“Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo, poi l’uomo e ancora il maiale: ma era ormai impossibile dire chi era l’uno e chi l’altro” (Orwell)

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Monti: “Partiti stiano lontani dalle banche”.
Bersani: “Tenere i banchieri lontani dai partiti”.
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“Ecco, tutti costoro sono niente; nulla sono le opere loro, vento e vuoto i loro idoli”.
Isaia 41, 29

Abbiamo voluto noi Monti. Io interpreto la sua agenda come rigore e rispetto dei vincoli europei, tentativo di incidere sull’evoluzione della politica europea, sforzi di riforma e modernizzazione e quindi ribadisco che il rigore e la credibilità sono un punto di non ritornoSe toccherà a me guidare il Paese, il giorno dopo la vittoria parlerò con Monti. Ho detto direttamente al presidente del Consiglio e pubblicamente che deve continuare ad avere un ruolo. Quale lo discuteremo insiemeSiamo disponibili e aperti all’incontro con i centristi.

Pierluigi Bersani, 13 dicembre 2012

Tra l’agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d’ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l’agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l’attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti. Conclusione: non esiste né un’agenda Bersani né un’agenda Monti. Esiste un’agenda Italia che dovrebbe essere valida per tutte le forze responsabili e democratiche.

Eugenio Scalfari, editoriale, Repubblica, 30 dicembre 2012

Bersani candiderà nel listino il Prof. Carlo dell’Aringa, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, giuslavorista, storico ispiratore della Cisl, uomo graditissimo a Confindustria. Grande cultura e dottrina, la sua, ma giocata sempre in un campo diverso da quello dei diritti dei lavoratori e dei più deboli. La cosa ha quasi dei lati comici. Fuori Ichino (peraltro se ne è andato con le sue gambe), dentro un altro. Mi sa che gli elettori della coalizione dei democratici e dei progressisti si potrebbero anche trovare nella paradossale condizione di dire, come si usa a Roma : “Arridatece Ichino”!

Alfonso Gianni

Ho segnalato tempo fa che il PD attraverso le fondazioni bancarie presiedute dai suoi amministratori locali controlla le tre maggiori banche italiane, che detengono gran parte del debito pubblico italiano e continuano ad ottenere prestiti e fortissimi vantaggi da parte del governo. Fassino presiede la fondazione cassa di risparmio di torino che detiene il maggior pacchetto di unicredit subito dopo gli arabi, chiamparino alla compagnia di san paolo controlla nettamente intesa con oltre il 10%, su siena e mps non mi pare di dovermi dilungare…Monti è stato creato in questo suo ruolo da Napolitano e sostenuto costantemente dal PD…io ritengo che il PD non si sia fatto catturare dal montismo e ne sia vittima, bensi che sia proprio tra i mandanti e creatori, con il movente di difendere il prprio potere economico-finanziario. Allora la lista monti non è un avversario del pd bensì una pedina posta in parlamento per poter poi costituire un governo post elezioni e non dover calare del tutto la maschera presentandosi come la coalizione erede del governo monti. Io credo che già sappiano che non avranno una maggioranza solida al senato e così potranno giustificare l’alleanza con il centro-monti, un secondo miracolo per enrico letta. Sel sarà ininfluente e comunque condita nelle sue liste di “responsabili” che per non far cadere il paese nel caos resteranno nel governo.

Pierfrancesco Ciancia, 7 gennaio 2012 (con approvazione di Aldo Giannuli)

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Pierluigi Bersani ha sostenuto…con la copertura della discrezione di Repubblica e Unità, uno dei più robusti e silenziosi, almeno a livello di opinione pubblica, tentativi di salvataggio di banche tossiche della storia d’Italia. Stiamo parlando di una iniezione di liquidità superiore ai tagli delle pensioni della recente riforma Fornero a favore di uno dei feudi piddini: il Monte dei Paschi.  Allo stesso tempo, a differenza della Gran Bretagna (che è IL paese liberista) la decisiva immissione di liquidità non ha comportato che la banca passasse sotto controllo pubblico. Insomma, la società italiana ha compiuto uno sforzo immenso per pagare le avventure di MPS, e di riflesso del Pd, nel mondo della speculazione finanziaria.  Di fatto ha dovuto pagare anche il disastro MPS dell’acquisizione di Antonveneta (costata 9 miliardi), ma il controllo del Monte, a differenza di quanto accaduto in Gran Bretagna per casi analoghi, resta privato. Nonostante questo Moody’s ha declassato…i titoli MPS a spazzatura. Un’operazione da serio, serissimo dibattito politico. Lusi, Penati e lo scandalo Enac, di un altro collaboratore stretto di Bersani, rispetto a quanto è costato alla società italiana  MPS, e a fondo perduto, a confronto sono questioni da ricettazione di un camion trafugato pieno di salumi.

http://senzasoste.it/internazionale/i-disperati

Ma qual era allora il vero obiettivo della Spending Review? A questa domanda i ministri allineati e indottrinati del governo Monti rispondono in coro: evitare l’aumento dell’IVA dal 21% al 23% previsto per luglio 2013. Risposta sbagliata, perché l’aumento dell’IVA non è stato definitivamente scongiurato ma risulta solamente rinviato di qualche mese fino a gennaio 2014, con uno stratagemma contabile che penalizzerà come al solito gli ignari consumatori: l’aumento del 2% verrà scorporato in due parti, 1,5% e 0,5%, e applicato in due periodi successivi, con una manovra che per chi conosce come funziona la tecnica degli arrotondamenti al rialzo prevista per ogni aumento IVA corrisponde ad una doppia fregatura per i consumatori.

