboidi o futuri in cristallizzazione, alle quali ricorrere. Siamo talmente condizionati a pensare in termini di spazio come un assoluto, che ci è difficile perfino cercare di immaginare come potremmo vivere in un regno nel quale lo spazio non esiste. Tuttavia, vi è la prova che in definitiva non siamo limitati dallo spazio più di quanto non lo siamo dal tempo.

Possiamo trovare un convincente indizio del fatto che questa è la realtà nei fenomeni extracorporei (esperienze nelle quali la consapevolezza conscia di un individuo sembra distaccarsi dal corpo fisico e viaggiare verso altri luoghi). Le esperienze extracorporee, od OBE, sono state riferite attraverso la storia da individui di ogni ceto. Aldous Huxley, Goethe, D. H. Laurence, August Strindberg, e Jack London tutti riferirono di averne vissute. Esse erano note agli egizi, gli indiani del Nord America, i cinesi, i filosofi greci, gli alchimisti medievali, i popoli oceanici, gli induisti, gli ebrei e i musulmani. In uno studio multi-culturale su 44 società non-occidentali, Dean Shiels riscontrò che soltanto tre di esse non credevano nelle esperienze extracorporee.1 In uno studio analogo, l’antropologa Erika Bourguignon studiò 488 società del mondo – o approssimativamente il 57 percento di tutte le società conosciute – e trovò che 437 di esse, o l’89 percento, aveva almeno qualche tradizione a questo riguardo.

Anche oggi, gli studi indicano che queste esperienze sono ancora diffuse. Il defunto dottor Robert Crookall, geologo presso la University of Aberdeen e parapsicologo dilettante, indagò casi sufficienti da riempire nove libri sul tema. Negli anni Sessanta, Celia Green, la direttrice dell’Institute of Psychophysical Research di Oxford, condusse un sondaggio su 115 studenti alla Southampton University e riscontrò che il 19 percento ammise di avere avuto un’esperienza extracorporea. Quando 380 studenti di Oxford furono intervistati sullo stesso argomento, il 34 percento di essi diede una risposta affermativa.3 In un’indagine su 902 adulti, Haraldson trovò che l’8 percento aveva sperimentato l’uscita dal corpo almeno una volta nella vita.4 E un sondaggio del 1980 condotto dal dottor Harvey Iruin della University of New England in Australia rivelò che il 20 percento di 117 studenti ne aveva sperimentata una.5 Calcolando la media, questi dati indicano che approssimativamente una persona su cinque avrà un’esperienza extracorporea in qualche momento della sua vita. Altri studi suggeriscono che l’incidenza potrebbe avvicinarsi maggiormente a una su dieci, ma il fatto rimane: questi fenomeni sono ben più comuni di quanto la maggior parte delle persone non si renda conto.

La tipica esperienza extracorporea è solitamente spontanea e si verifica il più delle volte durante il sonno, la meditazione, l’anestesia, la malattia e casi di dolore traumatico (sebbene possano verificarsi anche in altre circostanze). Improvvisamente, una persona ha la vivida sensazione che la sua mente si è separata dal corpo. Frequentemente si trova a fluttuare al di sopra del corpo e scopre di potere viaggiare o volare verso altri luoghi. Che tipo di sensazione è scoprirsi liberi dal corpo e osservarlo dall’alto? In uno studio del 1980 condotto su 339 casi di viaggio extracorporeo, il dottor Glen Gabbard della Menninger Foundation di Topeka, il dottor Stuart Twemlow del Topeka Veterans’ Administration Medical Center e il dottor Fowler Jones dello University of Kansas Medical Center trovarono che un esorbitante 85 percento descrisse l’esperienza come piacevole e più della metà di esso disse che era gioiosa.

Conosco la sensazione. Ebbi una uscita dal corpo spontanea da adolescente, e una volta superato lo shock dell’essermi ritrovato a fluttuare sopra il mio corpo e di avere fissato me stesso addormentato sul letto, passai momenti indescrivibilmente esilaranti, volando attraverso i muri e spaziando sopra le cime degli alberi. Durante il mio viaggio sconfinato, mi imbattei perfino in un libro preso a prestito da una biblioteca che una vicina aveva perso, di modo che il giorno seguente fui in grado di dirle dove si trovasse. Descrivo questa esperienza dettagliatamente in Beyond the Quantum. Non è di poco significato che anche Gabbard, Twemlow e Jones studiarono il profilo psicologico di coloro che avevano avuto esperienze extracorporee e scoprirono che erano psicologicamente normali ed erano in generale estremamente ben adattati. Al convegno del 1980 dell’American Psychiatric Association essi esposero le proprie conclusioni e dissero ai loro colleghi che il rassicurare i pazienti che le uscite dal corpo sono fenomeni comuni e il consigliare loro libri sulla materia potrebbe essere «più terapeutico» del trattamento psichiatrico. Insinuarono inoltre che i pazienti potrebbero trarre più sollievo parlando a uno yogi che a uno psichiatra!

Malgrado questi fatti, la quantità di scoperte statistiche non è tanto convincente quanto i veri resoconti di simili esperienze. Ad esempio, Kimberly Clark, un’assistente ospedaliera di Seattle, nello stato di Washington, non prese l’argomento seriamente finché non incontrò una paziente dell’unità coronarica di nome Maria. Molti giorni dopo essere stata ricoverata all’ospedale, Maria subì un arresto cardiaco e fu velocemente rianimata. La Clark la visitò più tardi quel pomeriggio, aspettandosi di trovarla ansiosa circa il fatto che il suo cuore si era fermato. Come si aspettava, Maria era agitata, ma non per la ragione che aveva previsto.

Maria disse alla Clark di avere sperimentato qualcosa di molto strano. Dopo che il suo cuore si era fermato, si era trovata improvvisamente a guardare in basso dal soffitto e a osservare i dottori e le infermiere che lavoravano su di lei. Poi qualcosa sopra il viale che conduceva alla sala di rianimazione la distrasse e appena «si pensò» lì, fu lì. Poi Maria «pensò il cammino» fino al terzo piano dell’edificio e si trovò di fronte una scarpa da tennis. Era una vecchia scarpa e notò che il mignolo aveva fatto un buco nella stoffa. Notò anche parecchi altri dettagli, come il fatto che la stringa era bloccata sotto il tacco. Dopo che Maria ebbe finito il suo resoconto, pregò la Clark di andare sul davanzale e vedere se vi era una scarpa, in modo da poter confermare se la sua esperienza era reale o meno.

Scettica ma incuriosita, la Clark uscì e guardò verso l’alto sul davanzale, ma non vide nulla. Salì al terzo piano e iniziò a entrare e uscire dalle stanze dei pazienti guardando attraverso finestre talmente strette, che dovette premere il viso contro il vetro per riuscire anche solo a vedere il davanzale. Finalmente, trovò una stanza nella quale premette il viso contro il vetro e, guardando verso il basso, vide la scarpa da tennis. Tuttavia, dal suo punto di visuale non poteva dire se il mignolo avesse consumato una parte della scarpa o se un qualsiasi altro dettaglio descritto da Maria fosse corretto. Fu solo quando ebbe recuperato la scarpa che confermò le varie osservazioni di Maria. «L’unico modo nel quale avrebbe avuto quella prospettiva sarebbe stato se si fosse trovata sospesa appena fuori, molto vicina alla scarpa da tennis», afferma la Clark, che da allora crede nelle esperienze extracorporee. «Fu per me una prova molto concreta».

Vivere questo tipo di esperienza durante un arresto cardiaco è relativamente comune, tanto comune che Michael B. Sabom, cardiologo e professore di medicina alla Emory University e medico interno all’Atlanta Veterans’ Administration Medical Center, si stancò di sentire i suoi pazienti raccontare simili «fantasie» e decise di sistemare la faccenda una volta per tutte. Sabom selezionò due gruppi di pazienti, uno composto da 32 cardiopatici cronici che avevano riferito di esperienze extracorporee durante i loro infarti, e uno costituito da 25 cardiopatici cronici che non ne avevano mai avuto esperienza. Poi intervistò i pazienti domandando a coloro che avevano avuto le esperienze di descrivere la propria rianimazione come l’avevano vista dallo stato extracorporeo, e chiedendo a coloro che non avevano avuto l’esperienza di descrivere ciò che immaginavano si fosse verificato durante la loro rianimazione.

Di questi ultimi, 20 compirono errori consistenti nel descrivere le proprie rianimazioni, 3 diedero descrizioni corrette ma generiche, e 2 non avevano assolutamente idea di cosa fosse avvenuto. Fra coloro che avevano avuto l’esperienza, 26 diedero descrizioni corrette ma vaghe, 6 diedero descrizioni altamente dettagliate e precise della propria rianimazione, e uno diede un resoconto dettagliato talmente preciso che Sabom ne fu sbalordito. I risultati lo ispirarono a indagare ancora più profondamente nel fenomeno, e come la Clark, è ora divenuto un acceso credente e tiene molte conferenze sul tema. Sembra « non esservi alcuna spiegazione plausibile dell’esattezza di queste osservazioni che coinvolga i consueti sensi fisici», dice. «L’ipotesi extracorporea sembra semplicemente meglio adattarsi ai dati disponibili».

Benché le uscite dal corpo sperimentate da simili pazienti siano spontanee, alcune persone si sono sufficientemente impadronite di questa capacità da lasciare il corpo a loro piacimento. Uno dei più famosi di questi individui è un ex dirigente radiofonico e televisivo di nome Robert Monroe. Quando Monroe ebbe la sua prima esperienza extracorporea verso la fine degli anni Cinquanta, pensò di stare impazzendo e immediatamente cercò cure mediche. I dottori che consultò non trovarono nulla di anomalo, ma egli continuò ad avere le sue strane esperienze e a esserne intensamente disturbato. Infine, dopo avere appreso da un amico psicologo che gli yogi indiani dichiaravano di lasciare il corpo continuamente, egli iniziò ad accettare il suo involontario talento. «Avevo due possibilità», ricorda Monroe. «Una era l’assunzione di sedativi per il resto della mia vita; l’altra era di imparare qualcosa circa questo stato così da poterlo controllare».

Da quel giorno in poi, Monroe iniziò a tenere un diario scritto delle sue esperienze, documentando attentamente ogni cosa che imparava riguardo allo stato extracorporeo. Scoprì di potere passare attraverso oggetti solidi e percorrere grandi distanze in un batter d’occhio semplicemente pensandosi «là». Riscontrò che le altre persone raramente si accorgevano della sua presenza, sebbene gli amici, che andava a trovare mentre era in questo «secondo stato», rapidamente iniziarono a credergli, quando ne descrisse con esattezza gli abiti e le azioni al momento della sua visita fuori dal corpo. Scoprì anche di non essere solo nella sua esperienza e occasionalmente si imbatté in altri viaggiatori disincarnati. Egli ha catalogato finora le sue esperienze in due libri affascinanti, Journeys Out of the Body e Far Journeys.

