Noi siamo i giovani, i giovani più giovani

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Resto a fare il sindaco. Me ne andrei solo per fare il premier

Matteo Renzi, 31 marzo 2013

Il Pd deve decidere: o Berlusconi è il capo degli impresentabili, e allora chiediamo di andare a votare subito;

oppure Berlusconi è un interlocutore perché ha preso dieci milioni di voti

Matteo Renzi, 4 aprile 2013

Basta dare un’occhiata ai nomi e alla “caratura” economica dei personaggi che hanno versato a Renzi il proprio generoso ma, beninteso, privato obolo. Tra i finanziatori, almeno tra quelli che hanno autorizzato la pubblicazione del proprio nome, ve ne sono diversi che fanno capire bene chi si fila l’enfant prodige della politica italiana.

http://www2.rifondazione.it/primapagina/?p=2449

“La politica che non sa correre”, “il mondo ci chiede di correre a velocità doppia”, “il tempo è scaduto”, “la clessidra è agli sgoccioli”, “bloccati dal lavorio di chi pensa di potersi permettere altri ritardi”…

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-04-03/renzi-politica-stiamo-perdendo-114403.shtml

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Adesso, dinamismo, giovani, nuovo, mobilità e velocità, innovazione, BASTA PENSARE! Bisogna fare, in fretta, accelerare, urgenza, rapidità, emergenza, fare, fare, fare. CREDERE, OBBEDIRE, CORRERE ratatata bum bum bum ratatata bum bum zum! tapum! sdeng! bang! eccezionale, ratatata! vroom

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NOI VOGLIAMO CANTARE l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

La letteratura esaltò fino a oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno.

Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.
Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

Non v’è bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere conseguita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.

Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il Futurismo, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii.

Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 20 febbraio 1909, Le Figaro

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Alessio Mannino – Renzi, il nulla che avanza – La Nuova Vicenza, 14 settembre 2012

Con quell’arietta da bamboccio saputello che snocciola continuamente battute per fare il simpatico, il sindaco fiorentino Matteo Renzi si candida come testimonial ideale del raschio del fondo del barile. Se, dopo quasi vent’anni di recital berlusconiano, il “nuovo” a sinistra prende le sembianze di un politico che dice tutto quello che abbiamo già sentito in trent’anni di egemonia liberal-liberista, allora il berlusconismo ha vinto: è tutto uno show, il nuovo è già visto e stravisto, alla fine della fiera l’importante è ossequiare il Privato e i Mercati. E le parole d’ordine sono di una vuotezza cosmica: Europa, futuro, merito. Mancava solo “felicità” e “benessere” e l’Ovvietà diventava metafisica pura. La definizione perfetta del sindaco Pd di Firenze, del resto, l’ha data il comico Crozza, sempre fulminante: Renzi, il nulla che avanza.

Ci si potrebbe fermare qui, nel commentare l’exploit del “rottamatore” che ieri a Verona ha ufficializzato la sua candidatura alle primarie del centrosinistra. Senonché un anno fa, il 29-30 ottobre 2011, con un convegno di tre giorni all’antica stazione Leopolda di Firenze, mise in vetrina un abbozzo di programma: il “Big bang”, come lo chiamò con prosopopea propagandistica. Può essere interessante, allora, fare un po’ di radiografia a questo giovanilista smanioso e con idee vecchie vecchie come la Thatcher.

Renzi è figlio di Tiziano, maggiorente locale della Margherita, oggi consigliere comunale a Rignano sull’Arno e, si dice, uomo di spicco della massoneria toscana. Lui, Matteo, di lavoro fa il dirigente in aspettativa della società di marketing di famiglia, la Chil Srl (che controlla la distribuzione dei giornali fra cui La Nazione). Come persona, è il classico, odioso, arrivista bravo ragazzo. Ha scritto Denise Pardo sull’Espresso del 28 ottobre 2011: «Scout, vincitore come è noto a 19 anni di una “Ruota della fortuna” di Mike Buongiorno… bacchettone fin da ragazzo (contrario ai rapporti prematrimoniali), ancora devoto (messa la domenica, d’estate in Sardegna esercizi spirituali), molto amato da Cl, secondo il giornalista David Allegranti che ha scritto una sua biografia, Renzi ha “un decisionismo berlusconiano mixato a un’abilità democristiana e a un uso molto accorto dei media e della rete”». Il suo cursus honorum è stato un’ascesa inarrestabile. Democristiano dai tempi del liceo, giovanissimo segretario provinciale del Ppi nel 1999 e della Margherita nel 2003, diventa presidente della Provincia fiorentina nel 2004 e lo resterà fino al 2009, quando vince le elezioni per il Comune di Firenze dopo aver inaspettatamente strappato la vittoria nelle primarie interne al Pd. Da allora, forte della sua età anagrafica, ha impersonato nel partito la parte dell’enfant terrible che predica il rinnovamento anagrafico della classe dirigente e del ceto politico.