Bazzecole direte voi, però sommate tutti gli arrotondamenti da 1 o 2 centesimi sui consumi complessivi di un’intera nazione e vedrete la cifra enorme che vi apparirà come risultato: un esproprio lento e impercettibile dalle tasche dei contribuenti che finirà come sempre per svanire dentro il buco nero del debito pubblico italiano e ingrassare i forzieri di chi vive esclusivamente di rendita sulle spalle dei lavoratori. Ma andiamo avanti, perché non è questo il punto. Scorrendo il documento del decreto legge Spending Review fino alla fine, troviamo il famigerato articolo 23-sexties che dichiara quanto segue (vengono omessi per facilità di lettura i riferimenti di legge):

1. Al fine di conseguire gli obiettivi di rafforzamento patrimoniale previsti in attuazione della raccomandazione della European Banking Authority (EBA) dell’8 dicembre 2011 il Ministero dell’economia e delle finanze (di seguito il «Ministero»), su specifica richiesta di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (di seguito l’«Emittente»):

a) provvede a sottoscrivere, fino al 31 dicembre 2012, anche in deroga alle norme di contabilità di Stato, strumenti finanziari (di seguito i «Nuovi Strumenti Finanziari»), computabili nel patrimonio di vigilanza (Core Tier 1) come definito dalla raccomandazione EBA dell’8 dicembre 2011, fino all’importo di €2 miliardi;

b) provvede altresì a sottoscrivere, entro il medesimo termine, Nuovi Strumenti Finanziari per l’importo ulteriore di €1,9 miliardi al fine dell’integrale sostituzione degli strumenti finanziari emessi dall’Emittente e sottoscritti dal Ministero (si tratta dei cosiddetti Tremonti bonds già utilizzati da Monte Paschi).

Monte Paschi chiama e lo stato italiano risponde, con uno stravolgimento di ruoli che ha dell’incredibile: quando uno è in difficoltà finanziaria, quasi sempre è la parte forte che detta le condizioni alla parte debole (Germania docet, purtroppo per noi paesi deboli della periferia). Mentre qui in Italia avviene esattamente il contrario: la parte debole (Monte Paschi) impone le sue richieste e le metodologie operative alla parte forte (che in teoria dovremmo essere noi cittadini e le istituzioni statali che indegnamente ci rappresentano), secondo le sue specifiche convenienze. E così lo stato italiano dovrà versare i famosi €3,9 miliardi di aiuti complessivi alla banca tecnicamente fallita Monte Paschi di Siena, tramite l’acquisto delle sue obbligazioni spazzatura, che a ragion veduta nessuno tra gli investitori più accorti vuole più comprare. Un salvataggio pubblico in piena regola, che viene mascherato da un’operazione finanziaria molto svantaggiosa per le casse dello Stato, e quindi in ultima istanza per le tasche dei cittadini, la quale finirà per creare rendite di posizione per i soliti banchieri privati, tramite lo schema ormai ben collaudato della socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti. Noi paghiamo con i nostri soldi per coprire i buchi di bilancio accumulati da Monte Paschi di Siena, mentre gli inqualificabili dirigenti della banca senese continueranno ad incassare i loro fantasmagorici compensi e gli eventuali utili di gestione.

http://tempesta-perfetta.blogspot.co.uk/2012/10/la-spending-review-e-il-salvataggio-di.html#more

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Morale della favola: Vendola sarà rispedito al suo posto, ossia all’opposizione (pare che sia rimasto l’unico a non averlo capito). Si farà una Grande Coalizione con i centristi per fare un governo che, con i voti di Berlusconi, riformerà la costituzione in senso molto più ampio e drastico rispetto a quanto preannunciato dalla Carta d’Intenti (PD, SEL) e dall’Agenda Monti.

