Sonmi-451 e Thomas Sankara – quando finzione e realtà riecheggiano

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a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

La preghiera di Sonmi~451 (2144)

Archivista “Ricordati non è un interrogatorio, né un processo, la tua versione della verità è ciò che conta”

Sonmi~451 “La verità è singolare, le sue versioni sono non-verità”

Archivista “Qual è il primo catechismo?”

Sonmi~451 “Onora il tuo consumatore”

Yoona~939 “Io non sarò mai soggetta a maltrattamenti criminosi”

Sonmi~451 “La nostra vita non è nostra, da grembo a tomba, siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro”

Sonmi~451 “Puoi mantenere il potere sulle persone finché dai loro qualcosa, deruba un uomo di ogni cosa e quell’uomo non sarà più in tuo potere”

Hae-Joo Chang “Spesso la sopravvivenza richiede coraggio”

Sonmi~451 “Ma io sono solo la servente di una mangeria, non sono stata genomata per alterare la realtà”

Generale An-kor Apis “Nessun rivoluzionario lo è mai stato”

Sonmi~451 “Non importa se siamo nati in una vasca o in un grembo, siamo tutti purosangue. Dobbiamo tutti combattere, e se necessario morire, per insegnare alle persone la verità”

Sonmi~451 “Essere vuol dire essere percepiti, pertanto conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri. La natura della nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e azioni, che continuano a suddividersi nell’arco di tutto il tempo.

Archivista “Nella tua rivelazione hai parlato delle conseguenze della vita di un individuo che si spandono per tutta l’eternità. Questo vuol dire che credi in una vita nell’aldilà, nel paradiso e nell’inferno?”

Sonmi~451 “Io credo che la morte sia solo una porta, quando essa si chiude, un’altra si apre. Se tenessi a immaginare un paradiso, io immaginerei una porta che si apre e dietro di essa, lo troverei lì, ad attendermi”

Archivista “Se posso fare un’ultima domanda, dovevi sapere che la rivolta dell’unione sarebbe fallita”

Sonmi~451 “Si”

Archivista “E perché hai accettato di farlo?”

Sonmi~451 “E’ questo che il generale Apis mi aveva chiesto”

Archivista “Cosa, di essere giustiziata?”

Sonmi~451 “Se io fossi rimasta invisibile, la verità sarebbe stata nascosta, non lo potevo permettere.”

Archivista “E se nessuno credesse a questa verità?”

Sonmi~451 “Qualcuno ci crede già”

A Nuova Seoul (Nea So Copros), l’ingegneria genetica viene impiegata per produrre cloni inseriti in caste inferiori, con uno status morale inferiore. Possono essere oggetto di abuso senza che ciò sia sanzionato, ma sia i cloni sia i consumatori (“purosangue”) sono all’oscuro del destino di questi servitori: dopo un prematuro pensionamento dopo 12 anni di servaggio, sono uccisi e trasformati in cibo per cloni (sedato per intontire i servitori in modo che non si mettano in testa strane idee) e tessuti organici per fabbricare altri cloni.

Coesistono tre caste: la “razza padrona”, i servitori e i consumatori, che hanno il dovere costituzionale di consumare una certa somma, calcolata in funzione del loro status sociale, e di obbedire alle direttive della tirannia che li domina. I consumatori cercano solo apatia spirituale, comfort e gratificazioni fisiche. Sono distinguibili dai cloni che li servono per il fatto di possedere dalla nascita un microchip sull’indice, mentre i servitori hanno un collare che li può uccidere se disobbediscono.

Con il passare del tempo le distinzioni di classe e di casta hanno perso il loro carattere arbitrario, artificiale, fittizio per acquistare una vita propria, una certa naturalità e quindi ineluttabilità: “le cose stanno così perché è giusto e normale che sia così”.

Questo è il “progresso” che conduce alla Caduta e ad un mondo post-apocalittico.

Gattaca

Di sviluppi del genere se ne discute da anni negli ambienti della bioetica (si veda anche Gattaca):

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/leugenetica-e-un-complotto-scientista.html

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/06/ethical-aspects-of-genetic-engineering-and-biotechnology/

o “In Time”

In-Time

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/01/in-time-occupy-hollywood-e-la-lotta-di-classe-del-terzo-millennio/

È un avvelenamento progressivo dell’umanità e del mondo, che si perpetua a causa di una popolazione sedata dal consumismo, dalla propaganda che filtra l’informazione che può essere comunicata e dall’ignoranza che ne consegue. È l’oblio della realtà che conserva strutture di potere tossiche e, nel lungo periodo, autodistruttive. Un potere predatorio, cannibalistico, che si sostiene grazie alla sua capacità di definire una narrazione univocamente vantaggiosa, che colonizza le menti delle masse e razze subordinate, predicando una supposta superiore condizione esistenziale, naturale, intellettuale e morale della casta dirigente che giustifica lo status quo.

Questi colonialisti, veri e propri conquistadores, sono cannibali, consumano ciò che li circonda per sostentarsi ed espandere la loro fonte di reddito e potere. Il potere, in particolare, va mantenuto ed esteso, a spese di tutti gli altri ed a qualunque costo, in una frenetica scalata della piramide sociale e naturale che dovrebbe dare un senso ad esistenze ossessionate dalla bramosia insaziabile, una fame inestinguibile, e dalla paura di decadere, di trovarsi sempre più parassiti sul groppone e sempre meno vittime da vampirizzare. Una splendida illustrazione del circolo vizioso che rappresenta la condanna esistenziale degli psicopatici/sociopatici: così terribili eppure così tragicamente prigionieri della loro natura.