Le esperienze extracorporee sono anche state documentate in laboratorio. In un esperimento, il parapsicologo Charles Tart riuscì a fare identificare correttamente a un’abile sperimentatrice extracorporea, che identifica soltanto come la Signora Z, un numero di cinque cifre scritto su un pezzo di carta, che sarebbe stato raggiungibile solo se avesse fluttuato nello stato incorporeo.11 In una serie di esperimenti condotti all’American Society for Psychical Research a New York, Karlis Osis e la psicologa Janet Lee Mitchell trovarono parecchi soggetti capaci di «venire in volo» da vari luoghi del paese e di descrivere correttamente una vasta gamma di immagini bersaglio, che includevano oggetti disposti su un tavolo, disegni geometrici colorati messi su uno scaffale sospeso liberamente vicino al soffitto, e illusioni ottiche che potevano essere viste soltanto quando un osservatore scrutava in uno speciale dispositivo attraverso una piccola finestra.12 Il dottor Robert Morris, direttore della ricerca alla Psychical Research Foundation di Durham, in Nord Carolina, ha perfino usato animali in grado di avvertire visite extracorporee. In un esperimento, ad esempio, Morris trovò che un gattino appartenente a un soggetto extracorporeo di talento di nome Keith Harary cessava regolarmente di miagolare e iniziava a fare le fusa ogni volta che Harary era invisibilmente presente.

Le esperienze extracorporee come fenomeno olografico

Considerate nell’insieme, le prove sembrano inequivocabili. Sebbene ci venga insegnato che «pensiamo» con i nostri cervelli, questo non è sempre vero. Nelle giuste circostanze la nostra coscienza – la parte di noi che pensa e percepisce – si può distaccare dal corpo fisico ed esistere quasi ovunque voglia. La nostra attuale conoscenza scientifica non è in grado di spiegare questo fenomeno, ma esso diventa molto più facile da trattare in termini olografici.

Ricordate che in un universo olografico l’ubicazione stessa è un’illusione. Proprio come l’immagine di una mela non possiede un’ubicazione specifica su una porzione di pellicola olografica, in un universo organizzato olograficamente anche le cose e gli oggetti non possiedono una posizione definita; ogni cosa è nonlocale, in definitiva, inclusa la coscienza. Quindi, sebbene la nostra coscienza sembri essere localizzata nelle nostre teste, in alcune condizioni può altrettanto facilmente sembrare collocata nell’angolo superiore della stanza, librarsi su un prato erboso, o fluttuare di fronte a una scarpa da tennis al terzo piano di un edificio.

Se l’idea di una coscienza nonlocale sembra difficile da afferrare, un’analogia utile può essere trovata ancora una volta nei sogni. Immaginate di sognare o di trovarvi a una mostra d’arte affollata. Mentre vi spostate fra le persone e guardate le opere d’arte, la vostra coscienza sembra essere localizzata nella testa della persona che siete nel sogno. Ma dov’è in realtà la vostra coscienza? Una rapida analisi rivelerà che essa è in effetti in tutto quanto è parte del sogno, nelle altre persone presenti alla mostra, nelle opere d’arte, perfino nello spazio intrinseco del sogno. In un sogno, la collocazione è anch’essa illusoria, poiché tutto – gente, oggetti, spazio, coscienza e così via – si svela dalla più profonda e fondamentale realtà del sognatore.

Un’altra caratteristica decisamente olografica delle esperienze extracorporee è la plasticità della forma che una persona assume quando è fuori dal corpo. Dopo essersi distaccati dal corpo, coloro che hanno esperienze di questo tipo a volte si ritrovano in un corpo fantasmico che è una replica esatta del loro corpo biologico. Questo ha fatto sì che alcuni ricercatori in passato supponessero che gli esseri umani posseggano un «doppio fantasma» non dissimile al sosia nella letteratura. Comunque, recenti scoperte hanno sollevato problemi circa questa supposizione. Sebbene alcuni di coloro che hanno esperienze extracorporee descrivano questo doppio fantasmico come nudo, altri si ritrovano in corpi che sono completamente vestiti. Questo suggerisce che il doppio fantasmico non è una replica energetica permanente del corpo biologico, ma è invece un ologramma che può assumere molte forme. Questa idea nasce dal fatto che i doppi fantasmi non sono le sole forme nelle quali le persone si ritrovano durante le esperienze extracorporee. Esistono numerosi resoconti nei quali persone hanno percepito se stesse come palle di luce, nuvole di energia prive di forma, e addirittura senza nessuna forma discernibile.

Vi sono perfino prove che la forma assunta da una persona durante un’uscita dal corpo è una diretta conseguenza delle sue convinzioni e aspettative. Ad esempio, nel suo libro del 1961 The Mystical Life, il matematico J.H.M. Whiteman rivela di avere sperimentato almeno due di queste esperienze al mese nel corso della maggior parte della sua vita adulta, e riferisce di oltre duemila di questi eventi. Egli ha anche rivelato di essersi sempre sentito come una donna intrappolata nel corpo di un uomo, e che, durante il distacco, questo aveva come conseguenza il fatto che si ritrovasse in sembianze femminili. Whiteman sperimentò varie altre forme durante le sue avventure extracorporee, inclusi corpi di bambini, e ne ha dedotto che le convinzioni sia consce che inconsce fossero i fattori determinanti nella forma che questo secondo corpo assumeva.

Monroe ne conviene, e asserisce che sono le nostre «abitudini mentali» a creare le nostre forme extracorporee. Poiché siamo così avvezzi ad essere in un corpo, abbiamo una tendenza a riprodurre la stessa forma nello stato extracorporeo. In modo analogo, egli ritiene che sia l’imbarazzo che la maggior parte delle persone prova trovandosi nuda a far sì che gli sperimentatori di tale fenomeno inconsciamente si costruiscano abiti, quando assumono una forma umana. «Ho il sospetto che sia possibile modificare il Secondo Corpo in qualsiasi forma si desideri», dice Monroe.

Qual è la nostra vera forma, se forma è, quando siamo nello stato disincarnato?

Monroe ha trovato che quando abbandoniamo tutti questi tipi di travestimenti, siamo essenzialmente uno «schema di vibrazione [comprensivo] di molte frequenze interagenti e risonanti». Anche questa scoperta suggerisce in modo indicativo che ciò che si verifica sia qualcosa di olografico e offre ulteriore prova del fatto che noi – come tutte le cose in un universo olografico – siamo fondamentalmente un fenomeno di frequenze che la nostra mente trasforma in varie forme olografiche. Aggiunge anche credibilità alla conclusione della Hunt che la nostra coscienza è contenuta non nel cervello, ma in un campo energetico olografico plasmico che permea e circonda il corpo fisico.

La forma che assumiamo nello stato extracorporeo non è l’unica cosa che presenta questa plasticità olografica. Nonostante la precisione delle osservazioni fatte da viaggiatori extracorporei molto dotati durante le loro passeggiate fuori dal corpo, i ricercatori sono da tempo turbati da alcune delle madornali inesattezze che pure si presentano. Ad esempio, il titolo del libro della biblioteca smarrito in cui mi imbattei durante la mia esperienza era verde brillante quando ero nel mio stato disincarnato. Ma quando, dopo essere tornato al mio corpo fisico, andai a ricuperare il libro, vidi che la scritta era in realtà nera. La letteratura è colma di resoconti di discrepanze simili, casi in cui i viaggiatori extracorporei descrivevano con precisione una stanza distante gremita di persone, salvo il fatto che vi aggiungevano una persona o percepivano un divano dove in effetti vi era un tavolo.

In termini di idea olografica, una possibile spiegazione è che questo tipo di viaggiatori extracorporei non abbia ancora pienamente sviluppato la capacità di trasformare le frequenze che percepisce, mentre si trova in uno stato disincarnato, in una rappresentazione olografica assolutamente esatta della comune realtà. In altre parole, dato che i viaggiatori extracorporei sembrano fare assegnamento su una categoria di sensi interamente nuova, questi sensi potrebbero essere ancora incerti e non ancora competenti nell’arte di trasformare il dominio delle frequenze in un costrutto della realtà che appaia oggettivo.

Questi sensi non fisici sono ulteriormente ostacolati dalle costrizioni che le nostre convinzioni autolimitanti pongono loro. Molti abili viaggiatori extracorporei hanno notato che una volta sentitisi maggiormente a proprio agio nel loro secondo corpo, scoprirono di essere in grado di «vedere» in tutte le direzioni simultaneamente, senza voltare la testa. In altre parole, nonostante il vedere in ogni direzione sembri normale durante lo stato extracorporeo, essi erano talmente abituati a credere di poter vedere soltanto attraverso gli occhi – anche quando si trovavano in un ologramma non-fisico del loro corpo – che dapprima questa convinzione impedì loro di rendersi conto che possedevano una visione a 360 gradi.

Esiste prova che anche i nostri sensi fisici sono caduti vittime di questa censura. Nonostante la nostra ferma convinzione che vediamo con gli occhi, vi sono ancora testimonianze di individui che possiedono «la vista non oculare», o l’abilità di vedere con altre aree dei loro corpi. Recentemente, David Eisenberg, M.D., membro dello staff di ricerca clinica alla Harvard Medical School, ha pubblicato un resoconto su due sorelle cinesi di Pechino in età scolare che sono il grado di «vedere» sufficientemente bene con la pelle delle proprie ascelle, da leggere note e identificare colori. In Italia, il neurologo Cesare Lombroso studiò una ragazza cieca che poteva vedere con la punta del naso e il lobo dell’orecchio sinistro.18 Negli anni Sessanta, la prestigiosa Accademia Sovietica delle Scienze fece un’indagine su una contadina russa di nome Rosa Kuleshova, che era in grado di vedere fotografie e leggere giornali con i polpastrelli, confermandone le abilità. È significativo che i Russi esclusero la possibilità che la Kuleshova percepisse semplicemente le diverse intensità di calore accumulato che i differenti colori emanano naturalmente – la Kuleshova poteva leggere un giornale in bianco e nero perfino quando era coperto da una lastra di vetro riscaldato. La Kuleshova divenne talmente famosa per le sue abilità, che la rivista Life pubblicò infine un articolo su di lei.