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Bersani ha approvato tutto questo:

http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-falsi-tecnicismi-della-spending-review/

http://www.milanocosa.it/temi-e-riflessioni/dopo-un-anno-di-governo-monti

http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/11/01/patrizio-gonnella-carceri-e-spending-review/

http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-decrescita-infelice-del-governo-monti/

http://temi.repubblica.it/micromega-online/disabili-gravi-sciopero-della-fame-contro-i-tagli-allassistenza/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-clinica-dei-tagli/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/f35-sotto-lalbero-il-regalo-di-monti-alla-casta-dei-militari/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/l%E2%80%99anno-perduto-di-mario-monti/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/quei-modelli-sbagliati-alla-base-della-crisi-europea/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/tagli-alla-cultura-il-governo-cancella-i-fondi-alle-edizioni-nazionali/

http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/08/29/marina-boscaino-il-governo-monti-e-i-diplomifici/

http://temi.repubblica.it/micromega-online/patrimonio-pubblico-e-diritti-civili/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-mistica-dei-sacrifici-da-andreotti-a-monti-passando-per-il-pci/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/cosi-viene-umiliata-listruzione-pubblica/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/pessime-previsioni/?printpage=undefined

http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/10/23/fabio-sabatini-%E2%80%93-il-governo-colpisce-la-societa-civile-e-risparmia-la-chiesa-cattolica/

http://temi.repubblica.it/micromega-online/perche-rottamare-l%E2%80%99agenda-monti/

http://temi.repubblica.it/micromega-online/nellera-monti-i-mercati-vanno-a-scuola/?printpage=undefined

http://temi.repubblica.it/micromega-online/monti-lestremista-liberista/

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Insomma la differenza sostanziale tra Berlusconi, Monti e Bersani sembra essere la seguente:

  1. il primo ce l’ha messo nel didietro negando di aver intenzione di farlo e di averlo fatto;
  2. il secondo ha dichiarato di volerlo fare, di averlo fatto e di volerlo fare ancora e pretende la nostra gratitudine;
  3. il terzo ha applaudito la tecnica del secondo e condannato quella del primo e si propone di imitare il secondo rassicurandoci sul fatto che “è una cosa di sinistra”;

Siamo messi proprio bene!


Maiali, zingari, cicale e formiche nella fattoria degli animali europea

Se riprendiamo in mano i giornali tedeschi o olandesi della seconda metà degli anni Novanta, quando si dibatteva del diritto di questo o quello Stato di entrare nell’euro, vi troviamo gli stessi stereotipi che corrono di nuovo oggi, sull’onda della crisi partita dalla Grecia: PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna = maiali), Club Med e altre simpatiche definizioni di stampo antropologico. Categorie irrazionali ma potentemente radicate nelle opinioni pubbliche e nelle élite, che illustrano il presunto carattere dei vari popoli, echeggiando le teorie di Schumpeter sulla cultura monetaria come espressione della cultura nazionale. Quindici anni dopo, senza dracma né peseta né lira ma con l’euro in mano, siamo ancora a questo genere di polemica etnomonetaria. Un razzismo soft. Alla faccia dell’ affratellamento europeo che l’euro avrebbe inevitabilmente generato.

Lucio Caracciolo, “L’Europa è finita?”, 2010

Nessuno ha raccontato ai tedeschi che molte delle misure adottate sinora non servivano per salvare i “fannulloni” greci o spagnoli ma per salvare i sistemi bancari tedesco e francese (che detenevano molti titoli di questi paesi, ndr). Molti dei finanziamenti alla Grecia non sono mai arrivati ad Atene, hanno semplicemente fatto un giro da Francoforte a Francoforte.

Giovanni Dosi, economista della Scuola Superiore Sant’Anna e collaboratore del premio Nobel Joseph Stiglitz alla Columbia University, 28 luglio 2012

I sondaggi dell’eurobarometro indicano che tra l’autunno del 2009 e la primavera del 2012 la fiducia nelle istituzioni europee è crollata dal 48% al 31%; quella nei governi e parlamenti nazionali è al 28%. È utile rilevare che il presidente meno amato della storia americana, George W. Bush, non è mai sceso sotto il 33% nel livello di fiducia tra i cittadini statunitensi. Nell’Europa del dopoguerra non si è mai registrata una crisi di legittimità così imponente. Solo il 52% dei cittadini europei difende l’euro e il 51% sente che la distanza dai cittadini degli altri paesi dell’Unione Europea sta continuando a crescere, invece di diminuire. È assai probabile che questa crescente distanza sia dovuta ad una serie di errate percezioni delle cause e della natura della crisi dell’eurozona.

Lo scrittore e giornalista austriaco Robert Misik, in un articolo pubblicato dalla Tageszeitung il 12 luglio del 2012 (“A ranghi serrati dietro la cancelliera”) denunciava la litania di stereotipi, luoghi comuni, frasi fatte e scorciatoie logiche che imperversavano sui media di lingua tedesca influenzando pesantemente la comprensione della crisi tra i cittadini di lingua tedesca ed alimentando sfiducia, paura, rancore, risentimento e sentimenti razzisti.

È opportuno fare chiarezza in merito e ristabilire la verità perché non è sulle interpretazioni di comodo che tirano acqua al proprio mulino che si fa buona politica.