Il giovanilismo esasperato di cui ha fatto una bandiera, però, non basta più. Di qui il suo battere il tasto delle “idee” da candidare primeggiando sui candidati. Renzi ne ha sfornate, sempre cercando l’effetto sensazionale, addirittura 100, consultabili in Rete perché il suo sarà un “Wiki-Pd” (sic). Ma se si va a sfrucugliarlo appena un po’ in profondità rispetto alle frasi fatte da salottino, emerge chiarissima e lampante la totale assenza di originalità e novità dei suoi messaggi. Figuriamoci di una qualsiasi, anche timida, tendenza a rompere tabù e luoghi comuni. Al contrario: il Renzi-pensiero è il trionfo del luogo comune. Andando alla sostanza dei 100 punti e delle interviste che abbiamo letto, cosa rimane? Prevedibili richiami al volontariato, il generico liberismo del “meno tasse”, rattoppare la precarietà con ammortizzatori sociali e formazione, ma soprattutto l’adesione senza dubbi ai “contenuti” della famosa lettera della Bce, vero programma-base del governo Monti: innalzamento dell’età pensionabile, licenziamenti più facili.

In dettaglio, poi, il Molto Giovane presenta un libro dei sogni contraddittorio, mal scritto, ma tutto ossequioso all’ideologia da Chicago boy del 2000. Difatti: privatizzazioni massicce di aziende pubbliche, ex municipalizzate e patrimonio statale (idea 18); amnistia per i politici corrotti se escono di scena (idea 13, vergognosa, e non si capisce come si concili con il no ai condoni del punto 25); vendita ai privati di Rai1 e Rai2, ma al contempo modello BBC con un’amministrazione pubblica (idee 16 e 17, di fatto fra loro incompatibili); al punto 35,  contratto unico con tutele progressive per i giovani (solo per i neo-assunti? non è specificato) che coesiste al 37 con l’invocazione di un far west dei contratti aziendali; immigrazione “intelligente” (95), cioè, seguendo la filosofia economicistica della vigente Bossi-Fini, si accettano solo extracomunitari utili e programmati; una spruzzatina di sensibilità pro-gay con le unioni civili (89) e infine riforme di per sé sottoscrivibili – contentini per non sembrare troppo prevedibili – come una Tobin Tax del 5 mille sulle transazioni finanziarie (98) e il servizio civile obbligatorio (99).

In sintesi, siamo di fronte ad un’ennesima falsa promessa. In questo caso, talmente scoperta, ameboide, microcefala, tutta chiacchiere e distintivo, che ci vuole del fegato marcio per conferirle la patente di grande “innovazione”. E sorvoliamo sui suoi collaboratori, che comprovano la nullità e scontatezza del berluschino Renzi: l’evanescente Baricco, il giuslavorista precarizzante Ichino, il fighetto ed ex dipendente berlusconiano Giorgio Gori e, ciliegina sulla torta, l’economista iper-liberista Luigi Zingales, che per non farsi mancare niente ha firmato pure il manifesto reaganiano di Giannino, “Fermare il declino”. Se questo è il nuovo, si capisce perchè il sindaco Variati ha voluto imbrancarsi nell’armata renziana: vecchi rottami ideologici si spacciano per stupefacenti novità rivoluzionarie. Bersani, ancora più vecchio essendo fermo alla socialdemocrazia anni ’60-’70, almeno vecchio lo è più onestamente e palesemente. Sia come sia, non ci stupiremmo di vedere uscire Renzi dal Pd, se sconfitto. Seguito a ruota, magari, da qualche renzino vicentino…

http://www.nuovavicenza.it/2012/09/renzi-il-nulla-che-avanza/

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La morte ti fa bella – il lusso, il teschio e le astuzie del potere

 

a cura di Stefano Fait

 