Vyvyan Ayrs, ultra-nietzscheano ode una sinfonia in un sogno di un mondo futuristico in cui tutte le cameriere di un locale sotterraneo sono identiche ed ogni giorno ripetono gli stessi gesti e le stesse frasi per accogliere i clienti. La vuole riprodurre per affermare la propria grandezza e come tributo al suo “prezioso Nietzsche”:

E sapete voi che cosa é per me il mondo? Devo mostrarvelo nel mio specchio? Questo mondo é un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea, che non diventa né più piccola né più grande, che non si consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità é una grandezza invariabile […] Questo mio mondo dionisiaco che si crea eternamente, che distrugge eternamente se stesso, questo mondo misterioso di voluttà ancipiti, questo mio al di là del bene e del male, senza scopo, a meno che non ci sia uno scopo nella felicità del ciclo senza volontà, a meno che un anello non dimostri buona volontà verso di sé, per questo mondo volete un nome? Una soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i più impavidi, o uomini della mezzanotte? Questo mondo è la volontà di potenza e nient’altro! E anche voi siete questa volontà di potenza e nient’altro! (F. Nietzsche, La volontà di potenza)

Non è il possesso del potere che produce piacere ma l’incessante ricerca di più potere. Non serve dire che questa brama senza fine è una prigionia. Se questo incremento di potenza non ce lo possiamo garantire da noi stessi, ci legheremo sempre più strettamente alla fazione più promettente. Il che spiega come, nel corso della loro vita, molti militanti di un colore politico sono passati a quello opposto: per loro l’ideologia è solo un pretesto, un mezzo per accumulare potenza. Se il partito o movimento che hanno abbandonato tornasse in auge si riavvicinerebbero in breve. Anche la lealtà o slealtà rispetto ad una particolare azienda o nazione segue le stesse logiche (es. si osservi la parabola del sionismo, una causa che era di “sinistra”/“progressista” solo un paio di generazioni addietro).

La ribellione di Sonmi-451 apparentemente fallisce. Viene catturata, interrogata, giustiziata. Migliaia, milioni di altri ribelli come lei sono stati inghiottiti dall’oblio, il loro eroismo si è dimostrato inutile: una goccia in un oceano, appunto. Però gli esseri umani sono tanti, sono come gli spermatozoi, se mi si passa il parallelo non particolarmente elegante. Basta che uno solo riesca a far arrivare il messaggio a destinazione che qualcosa di prodigioso si manifesta (la vita, la libertà).

Se ci pensiamo, è un po’ il fato di Thomas Sankara, martire della dignità e libertà africana, tornato improvvisamente in auge nell’Europa oppressa dai dogmi neoliberisti e dagli attacchi degli speculatori e delle agenzie di rating (chi l’avrebbe mai detto?):

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/05/thomas-sankara-e-il-terzo-mondo-europeo-piigs/

http://mauropoggi.wordpress.com/2013/01/20/thomas-sankara-un-documentario-e-un-appello/

o quello di Joel Olson, docente ed attivista morto prematuramente, poco dopo aver realizzato un’analisi che è stata poi fatta circolare viralmente sulla rete, specialmente tra gli indignati:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/16/la-democrazia-bianca-e-la-nostra-prigione/

Questi esempi valorizzano e comprovano il contenuto di verità di Cloud Atlas: un messaggio di valore universale resisterà al tempo e riaffiorerà carsicamente al momento giusto, anche in un altro luogo del mondo: laddove ci sia chi ne ha bisogno.

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Il messaggio di Sonmi-451 ce la fa a sopravvivere: è così autentico, vibrante, pregnante, universale, rivoluzionario, da lasciare scossi alcuni dei guardiani del sistema tirannico di Nuova Seoul (Nea So Copros). Non servirà a salvare la civiltà umana del ventiduesimo secolo, ma darà speranza ai superstiti nei secoli seguenti e la speranza è un bene di valore inestimabile quando si conduce un’esistenza miserabile.

Grazie ad un film di un’epoca precedente, ed in particolare ad una battuta – “Io non sarò mai soggetto a maltrattamenti criminosi!” – che ha il potere di scuotere dal torpore persino chi è nato per essere schiavo, Sonmi-451 comprende che esistono dei diritti universali e che occorre battersi per riaffermarli, perché questi possono essere sovvertiti esattamente come il granito può essere eroso, dato che l’ignoranza produce paura, la paura partorisce l’odio, l’odio genera violenza e la violenza prolifera fino a quando l’unico diritto riconosciuto è la volontà di chi è più forte e spietato in un dato momento.

I forti restano al comando grazie alle illusioni. Dunque la libertà vera è quella dalle illusioni (di separazione, differenza, gerarchia come parte di un “ordine naturale”) che vengono perpetrate da rapporti di forza iniqui ed artificiali. Il coraggio proviene dalla ferma volontà di combattere queste illusioni: “Sarai solo una goccia nell’oceano” – “Cos’è l’oceano se non una moltitudine di gocce?”. Di combatterle per sé e per tutti quanti, a nome di tutti quanti.

Cloud Atlas ci chiede di essere più empatici e più audaci nell’estensione verso il prossimo della nostra empatia, nel nostro riconoscimento della nostra comune condizione, comuni esigenze, comune destino. L’empatia, l’amore e la meraviglia sono le fondamenta della società. Il cinismo è ciò che la corrode e minaccia la nostra sopravvivenza come civiltà e come specie degna di esistere. La strada per l’ascensione, di Sonmi-451 e di tutti noi, passa per la disponibilità a trattare gli altri con decenza e rispetto, riconoscendone la dignità intrinseca, e per il rifiuto di accettare una società costruita intorno a convenzioni che discriminano gli uni ed avvantaggiano gli altri e che, se trasmesse di generazione in generazione, finiscono per apparire come un fatto naturale, un prodotto dell’evoluzione che l’uomo non ha il diritto di mettere in dubbio e cambiare.