Anche gli economisti Massimo D’Angelillo e Leonardo Paggi (cf. “Deutschland, Deutschland …Über Alles”, in “Oltre l’austerità”, 2012) si sono domandati come sia possibile che sui media tedeschi la pretesa lassitudine degli Europei meridionali abbia finito per eclissare le responsabilità dei mercati finanziari nella creazione della bolla e nel convogliamento delle risorse pubbliche degli stati europei verso il salvataggio di banche improvvide? E, non secondariamente, come sia possibile che il tracollo verticale dell’economia greca, la disoccupazione di massa, l’aumento dei suicidi, l’implosione del sistema sanitario nazionale, le centinaia di migliaia di bambini denutriti in un paese con meno di 11 milioni di abitanti, la forte crescita dei neonazisti greci, la redistribuzione concentrativa delle ricchezze greche nelle mani di pochi capitali privati greci e stranieri che hanno lucrato sulle privatizzazioni siano considerati effetti indesiderati ma necessari di misure peraltro giudicate ancora insufficienti?

Uno dei massimi esperti di geopolitica in Italia, Lucio Caracciolo (“La guerra virtuale dell’Eurozona”, Limes 6/11) ha puntato il dito contro gli architetti dell’eurozona, che hanno più o meno consapevolmente indebolito le fondamenta dell’Unione Europea, imponendo una camicia di forza monetaria a nazioni sensibilmente diverse per cultura e storia fiscale, vocazioni e strutture economiche, dinamiche sociali e demografiche, in omaggio ad una peculiare concezione della valuta, cara a Joseph Schumpeter, secondo il quale la moneta esprime quel che un popolo vuole, compie, soffre, è; “la spiritualità della moneta: per noi latini, un concetto avvolto nelle nebbie nibelungiche”, è il commento sardonico di Caracciolo.

Se le cose stessero così, non si capirebbero come mai nel 2000 l’economia tedesca sia stata salvata da un gigantesco bail-out da parte della Banca Centrale Europea, in seguito all’esplosione della bolla speculativa precedente, quella della cosiddetta “New Economy” (cf. Richard Koo, capo-economista dell’Istituto di Ricerca Nomura, la più grande agenzia di consulenza giapponese nel settore IT, intervistato da Joe Weisenthal, Business Insider, 19 giugno 2012).

Inoltre, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) ha certificato che la Germania e la Grecia hanno ricevuto lo stesso sostegno finanziario nel corso della crisi, almeno fino al 2012:

Nei milioni di parole scritte sulla crisi del debito in Europa, la Germania è in genere presentata come l’adulto responsabile e la Grecia come il figliol prodigo. La prudente Germania, dice la storia, è riluttante a salvare la Grecia scroccona, che ha preso in prestito più di quanto poteva permettersi e ora deve subire le conseguenze. Vi sorprenderebbe sapere che in Europa i contribuenti hanno fornito alla Germania lo stesso sostegno finanziario offerto alla Grecia? Lo suggerisce un esame dei flussi monetari Europei e dei bilanci delle banche centrali (Bloomberg, “Hey, Germany: You Got a Bailout, Too”, 24 maggio 2012).

Nonostante questo, l’ideologia che domina la percezione di questa crisi è che ci sono nazioni spericolate e dissolute e nazioni prudenti ed efficienti, popolate da cittadini rigorosi, puntuali e precisi. La ripetizione di questo mantra è quasi nauseante nella sua monotonia e sorvola sul fatto che le nazioni prudenti sono anche quelle che hanno continuato a prestare soldi alle nazioni imprudenti e che alcune delle loro maggiori banche si sono comportate a dir poco temerariamente e continuano a farlo, come se nulla fosse. Ma ai mercati conviene che faccia presa una nozione di colpa storica, di stampo razziale, un revival della dottrina del Volksgeist e di quella dei malati contagiosi che vanno messi in quarantena. È nella natura del capitalismo creare polarizzazioni che consentano di massimizzare i profitti di una parte a spese delle altre. Diversamente, non potrebbe auto-perpetuarsi e crescere.

Poco importa se questa propaganda, che sarebbe stata inconcepibile fino al 2008, renda impossibile un’ulteriore integrazione europea e metta i popoli gli uni contro gli altri. I media ed i politici euro-americani non si sono lasciati frenare dalle inibizioni del politicamente corretto ed hanno dato fondo alla retorica nordista di una presunta superiorità culturale rispetto al sud, esaltando l’azione salvifica di Germania, Olanda, Danimarca e Finlandia ed invocando la rieducazione dei popoli del sud alla scuola stoica, puritana ed innovatrice del nord (neoliberista, con un deciso voltafaccia rispetto alla tradizione socialdemocratica). Contemporaneamente politici e media del Sud, invece di descrivere la realtà in maniera più obiettiva, non hanno mancato di invitare all’emulazione, anche quando questa sfociava in un discutibile servilismo. Così 130 milioni di sudisti si sono sentiti etichettare come pigri, scialacquatori, corrotti, inefficienti, improduttivi, non sufficientemente ambiziosi ed industriosi, maiali (PIGS, oppure GIPSI, cioè a dire “zingari”) che si affollano intorno alla mangiatoia europea. Il Nord è ragionevole, ligio alle regole, rispettoso della legge, obiettivo, neutrale, disciplinato, attento. Il Sud è irrequieto, insofferente a regole e disciplina, soggettivo, parziale, emotivo, impetuoso. Questo ha creato una massiccia frattura psicologica tra nord e sud, con i sudisti costretti a riesaminare il loro ruolo e status in seno alla famiglia europea.