Circola uno spot di una nota banca in cui una sposa balla con uno scheletro davanti ad uno specchio. Maria De Filippi va in onda su “Amici” con una maglietta nera dominata dall’immagine di un teschio di brillantini. Perfino l’abbigliamento per adolescenti e bambini è decorato con teschi e tibie. La carta da parati di certi negozi è punteggiata di teschi con gli occhi a forma di cuore. Quest’iconografia necrofila, che ignora (disprezza? tradisce? perverte?) la tradizione gotica-punk, è stata diffusa negli ultimi anni da stilisti, artisti e marchi molto diversi: Alexander McQueen (poi morto suicida), Hydrogen, Oakley, Damien Hirst, Prada (che dispone anche di una linea mimetica militare), Thomas Wilde, Lagerfeld e chi più ne ha più ne metta. Oggi appare persino su tappetini mouse e custodie per i-pad foggiate come delle casse toraciche.

L’endemicità di simbolismi mortuari nella moda e nell’arte è diventata particolarmente ossessiva dopo lo tsunami dell’Oceano Indiano (dicembre 2004) e gli attacchi terroristici a Londra (2005):

2005-2006

http://www.cbsnews.com/stories/2006/10/31/earlyshow/living/beauty/main2138673.shtml

2007

http://www.sodahead.com/entertainment/schwarzenegger-shows-off-skull-belt-on-time-coverdo-you-think-arnold-belongs-to-the-famous-skull/question-5536/

2008

http://www.youtube.com/watch?v=p713iJLS68o

2009

http://www.wordarc.com/Hogan/2009/01/26/I_see_dead_people%3A_why_the_skulls_on_everyone%27s_clothes%3F

2010

http://lifestyle.ezinemark.com/skull-fashion-hits-hollywood-celebrities-7736721e5e7b.html

http://www.wellsphere.com/general-medicine-article/anatomic-fashion-friday-alexander-mcqueen-bones-skull/1231309

2011

http://www.squidoo.com/skulls-crossbones

2012

http://www.shopplasticland.com/fashion/c/Skull-Shop.html

Il simbolo del teschio e delle ossa incrociate dalla preistoria alle passerelle di moda:

http://www.whale.to/b/death_head.html

Come mai gli stilisti hanno sviluppato questa particolare predilezione per una simbologia così inquietante, necrofila appunto, per di più associata a genocidi e totalitarismi?

Perché la morte fa vendere ed ammansisce (oppure spinge ad uccidere il prossimo per restare in vita).

All’11 settembre è seguita una smania consumistica che ha portato ad una crescita degli acquisti del 6% nel trimestre successivo, risolvendo così l’inizio di una crisi economica che è stata solo posticipata al 2008-2009. I cittadini americani sfuggirono alla paura della morte che si era insinuata nella loro psiche cercando di consolidare il loro status, come se ciò potesse allontanare la Nera Signora. Ad un rafforzamento percepito dello status corrisponde una maggiore autostima ed un’immortalità simbolica. Com’è facilmente immaginabile, questo meccanismo funziona particolarmente bene con i beni di lusso (legati, appunto, allo status). Quando la prospettiva della propria morte si fa più intensa, le persone si aggrappano al materialismo, cercano l’immortalità nell’accumulo di beni e ricchezze. È possibile che il recente boom globale del settore del lusso, in piena crisi, sia in qualche misura dovuto alla percezione di milioni di persone di un possibile imminente decesso, vuoi per le superstizioni collegate al 2012, vuoi per i disastri naturali, gli incidenti nucleari e la recessione, vuoi per le voci di una possibile terza guerra mondiale dietro l’angolo.

Le persone che temono la morte sono a rischio di diventare avide, accaparratrici, di sostituire un’ansia con una smania, quella di sopravvivere attraverso i beni materiali. Un numero sostanziale di ricerche ha dimostrato però che tratti come la possessività, l’invidia, l’egoismo e l’avidità sono negativamente correlati con la soddisfazione ed una vita felice. Più si è materialisti, minore è la propria fiducia in se stessi perché si continuano a fare confronti con chi è più privilegiato di noi. Paradossalmente, invece, più si diventa anziani, più ci si mette il cuore in pace e ci si allontana dal materialismo e dal bisogno di proiettare un’immagine a tutti i costi positiva:

http://www.acrwebsite.org/volumes/v35/naacr_vol35_0.pdf

In una maggioranza di casi, chi ha paura di morire non si cura della sorte del prossimo, non si cura della pace, non è altruista, non coopera, non fa fronte comune contro il potere, ma guarda gli altri in cagnesco, è pronto ad uccidere per non essere ucciso. Il motto “mors tua vita mea” è la condanna a morte di ogni rivoluzione.