La storia di Sonmi-451 ci insegna che, sebbene il mondo possa essere destinato ad una caduta – il che può certamente essere il nostro caso –, il percorso non è predeterminato. Le scelte dei singoli hanno la capacità di creare narrazioni diverse, con conclusioni diverse. Le scelte interrelate di molte persone hanno considerevoli ramificazioni (effetto del battito d’ali di una farfalla).

Per questo è indispensabile credere in un futuro alternativo (es. a quello deciso per noi dalle autorità monetarie e dalle oligarchie finanziarie) e plasmare un mondo nuovo. Il futuro è aperto e c’è sempre l’opportunità di considerare verità alternative e di scoprire una conoscenza insperata che può condurci verso altri futuri.

Se un numero sufficiente di persone, una massa critica, mette in discussione la narrazione egemonica che condiziona il comportamento di tutti, è possibile arrivare ad un cambiamento duraturo.

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Per un’analisi più generale:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/18/cloud-atlas-uno-studio-antropologico/

Oltre all’abolizione dei contanti, adesso arriva anche il codice a barre umano (perché non c’è limite all’indecenza)

Mentre il mondo procede verso una società dove i contanti sono stati aboliti:

http://www.cbsnews.com/8301-202_162-57399610/sweden-moving-towards-cashless-economy/

http://www.slate.com/articles/business/cashless_society.html

http://www.bloomberg.com/news/2012-03-29/visions-of-a-cashless-society-echoes.html

http://www.cbc.ca/news/yourcommunity/2012/04/is-it-time-for-a-cashless-society.html

http://www.moneysense.ca/2012/06/13/cashless-society/

…un’altro terribile scenario si dischiude.

Il “Codice a barre per esseri umani” potrebbe rendere la società più organizzata, ma invade la privacy e viola i diritti civili
By Meghan Neal / NEW YORK DAILY NEWS

Vorresti un codice a barre per il tuo bambino?

L’impianto di microchip sta diventando una pratica ordinaria per i nostri animali domestici, ma piacciono meno quando si propone di applicarli alle persone.
In un’intervista in un programma radiofonico della BBC la scrittrice di fantascienza Elizabeth Moon ha riacceso il dibattito affermando che mettere il “codice a barre” ai neonati al momento della nascita è una buona idea: “Ciascuno dovrebbe avere un sistema di identificazione permanentemente collegato – un codice a barre se si vuole – un chip impiantato che assicuri un modo semplice, rapido ed economico per identificare gli individui“, ha detto a Forum, uno show settimanale…Moon ritiene che gli strumenti più comunemente utilizzati per la sorveglianza e l’identificazione – come videocamere e test DNA – sono lenti, costosi e spesso inefficaci.

A suo parere, dei codici a barre per umani permetterebbe di risparmiare un sacco di tempo e denaro.

La proposta non è troppo inverosimile – è già tecnicamente possibile mettere un codice a barre ad un uomo – ma non si viola il nostro diritto alla privacy?
Gli oppositori sostengono che rinunciare a coltivare l’anonimato ci porterebbe ad una società “orwelliana” in cui tutti i cittadini possono essere rintracciati.
Ci sono già, e sono sempre più numerosi, molti modi per monitorare elettronicamente la gente. Dal 2006, i nuovi passaporti statunitensi includono radio tag di identificazione di frequenza (RFID), che memorizzano tutte le informazioni sul passaporto, oltre ad una foto digitale del proprietario.
Nel 2002, un chip impiantabile chiamato ID VeriChip è stato approvato dalla US Food and Drug Administration. Il chip potrebbe essere impiantato nel braccio di una persona.

Il progetto è stato sospeso nel 2010 a causa delle polemiche riguardanti la privacy e la sicurezza.

Eppure gli scienziati e gli ingegneri non hanno rinunciato all’idea.

Altre aziende si sono inserite nel vuoto lasciato da VeriChip e stanno sviluppando modi per integrare la tecnologia e l’uomo.

La società biotech MicroCHIPS ha sviluppato un chip impiantabile per somministrare periodicamente le medicine ai malati senza iniezione. E BIOPTid ha brevettato un metodo non invasivo di identificazione chiamato “il codice a barre umano”.

I sostenitori dicono che la verifica elettronica potrebbe aiutare i genitori o badanti a non perdere di vista bambini ed anziani. I chip potrebbero essere utilizzati per accedere facilmente alle informazioni mediche ed agevolerebbero il passaggio ai posti di sorveglianza.

Ma ci sono anche preoccupazioni circa le violazioni della sicurezza da parte di hacker. Se i computer e le reti sociali sono già vulnerabili alla pirateria informatica ed al furto di identità, immaginate cosa succederebbe se qualcuno potrebbe ottenere l’accesso al vostro chip ID personale.

Ma un tale Stanley, analista dell’American Civil Liberties Union (!!!!), spiega al Daily News:

Possiamo avere la sicurezza, possiamo avere la convenienza, e possiamo avere privacy”, ha detto. “Possiamo avere la botte piena e la moglie ubriaca”
[e pensare che il suo compito dovrebbe essere quello di tutelare i diritti civili dei suoi concittadini!]

http://www.nydailynews.com/news/national/human-barcode-society-organized-invades-privacy-civil-liberties-article-1.1088129#ixzz1wjSXsjCF

COMMENTI DI LETTORI

“Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei” (Apocalisse 13,16-18)

“È come essere marchiati come bestie! Davvero un’idea folle!”

“Assolutamente geniale! Non ci sono segreti, l’obbedienza è garantita! Beh, almeno avremo ancora la possibilità di liberarci dalla tirannia con l’auto-distruzione”.

“Proprio comei tatuaggidi Auschwitz”.