L’eurozona non è divisa tra formiche nordiche e cicale meridionali. Cicale e formiche si trovano a nord, come a sud. Le formiche hanno lavorato duramente senza sapere che su di loro incombeva una crisi che avrebbe permesso alle cicale di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, mettendo alcune formiche contro le altre ed accumulando ricchezze nei paradisi fiscali. Non è difficile immaginare come mai milioni di Greci onesti, sentendosi accusare dai Tedeschi di essere disonesti, corrotti, dissipatori, imprevidenti, ecc. abbiano finito per riesumare i terribili ricordi dell’occupazione nazista, cadendo nell’altrettanto infelice trappola del più vieto stereotipo anti-tedesco. Invece la fiaba di Esopo aveva il fine di mettere in guardia dai rispettivi eccessi – e relativi risentimenti – sia le formiche sia le cicale. La formica, nella sua inestinguibile smania di accumulazione, non si faceva scrupoli di sottrarre alle altre formiche le loro scorte.

Frédéric Lordon, sociologo ed economista francese, ravvisando la stessa deriva razzista a livello mediatico, ricorda ai lettori di Le Monde Diplomatique (“Au-delà de la Grèce : déficits, dettes et monnaie”, 17 febbraio 2010; “Euro, terminus?”, 24 maggio 2012) che la natura umana è una sola e che il razzismo delle élite non ha nulla da invidiare a quello del “popolino”, stigmatizzato da quegli stessi media che indulgono nelle più funeste e squallide generalizzazioni. Con buona pace delle promesse di abolizione della guerra in Europa e di eterna amicizia tra i popoli europei, sta prendendo piede un “clima ideale per i nemici dell’Europa e per chi alla democrazia liberale e alla società aperta antepone il richiamo delle piccole patrie, delle tecnocrazie autoritarie e dei razzismi” (Lucio Caracciolo, “Euro: una moneta senza Stato”, la Repubblica, 7 maggio 2010).

Vogliamo essere orsi o lupi?

Non c’è solo il lupo dei proverbi, malvagio per antonomasia, ma anche quello dei fratelli Grimm, feroce ma stolido, strappato a chissà quale pantomima carnevalesca, capace di mangiarsi la nonna di Cappuccetto Rosso senza battere ciglio e poi di farsi riempire la pancia di sassi, per finire come il fantoccio del carnevale boemo, annegato in un fiume. Un personaggio sempre in bilico tra l’atroce e il comico, come il lupo dei tre porcellini, che ne disfa le casette di paglia a suon di peti (le “loffie”,  non a caso, e “loffia di lupo” è il nome della vescia dei boschi)…  Su un altro emisfero, quello mediterraneo, ecco la lupa capitolina, animale totemico della monarchia romana, certo più orsa che lupa, visto il profilo molossoide che le si riconosce, che è quasi umano e che, per una lupa vera, è quasi del tutto incongruo…I Luperci sono altre creature ibride, uomini-lupo, ovvero lupi-capri (lupus-hircus), interpretati da uomini proprio come nelle odierne mascherate, dove troviamo lupi in vesti di capra, o di pecora (“wolves in sheep’s clothes” è l’espressione inglese) come i moderni kurenti  (“currentes” alla latina, cioè corridori) dell’entroterra sloveno: hanno muso, lingua, denti e zanne di lupo, essendo però completamente avvolti di pelli di capra o di velli di pecora, a mo’ di curiosa sintesi totemica di fauci e di carne, di carnefice e di vittima.  Questo è il lupo della tradizione popolare, creatura ambigua, eternamente metamorfica, tra i poli opposti del feroce e del burlesco, del predatorio e, al contrario, di una feracità sessuale e lattifera del tutto sorprendente, in transito costante tra i poli opposti dell’animale e dell’umano…Poi c’è il lupo vero. Quando eravamo piccoli a Basovizza sul carso triestino, certe donne del paese raccontavano dandosi un po’ di importanza che da lì accadeva piuttosto spesso di sentire i lupi: e con tanta convinzione che ci pareva quasi quasi di sentirli anche noi, la notte, tutt’uno con l’abisso di ignoto e di bora gelida che si apriva poche centinaia di metri più in là, oltre i reticolati del confine. Poi ci hanno spiegato che il lupo, male che vada, è un innocuo smargiasso dei boschi, un killer per diporto, opportunista e vigliacchetto come tanti dei nostri cacciatori. Ma sarà difficile, per chi abbia provato quel brivido, sul carso triestino o altrove, guardare con simpatia al rinselvatichirsi del territorio, e all’inesorabile prossimo ritorno dei lupi.