In breve, vi sono prove del fatto che anche noi non siamo limitati a vedere solo attraverso i nostri occhi fisici. Questo è ovviamente il messaggio implicito nella capacità dell’amico di mio padre, Tom, di leggere l’iscrizione su un orologio, anche quando esso era nascosto dallo stomaco di sua figlia, nonché nel fenomeno della visione a distanza. Non si può fare altro che domandarsi se la vista non oculare non sia in effetti un’ulteriore prova che la realtà è invero maya, un’illusione, e il nostro corpo fisico, come pure l’apparente assolutezza della sua fisiologia, sia un costrutto olografico della nostra percezione quanto il nostro secondo corpo. Forse, siamo così profondamente abituati a credere che sia possibile vedere soltanto attraverso i nostri occhi, che perfino in ciò che è fisico ci siamo preclusi la gamma completa delle nostre capacità percettive

[N.B. il che potrebbe anche spiegare, ad esempio, come gli indigeni sudamericani siano riusciti a produrre la reazione chimica molto complessa alla base dello yagé, cf. Benny Shanon, “The antipodes of the mind: charting the phenomenology of the ayahuasca experience”, Oxford: Oxford university press, 2002].

Un altro aspetto olografico delle esperienze extracorporee è l’inconsistenza della separazione fra passato e futuro, che si verifica a volte durante questi tipi di esperienze. Ad esempio, la Osis e la Mitchell scoprirono che, quando il dottor Alex Tanous, un noto sensitivo e viaggiatore extracorporeo di talento dello stato del Maine, venne in volo e si accinse a descrivere gli oggetti da test che erano stati disposti su un tavolo, egli aveva la tendenza a descrivere cose che vi sarebbero state posate alcuni giorni più tardi!21 Questo suggerisce che la sfera che le persone penetrano durante lo stato extracorporeo è uno dei livelli più sottili della realtà dei quali Bohm parla, una regione più prossima all’implicito, e quindi più vicina al livello di realtà nel quale la scansione fra passato, presente e futuro cessa di esistere. In altre parole, sembra che invece di sintonizzarsi sulle frequenze che codificano il presente, la mente di Tanous si era inavvertitamente sintonizzata su frequenze che contenevano informazioni circa il futuro e le aveva trasformate in un ologramma della realtà.

Il fatto che la percezione che Tanous aveva della stanza fosse un fenomeno olografico e non una semplice visione precognitiva verificatasi soltanto nella sua testa è sottolineato da un altro fatto. Il giorno nel quale si era programmato che egli si cimentasse in un’esperienza extracorporea, la Osis chiese alla sensitiva di New York Christine Whiting di restare all’erta nella stanza e tentare di descrivere qualsiasi immagine le riuscisse di «vedere» comparire. Nonostante la Whiting ignorasse chi sarebbe arrivato in volo e quando, come Tanous compì la sua visita extracorporea, ella vide chiaramente la sua apparizione e descrisse che indossava pantaloni di velluto a coste marroni e una camicia bianca di cotone, gli indumenti che il dottor Tanous effettivamente indossava in Maine al momento del tentativo.

Anche Harary ha compiuto viaggi occasionali nel futuro, e conviene che le esperienze sono qualitativamente differenti dalle altre esperienze precognitive. «Le esperienze extracorporee nel tempo e nello spazio futuri, egli afferma, differiscono dai normali sogni precognitivi nel fatto che io sono decisamente «fuori» e mi muovo attraverso un’area nera, scura, che sfocia in una scena illuminata del futuro». Quando fa una visita extracorporea nel futuro, egli ha talvolta visto addirittura una silhouette del futuro se stesso nella scena, e non è tutto. Quando gli eventi a cui ha assistito infine si verificano, può anche percepire la sua identità corporea che viaggia nel tempo proprio nella scena insieme a lui. Egli descrive questa strana sensazione come «incontrare me stesso ‘dietro’ me stesso, come se io fossi due esseri», un’esperienza che certamente fa impallidire i normali déjà vu.

Si sono anche registrati casi di viaggi extracorporei nel passato. Il commediografo svedese August Strindberg, egli stesso un assiduo viaggiatore extracorporeo, ne descrive uno nel suo libro Legends. L’evento ebbe luogo mentre Strindberg si trovava seduto in un negozio di vini, e tentava di persuadere un giovane amico a non abbandonare la sua carriera militare. Per sostenere il suo punto di vista Strindberg rievocò un avvenimento passato che coinvolgeva ambedue, accaduto una sera in una taverna. Quando il commediografo si apprestò a descrivere l’evento, improvvisamente «perse conoscenza», per poi ritrovarsi seduto nella taverna in questione e rivivere l’evento. L’esperienza durò soltanto pochi momenti, e poi egli si ritrovò bruscamente nel suo corpo e nel presente. Si può anche arguire che le visioni retrocognitive esaminate nel capitolo precedente, nelle quali i chiaroveggenti erano effettivamente presenti e addirittura «fluttuavano» sopra le scene dell’episodio che stavano descrivendo, siano anch’esse una forma di proiezione nel passato.

In verità, leggendo la voluminosa letteratura ora disponibile sul fenomeno extracorporeo, si è ripetutamente colpiti dalle similarità fra le descrizioni dei viaggiatori extracorporei circa le proprie esperienze e le caratteristiche che siamo giunti ad associare a un universo olografico. Oltre a descrivere lo stato extracorporeo come un luogo dove il tempo e lo spazio non esistono più in senso stretto, dove il pensiero può essere trasformato in forme simili a ologrammi, e la coscienza è in definitiva uno schema di vibrazioni, o frequenze, Monroe fa notare che la percezione durante le uscite dal corpo sembra essere basata meno su «un riflesso di onde di luce» e più su «un effetto di radiazioni», un’osservazione che suggerisce ancora una volta che, quando si entra nel regno extracorporeo, si inizia a penetrare nel regno delle frequenze di Pribram. Anche altri viaggiatori extracorporei si sono riferiti alla qualità simile a quella delle frequenze del Secondo Stato. Ad esempio, Marcel Louis Forhan, uno sperimentatore extracorporeo francese che scrisse con lo pseudonimo di «Yram», dedica gran parte del suo libro, Practical Astral Projection, a descrivere le caratteristiche simili a quelle delle onde e apparentemente elettromagnetiche del regno extracorporeo. Altri ancora si sono espressi sul senso di unione cosmica che si prova durante questo stato e lo hanno riassunto come una sensazione che «ogni cosa è tutto», e «quello è ciò che io sono».

Per quanto olografica sia l’esperienza extracorporea, essa è soltanto la punta dell’iceberg, quando si parla di esperienza più diretta degli aspetti di frequenza della realtà. Sebbene le uscite dal corpo siano sperimentate soltanto da una minoranza di esseri umani, esiste un’altra circostanza nella quale entriamo tutti in un più stretto contatto con il dominio delle frequenze. Questo avviene quando viaggiamo in quella terra sconosciuta dalla quale nessuno mai ritorna. Il fatto, con il dovuto rispetto per Shakespeare, è che alcuni viaggiatori ritornano. E le storie che raccontano sono colme di particolari che hanno ancora una volta il sapore di cose olografiche.

L’esperienza di pre-morte

Al giorno d’oggi, quasi tutti hanno sentito parlare delle near-death experiences (esperienze di pre-morte) o NDE, avvenimenti nei quali gli individui che sono dichiarati clinicamente «morti», resuscitano, e riferiscono che durante l’esperienza hanno lasciato il corpo fisico e hanno visitato ciò che sembrava essere il regno dell’aldilà. Nella nostra cultura, le esperienze di pre-morte furono per la prima volta prese in considerazione nel 1975 quando Raimond A. Moody, Jr., uno psichiatra che possiede anche una laurea in filosofia, pubblicò la sua indagine bestseller sul tema, Life After Life. Poco tempo dopo, Elizabeth Kubler Ross rivelò di avere condotto simultaneamente una ricerca simile e di avere fatto le stesse scoperte di Moody. In effetti, come un numero sempre crescente di ricercatori iniziò a documentare il fenomeno, divenne sempre più chiaro che queste esperienze erano non solo incredibilmente diffuse – un sondaggio Gallup del 1981 rilevò che 8 milioni di americani adulti ne avevano sperimentata una, o approssimativamente una persona su venti – ma fornivano la prova più schiacciante avuta finora della sopravvivenza dopo la morte.

Come le esperienze extracorporee, quelle di pre-morte sembrano essere un fenomeno universale. Sono descritte per esteso sia nel Libro Tibetano dei Morti dell’ottavo secolo, che nel Libro Egiziano dei Morti che risale a 2500 anni fa. Nel decimo libro di La Repubblica, Platone fornisce un resoconto dettagliato di un soldato greco di nome Er, che tornò in vita pochi secondi prima che la sua pira funebre venisse accesa, dicendo che aveva lasciato il corpo ed era andato, attraverso un «passaggio», nella terra dei morti. Il Venerabile Bede dà un resoconto simile nella sua opera dell’ottavo secolo A History of the English Church and People, e in effetti, nel suo recente libro Otherworld Juourneys Carol Zaleski, un’assistente universitaria nell’ambito dello studio della religione a Harvard, fa rilevare che la letteratura medievale è colma di resoconti di esperienze di pre-morte.

Inoltre coloro che hanno vissuto l’esperienza non hanno particolari caratteristiche demografiche. Vari studi hanno mostrato che non esiste relazione fra il fenomeno e l’età, il sesso, lo stato civile, la razza, la religione e/o le credenze spirituali, la classe sociale di una persona, il livello di istruzione, il reddito, la frequenza in chiesa, la dimensione della comunità familiare o dell’area di residenza. Le esperienze di pre-morte, come i fulmini, possono colpire chiunque in qualsiasi momento. I devoti religiosi non hanno maggiore probabilità di averne una dei non credenti.

Uno degli aspetti più interessanti del fenomeno è la coerenza che si riscontra in tutte le esperienze. Una esemplificazione sommaria di una tipica esperienza di pre-morte si presenta come segue:

Un uomo sta morendo, e improvvisamente si ritrova a fluttuare sopra il proprio corpo e a osservare ciò che sta accadendo. In pochi istanti viaggia a grande velocità attraverso un’oscurità o un tunnel. Entra in un regno di luce abbagliante e viene caldamente accolto da amici e parenti morti di recente. Ode frequentemente musica di bellezza indescrivibile e vede luoghi – campi collinosi, valli colme di fiori e ruscelli scintillanti – più squisiti di qualunque cosa mai vista sulla terra. In questo mondo pieno di luce, egli non prova alcun dolore o paura ed è pervaso da un travolgente sentimento di gioia, amore e pace. Egli incontra un «essere (o esseri) di luce» che emana un senso di enorme compassione, da cui viene sollecitato a sperimentare una «visione retrospettiva della propria vita», un replay panoramico della sua vita. Egli viene talmente rapito dalla propria esperienza di questa più grande realtà, che non desidera null’altro che il rimanervi. Tuttavia, l’essere gli dice che non è ancora giunto il suo momento, e lo persuade a tornare alla vita terrena e a rientrare nel suo corpo fisico.