Stanno già testando i chip nelle tessere di identificazione di 6290 studenti del distretto di San Antonio:

http://www.theverge.com/2012/5/28/3047003/san-antonio-school-district-to-trial-student-rfid-attendance-system

Nel 2004 primo esperimento con un chip sottocutaneo in una discoteca di Barcellona:

http://news.bbc.co.uk/2/hi/technology/3697940.stm

COME SI SCIVOLA IN UNA TIRANNIA

In un futuro non troppo lontano alcune nazioni cominceranno a richiedere ai propri cittadini di farsi impiantare dei dispositivi di localizzazione miniaturizzati, come quelli già disponibili per gli animali domestici. Sebbene sia arduo crederlo, la popolazione ottempererà a tale richiesta, in parte entusiasticamente, in parte di malavoglia. Ma alla fine tutti si atterranno alle nuove disposizioni, anche perché chi non lo farà non potrà esistere in società.

Ecco le ragioni che saranno addotte dalle autorità. Ce ne sarà per tutti:

– lo Stato è prossimo alla bancarotta, anche gli altri stati non sono messi meglio. Serve un nuovo sistema monetario in cui tutte le transazioni siano controllate da un’istituzione finanziaria centrale. I contanti saranno aboliti. N.B. Già se ne discute:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/16/labolizione-dei-contanti/#axzz1nNrT1Utx

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/20/milena-gabanelli-chiede-labolizione-del-contante/

– ci saranno sforbiciate alle tassazioni di chi adempie. Chi disobbedisce pagherà più tasse;

– i servizi sanitari saranno garantiti solo a chi adempie: in questo modo si ridurranno i casi di malasanità;

– il crimine ed il terrorismo svaniranno, dato che le forze dell’ordine potranno rintracciare tutti in ogni momento;

– i soccorritori sapranno immediatamente dove intervenire, i bambini saranno ritrovati in men che non si dica;

– non si faranno più file negli aeroporti;

– i passaporti saranno aboliti;

– casse self-service in ogni negozio, nessuna fila perché ognuno pagherà con il suo impianto identificativo che fungerà anche da carta di credito (es. film “in time”);

– nessun rischio di frode: nessuno potrà clonare una carta di credito o sottrarre un documento di identificazione;

– i diritti civili saranno garantiti;

– saremo tutti una grande famiglia;

– i generi di prima necessità costeranno di meno, risparmi per tutti, debito pubblico sotto controllo;

– evasione fiscale eliminata, non ci saranno più furbi: ogni transazione sarà registrata;

– dite addio ai commercialisti: saranno inutili;

– l’impianto è semplice, rapido ed indolore. Non vi accorgerete neppure che c’è;

– la Chiesa non è contraria;

– non ci saranno più disservizi, tutto funzionerà meglio;

– chi è onesto non ha nulla da temere;

– se il sistema non funziona lo abbandoneremo e tutto tornerà come prima;

– è un vostro dovere di cittadini fare quanto è necessario per aiutare gli altri e la nazione: siamo tutti sulla stessa barca.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/27/cose-il-grande-fratello/

 

Quello che non capiscono quelli del “se non hai nulla da nascondere non hai niente da temere” è che certe disposizioni e certe tecnologie non sono democraticamente reversibili, una volta introdotte e che se loro sono così insicuri, pavidi e desiderosi di essere trattati come pecore e non come esseri umani, non è una buona ragione per costringere tutti gli altri a subire lo stesso degrado:

Molta gente che pensava di saperne più di quelli che chiamava “complottisti” un giorno si sveglierà in un incubo di rimpianti e rimorsi.

Serve una grande formattazione globale, senza back-up.

Milena Gabanelli chiede l’abolizione del contante

Sempre più di frequente si levano voci che domandano l’abolizione del contante e l’uso esclusivo di carte di credito/debito per una tale varietà di ragioni e con una tale urgenza (se fosse una questione così emergenziale ci dovrebbe essere una ragione prevalente e sostanziale) da sollevare il dubbio che questa sia un’operazione che potrà solo arrecare danni al cittadino comune e benefici alle solite oligarchie. Non può esistere alcun dissenso quando ti possono  bloccare il credito.

In un altro post ho presentato quelle obiezioni che a mio parere sono più persuasive delle altre (assieme alle ragioni addotte su Slate, una rivista americana).

Recentemente Milena Gabanelli (Report, assieme a Sefania Rimini), dopo aver omaggiato Monti, si è schierata con chi vorrebbe che fosse utilizzato solo il denaro elettronico.
Le reazioni non si sono fatte attendere:

“A volte le illusioni ritornano. Questa volta ci ha pensato Milena Gabanelli che ha riproposto l’abolizione del contante come soluzione a tutti i mali che ci affliggono. Secondo questa curiosa teoria se tutto si pagasse con carta di credito potremmo avere addirittura 150 miliardi in più di gettito fiscale, per poter lastricare d’oro le strade. È un sogno parallelo a quello della Tobin tax, la famosa tassa sulle transazioni finanziare.

In realtà il mondo è differente da quello dei sogni dove basta vietare e tassare per ottenere schiere di angioletti. Vediamo perché.

Prima di arrivare alla soluzione estrema dell’abolizione delle banconote cominciamo con l’esaminare il senso delle limitazioni all’uso del contante: nessun malaffare «che si rispetti» viene gestito con carta di credito o assegno. È da gonzi pensare che lo spacciatore paghi la droga col bancomat o il ricettatore faccia un bonifico con casuale «incasso refurtiva», allo stesso modo chi incassava somme in nero continuerà a farlo che il limite sia a 10mila euro o a mille. Le soglie di tracciabilità sono andate su e giù come la marea a seconda del livello di demagogia fiscale dei governi ma nulla è cambiato nella propensione all’evasione. Mettere vincoli addizionali ottiene il semplice risultato di aggravare pastoie e commissioni per l’onesto, lasciando del tutto indifferente il disonesto che continua esattamente a comportarsi come prima. Illusione massima poi è quella di supporre che se, con una magìa, domani tutti pagassero con la carta, si incasserebbero i famosi 150 miliardi. Per capire quanto grossolano sia l’errore basti pensare che il valore totale delle banconote presenti in Italia è solo 100 miliardi ( e già qui casca la Gabanelli) ma la nostra pressione fiscale è calcolata sul Pil: aggiungendo ulteriori introiti fiscali pari al 10% del prodotto interno lordo si otterrebbe un dato incompatibile con qualsiasi attività economica di larga scala.