Giovanni Kezich, “L’ambiguità del simbolo”, Dislivelli, aprile 2012

 

Se il lupo rappresenta di solito una malvagità cupa e un po’ stolida, comunque inavvicinabile, l’orso della tradizione popolare europea è quasi un uomo mancato, un uomo a metà, una parodia d’uomo. Ben lo sapevano gli antichi slavi, che sulla base di un’attribuzione antropomorfizzante e un po’ fiabesca hanno chiamato l’orso medved, il “mangia-miele”. Onnivoro, all’occasione bipede, giocherellone, goloso e improvvisamente iracondo come un òm selvadegh o un ragazzone un po’ scemo, l’orso appare come una controfigura selvatica dell’uomo, essendo la diretta dimostrazione in sede zoologica, nel sapere popolare di tutto il mondo, della continuità di fondo che, al di là delle molte differenze, esiste nei due sensi tra l’essere animale e l’essere uomo.

Giovanni Kezich, “Una cultura europea d’orso”, I fogli dell’orso, ottobre 2009

 

Noi siamo i nemici, come un lupo che si getta su un gregge di pecore. È quello che siamo!

P. Joseph Goebbels, annunciando l’ingresso dei deputati nazisti in Parlamento (Reichstag), nel 1928

 

Una gioventù dura, violenta e crudele, dotata della forza e della bellezza delle giovani belve.

Adolf Hitler

A questo punto, preso atto della situazione di gravissima crisi in cui versa la nostra civiltà e della nostra irriducibile umanità, non resta che scegliersi un animale totemico che valorizzi ciò che c’è di meglio in noi, scartando quelli che tirerebbero fuori il nostro peggio.

Perché un animale totemico? Perché gli animali sono sempre stati al centro del processo attraverso il quale gli esseri umani si formano un’immagine di se stessi. Sono le sorgenti dei più profondi significati simbolici e vengono da sempre utilizzati come veicoli di istruzione morale e di socializzazione, in quanto modelli di ordine e moralità. Sono buoni da pensare, ma anche buoni da insegnare e da imparare (pensiamo solo alla potenza e lucidità di “La Fattoria degli Animali” di George Orwell). Gli animali dominano il nostro modo di classificare eventi (“che porcata!”), rapporti tra le nazioni europee (“cicale e formiche”) e persone (“è un leone”, “che asino!”). Li celebriamo, li denigriamo, li temiamo, li trasformiamo in simboli, li introduciamo nel dibattito politico (cf. l’orso russo, l’aquila americana, Sarah Palin mamma grizzly, i figli della lupa, il serpente a sonagli del movimento ultrareazionario statunitense Tea Party, ecc.) in modo che possano combattere le nostre battaglie al posto nostro, o al nostro fianco, nelle teste della gente, dell’opinione pubblica. È sempre una questione riguardante la nostra visione del nostro posto nel mondo, ed ha poco a che fare con gli animali in sé e per sé. Sono gli attori di una saga che ha noi come protagonisti. Recitano il nostro ruolo. Facciamo fare un sacco di cose agli animali nelle nostre storie, assegniamo loro una molteplicità di compiti, specialmente a quelli carismatici, come appunto l’orso e il lupo, icone delle terre di frontiera, delle regioni selvagge. Sono gli orsi che rendono selvaggio il Trentino, lo distinguono dal resto d’Italia, ne sanciscono il diritto all’autonomia, in quanto diverso. Il Trentino è selvaggio e libero anche perché ci sono animali selvaggi e liberi come gli orsi, che non si lasciano addomesticare. Per questo, come nel caso dell’Alaska, le locandine, pieghevoli e pagine web legate all’industria turistica del Trentino abbondano di orsi. I nostri orsi (anche se provengono dalla Slovenia). I Trentini in fondo si compiacciono di essere considerati degli orsi, perché apprezzano le virtù che associano agli orsi ed a loro stessi, più o meno giustificatamente: tenacia, lealtà, forza, burbera schiettezza, bonaria scontrosità, innocente e comica ingenuità, genuinità, amore per la natura e le montagne, generosità, sobrietà, industriosità, ferocia se minacciato, gentilezza se rispettato, ecc. Nelle mitologie mondiali, forse quelle più arcaiche, data la loro diffusione planetaria, l’orso è consigliere, maestro e guaritore.

Non sono solo i Trentini ad avere un rapporto appassionato con gli orsi. Il simbolismo dell’orso è uno dei più prominenti dell’immaginario umano ed è arrivato fino a noi, con gli orsacchiotti per i bambini, gli orsi polari di “Lost”, le costellazioni – associate alle orse in numerose tradizioni – e l’orso rampante dello stemma personale di Benedetto XVI. In Grecia l’orsa era venerata come essenza della prosperità e della maternità premurosa e sollecita. Era l’animale sacro ad Artemide, nume tutelare della natura. La medesima radice “arth” dell’orso si rinviene nella dea gallica Artio, anch’essa accompagnata da un’orsa, e in Artoris, ossia Re Artù(ro). Mentre l’orsa femmina, lunare, è benevola, l’orso maschio, solare, è l’emblema della casta guerriera. Orione, il cacciatore d’orsi, fu ucciso da Artemide mentre cercava di stuprarla. I famigerati berserk erano guerrieri fanatici che indossavano pelli d’orso per assimilarne la ferocia e la resistenza al dolore. Nell’alchimia, come per Jung, l’orso era simbolo di oscurità e del mistero della materia prima e del subconscio. Nell’iconografia cristiana può rappresentare il demonio e non è quindi per caso che ci siano numerosi santi cristiani domatori di orsi: San Gallo, San Romedio, San Corbiniano evangelizzatore del Meranese, San Lugano dell’omonimo passo, Sant’Orsola, San Colombano e Santa Colomba. Laddove non ci sono i santi, ci sono invece gli sciamani.