E quando tornate a casa, date una sberla a vostro figlio e ditegli è la sberla del Ministro della Paura… guardatevi con sospetto, odiatevi, sparatevi…è straordinario…”. Questa è una battuta tratta da uno sketch del magnifico Antonio Albanese, ma rappresenta accuratamente la realtà. L’insicurezza induce alla regressione, la frustrazione all’aggressività, l’ansia all’autoritarismo, sino all’insorgere delle dittature che sanciscono quella che Fromm ha chiamato la fuga dalla libertà, che è anche una fuga dalla pace.

L’ex agente dell’organizzazione clandestina Gladio, Vincenzo Vinciguerra, ha rivelato la natura della strategia volta all’annichilimento dell’empatia, ossia la disseminazione della paura di morire: “Si dovevano attaccare i civili, la gente, donne, bambini, persone innocenti, gente sconosciuta molto lontana da ogni disegno politico. La ragione era alquanto semplice: costringere … l’opinione pubblica a rivolgersi allo stato per chiedere maggiore sicurezza”.

La paura opera al meglio solo se la parte “sana” della popolazione teme di morire e perciò si aggrappa ai golem, ai miti etnici, alle identificazioni collettive forti (cf. Fait/Fattor 2010), per fare in modo che la propria estinzione non sia priva di significato. La gente ha un’enorme paura della propria insignificanza, della propria fragilità e vulnerabilità. Troppe persone non vedono l’egocentrismo come un problema perché sono ossessionate dalla sopravvivenza personale, che rimane l’obiettivo primario della nostra componente animale. Abbiamo paura di morire ed il modo migliore di controllarci è attraverso il terrore (ed il senso di colpa). Tutti noi ci troviamo a lottare per conciliare la realtà della nostra mortalità fisica e la speranza (o fede) nell’immortalità dello spirito, in modo da riaffermare il significato della nostra esistenza in un universo apparentemente assurdo. I golem (etnia, patria, dio, razza, cultura, classe, ecc.) sono dei tiranni che produciamo per aprirci un varco di senso in un cosmo apparentemente indifferente alle vicende umane e soprattutto per sottrarci all’oblio che segue il decesso di chi non ha lasciato un segno indelebile nella storia (Alfieri, 2008, p. 79).

Un antropologo statunitense, Ernest Becker, ha esaminato questo secondo fattore, la paura dell’estinzione, ed è giunto alla conclusione che molte delle nostre azioni sono dettate dalla necessità di produrre un’interconnessione di significati e simbologie in grado di generare l’illusione della trascendenza della morte (Becker, 1982). Quindi non si tratta della semplice reazione di chi si sente fisicamente vulnerabile. Tutti noi vogliamo che la nostra esistenza abbia un senso, che conti qualcosa, che dia un contributo significativo ad un’entità durevole – la Chiesa, la Scienza, l’Etnia, la Società, la Razza, la Nazione o la Patria, la Comunità, la Cultura, l’Arte, la Rivoluzione, la Storia, l’Umanità, la Professione, ecc. – e la prospettiva della nostra morte rende quest’esigenza ancora più pressante. Scrivere un libro di successo può essere un buon modo di placare l’ansia esistenziale, ma in generale si opta per la fusione delle identità personali in miti collettivizzanti – progetti d’immortalità – che negano la morte: l’ossessione per l’estinzione della propria cultura ed identità di popolo coincide con l’ossessione per la propria morte e per la possibile mancanza di significato della propria esistenza e dell’ordine cosmico.

Il culto delle celebrità rappresenta forse, inconsciamente, un mezzo per continuare a vivere fondendosi nel mito dell’eroe, sperando di acquisirne le proprietà magiche della permanenza ed invulnerabilità. Il problema è che questi progetti di immortalità sono indissociabili dall’affermazione di una verità assoluta che ci gonfia di un orgoglio narcisistico ed acritico e ci scherma da prospettive alternative, giudicate invariabilmente false, spingendoci ad attaccare i promotori di sistemi di immortalità diversi dai nostri. E allora è guerra, violenza, sottomissione al pastore di turno.

 

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