[…].

Torniamo al contante: ai sostenitori di idee radicali come questa o la Tobin Tax sfugge che la condizione necessaria per raggiungere lo scopo finale è che lo stesso divieto sia recepito globalmente, altrimenti molto semplicemente le transazioni si sposterebbero in un’altra valuta o in un altro Paese. È concepibile pensare che tutto il mondo, dalla Cina agli Usa, ripudi contemporaneamente il contante per fare una cortesia a noi? [secondo alcuni è esattamente quel che accadrà, perché ce lo imporranno, NdR].

Se la risposta è no è inutile anche soltanto distrarci dai problemi veri per dedicarci a queste fantasie, senza contare che il malaffare è esistito ben prima dell’invenzione del denaro e basterebbe scambiarsi oro o beni di qualsiasi altro tipo per aggirare le limitazioni. Ogni restrizione unilaterale avrebbe come unico effetto la fuga di capitali: il monitoraggio da stato di polizia dei conti correnti, concesso all’Agenzia delle entrate è un unicum in Europa e infatti, grazie al parallelo inasprimento delle tasse, il trasferimento del denaro all’estero sta raggiungendo livelli record e le conseguenze della fuga saranno ben superiori agli introiti fiscali delle ispezioni.

[…]

Claudio Borghi (Twitter:@borghi_claudio)

http://www.ilgiornale.it/interni/la_gabanellivuole_toglierci_soldi/contanti-milena_gabanelli/16-04-2012/articolo-id=583296-page=0-comments=1

“Il governo afferma che si tratti di una soluzione utile alla lotta dell’evasione fiscale, in quanto tutte le transazioni vengono registrate e si può meglio controllare tutti i pagamenti che avvengono tra clienti, fornitori, consumatori.

FALSO per la seguente ragione: il grosso dell’evasione fiscale (cosiddetti 40 miliardi di sommerso di cui parla l’A.B.I.) non riguarda le piccole-medie imprese che hanno un giro di affari modesto, bensì le grandi corporations, proprio quelle S.p.A. che nascondono al fisco milioni e milioni di euro, attraverso transazioni segrete in qualche conto bancario o hedge fund con sede nei paradisi fiscali. Il vero evasore non è il fruttivendolo sotto casa, ma i manager che risiedono nei CdA delle multinazionali e gli speculatori finanziari che spostano gli utili all’estero in posti come Panama, Cayman, Jersey, etc.

[…].

Di questo passo si arriverà all’eliminazione totale del denaro contante e andremo in giro acquistando beniservizi solo con carte di credito e su di esse ogni movimentazione dovrà essere certificata.

La moneta elettronica, che adesso spacciano come soluzione all’evasione fiscale, se attuata al 100% non sarà altro che l’ennesima vittoria dell’oligarchia bancaria sui cittadini”.

http://salvatoretamburro.blogspot.it/2011/11/perche-vogliono-imporci-la-moneta.html

“Segno dei tempi la trasmissione di “Report”, del 15 aprile? Speriamo di no e continuiamo a credere che Milena Gabanelli non sia ancora omologabile ai tanti giornalisti RAI oramai proni al “pensiero unico” di Monti e dei partiti che lo appoggiano. Ma guardiamola da vicino questa puntata di “Report”.
Saltiamo a piè pari sull’”INTERVISTA” A MONTI (E SULL’INCREDIBILE RINGRAZIAMENTO A LUI RIVOLTO) CHE QUASI CI FA RIMPIANGERE EMILIO FEDE e arriviamo alla sostanza della trasmissione.

Dunque, il debito pubblico per “Report” sarebbe da addebitare all’evasione fiscale commessa da idraulici, tassisti, parrucchieri, salumieri… Neanche una parola sulle imprese che, sempre più spesso, grazie ad una vergognosa legislazione comunitaria, pur operando in Italia, localizzano le loro direzioni nei “paradisi fiscali” o su manager plurimiliardari, come De Benedetti o Marchionne, che “evadono le tasse” pigliandosi la cittadinanza svizzera. Neanche una parola sulla progressiva diminuzione della tassazione ad aziende e imprese (le aliquote marginali dell’imposta sui redditi più alti sono passate il Italia dal 72% del 1981 al 43% del 2010, le imposte sui redditi delle società dal 31,9% al 23,2%; nel 2007, il Governo Prodi con il “cuneo fiscale” regala in detrazioni fiscali, ad aziende, banche ed assicurazioni 18 miliardi di euro, ogni anno). Neanche una parola sul progressivo smantellamento degli Ispettorati del Lavoro, principale causa di evasione in Italia, al quale “Report” contrappone l’edificante storia di un imprenditore della ristorazione che, scovato con i dipendenti non in regola, a causa di non meglio precisati “disguidi burocratici”, non trova niente di meglio da fare che licenziarli tutti.
No, per “Report” l’evasione fiscale e il debito pubblico si risolve abolendo il contante e sostituendolo con le carte di credito e transazioni finanziarie (tra l’altro, una strada intrapresa da Tremonti che aveva già ridotto le soglie dei pagamenti cash prima a 12.500 euro e poi a 5.000) e obbligando dipendenti e pensionati ad aprire un conto corrente.