La sua popolarità forse deriva dal fatto che, tra i non primati, l’orso è l’animale che assomiglia di più agli esseri umani, è il più antropomorfizzabile. È possibile che sia questa la ragione per cui nei letti dei bambini ci sono più orsetti che altri animali di peluche. L’orso può camminare a due zampe come noi, rispetto a noi ha il vantaggio di poter “morire e risorgere” durante l’inverno, grazie all’ibernazione del letargo. È spesso associato alla Dea Madre, forse perché si occupa amorevolmente ed a lungo dei propri cuccioli (così suggeriva Plinio il Vecchio). Dimora nelle caverne, come per millenni abbiamo fatto anche noi. Tra i popoli del nord, dalla Scandinavia all’Hokkaido (Giappone), il culto dell’orso è quello dominante. Là l’orso è il re degli animali. La tradizione coreana fa discendere quel popolo dagli orsi. Tra i Tlingit della costa del pacifico canadese, come tra i Norvegesi, esistono leggende in cui degli orsi sposano delle giovani donne.

Come abbiamo visto, l’orso è l’animale-simbolo del Trentino, dell’Alaska e della Russia.

Un altro esempio di impiego simbolico di un animale selvaggio, il lupo appunto, è stato molto meno innocente di quello trentino. Fu il lupo, suo malgrado, ad essere scelto per rappresentare totemicamente la Germania nazista.

Il Terzo Reich dimostrò una sensibilità verso gli animali e la natura inversamente proporzionale a quella dimostrata verso gli esseri umani. Le leggi sulla sperimentazione sugli animali e sul loro trasporto e la normativa per la tutela delle foreste e della biodiversità erano all’avanguardia nel mondo, tanto che alcune di esse rimangono in vigore in Germania. Forse l’incapacità di amare gli esseri umani potrebbe in parte spiegare la sproporzionata passione per gli animali – sproporzionata in relazione alla loro misantropia: amare gli animali non è mai un male – e la glorificazione nazista delle leggi di natura. Infatti il nazismo formulò una filosofia dei viventi (Lebensphilosophie), non dell’umano. Non serviva alcuna antropologia, perché la specie umana era sussunta nello schema del vivente, non v’era nulla di riconoscibilmente speciale negli esseri umani nel panteismo nazista (arte, scienza e spiritualità non contavano).

L’obiettivo dichiarato di Hitler era quello di rinselvatichire la razza ariana, corrotta dall’addomesticamento degeneratore del processo civilizzatore, per costruire una comunità naturale, biotica (organische Lebensgemeinschaft) capace di vivere in pieno accordo con le leggi di natura (interpretate secondo i dogmi nazisti, ossia social-darwinisti – la legge della jungla, insomma). “Voglio giovani uomini violenti, imperiosi, senza paura, crudeli…cancellerò migliaia di anni di domesticazione umana. Otterrò l’essenza più pura e nobile della natura”, profetizzava nel Mein Kampf. L’ariano doveva essere libero e selvaggio (!) per poter essere signore e padrone, dominatore delle altre razze inferiori, pervertite dall’etica della compassione e dell’altruismo.

In questo schema dottrinario l’animale totemico fu il lupo, ossia il cane non addomesticato. Il culto del lupo piaceva ai nazisti perché prometteva ordine e disciplina in uno stato di natura privo degli effetti deleteri della “civilizzazione”.

Furono i nazisti i primi ad emanare una legge per la tutela dei lupi (1934) anche se in Germania di lupi non ce n’era l’ombra. Ce n’erano però in Polonia, che fu occupata cinque anni dopo. Nell’immaginario nazista, il lupo era la bestia psicopatica per antonomasia: fredda, meccanica, crudele, completamente priva di scrupoli ed inibizioni morali, una macchina programmata per obbedire al leader del branco e massacrare gli avversari ed i deboli, inadatti alla vita (Boria Sax, 2000). Era l’animale più strettamente associato alle virtù marziali ed alla casta nobiliare: fiero, spietato, combattivo, leale nei confronti del branco. Wolfram, Wolfhart, Wolf, Wolfgang, sono nomi tedeschi che tradiscono una qualche arcaica identificazione totemica. Anche l’etimologia del nome “Adolf” è “nobile lupo”. L’indottrinamento e l’addestramento fisico delle reclute delle SS doveva servire a tramutarli in veri e propri lupi mannari, con tutte le peculiarità ad essi comunemente associate. Vi era una costante celebrazione delle presunte virtù dei lupi: lealtà, gerarchia, fierezza, coraggio, obbedienza e, se necessario, crudeltà, al punto da torturare i nemici. È evidente la continuità con l’iniziazione militare indoeuropea, che pianificava  la trasformazione rituale del giovane guerriero in un lupo sul modello della mitica casta guerriera nordica dei Volsung. I ragazzini della Gioventù Hitleriana mandati allo sbaraglio negli ultimi giorni di guerra e nei primi mesi del dopoguerra (partigiani anti-alleati) si facevano chiamare “lupi mannari”

