di Stefano Fait
Gli scienziati stanno isolando e studiando sequenze di geni che sembrano regolare il processo di invecchiamento. E forse per il 2100 potremmo “fermarci” all’età che desideriamo
Michio Kaku, fisico teorico (CUNY), Repubblica, 28 febbraio 2012
Non ti pare che si stia creando una distanza persino nella conformazione fisica esteriore tra una super e una infra-umanità? Non è razzismo, perché attraversa tutte le popolazioni d’ogni colore. Ha invece qualcosa di nietzscheano. La ricchezza e la povertà, con l’accesso o l’esclusione a cure, trapianti, trattamenti d’ogni genere, mai forse come ora – o comunque mai visibilmente come ora – si trasformano in differenze di corpi e di prospettive di vita- […]. Possiamo parlare ancora di “umanità”, al singolare? Un orrore che non ha nemmeno lontanamente a che vedere con la differenza di vita esistente un tempo tra un proletario e un borghese nelle nostre società. La stirpe umana si sta dividendo tra un sopra e un sotto biologico, come conseguenza d’un sopra-sotto sociale, e questa divisione è a tutti evidente. […]. E vuoi che prima o poi questa tensione, una volta che l’ideologia si congiunga con la tecnologia della violenza in una dimensione mondiale, non possa raggiungere un punto di rottura in grado di provocare la catastrofe?
Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”, 2011, p. 42.
È molto significativo che molti spettatori abbiano bocciato il film definendolo “propaganda comunista”. Quel che certo è che piace molto a chi sostiene Occupy Wall Street ed è detestato da chi non vede di buon occhio le proteste.
Non voglio rovinare la visione del film a chi non lo ha ancora visto descrivendolo nei dettagli e mi limito a dire che per me Justin Timberlake ha tutto quel che serve per diventare un grande attore, Amanda Seyfried è adorabile ed il retrò futuristico è irresistibilmente seducente.
La mia vuole essere un’analisi sociopolitica, antropologica e di filosofia giuridica. Lascio ad altri la recensione tecnico-stilistica, che non mi compete. Il film ricorda vagamente “La fuga di Logan”, “L’uomo che fuggì dal futuro” (THX 1138), “Equilibrium”, “Brazil”, “Gattaca” (dello stesso regista, come “The Truman Show” e “Lord of War”) e varie storie di Ray Bradbury. E tuttavia rimane un’opera originalissima e al tempo stesso credibile. Sono infatti stati molti gli studi sociologici e storiografici, dai tempi di Max Weber e Werner Sombart, che hanno dimostrato come il capitalismo sia indissociabile dall’introduzione dell’orologio in sostituzione della meridiana, di una concezione lineare, in luogo di una concezione ciclica e di un’organizzazione divisoria/atomizzante al posto di una unificante/comunitaria:
http://libcom.org/files/timeworkandindustrialcapitalism.pdf
http://freelyassociating.org/2011/11/clock-time-and-life-time-saving/
In sintesi, nel 2161 i ricchi dominano la società stabilendo la longevità di tutti gli esseri umani: estesissima per loro, ridottissima per i poveri, che non devono moltiplicarsi oltre un certo limite (e quindi non si possono neppure definire proletari). Tutto si paga in minuti, giorni, mesi, anni di vita, dal caffè agli accessi ai quartieri bene. In questo modo la piramide sociale è congelata, la mobilità sociale quasi annullata. L’inflazione è un ulteriore meccanismo di controllo che accorcia il tempo di vita dei poveri e li rende ancora più mansueti, servili, intimiditi. Rispetto al mondo in cui viviamo, la maggiore differenza è che la morte non parifica le sorti degli esseri umani: non è più vero che il re muore non molti anni dopo il paria. In questa società social-darwinista c’è chi vive per degli eoni e chi rischia di morire per altruismo, non potendosi più permettere neppure un biglietto dell’autobus. L’immortalità di alcuni è pagata dalla morte precoce di molti.
Solo il caso consente a pochi fortunati di sfuggire all’ingabbiamento, che è aggravato dalla mafia degli strozzini del tempo.
Una fortuita circostanza, appunto, mette il protagonista nelle condizioni di emulare il padre e combattere un sistema che potrebbe redistribuire il tempo accumulato tra tutti, ma garantisce l’immortalità per pochi ed un’esistenza in costante tensione per i molti. Da quel momento in poi lo spirito è, volutamente, quello di un incrocio tra Robin Hood e Bonnie & Clyde – “è rubare quando ti riprendi ciò che ti è stato rubato?”, il refrain più eversivo della storia del cinema – che cade a fagiolo in una fase storica in cui sta montando la protesta contro una società che è congegnata in modo tale da togliere le risorse ai più per accentrarle nelle tasche dei pochi, complicando, frustrando e seviziando le esistenze delle masse.
La figura che più mi ha affascinato è quella più complessa, ossia quella del Sorvegliante del Tempo, Leon, che un tempo viveva nel ghetto e si è parzialmente districato dalla miseria scegliendo di servirlo. Dopo un cinquantennio di servizio nel mantenimento dell’ordine non è più in grado di empatizzare con chi lo sfida e, soprattutto, si è persuaso che è il miglior sistema possibile, che non esistono alternative praticabili. Non può lasciare che nella sua mente si insinui il sospetto di aver sprecato la sua vita in difesa dell’iniquità, della malevolenza, dell’infamia, della codardia.
Un’altra figura avvincente è quella di Fortis, il delinquente di turno, uno psicopatico che sfrutta la situazione per divorare il tempo altrui a suo beneficio, spietatamente.
Poi ci sono i privilegiati che sentono che c’è qualcosa che non funziona in questo assetto sociale, ma non sanno come modificarlo e quindi si fanno trascinare dalla corrente, fino all’alienazione.
Un antropologo ci sguazza!