Peccato che nulla venga detto da “Report” sull’uso sempre più diffuso e “spensierato” di carte di credito (che è diventata la principale causa di indebitamento per i privati in tutti i paesi capitalisti, anche per i tassi da usura imposti dalle banche a chi va “in rosso”) o sul controllo orwelliano dei consumatori determinato dalle carte di credito.

Nulla di tutto questo: solo qualche frase sull’arricchimento delle banche che arrivano a pretendere il 3 per cento sulle transazioni tramite carta di credito (senza parlare dei costi per il POS) e la presentazione come Vangelo di uno sbalorditivo “studio” di un istituto, (guarda un po’ facente capo all’A.B.I.) che assicura che l’uso delle carte di credito risulta essere per i consumatori più economico e conveniente del contante”.

Francesco Santoianni

http://www.contropiano.org/it/cultura/item/8170-“report”-inciampa-su-debito-pubblico-ed-evasione-fiscale

1-Se stampare denaro costa, un’operazione tramite POS o carta di credito invece è fonte di guadagno per le banche e finanziarie. Pensate a quante transazioni vengono effettuate in un giorno e avete la dimensione del problema.

2-Le indagini di mercato costano, analizzare in automatico le spese degli italiani invece costa molto meno e offre maggiori garanzie. Inutile, ad esempio, continuare lo sviluppo del prodotto X ver.02 quando il prodotto X ver.01 non è stato apprezzato.

Inoltre, come già sottolineato da un altro utente, con le carte di credito non c’è rischio della fine della Northern Rock, con file immense che pretendono la consegna di quanto depositato. Ovvero impossibile disattivare la riserva frazionaria se non ci sono più contanti. E la riserva frazionaria è la vera chiave di lettura del sistema bancario attuale. Tallone d’Achille se esiste la moneta, ma scandaloso metodo per permettere qualsiasi speculazione se ci sono solo carte di credito.

Infine: il Grande Fratello ci spia, e siamo sempre più sottoposti a controlli su tutto quello che facciamo. A che ora abbiamo preso l’autostrada e dove siamo andati (telepass o viacard); a che ora siamo andati nel supermercato e cosa abbiamo acquistato; cosa abbiamo acquistato online; com’è l’andamento delle nostre spese, mese per mese e così via.

Tonguessy

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10169

L’abolizione del contante non sarà mai imposta per decreto. Semplicemente, i consumatori verranno progressivamente addestrati all’uso della moneta elettronica rendendola più semplice da usare. Non più tante carte di credito, assegni, giroconti e RID con annesse scartoffie ma UN SOLO oggetto (il telefonino) atto ad eseguire ogni tipo di transazione, dai 0,79 centesimi di una app dell’Apple Store in su. In Giappone questa cosa si sta già rapidamente diffondendo, tanto da aver alterato nella mente dei consumatori il concetto stesso di “spesa”. Il popolino non avrà più il problema di avere o non avere soldi, ma solamente di avere o non avere credito. Questo consegnerà alla classe finanziario-proprietaria globale la disponibilità immediata, in ogni istante, dell’intera ricchezza del mondo. Dire che l’abolizione del contante eliminerà l’evasione fiscale è solo una fesseria, oltre che una balla.

Jor-El

www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10169

“Vi scrivo perché sono INORRIDITO dal servizio che avete mandato in onda ieri sera. INORRIDITO. In nome di una legittima lotta all’evasione avete proposto infatti un sistema che a suo confronto il romanzo “1984” di George Orwell è “La casa nella prateria” ! Ma stiamo scherzando ?!!!?!?
innanzitutto… il vostro programma dovrebbe fare inchieste, trovare dati, ascoltare opinioni (ed è per quello che l’ho apprezzato in tutti questi anni)  e non darne di proprie, facendo a tutti gli effetti politica con i soldi dei contribuenti.
Dopodiché… ma davvero volete “immaginare” un sistema in cui lo Stato (lo stesso stato che dà centinaia di migliaia di euro ai partiti senza chiederne contabilità, che non sa se gli esodati sono 65.000 o 350.000, che non sa calcolare se i politici nostri prendono meno o più della media europea, che non sa comunicare quante auto blu abbiamo, etc etc…).. questo stato… conosca tutto dei suoi cittadini !??!?!
Che sappia quale giornale compro (Libero o  L’Unità)
Che sappia che squadra tifo
Che medicine compro
Dove vado in vacanza
Se ho l’amante
Se guardo film porno
Se investo nel fondo finanziario A o quello B
etc etc…
Ma siamo impazziti ?!?!
Non voglio neanche pensare poi a situazioni sul modello Argentina… qualora i soldi in banca venissero completamente bloccati dal governo. Una cosa del genere con i contanti non sarebbe possibile“.
Marcello Mazzilli

A me pare che questo scenario si faccia sempre più realistico, per le generazioni a venire.

ALCUNE CONTESTAZIONI DA PARTE DI UN FINANZIERE (CHE RINGRAZIO) PER QUEL CHE RIGUARDA IL SUO AMBITO DI COMPETENZA:

< Ti faccio solo alcuni esempi:

“Illusione massima poi è quella di supporre che se, con una magìa, domani tutti pagassero con la carta, si incasserebbero i famosi 150 miliardi. Per capire quanto grossolano sia l’errore basti pensare che il valore totale delle banconote presenti in Italia è solo 100 miliardi ( e già qui casca la Gabanelli)”

100 mld è un valore di stock, non di flusso. Immagina di avere 100 euro in contanti, vai al ristorante, mangi, paghi con i tuoi 100 euro, il ristoratore non ti fa la ricevuta. Il giorno dopo il ristoratore con i suoi bei 100 euro incassati in nero paga il tecnico della caldaia che non gli fa la ricevuta. Il giorno dopo il tecnico con i suoi bei 100 euro incassati in nero va dal falegname…. ecc. ecc.