Hitler definiva le SS il suo branco di lupi ed era convinto che la gente lo acclamasse perché percepiva che “era nato un lupo”. Tale era l’ossessione lupina nel Terzo Reich che il Führer si faceva soprannominare lupetto (Wolfi) da Eva Braun e “Geli” Raubal, figlia della sorellastra di Hitler verso la quale aveva sviluppato un legame possessivo maniacale, forse persino di carattere incestuoso. Il suo pseudonimo era Wolf, Herr Wolf. La Tana del Lupo (Wolfsschanze) era il nome del suo quartier generale nella Prussia Orientale, quello francese si chiamava Wolfsschlucht (la “Gola del Lupo”) e Werewolf (“Lupo Mannaro”) quello in Ucraina. La sorella più giovane di Hitler, Paula, entrata in clandestinità nel dopoguerra, aveva assunto il nome di Paula Wolf.

Come si vede, l’immagine del povero lupo fu letteralmente stuprata dalla propaganda nazista. Tutti i tratti più negativi e spaventevoli che gli umani attribuiscono ai lupi furono esaltati, mentre nessuno dei tratti che noi considereremmo positivi e che realmente contraddistinguono questo animale fu considerato degno di menzione. In pratica, quelle naziste, come di consueto, erano tutte scempiaggini. Il branco di lupi non compone quasi mai una gerarchia piramidale: il maschio alfa resta tale finché rispetta il branco e non per tutto il tempo; né guida il branco. Dipende dalle circostanze e dipende dal branco. Non esiste un modello che descriva il comportamento di ogni lupo, esattamente come non è possibile farlo per gli esseri umani. Non esiste un “lupo medio” che identifica la lupinità per antonomasia. Con buona pace della loro asserita biofilia e biocentrismo, i nazisti, in maniera sfacciatamente antropocentrica, inventarono di sana pianta il comportamento “idealtipico” dei lupi, per farlo corrispondere ai propri ideali. Poi lo applicarono agli umani, affermando che fosse il miglior modello organizzativo anche per loro.

Se i lupi non subirono alcun contraccolpo da questa strumentalizzazione, peggior sorte toccò ai cani, in particolare ai cani-lupo. I pastori tedeschi sono gli animali a cui uno pensa quando gli si chiede di immaginare delle SS alle prese con gli Ebrei (o dei carcerieri a Guantánamo o Abu Ghraib). Furono utilissimi per sorvegliare ed intimidire gli internati dei campi di concentramento e di sterminio. Le guardie aizzavano i loro cani contro i prigionieri per puro divertimento ed i cani SS ricevevano uno speciale addestramento che li nazificava, letteralmente, snaturandoli, in modo da far prevalere aggressività e spietatezza ed inibire la “pietà”, la “curiosità”, l’affettuosità. Una volta “rieducati”, i cani venivano trattati infinitamente meglio degli Ebrei e di tanti altri esseri umani non internati. Ormai facevano parte della famiglia SS, del branco ed era stato persino indetto un giorno di festa in loro onore, come segno di gratitudine per i loro servizi. I cani dei popoli occupati non godevano invece degli stessi privilegi e se si permettevano di abbaiare contro una pattuglia nazista venivano freddati all’istante. È noto che Hitler, incapace di amare gli esseri umani, era follemente innamorato dei suoi cani. Nessun altro, oltre a lui, poteva accarezzare il suo cucciolo, chiamato, prevedibilmente, “Wolf”. Un veterinario, Ferdinand Sauerbruch, rischiò l’arresto per aver osato placare ed ingraziarsi, grazie alla sua esperienza, uno dei cani di Hitler che gli era saltato alla gola. Ma Hitler non poteva tollerare che glielo avesse “svirilizzato” e sottratto al suo controllo: era intenzionato ad uccidere il cane e mettere in gabbia l’uomo. Per fortuna sua e del cane, il veterinario fu in grado di farlo ragionare.

La scelta, per come la vedo io, è tra il lupo e l’orso [tra Atlantide ed America, quella delle origini]. Però, come detto, non il lupo o l’orso come sono, ma come vorremmo che fossero o ci aspettiamo che siano. Le due metafore, la nostra reinterpretazione antropomorfizzata delle loro rispettive nature, gli specchi in cui ci specchiamo, l’ombra e l’idealizzazione di noi stessi.

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