Va notato che questa è soltanto una descrizione generica e che non tutte le esperienze di pre-morte contengono tutti gli elementi descritti. Alcune possono mancare di qualcuna delle caratteristiche sopra citate, e altre possono contenere ulteriori ingredienti. Anche le manifestazioni simboliche delle esperienze possono variare. Ad esempio, sebbene coloro che hanno queste esperienze nelle culture occidentali tendano ad entrare nel regno dell’aldilà passando attraverso un tunnel, quelli di altre culture potrebbero camminare lungo una strada o sorvolare una massa d’acqua per raggiungerlo. Comunque, vi è uno sbalorditivo grado di similitudine fra le esperienze di pre-morte riferite da varie culture attraverso la storia. Ad esempio, la visione retrospettiva della vita, una caratteristica che si mostra ricorrentemente nelle esperienze odierne di questo tipo, è descritta anche nel Libro Tibetano dei Morti, nel Libro Egiziano dei Morti, nel resoconto di Platone di ciò che Er sperimentò durante il suo soggiorno nell’altro mondo e negli scritti yogici di 2.000 anni fa del saggio indiano Patanjali. Le similarità interculturali fra le esperienze di pre-morte sono state confermate anche negli studi convenzionali. Nel 1977, la Osis e Haraldsson paragonarono quasi novecento visioni dal letto di morte riferite da pazienti a dottori e altro personale medico, sia in India che negli Stati Uniti, e trovarono che, nonostante vi fossero varie differenze culturali – ad esempio, gli americani tendevano a vedere l’essere di luce come un personaggio religioso cristiano e gli indiani lo percepivano come induista – il «nucleo» dell’esperienza era sostanzialmente lo stesso e somigliava alle esperienze di pre-morte descritte da Moody e dalla Kubler-Ross.

Nonostante la visione ortodossa di queste esperienze affermi che si tratta soltanto di allucinazioni, esistono prove sostanziali che non sia così. Come per le esperienze extracorporee, quando coloro che sperimentano la pre-morte sono fuori dal corpo, essi sono in grado di riferire dettagli che non hanno modo di conoscere per via sensoriale. Ad esempio, Moody racconta di un caso nel quale una donna lasciò il corpo durante un intervento chirurgico, fluttuò nella sala d’attesa, e vide che sua figlia indossava indumenti scozzesi discordanti fra loro. Risultò che la domestica aveva vestito la bambina talmente in fretta, che non aveva notato l’errore e fu stupita quando la madre, che non aveva visto la bambina fisicamente, commentò il fatto. In un altro caso, dopo avere lasciato il corpo, una donna che stava sperimentando la pre-morte andò nell’atrio dell’ospedale e udì suo cognato che diceva a un amico che avrebbe probabilmente dovuto cancellare un viaggio d’affari e fungere invece da portatore della bara di sua cognata. Dopo che la donna si fu rimessa, rimproverò il suo sbalordito cognato per averla data per spacciata tanto in fretta.

E questi non sono nemmeno gli esempi più straordinari di consapevolezza sensoriale nello stato extracorporeo della pre-morte. Gli studiosi di questo fenomeno hanno trovato che perfino i pazienti ciechi, che non hanno avuto per anni la percezione della luce, possono vedere e descrivere con esattezza ciò che accade intorno a loro quando lasciano il corpo nel corso di una esperienza di questo tipo. La Kubler-Ross ha incontrato parecchi individui di questo tipo e li ha intervistati a lungo per verificare la correttezza delle loro dichiarazioni. «Con nostro stupore, erano in grado di descrivere il colore e lo stile degli abiti e i gioielli che le persone presenti portavano», afferma.

Più sconcertanti di tutte sono quelle esperienze di pre-morte e visioni dal letto di morte che includono due o più individui. In un caso, mentre una donna, che stava vivendo una di queste esperienze, si trovava a passare attraverso il tunnel e ad avvicinarsi al regno della luce, vide un amico che tornava indietro! Quando si incrociarono, l’amico le comunicò telepaticamente di essere morto, ma che era stato «mandato indietro». Anche la donna fu poi «mandata indietro», e dopo essersi rimessa scoprì che il suo amico aveva subito un arresto cardiaco approssimativamente nello stesso momento della sua esperienza. Vi sono numerosi altri casi registrati nei quali individui morenti erano a conoscenza di chi li attendesse nel mondo al di là, prima che fosse giunta notizia attraverso i normali canali della morte della persona.

E se vi sono ancora dubbi, un ulteriore elemento contro l’idea che queste esperienze siano allucinazioni è il loro verificarsi in pazienti che hanno EEG piatti. In normali circostanze, ogni qual volta una persona parla, pensa immagina, sogna o fa qualunque altra cosa, il suo EEG registra uno stato di enorme attività. Anche le allucinazioni sono rilevabili in un EEG. Ma esistono molti casi in cui persone con EEG piatti hanno avuto esperienze di pre-morte. Se le loro esperienze fossero state semplici allucinazioni, sarebbero apparse sui loro EEG.

In breve, considerando tutti questi fatti insieme – la diffusa incidenza delle esperienze di pre-morte, l’assenza di caratteristiche demografiche, l’universalità della sostanza dell’esperienza, la capacità di coloro che la vivono di vedere e conoscere cose senza l’ausilio dei normali mezzi sensoriali, e il verificarsi di questo fenomeno in pazienti con EEG piatti – la conclusione sembra inevitabile: le persone che hanno esperienze di pre-morte non soffrono di allucinazioni o fantasie illusorie, ma visitano veramente un livello completamente diverso della realtà. Questa è la conclusione raggiunta anche da molti studiosi del fenomeno.

Uno di questi è il dottor Melvin Morse, un pediatra di Seattle, nello stato di Washington. Morse iniziò a interessarsi di esperienze di pre-morte dopo avere curato la vittima di un annegamento dell’età di sette anni. Nel momento in cui la bambina fu rianimata, era in un coma profondo, aveva pupille fisse e dilatate, nessun riflesso muscolare né risposta corneale. In termini medici, questo significava un Coma Glascow di terzo grado, che indicava che ella era in un coma talmente profondo da non avere quasi alcuna possibilità di riprendersi. Malgrado queste previsioni, si riprese completamente, e quando Morse la visitò per la prima volta lei lo riconobbe e disse di averlo visto all’opera sul proprio corpo in coma. Quando Morse la interrogò ulteriormente, ella spiegò che aveva lasciato il corpo ed era passata attraverso un tunnel in paradiso, dove aveva incontrato «il Padre Divino». Il Padre Divino le aveva detto che lei non doveva ancora in effetti essere lì e le domandò se avesse voluto restare o tornare indietro. Dapprima ella disse che voleva rimanere, ma quando il Padre Divino le fece notare che quella decisione significava che non avrebbe più visto sua madre, cambiò idea e tornò al proprio corpo. Morse era scettico ma affascinato e da quel momento si impegnò ad apprendere tutto il possibile sulle esperienze di pre-morte. Al tempo, egli lavorava per un servizio di trasporto aereo in Idaho che trasferiva pazienti all’ospedale, e questo gli diede l’opportunità di parlare con un gran numero di bambini rianimati. Durante un periodo di dieci anni, egli intervistò ogni bambino sopravvissuto all’arresto cardiaco e ciascuno di essi ripetutamente riferì la stessa cosa. Dopo aver perduto conoscenza, si ritrovavano fuori dai propri corpi, osservavano i medici che lavoravano su di loro, passavano attraverso un tunnel e venivano confortati da esseri luminosi.

Morse continuò ad essere scettico, e nella sua ricerca sempre più disperata di qualche spiegazione logica, lesse tutto ciò che gli fu possibile reperire circa gli effetti collaterali dei farmaci che i suoi pazienti assumevano, ed analizzò varie spiegazioni psicologiche, ma nulla sembrava appropriato. «Poi, dice Morse, un giorno lessi un lungo articolo su una rivista medica che tentava di spiegare le esperienze di pre-morte come fossero vari trucchi del cervello». «A quel punto, avevo studiato ampiamente il soggetto e nessuna delle spiegazioni che questo ricercatore elencava era convincente. Mi fu infine chiaro che egli aveva mancato la spiegazione più ovvia – che queste esperienze sono reali. Aveva mancato di considerare la possibilità che l’anima realmente viaggi».

Moody fa eco a questo parere e dice che vent’anni di ricerca lo hanno convinto che coloro che sperimentano la pre-morte si sono davvero avventurati in un altro livello di realtà. Egli ritiene che la maggior parte degli studiosi di questo fenomeno sia della stessa opinione. «Ho parlato quasi con tutti gli studiosi del mondo circa il loro lavoro. So che la maggior parte di essi crede nel profondo che queste esperienze siano un barlume della vita dopo la vita. Ma in quanto scienziati e persone di medicina, essi non sono ancora riusciti a produrre prove scientifiche del fatto che una parte di noi continua a vivere dopo la morte del nostro essere fisico. Questa mancanza di prove li trattiene dal rendere pubblico ciò che sentono veramente».

Come risultato della sua indagine del 1981, perfino George Gallup Jr., il presidente del sondaggio Gallup, ne conviene: «Un numero crescente di ricercatori si è riunito e ha valutato i resoconti di coloro che hanno avuto strani incontri in prossimità della morte. E i risultati preliminari indicano in modo convincente una qualche sorta di incontro con un campo di realtà di un’altra dimensione. Il nostro ampio sondaggio è il più recente di questi studi e rivela anch’esso alcuni indizi che puntano verso un superuniverso parallelo di qualche tipo».

Una spiegazione olografica dell’esperienza di pre-morte

Queste sono asserzioni sbalorditive. Ciò che è ancora più stupefacente è che l’establishment scientifico ha per la maggior parte ignorato sia le conclusioni di questi ricercatori che la grande abbondanza di prove che li costringe a pronunciare simili affermazioni. Le ragioni di questo sono varie e complesse. Una di esse è che non è attualmente di moda nella scienza considerare seriamente qualsiasi fenomeno che sembri sostenere l’idea di una realtà spirituale, e, come citato all’inizio di questo libro, le convinzioni sono come assuefazioni e non allentano facilmente la loro presa. Un’altra ragione, come Moody osserva, è il pregiudizio diffuso fra gli scienziati che le sole idee ad avere un qualsiasi valore o significato sono quelle che possono essere dimostrate in senso strettamente scientifico. Un’altra ancora è, se queste esperienze sono reali, l’incapacità della nostra attuale conoscenza scientifica della realtà anche solo di iniziare a spiegarle.

Quest’ultima ragione, comunque, potrebbe non essere tanto problematica quanto sembra. Parecchi studiosi di esperienze di pre-morte hanno fatto notare che il modello olografico ci offre un modo di comprendere questi fenomeni. Uno di questi ricercatori è il dottor Kenneth Ring, professore di psicologia presso la University of Conneticut e uno dei primi ricercatori ad usare l’analisi statistica e le tecniche standarizzate di intervista per studiare il fenomeno. Nel suo libro del 1980 Life at Death, Ring dedica molte pagine argomentando a favore di una spiegazione olografica dell’esperienza. Detto in parole povere, Ring ritiene che anche le esperienze di pre-morte siano avventure in quegli aspetti della realtà più simili alle frequenze.