Oppure: “il grosso dell’evasione fiscale (cosiddetti 40 miliardi di sommerso di cui parla l’A.B.I.) non riguarda le piccole-medie imprese che hanno un giro di affari modesto, bensì le grandi corporations, proprio quelle S.p.A. che nascondono al fisco milioni e milioni di euro, attraverso transazioni segrete in qualche conto bancario o hedge fund con sede nei paradisi fiscali”

E’ falso. A parte il fatto che le grandi imprese in Italia sono pochissime (3.000 su quasi 9 milioni di partite iva), queste evadono poco, semmai eludono e certo non “attraverso transazioni segrete”, bensì semplicemente sfruttando buchi della legislazione fiscale o interpretando la normativa a loro favore. Per legge i cd. “grandi contribuenti” sono controllati dall’Agenzia delle Entrate o dalla G.di F. ogni anno (tutoraggio fiscale: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/documentazione/attivita+di+controllo/grandi+contribuenti#tutoraggio), mentre gli autonomi e le imprese medio-piccole, a causa del loro numero elevatissimo, possono anche non subire mai un controllo.
Sostenere che la tracciabilità non è utile nella lotta all’evasione è improponibile. Fidati. Altrimenti fai conto che non abbia detto nulla >.

La domanda da porsi è: ne vale la pena? Il gioco vale la candela?
Come spiega un amico FB: “Il controllo del denaro è un’ ulteriore controllo, grazie al quale possono sapere molte altre cose su di noi, ma soprattutto offre loro il potere di vita o di morte sul cittadino. Infatti se il denaro è tutto elettronico, significa che chi ha in mano il nostro conto ha in mano la nostra vita, se scelgono di bloccarci il conto siamo fottuti. Finchè ci sono in giro le banconote possiamo sempre fare la spesa o pagarci un avvocato che ci difenda, mentre se esiste solo il denaro elettronico siamo completamente nelle loro mani. Schiavi al 100%…
Vogliamo davvero vivere in una gabbia sociale così efficiente, trasparente e tracciabile, mentre i soliti ignoti dell’1%/0,1% continueranno a sfuggire ad ogni controllo?

L’obbligo di morire in una società che invecchia – un altro delirio della torre d’avorio

di Stefano Fait

La frase “non mi sento ancora pronto per morire” non esenta una persona anziana dal dovere di farlo. Raggiungere l’età di 80 anni senza sentirsi pronti a morire è già di per sé un fallimento morale, l’indicazione di un’esistenza dissociata dalla realtà fondamentale della vita. Il dovere di morire può sembrare severo, e talora lo è, ma se davvero ci tengo alla mia famiglia, il dovere di proteggerla sarà spesso accompagnato da un profondo desiderio di farlo. Normalmente uno vuole proteggere le persone che ama: non è solo un dovere, è anche un desiderio. Di fatto, posso facilmente immaginare di volere risparmiare alle persone che amo il peso della mia esistenza più di quanto possa volere altre cose.

John Hardwig, “Dying at the Right Time: Reflections on Assisted and Unassisted Suicide”, 1996

La tesi che esiste un dovere di morire potrà sembrare ad alcuni come una risposta sbagliata alle negligenze della società. Se la nostra società si prendesse cura di disabili, malati cronici ed anziani come sarebbe suo compito fare, ci sarebbero solo rari casi in cui far valere quest’obbligo. Alla luce delle contingenze presenti, sto domandando ai malati e disabili di fare un passo avanti ed accettare una responsabilità che la società non intende assumersene un’altra. […]. Non devo, perciò, vivere la mia vita e pianificarla partendo dal presupposto che le istituzioni sociali proteggeranno la mia famiglia dalla mia infermità ed invalidità. Sarebbe da irresponsabili. Più plausibilmente, spetterà a me proteggere le persone che amo.

John Hardwig, “Is there a duty to die?”, Hastings Center Report 27, no. 2 (1997), p. 34-42

Queste persone animate dalle migliori intenzioni [come Hardwig], ahimé, non vivono nel mondo reale…Il loro mondo ideale non contiene figli e figlie o generi e nuore che non dimostrano amore e rispetto verso i loro genitori e suoceri…dove gli eredi non sono oberati da debiti che sarebbero saldati così facilmente se solo il nonno si desse una mossa a morire. Il loro mondo ideale contiene dottoresse ed infermieri che non necessitano di alcun tabù perché sono naturalmente più virtuosi, nobili ed intelligenti delle altre persone…medici ed infermiere che non trattano mai i loro pazienti sprezzantemente e non si stufano mai di avere a che fare con vecchi sporchi e molesti…che non falsificherebbero mai le cause della morte e non violerebbero mai la legge. [in questo mondo ideale] persino i dottori che hanno già violato le norme vigenti contro l’eutanasia non violerebbero o interpreterebbero arbitrariamente nuove leggi in materia.

Jenny Teichman, “Social ethics”, pp. 84-85

Il caso di Eluana dimostra ancora una volta che le persone restie ai condizionamenti vengono mal tollerate; reclamando il diritto alle loro libertà fondamentali sovvertono l’ordine prestabilito e questo infastidisce e spaventa.

Beppino Englaro – una riflessione applicabile anche al dibattito sul dovere di morire

John Hardwig, Dan Callahan, John Beloff, Margaret Pabst Battin, Judith Lee Kissell, Marilyn Bennett, Julian Savulescu, John Harris si sono tutti espressi in favore del dovere di morire. Lo ha fatto anche Richard Lamm, governatore del Colorado negli anni Ottanta.

