di Mauro Poggi
Articolo 18
Il Blog La Monarchia delle Banane segnala le dichiarazioni di alcune fra le nostri più brillanti intelligenze politiche:
Maurizio Sacconi: Il problema dell’Articolo 18 è che impedisce i licenziamenti per motivi disciplinari.
Massimo Corsaro: Chi difende l’Articolo 18 finge di non capire che quello è il vero ostacolo ad una vera opportunità di sviluppo per la nostra economia.
Osvaldo Napoli: Devo ancora conoscere quell’imprenditore che voglia liberarsi di un dipendente operoso e scrupoloso, al quale, semmai, pensa di dare un aumento di stipendio.
Qualcuno dovrebbe preoccuparsi di far sapere in giro che non è l’art 18 a impedire i licenziamenti per giusta causa, ma la legge 604/66 (applicabile a tutte le aziende e non solo a quelle con più di 15 dipendenti). L’art 18, per le aziende con più di 15 dipendenti, si limita a stabilire le sanzioni nel caso il licenziamento fosse ritenuto illegittimo, ai sensi appunto di tale legge.
La quale, fra le giuste cause, prevede anche i motivi disciplinari; purché sufficientemente gravi – ovviamente.
Che un ex Ministro del Lavoro cumuli due sciocchezze in un unica frase la dice lunga sull’onestà intellettuale e la preparazione dei nostri politici.
Fare dell’art 18 il “vero ostacolo” all’opportunità di sviluppo dell’economia (Corsaro) è un’altra di quelle affermazioni che per quanto ripetute all’infinito non smettono di essere infondate. Su (purtroppo) migliaia di licenziamenti, quelli che danno adito a vertenze ex art 18 sono poche decine; solo chi non ha il senso del ridicolo può sostenere che quelli da soli condizionino “vere opportunità di sviluppo”. Il problema, semmai, sono i tempi processuali, per cui dopo due o tre anni il datore di lavoro rischia di dover riassumere pagando il pregresso; ma che di questo si possa incolpare l’articolo 18 mi pare eccessivo anche per la più approssimativa delle riflessioni.
Chi poi sostiene che il limite dei 15 dipendenti sia un disincentivo alla crescita per le piccole aziende italiane, dovrebbe guardare un grafico della distribuzione delle aziende per lavoratori occupati: una curva che non presenta alcuno scalino a giustificazione di questa tesi, né immediatamente prima né immediatamente dopo la fatidica soglia, come anche Confindustria ammette.
A Osvaldo Napoli, chiederei se può fornire una definizione incontrovertibile e condivisa dei termini “operoso” e “scrupoloso”, così da poterla usare come parametro inequivocabile che eviti ogni contenziosità. Un lavoratore che rifiuti di fare straordinario oltre i limiti di legge è ancora definibile operoso? E il dipendente che denuncia condizioni di lavoro che non rispettino le norme di sicurezza rientra nell’ambito degli scrupolosi o in quello dei pianta grane?
A meno che non si voglia lasciare al solo ed esclusivo giudizio del singolo imprenditore il compito di stabilire chi fra i propri dipendenti possieda queste qualità. Un po’ come succede alla FIAT di Pomigliano, dove fra i 1845 lavoratori finora richiamati dalla CIGS quelli iscritti alla FIOM brillano per totale assenza: evidentemente perché ritenuti non abbastanza operosi o scrupolosi.
Personalmente non sono ideologicamente contrario a una revisione dell’articolo 18 che consenta all’imprenditore di sostituire l’obbligo di riassunzione con un congruo (congruo, sottolineo) indennizzo, parametrato sia all’anzianità lavorativa che a quella anagrafica del lavoratore. Ma l’accanimento con cui si insiste nell’affrontare il problema come prioritario, mentre la logica vorrebbe che venissero prima stabiliti nuovi e più efficienti ammortizzatori sociali, mi fa dubitare che in realtà ciò a cui si vuole arrivare sia la cancellazione di ogni tutela. Ho sentito ieri Monti elogiare il suo omologo Rajoi per le sue “coraggiose riforme”: fra le quali c’è anche la libertà per l’imprenditore di licenziare se per due esercizi successivi l’azienda ha registrato una diminuzione dell’utile (non una perdita, si badi bene). E l’altro super Mario, il signor Draghi, intervistato dal Wall Street Journal, sembra abbia cantato il de profundis al vecchio modello europeo di stato sociale.
A pensar male si fa peccato ma…