Ring basa la sua conclusione sui numerosi aspetti suggestivamente olografici del fenomeno. Uno di essi è la tendenza di coloro che lo sperimentano a descrivere il mondo al di là come un regno fatto di «luce», di «vibrazioni più alte» o di «frequenze». Alcuni di coloro che hanno vissuto l’esperienza si riferiscono addirittura alla musica celestiale che accompagna queste esperienze più come a «una combinazione di vibrazioni» che a suoni reali- osservazioni che Ring ritiene siano la dimostrazione che l’atto di morire implica uno spostamento di coscienza dal mondo ordinario delle apparenze verso una realtà maggiormente olografica di pure frequenze. Coloro che sperimentano la pre-morte spesso dicono anche che quel regno è soffuso di una luce più brillante di qualsiasi altra abbiano mai visto sulla terra, ma che, nonostante la sua incommensurabile intensità, non disturba gli occhi, caratterizzazioni che Ring crede siano un’ulteriore prova degli aspetti di frequenza dell’aldilà.

Un altro aspetto che Ring trova innegabilmente olografico sono le descrizioni di tempo e spazio di coloro che vivono queste esperienze nel regno oltre la vita. Una delle caratteristiche riferite più comunemente del mondo al di là è che esso è una dimensione nella quale tempo e spazio cessano di esistere. «Mi trovai in uno spazio, in un periodo di tempo, direi, dove spazio e tempo erano annullati», dice goffamente una persona dopo un’esperienza di pre-morte.36 «Deve essere al di fuori di spazio e tempo. Deve esserlo, perché… non è possibile includerlo in qualcosa di temporale», dice un altro.37 Dato che tempo e spazio sono inesistenti e la localizzazione è priva di significato nel dominio delle frequenze, questo è esattamente ciò che ci aspetteremmo di trovare, se questo tipo di esperienze avesse luogo in uno stato di coscienza olografico, dice Ring.

Se il regno della pre-morte è ancora più simile a quello delle frequenze rispetto al nostro livello di realtà, perché allora sembra avere una struttura? Dato che sia le esperienze extracorporee che quelle di pre-morte offrono ampia dimostrazione che la mente può esistere indipendentemente dal cervello, Ring crede che non sia troppo azzardato supporre che anch’essa funzioni olograficamente. Perciò, quando la mente è nelle frequenze più alte della dimensione prossima alla morte, continua a fare ciò che meglio fa, trasformare cioè quelle frequenze in un mondo di apparenze. O come Ring dice: «Credo che questo sia un regno creato dalle strutture interattive del pensiero. Queste strutture, o ‘forme di pensiero’, si combinano e generano configurazioni, proprio come le onde di interferenza formano configurazioni su una lastra olografica. E proprio allo stesso modo nel quale un’immagine olografica sembra essere completamente reale quando viene illuminata da un raggio laser, così le immagini prodotte dall’interazione di forme di pensiero sembrano essere reali».

Ring non è isolato nelle sue congetture. Nel discorso chiave del convegno del 1989 dell’International Association for Near-Death Studies (IANDS), la dottoressa Elizabeth W. Fenske, una psicologa clinica che esercita privatamente a Filadelfia, annunciò di credere che tali esperienze siano viaggi in un regno olografico di più alte frequenze. Ella è d’accordo con l’ipotesi di Ring che paesaggi, fiori, strutture fisiche, e così via, della dimensione dopo la vita sono formati dall’interazione (o interferenza) di strutture di pensiero. «Ritengo che siamo giunti al punto, nella ricerca sulle esperienze di pre-morte, in cui è difficile fare una scissione fra il pensiero e la luce. Nell’esperienza in prossimità della morte – osserva – il pensiero sembra essere luce».

Il paradiso come ologramma

Oltre a quelle citate da Ring e dalla Fenske, questo fenomeno possiede numerose altre caratteristiche che sono marcatamente olografiche. Come coloro che vivono esperienze extracorporee dopo essersi distaccati dal corpo, coloro che sperimentano la pre-morte hanno due forme possibili nelle quali trovarsi: una nuvola di energia libera dal corpo, oppure un corpo di tipo olografico scolpito dal pensiero. Nel caso della seconda possibilità, la natura del corpo creata dalla mente è spesso sorprendentemente ovvia per chi compie l’esperienza. Ad esempio, un uomo sopravvissuto a questa esperienza disse che, una volta fuoriuscito dal corpo, somigliava a «una sorta di medusa» e cadde morbidamente sul pavimento come una bolla di sapone. Poi, si espanse rapidamente nell’immagine fantasmica tridimensionale di un uomo nudo. Tuttavia, la presenza di due donne nella stanza lo mise in imbarazzo e, con sua sorpresa, questo senso di pudore fece sì che si ritrovasse improvvisamente vestito (le donne, comunque, non diedero alcun segno di essere in grado di vedere tutto questo).

Il fatto che i nostri sentimenti e desideri più intimi sono responsabili della creazione della forma che assumiamo nella dimensione dopo la vita è evidente nelle esperienze di altri che hanno vissuto la pre-morte. Persone che sono costrette in una sedia a rotelle nella propria esistenza fisica si ritrovano in corpi sani capaci di correre e danzare. Persone con arti amputati immancabilmente li riacquistano. Gli anziani spesso si ritrovano in corpi giovani, e, ancora più strano, i bambini si vedono spesso come adulti, un fatto che sembra riflettere il desiderio di ogni bambino di essere tale, o potrebbe, in senso più profondo, essere un’indicazione simbolica che nelle nostre anime alcuni di noi sono molto più vecchi di quanto ci rendiamo conto.

Questi corpi simili a ologrammi possono essere straordinariamente dettagliati. Nel caso che coinvolgeva l’uomo imbarazzato della propria nudità, ad esempio, il vestiario che aveva materializzato per se stesso si presentava in modo talmente particolareggiato, che poteva perfino vederne le cuciture nella stoffa! In modo analogo, un altro uomo che studiò le proprie mani mentre si trovava nello stato prossimo alla morte disse che erano «composte di luce con minuscole strutture», e quando le osservò da vicino, poté anche vedere «le delicate spirali delle sue impronte digitali e le linee di luce lungo le proprie braccia».

Anche parte della ricerca di Whitton è rilevante per quanto concerne questo argomento. Sorprendentemente, quando Whitton ipnotizzava i pazienti e li induceva a regredire allo stato intermedio fra le vite passate, anche loro riferivano tutte le classiche caratteristiche già riportate: passaggio attraverso un tunnel, incontri con parenti deceduti e/o «guide», entrata in uno splendido regno colmo di luce nel quale tempo e spazio non esistevano più, incontri con esseri luminosi e una visione retrospettiva della propria vita. In effetti, secondo i soggetti di Whitton, lo scopo principale della visione retrospettiva era di rinfrescare le loro memorie, così che potessero progettare la vita successiva più attentamente, un processo nel quale gli esseri di luce li assistevano delicatamente e non coercitivamente.

Come Ring, dopo avere studiato la testimonianza dei suoi soggetti, Whitton trasse la conclusione che le forme e le strutture che si percepiscono nella dimensione al di là della vita sono forme di pensiero create dalla mente. «Il famoso detto di René Descartes ‘penso, quindi sono,’ non è mai stato tanto pertinente quanto nello stadio fra le vite», dice Whitton. «Non vi è esperienza dell’esistenza senza il pensiero».

Questo era in special modo vero quando si trattava della forma che i pazienti di Whitton assumevano nello stato intermedio. Parecchi di loro dissero che se non pensavano non avevano nemmeno un corpo. «Un uomo descrisse questo dicendo che, se cessava di pensare, era soltanto una nuvola in una nuvola infinita, indifferenziata», egli osserva. «Ma appena iniziò a pensare, divenne se stesso» (uno stato di cose che stranamente ricorda il caso dei soggetti nell’esperimento di ipnosi reciproca di Tart, che scoprirono di non avere mani a meno che non le pensassero come esistenti). Dapprima, i corpi che i soggetti di Whitton assumevano somigliavano alle persone che erano state nella loro ultima vita. Ma col proseguire della loro esperienza nello stato intermedio fra le vite, divennero gradualmente una specie di insieme simile a un ologramma di tutte le loro vite precedenti. Questa identità composita aveva perfino un nome separato da ciascuno dei nomi che avevano usato nelle incarnazioni fisiche, sebbene nessuno dei suoi soggetti fosse in grado di pronunciarlo usando le proprie corde vocali.

Che aspetto hanno coloro che sperimentano la pre-morte, quando non si sono costruiti un corpo olografico? Molti dicono che non erano consapevoli di alcuna forma e che erano semplicemente «se stessi» o «la propria mente». Altri hanno impressioni più specifiche e si descrivono come «una nuvola di colori», oppure «una foschia», «una configurazione di energia», o «un campo energetico», termini che suggeriscono nuovamente che siamo tutti alla fine soltanto fenomeni di frequenza, configurazioni di qualche sconosciuta energia vibratoria celata nella più grande matrice del dominio delle frequenze. Alcuni di coloro che hanno vissuto l’esperienza asseriscono che, oltre a essere composti da frequenze colorate di luce, siamo anche costituiti di suono. «Mi resi conto che ogni persona e cosa ha la propria gamma di toni musicali, come pure la propria gamma di colori», disse una casalinga dell’Arizona che aveva avuto un’esperienza di pre-morte durante il parto. «Se potessi immaginare te stesso mentre ti muovi senza sforzo dentro e fuori fra raggi prismatici di luce e odi le note musicali di ciascuna persona che si uniscono e si armonizzano con le tue, quando passi loro vicino o le sfiori, avresti un’idea del mondo invisibile». La donna, che incontrò molti individui nel regno dell’aldilà che si manifestavano soltanto come nuvole di colori e suono, crede che i toni dolcissimi emanati da ogni anima siano ciò che le persone descrivono quando dicono di udire musica bellissima nella dimensione di pre-morte.

Come Monroe, molti di coloro che vivono l’esperienza riferiscono di essere in grado di vedere in tutte le direzioni simultaneamente, mentre si trovano nello stato disincarnato. Dopo essersi domandato che sembianze avesse, un uomo disse di essersi improvvisamente ritrovato di fronte alla propria schiena. Robert Sullivan studioso dilettante dell’argomento che vive in Pennsylvania e specializzato in esperienze di pre-morte vissute da soldati durante il combattimento, intervistò un veterano della Seconda Guerra Mondiale che aveva conservato temporaneamente questa capacità anche dopo essere tornato al proprio corpo fisico. «Egli sperimentò la visione a trecentosessanta gradi, mentre scappava da una trincea di mitragliatrici tedesche», dice Sullivan. «Non solo era in grado di vedere davanti a sé mentre correva, ma poteva vedere i mitraglieri che tentavano di prenderlo di mira da dietro».

Conoscenza istantanea

Un altro aspetto dell’esperienza di pre-morte che possiede molte caratteristiche olografiche è la visione retrospettiva della vita. Ring si riferisce ad essa come a «un fenomeno olografico per eccellenza». Anche Grof e Joan Halifax, un medico antropologo di Harvard e coautrice (con Grof) di The Human Encounter With Death, hanno sottolineato gli aspetti olografici della visione retrospettiva della vita. Secondo molti studiosi del fenomeno, incluso Moody, anche molti di coloro che sperimentano la pre-morte usano essi stessi il termine «olografico» per descrivere l’esperienza.

La ragione di questa definizione è ovvia appena si iniziano a leggere i resoconti delle visioni retrospettive della vita. Ripetutamente, coloro che hanno esperienza della pre-morte usano gli stessi aggettivi per descriverla, riferendosi a essa come a un replay panoramico incredibilmente vivido e tridimensionale della loro intera vita. «È come penetrare proprio all’interno di un film della tua vita» dice il protagonista di un’esperienza di questo tipo. «Ogni momento di ogni anno della tua vita è riproiettato nei più completi dettagli percepibili. Un ricordo assolutamente totale. E avviene tutto in un istante». «L’intera cosa era piuttosto strana. Ero lì; stavo effettivamente vedendo questi flashback; stavo veramente camminandovi attraverso, ed era così veloce. Eppure, abbastanza lento da poterlo assimilare interamente», dice un altro.

Durante questo ricordo istantaneo e panoramico, coloro che sperimentano la pre-morte rivivono tutte le emozioni, le gioie e i dispiaceri che hanno accompagnato ogni evento della loro vita. Per di più, provano anche tutte le emozioni delle persone con le quali hanno interagito. Percepiscono la felicità di tutti gli individui con i quali sono stati gentili. Se hanno commesso un atto offensivo, diventano acutamente consapevoli del dolore che la loro vittima aveva provato come conseguenza della loro sventatezza. E sembra che nessun evento sia abbastanza insignificante da essere trascurato. Mentre riviveva un momento della sua infanzia, una donna provò improvvisamente tutto il senso di privazione e impotenza che sua sorella aveva provato, dopo che lei (allora una bambina) le aveva sottratto un giocattolo.

Whitton ha dimostrato che gli atti sconsiderati non sono le sole cose a far provare rimorso agli individui durante la visione retrospettiva della loro vita. Sotto ipnosi, i suoi soggetti riferirono che anche i sogni e le aspirazioni mancate – cose che avevano sperato di realizzare durante la vita, ma non erano riusciti a portare a compimento – causavano loro accessi di tristezza. Anche i pensieri vengono riproposti con assoluta fedeltà durante la visione della vita. Chimere, volti visti una volta ma ricordati per anni, cose che ci hanno fatto ridere, la gioia provata nell’osservare un particolare dipinto, preoccupazioni infantili, sogni a occhi aperti da lungo dimenticati passano tutti attraverso la mente in un secondo. Come un protagonista dell’esperienza di pre-morte riassume, «nemmeno i tuoi pensieri sono perduti… Ogni pensiero era presente».

E così la visione retrospettiva della vita non è olografica soltanto nella sua tridimensionalità, ma anche nell’incredibile contenuto di informazione che il processo mostra. È olografica anche in un terzo senso. Come «l’aleph» cabalistico, un mitico punto nello spazio e nel tempo che contiene ogni altro punto nel tempo e nello spazio, essa è un momento che contiene ogni altro momento. Anche la capacità di percepire la visione retrospettiva della vita sembra essere olografica, poiché è una facoltà in grado di sperimentare qualcosa che paradossalmente è, allo stesso tempo, sia incredibilmente rapido che abbastanza lento da essere visto nei minimi dettagli. Come un protagonista dell’esperienza lo espresse nel 1821, è l’abilità di «comprendere simultaneamente l’intero e ogni sua parte».

In effetti, la visione retrospettiva della vita ha una forte rassomiglianza con le scene del giudizio dell’aldilà descritte nei testi sacri di molte delle grandi religioni del mondo, da quella egizia alla giudeo-cristiana, ma con una differenza cruciale. Come i soggetti di Whitton, coloro che sperimentano la pre-morte riferiscono universalmente di non essere mai giudicati dagli esseri di luce, ma di avvertire in loro presenza solo amore e accettazione. Il solo giudizio che mai si verifica è l’autogiudizio, e sorge esclusivamente dai sentimenti di colpa e pentimento personali di colui che la vive. Occasionalmente, gli esseri si impongono, ma anziché comportarsi in maniera autoritaria, fungono da guide e consiglieri il cui unico scopo è di insegnare.

Questa totale mancanza di giudizio cosmico e/o di qualsiasi sistema divino di punizione e ricompensa è stata e continua a essere uno degli aspetti più discussi del fenomeno fra i gruppi religiosi, ma è una delle caratteristiche maggiormente riferite dell’esperienza. Qual è la spiegazione? Moody crede che sia semplice quanto polemica. Viviamo in un universo molto più benevolo di quanto immaginiamo. Ciò non significa che tutto è approvato, durante la visione retrospettiva della vita. Come i soggetti ipnotizzati da Whitton, dopo essere giunti nel regno della luce, coloro che sperimentano la pre-morte entrano in uno stato di consapevolezza elevata, o metacoscienza, e divengono limpidamente onesti nelle proprie auto riflessioni.

Non significa nemmeno che gli esseri di luce non suggeriscano valori morali. Di esperienza in esperienza, essi danno enfasi a due cose. Una di esse è l’importanza dell’amore. Ripetono di continuo questo messaggio, che dobbiamo imparare a sostituire la rabbia con l’amore, imparare ad amare di più, imparare a perdonare e ad amare tutti senza condizioni, e imparare che a nostra volta siamo amati. Questo sembra essere il solo criterio morale usato dagli esseri. Perfino l’attività sessuale cessa di possedere il marchio d’infamia morale che noi esseri umani amiamo tanto attribuirle. Uno dei soggetti di Whitton riferì che dopo avere vissuto parecchie incarnazioni introverse e depresse, era stato vivamente consigliato di progettare una vita come femmina affettuosa e sessualmente attiva, per bilanciare lo sviluppo globale della sua anima. Sembra che nelle menti degli esseri di luce, la compassione sia il barometro della grazia; e ripetutamente, quando coloro che sperimentano la pre-morte si chiedono se un atto commesso fosse giusto o sbagliato, gli esseri replicano alle loro domande soltanto con una domanda: l’hai fatto per amore? Il motivo era amore?

È per questo che siamo qui sulla terra, dicono gli esseri, per imparare che l’amore è la chiave. Si rendono conto che è un impegno difficile, ma dichiarano che è cruciale sia per la nostra esistenza biologica che spirituale, in modi che forse non abbiamo nemmeno iniziato a contemplare. Perfino i bambini tornano dal regno prossimo alla morte con questo messaggio fermamente impresso nei loro pensieri. Un bambino che, dopo essere stato investito da un’automobile, fu guidato nel mondo al di là da due persone in tuniche «bianchissime», dice: «Ciò che ho imparato lì è che la cosa più importante è amare mentre sei in vita».

La seconda cosa che gli esseri enfatizzano è la conoscenza. Frequentemente, coloro che vivono l’esperienza commentano che gli esseri sembravano compiaciuti, qualora un evento che coinvolgeva la conoscenza o l’apprendimento fosse emerso durante la loro visione retrospettiva della vita. Alcuni vengono apertamente consigliati di dedicarsi, dopo essere tornati ai propri corpi fisici, alla ricerca della conoscenza, specialmente la conoscenza connessa alla crescita personale o alla capacità di aiutare le altre persone. Altri vengono stimolati da affermazioni come: «L’apprendimento è un processo continuo e continua anche dopo la morte», e: «la conoscenza è una delle poche cose che sarai in grado di portare con te dopo essere morto».

La preminenza della conoscenza nella dimensione dopo la vita è evidente anche in altro modo. Alcuni di coloro che hanno sperimentato la pre-morte hanno scoperto che in presenza della luce avevano improvvisamente accesso all’intera conoscenza. Questo accesso si manifestava in parecchi modi. A volte, giungeva in risposta a domande. Un uomo disse che tutto ciò che doveva fare era porre un quesito, ad esempio, cosa significasse essere un insetto, e istantaneamente vi si identificava. Un altro protagonista descrisse il fenomeno dicendo: «Puoi pensare a una domanda… e immediatamente conoscerne la risposta. È così semplice. E può essere qualsiasi domanda. Può riguardare un soggetto sul quale non sai nulla, e per comprendere il quale non ti trovi nemmeno nella giusta posizione, e la luce ti darà l’istantanea, corretta risposta e te la farà comprendere».

Alcuni di coloro che hanno sperimentato la pre-morte riferiscono il fatto che non avevano nemmeno bisogno di porre domande, per potere accedere a questa infinita biblioteca di informazione. Seguendo la visione retrospettiva delle loro vite, semplicemente d’improvviso sapevano ogni cosa, tutto quanto c’era da conoscere dall’inizio alla fine del tempo. Altri entravano in contatto con questa conoscenza dopo che l’essere di luce aveva compiuto qualche gesto specifico come agitare la mano. Altri ancora dissero che invece di acquistare la conoscenza, la ricordavano, ma che avevano dimenticato la maggior parte di quanto ricordato, appena tornati ai loro corpi fisici (un’amnesia che sembra essere universale fra quegli sperimentatori di pre-morte che hanno conosciuto questo tipo di visioni). Comunque stiano i fatti, sembra che una volta nel mondo al di là, non sia più necessario entrare in uno stato alterato di coscienza per potere accedere al regno dell’informazione transpersonale e infinitamente interconnesso sperimentato dai pazienti di Grof.

Oltre ad essere olografica in tutti i sensi già citati, questa visione di conoscenza totale ha un’altra caratteristica olografica. Coloro che vivono l’esperienza spesso dicono che, durante la visione, l’informazione giunge in «blocchi», che si registrano istantaneamente nella mente. In altre parole, anziché essere disposti in fila in maniera lineare come parole in una frase o scene in un film, tutti i fatti, dettagli, immagini e informazioni esplodono nella consapevolezza in un istante. Un protagonista dell’esperienza di pre-morte si riferì a queste esplosioni di informazione come a «fasci di pensiero». Monroe, che ha anch’egli sperimentato simili esplosioni istantanee di informazione durante lo stato extracorporeo, le definisce «palle di pensiero».

In effetti, chiunque possieda un’abilità sensitiva apprezzabile conosce questa esperienza, poiché essa è la forma nella quale si riceve anche l’informazione medianica. Ad esempio, a volte, quando incontro uno straniero (e occasionalmente, perfino quando odo il solo nome di una persona), una palla di pensiero di informazione circa quella persona lampeggia istantaneamente nella mia consapevolezza. Questa palla di pensiero può includere fatti importanti riguardanti la struttura psicologica ed emotiva della persona, la sua salute, e perfino scene appartenenti al suo passato. Trovo di avere particolarmente la tendenza a ricevere palle di pensiero circa persone che sono in una qualche sorta di crisi. Ad esempio, recentemente incontrai una donna e seppi all’istante che contemplava l’idea del suicidio. Ne conoscevo anche alcuni dei motivi. Come sempre faccio in simili situazioni, iniziai a parlarle e cautamente diressi la conversazione verso argomenti paranormali. Dopo avere appurato che era ricettiva alla materia, la misi a confronto con ciò che sapevo e la indussi a parlare dei suoi problemi. Le feci promettere che avrebbe cercato qualche sorta di consiglio professionale, invece della triste scelta che stava considerando.

Questo modo di ricevere informazione è simile a quello che ci rende consapevoli durante i sogni. Quasi tutti hanno avuto un sogno nel quale si trovano in una data situazione e improvvisamente sanno cose di tutti i tipi in proposito, senza che siano state loro dette. Ad esempio, potreste sognare di essere a una festa e appena vi arrivate sapete in onore di chi è stata data e per quale ragione. In modo analogo, ognuno è stato colpito da un’idea dettagliata o ispirazione improvvisa. Queste esperienze sono versioni ridotte dell’effetto della palla di pensiero.

Stranamente, poiché queste esplosioni di informazione paranormale giungono in blocchi non lineari, a volte mi sono necessari parecchi minuti per tradurle in parole. Come le gestalt psicologiche sperimentate da individui durante esperienze transpersonali, sono olografiche nel senso che sono «interi» istantanei, con i quali le nostre menti orientate verso una percezione temporale devono lottare per un attimo, per potersi districare e trasformarli in una disposizione sequenziale di parti. Quale forma prende la conoscenza contenuta nelle palle di pensiero sperimentate durante la pre-morte? Secondo coloro che hanno avuto l’esperienza, vengono usate tutte le forme di comunicazione, suoni, immagini olografiche in movimento, perfino la telepatia – un fatto che Ring ritiene dimostri ancora una volta che l’aldilà è «una sfera di esistenza dove il pensiero è re».

L’attento lettore si potrebbe immediatamente domandare perché la ricerca della conoscenza sia tanto importante durante la vita, se abbiamo accesso all’intera conoscenza dopo la morte? Coloro che hanno vissuto questo stato, interrogati sull’argomento, hanno risposto di non esserne certi, ma che sentivano fortemente che avesse qualcosa a che fare con lo scopo della vita e la capacità di ciascun individuo di espandersi e aiutare gli altri.

Progetti di vita e tracce di tempi paralleli

Come Whitton, anche gli studiosi della pre-morte hanno scoperto prove che le nostre vite, almeno fino a un certo punto, sono progettate in anticipo, e che ciascuno di noi gioca un ruolo nella creazione di questo progetto. Questo è evidente in parecchi aspetti dell’esperienza. Frequentemente, dopo essere giunti nel mondo della luce, viene detto a coloro che hanno l’esperienza che «non è ancora giunto il loro tempo». Come Ring fa notare, questa asserzione implica chiaramente l’esistenza di un qualche tipo di «progetto della vita».63 È anche chiaro che coloro che vivono la pre-morte giocano un ruolo nella formulazione di questi destini, poiché è spesso data loro la scelta se tornare o rimanere. Vi sono addirittura casi di protagonisti dell’esperienza ai quali è stato detto che quello era il loro momento ed era comunque stato loro concesso di tornare. Moody cita un caso in cui un uomo iniziò a piangere quando si rese conto di essere morto, perché temeva che sua moglie non sarebbe stata in grado di allevare il loro nipote senza di lui. Sentendo questo, l’essere gli disse che dato che non chiedeva per se stesso, gli sarebbe stato permesso di tornare.64 In un altro caso una donna arguì che non aveva ballato ancora abbastanza. La sua affermazione fece sì che l’essere di luce scoppiasse in una grande risata e fu concesso anche a lei il permesso di tornare alla vita fisica.

Il fatto che il nostro futuro è almeno parzialmente disegnato è evidente anche nel fenomeno che Ring chiama «flashforward». Occasionalmente, durante la visione della conoscenza, vengono mostrati a coloro che hanno l’esperienza barlumi del proprio futuro. In un caso particolarmente sensazionale, a un bambino protagonista del fenomeno furono rivelati vari fatti specifici sul suo futuro, inclusa l’informazione che si sarebbe sposato all’età di ventott’anni e avrebbe avuto due bambini. Gli vennero addirittura mostrati la sua immagine adulta e i suoi futuri bambini seduti in una stanza della casa che avrebbe a un dato punto abitato, e nell’osservare la stanza, notò qualcosa di molto strano sul muro, qualcosa che la sua mente non riusciva ad afferrare. Decenni più tardi e dopo che ciascuna di queste previsioni si era verificata, si ritrovò nell’esatta situazione a cui aveva assistito da bambino, e si rese conto che lo strano oggetto sul muro era un «termosifone ad aria», un tipo di termosifone che non era ancora stato inventato al tempo della sua esperienza.

In un altro flashforward altrettanto stupefacente, fu mostrata a una sperimentatrice di pre-morte una fotografia di Moody, le fu detto il suo nome per intero, e anche che, quando fosse giunto il momento, gli avrebbe raccontato la sua esperienza. L’anno era il 1971 e Moody non aveva ancora pubblicato Life After Life, quindi il suo nome e la fotografia non significavano nulla per la donna. Tuttavia, il momento «giunse» quattro anni più tardi, quando Moody e la sua famiglia casualmente si trasferirono proprio nella stessa via in cui la donna viveva. Durante la festa di Halloween, il figlio di Moody era in giro a fare «trick-or-treat» (N.d.T.) Frase pronunciata dai bambini che si presentano alla porta dei vicini nel giorno di Halloween, esigendo dei dolci e minacciando rappresaglie in caso di rifiuto) e bussò alla porta della donna. Dopo avere udito il nome del ragazzo, questa gli disse di comunicare a suo padre che aveva bisogno di parlargli, e quando Moody aderì all’invito, ella raccontò l’eccezionale storia.

Alcuni degli individui che hanno esperienze di pre-morte sostengono l’idea di Loye che esistono molti universi o tracce di tempi paralleli olografici. A volte, a coloro che vivono il fenomeno vengono mostrati flashforward e viene loro detto che il futuro a cui hanno assistito si verificherà solo se proseguiranno sul proprio sentiero attuale. In un singolare caso, fu mostrata a una protagonista dell’esperienza di pre-morte una storia della terra completamente diversa, una storia che si sarebbe sviluppata, se «certi eventi» non si fossero verificati intorno all’epoca del filosofo e matematico greco Pitagora, tremila anni fa. La visione rivelò che se questi eventi, dei quali la donna non chiarì l’esatta natura, non si fossero verificati, ora vivremmo in un mondo di pace e armonia caratterizzato «dall’assenza di guerre religiose e della figura di un Cristo».68 [lo sapevo, io, che Pitagora era uno di quelli giusti! ;o)] Simili esperienze suggeriscono che le leggi del tempo e dello spazio operative in un universo olografico potrebbero essere davvero molto strane.

Perfino coloro che vivono la pre-morte, ma non hanno esperienza diretta del ruolo che giocano nel proprio destino, spesso ritornano con una ferma comprensione dell’interconnessione olografica di tutte le cose. Come dice un uomo d’affari di sessantadue anni, che ebbe una di queste esperienze durante un arresto cardiaco: «Una cosa che ho imparato è che siamo tutti parte di un unico grande universo vivente. Se pensiamo di poter ferire un’altra persona o un’altra cosa vivente senza nuocere a noi stessi, siamo tristemente in errore. Adesso guardo una foresta, o un fiore, o un uccello e dico, ‘Quello è me, parte di me’. Siamo connessi con tutte le cose, e se inviamo amore attraverso quelle connessioni, allora siamo felici».

Potete nutrirvi ma non è indispensabile

Gli aspetti olografici e creati dalla mente della dimensione in prossimità della morte sono evidenti in una miriade di altri modi. Nel descrivere l’aldilà, una bambina disse che il cibo appariva ogni volta che lo desiderava, ma che non era necessario mangiare, un’osservazione che sottolinea ancora una volta la natura illusoria e simile a un ologramma della realtà dopo la morte.70 Perfino al linguaggio simbolico della psiche è data una forma «oggettiva». Ad esempio, uno dei soggetti di Whitton disse che quando fu introdotto a una donna che avrebbe avuto una parte importante nella sua vita successiva, anziché apparire come essere umano, ella apparve in una forma che era metà rosa e metà cobra. Dopo essere stato spinto a risolvere il significato del simbolismo, si rese conto che la donna e lui erano stati innamorati in altre due vite. Tuttavia, ella era anche stata per due volte responsabile della sua morte. Perciò, invece di manifestarsi come essere umano, gli elementi insieme amorevoli e sinistri del suo carattere fecero sì che apparisse in una forma simile a un ologramma che meglio simboleggiava queste qualità diametralmente opposte.

Il soggetto di Whitton non è isolato nella sua esperienza. Hazrat Inayat Khan disse che quando entrò in uno stato mistico e viaggiò verso le «realtà divine», gli esseri che incontrò apparvero anch’essi occasionalmente in forme metà umane e metà animali. Come il soggetto di Whitton, Khan comprese che queste trasfigurazioni erano simboliche, e quando un essere appariva in parte animale era perché l’animale simboleggiava una certa qualità che esso possedeva. Ad esempio, un essere che aveva grande forza poteva apparire con la testa di un leone, o un essere insolitamente sveglio e astuto poteva avere alcune delle caratteristiche di una volpe. Khan teorizzò che questa è la ragione per la quale le culture antiche, come quella egizia, ritraevano gli dei che governano il regno dell’aldilà con teste di animali.

La tendenza che la realtà in prossimità della morte ha nel modellarsi in forme simili a ologrammi che rispecchiano i pensieri, i desideri e i simboli che popolano le nostre menti, spiega perché gli occidentali tendono a percepire gli esseri di luce come figure religiose cristiane, mentre gli indiani li percepiscono come santi induisti e divinità, e così via. La plasticità del regno della pre-morte suggerisce che queste apparizioni possano essere né più né meno reali del cibo che la bambina sopracitata aveva materializzato col semplice desiderio, della donna che apparve come un misto di cobra e rosa, e degli indumenti fantomatici fatti apparire dal protagonista dell’esperienza che era imbarazzato della propria nudità. Questa stessa plasticità spiega le altre differenze culturali che si riscontrano nelle esperienze in prossimità della morte, come il perché alcuni di coloro che vivono il fenomeno giungono all’aldilà viaggiando attraverso un tunnel, alcuni attraversando un ponte, altri sorvolando una massa d’acqua, e altri ancora semplicemente camminando lungo una strada. Di nuovo, sembra che in una realtà creata soltanto dall’interazione di strutture di pensiero, perfino il paesaggio stesso è scolpito dalle idee e aspettative dello sperimentatore.

In questo frangente, è necessario sottolineare un punto importante. Per quanto sbalorditivo e sconosciuto il regno della quasi morte possa sembrare, le prove presentate in questo libro rivelano che il nostro livello di esistenza potrebbe non essere poi tanto diverso. Come abbiamo visto, anche noi possiamo avere un completo accesso all’informazione; per noi è soltanto un po’ più difficile. Anche noi possiamo occasionalmente avere flashforward personali e trovarci faccia a faccia con la natura fantasmica di tempo e spazio. E anche noi possiamo scolpire e rimodellare i nostri corpi, e a volte perfino la nostra realtà, secondo le nostre convinzioni; abbiamo giusto bisogno di un piccolo sforzo in più. Infatti, le abilità di Sai Baba [Sai Baba era una pessima, pessima persona e là fuori non c’è solo amore e luce, c’è anche chi, a buon diritto, ama oscurità e dolore, per il prossimo] suggeriscono che possiamo addirittura materializzare cibo semplicemente desiderandolo, e l’inedia di Therese Neumann offre prova che nutrirsi potrebbe essere in definitiva superfluo quanto lo è per gli individui nel regno della quasi morte.

In effetti, sembra che questa realtà e la successiva siano differenti in gradi, ma non in sostanza. Entrambi sono costrutti simili a ologrammi, realtà che sono fondate, come dicono Jahn e la Dunne, solo dall’interazione della coscienza con il suo ambiente. In altre parole, la nostra realtà sembra essere una versione più rigida della dimensione dopo la vita. Ci vuole un po’ più tempo perché le nostre credenze riscolpiscano i nostri corpi in cose come le stigmate simili a chiodi, e perché il linguaggio simbolico della nostra psiche si palesi esternamente sotto forma di sincronicità. Ma si manifestano, in un lento fiume inesorabile, un fiume la cui presenza persistente ci insegna che viviamo in un universo che stiamo soltanto iniziando a comprendere.

Notizie sul regno della pre-morte provenienti da altre fonti

Non è necessario essere in pericolo di vita per visitare la dimensione dell’aldilà. Esistono prove che il regno della pre-morte possa essere raggiunto anche durante le esperienze extracorporee. Nei suoi scritti, Monroe descrive parecchie visite a livelli di realtà nei quali incontrò amici deceduti.73 Un visitatore della terra dei morti ancora più abile era il mistico svedese Swedenborg. Nato nel 1688, Swedenborg fu il Leonardo da Vinci della sua epoca. In gioventù studiò scienza. Era il maggiore matematico della Svezia, parlava nove lingue, era incisore, politico, astronomo e uomo d’affari, costruiva orologi e microscopi per hobby, scriveva libri su metallurgia, teoria del colore, commercio, economia, fisica, chimica, attività minerarie e anatomia, e inventò prototipi di aeroplani e sottomarini.

Nel contempo, egli meditava anche regolarmente, e quando raggiunse la mezza età, sviluppò la capacità di entrare in trance profonde, durante le quali lasciava il corpo e visitava ciò che gli sembrava essere il paradiso, e conversava con «angeli» e «spiriti». Del fatto che Swedenborg sperimentasse qualcosa di profondo durante questi viaggi non vi può essere dubbio. Egli divenne talmente famoso per questa dote, che la regina di Svezia gli chiese di scoprire perché il proprio fratello deceduto aveva trascurato di rispondere a una lettera che lei gli aveva inviato prima della sua morte. Swedenborg promise di consultare il defunto, e il giorno seguente tornò con un messaggio che la regina confessò conteneva informazioni note soltanto a lei e al fratello deceduto. Swedenborg compì questo servizio parecchie volte per vari individui che cercarono il suo aiuto, e in un’altra occasione disse a una vedova dove trovare un compartimento segreto nella scrivania del suo defunto marito, nel quale rinvenne dei documenti di cui aveva disperatamente bisogno. Quest’ultimo fatto divenne talmente famoso, da ispirare il filosofo tedesco Immanuel Kant a scrivere un intero libro su Swedenborg intitolato “I sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica” [a dire il vero questo testo giovanile era critico; il Kant più maturo invece prese sul serio la mistica e si convinse che Swedenborg era in grado di fare quel che sosteneva di fare]

Ma la cosa più straordinaria dei resoconti di Swedenborg circa il regno dell’aldilà è quanto riflettano da vicino le descrizioni offerte da coloro che sperimentano oggi il fenomeno della pre-morte. Ad esempio, Swedenborg parla dell’attraversamento di un tunnel scuro, di incontri con spiriti accoglienti, di paesaggi più belli di ogni altro sulla terra e dove tempo e spazio cessano di esistere, di una luce abbagliante che trasmette un senso di amore, apparendo dinanzi agli esseri di luce, e di un senso avvolgente di pace e serenità che circonda tutto.74 Egli dice inoltre che gli era permesso di osservare in prima persona l’arrivo in paradiso di coloro che erano appena deceduti, e di vedere mentre venivano sottoposti alla visione retrospettiva della vita, un processo che definì «l’apertura del Libro delle Vite». Ammise che durante il processo una persona assisteva a tutto quanto fosse mai stata o avesse fatto,» ma vi aggiunse una singolare novità. Secondo Swedenborg, l’informazione che emergeva durante l’apertura del Libro delle Vite era registrata nel sistema nervoso del corpo spirituale della persona. Quindi, per poter evocare la visione retrospettiva della vita un «angelo» doveva esaminare l’intero corpo dell’individuo «iniziando dalle dita di ciascuna mano, e proseguendo attraverso tutto il resto».

Swedenborg fa riferimento anche alle palle di pensiero olografiche che gli angeli usano per comunicare e dice che non sono diverse dalle rappresentazioni che poteva vedere nella «sostanza a onda» che circondava le persone. Come la maggior parte di coloro che vivono l’esperienza di pre-morte, egli descrive queste esplosioni telepatiche di conoscenza come un linguaggio pittorico talmente denso di informazione, che ciascuna rappresentazione contiene mille idee. La comunicazione di una serie di queste rappresentazioni può anche essere piuttosto prolissa e «durare fino a parecchie ore, in una disposizione sequenziale tale, di cui ci si può solo meravigliare».

Ma anche qui Swedenborg aggiunse una svolta affascinante. Oltre a usare raffigurazioni, gli angeli adoperano un linguaggio che contiene concetti che sono al di là della comprensione umana. In effetti, la ragione principale per la quale usano raffigurazioni è perché è l’unico modo di rendere una versione anche pallida dei loro pensieri e idee comprensibile agli esseri umani.

Le esperienze di Swedenborg confermano addirittura alcuni degli elementi meno comunemente riferiti dell’esperienza di pre-morte. Egli notò che nel mondo degli spiriti non è più necessario mangiare cibo, ma aggiunse che l’informazione ne prende il posto come sorgente di nutrimento. Disse che quando gli spiriti e gli angeli parlavano, i loro pensieri si fondevano in continuazione in immagini simboliche tridimensionali, specialmente di animali. Ad esempio, disse che quando gli angeli parlavano di amore e affetto «vengono mostrati bellissimi animali, come agnelli… Quando però gli angeli parlano di sentimenti malvagi, questo è raffigurato da animali spaventevoli, feroci e inutilizzabili, come tigri, orsi, lupi, scorpioni, serpenti e topi». Nonostante non sia una caratteristica riferita dai moderni protagonisti dell’esperienza, Swedenborg diceva di essere stupito di scoprire che in paradiso vi sono anche spiriti provenienti da altri pianeti, un’asserzione sbalorditiva per un uomo nato oltre trecento anni fa!

Più intriganti di tutte sono le asserzioni di Swedenborg che sembrano riferirsi alle qualità olografiche della realtà. Egli diceva, ad esempio, che sebbene gli esseri umani sembrino essere separati gli uni dagli altri, siamo tutti connessi in un’unità cosmica. Inoltre, ciascuno di noi è un paradiso in miniatura, e ogni persona è in verità l’intero universo fisico, è un microcosmo della più grande realtà divina. Come abbiamo visto, egli credeva anche che alla base della realtà visibile vi fosse una sostanza a onda.

In effetti, parecchi studiosi di Swedenborg hanno commentato sui molti parallelismi fra alcune delle sue concezioni e la teoria di Bohm e Pribram. Uno di questi studiosi è il Dottor George F. Dole, professore di teologia presso la Swedenborg School of Religion di Newton, in Massachusets. Dole, che possiede lauree conseguite a Yale, Oxford e Harvard, fa notare che uno dei principi basilari del pensiero di Swedenborg è che il nostro universo è costantemente creato e sostenuto da due flussi simili a onde, uno proveniente dal cielo e l’altro dalla nostra anima o spirito. «Se mettiamo insieme queste immagini, la somiglianza con l’ologramma è impressionante», dice Dole. «Siamo costituiti dall’intersezione di due flussi – uno diretto, proveniente dal divino, e uno indiretto, proveniente dal divino attraverso il nostro ambiente. Possiamo vedere noi stessi come schemi di interferenza, poiché l’afflusso è un fenomeno ondulatorio, e noi siamo il punto dove le onde si incontrano».

Swedenborg credeva anche che, nonostante le sue qualità effimere e fantasmiche, il paradiso fosse un livello di realtà più fondamentale del nostro mondo fisico. Esso è, diceva, la fonte archetipica dalla quale tutte le forme terrestri hanno origine, e alla quale tutte le forme ritornano, un concetto non troppo dissimile dall’idea di Bohm degli ordini implicito ed esplicito. Inoltre, anch’egli credeva che il regno dell’aldilà e la realtà fisica fossero differenti in gradazioni ma non in sostanza, e che il mondo fisico fosse semplicemente una versione statica della realtà del paradiso creata dal pensiero. La sostanza che include sia il paradiso che la terra «affluisce a stadi» dal divino, diceva Swedenborg, e «ad ogni nuovo stadio, diviene più generica e quindi più rozza e confusa, e diventa più lenta, e quindi più viscosa e fredda».

Swedenborg riempì quasi venti volumi con le sue esperienze, e sul letto di morte gli fu domandato se vi fosse qualcosa che volesse ripudiare. Egli rispose con fervore: «Tutto ciò che ho scritto è vero quanto il fatto che ora mi vedete. Avrei detto molto di più, se mi fosse stato permesso. Dopo la morte vedrete tutto, e allora avremo molto da scambiarci sull’argomento».

http://www.urraonline.com/libri/9788850322954/parte/brani

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