John Harris (“Immortal Ethics”, Annals of New York Academy of Sciences, 1019, pp. 527-534, 2004), immagina un futuro in cui si porranno in essere pulizie generazionali (sul modello della pulizia etnica) decidendo collettivamente quanto a lungo è ragionevole che una persona possa vivere e garantendo che il numero più ampio possibile di persone possa farlo in buona salute fino a quell’età limite, per poi “invitarle” a suicidarsi – ingenerando nell’opinione pubblica un certo tipo di aspettative, nonché imbarazzo, disagio e vergogna in un ottuagenario che non voglia morire. In alternativa, suggerisce Harris, ci si potrebbe astenere dal somministrare certe cure o servizi di assistenza, oppure si potrebbe riprogrammare il genoma in modo tale da riattivare i geni dell’invecchiamento per dar spazio alle nuove generazioni, in uno scenario perfettamente descritto in un recente film che consiglio a tutti di vedere:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/01/in-time-occupy-hollywood-e-la-lotta-di-classe-del-terzo-millennio/

Nietzsche approverebbe, visto che definiva i malati [e lui stesso era malato] dei parassiti della società la continua esistenza dei quali, in certe condizioni, è indecente.

Dovremmo domandarci qual è la linea che separa il diritto di scegliere il suicidio e il dovere di scegliere di liberare gli altri della nostra presenza.

Il sacrosanto diritto di morire con dignità e quindi l’altrettanto sacrosanto diritto al suicidio assistito, non deve convertirsi gradualmente dapprima nel dovere di morire con dignità, poi nel diritto della società di insistere che le persone muoiano dignitosamente ed infine nell’eutanasia involontaria. Purtroppo però, come testimoniano i filosofi sopracitati, quando la qualità della  ed il suo costo sociale diventano i criteri principali per valutare se una vita sia degna di essere vissuta, improvvisamente uno si trova a dover meritarsi di poter vivere. Ingranaggi della megamacchina, abbiamo valore solo se siamo efficienti:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/18/la-soluzione-finale-alla-questione-dei-disabili-secondo-il-governo-inglese-cazzi-loro/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/19/questa-e-blasfemia-questa-e-pazzia-questa-e-oxford-quando-linfanticidio-diventa-un-diritto-inalienabile/

Non è implausibile immaginare che un giorno saranno inaugurati dei corsi di gestione mortuaria.

Dovremmo tener conto del fatto che quello del vecchio eschimese che si fa trasportare via dal ghiaccio verso la morte è un mito occidentale non confermato dai dati etnografici e, se anche fosse vero, noi non viviamo sulla banchisa polare, come forse molti hanno intuito.

Come può essere saggio generare delle pressioni morali o persino normative che spingano gli individui a porre termine alla propria vita (e che avranno effetti devastanti su chi ha già fantasie suicide)? È un genere di società in cui è desiderabile vivere quello che persuade persone di qualunque età che si trovano nella condizione di costituire un “fardello” per la famiglia e per la collettività che è giusto sentirsi in dovere di togliersi di mezzo con un suicidio o un suicidio assistito?

Che messaggio stiamo mandando alle persone che sono già molto anziane, molto malate e gravemente disabili? Si rendono conto, questi “filosofi morali”, che prima o poi anche loro rientreranno in una queste categorie? Non è abbastanza evidente che questo discorso indurrebbe moltissime persone che già si sentono in colpa a sentirsi di troppo sebbene non lo siano, e questo proprio quando il progresso tecnologico consente loro di condurre vite meno dipendenti dagli altri e più attive di quel che sarebbe stato lecito attendersi in passato?

Anni di assistenza a persone non-autonome mi hanno insegnato che prendersi cura del prossimo non è solo un peso, può anche essere un piacere ed una lezione di vita impareggiabile. Lo stress, l’ansia e anche il fastidio di certi momenti è più che compensato da un rapporto umano fatto di dialogo, di esplorazione dell’interiorità di entrambi e di affetto, se non amore.

Che reazione avrei se dovessi scoprire che una persona di cui dovevo prendermi cura ha scelto di togliersi la vita per non importunarmi con la sua presenza? Come potrei sentirmi sicuro che non malinterpreterà certe mie parole o gesti, decidendo che i sacrifici di cui mi faccio carico sono eccessivi? E che cosa succederebbe se il tentativo di suicidio di questa persona fallisse, aggravando ulteriormente la sua condizione: dovrei completare l’opera io?

Com’è possibile che questi pensatori non siano capaci di pensare alle ramificazioni più essenziali dei loro ragionamenti? Si sentono razionali perché sanno ipersemplificare l’esperienza umana? Non sono forse pagati per esercitarsi nel pensiero profondo, insegnando ai loro studenti a fare lo stesso? Oppure gli unici ragionamenti validi, per loro, sono quelli che gratificano il loro ego, le loro predilezioni, e che non si insozzano nelle contraddizioni, incertezze e complicazioni della realtà vissuta?

A me pare che l’inevitabile deriva morale di una società che accetta il dovere di morire la porterà a declinarlo nel senso del dovere di uccidere. Se io ho il dovere di morire e non lo faccio, non c’è ragione di impedire a qualcun altro di togliermi la vita al posto mio, assolvendo un compito assegnatogli implicitamente dalla società. Qualcuno potrebbe andare in giro a uccidere vecchi, malati e disabili proclamandosi un giustiziere, un raddrizzatore di torti, un’esecutore della volontà generale.

La somma ipocrisia di questa società è che si possano immaginare certe situazioni future solo in virtù del fatto che gli elettori continuano a votare stolidamente a fidarsi dei media e a votare per politici che approvano esenzioni fiscali per i ricchi o sussidi per le grandi industrie e banche e continuano a spendere per gli armamenti di destra o “sinistra” che siano.

DIRITTO ALLA VITA, DIRITTO ALL’ABORTO E DIRITTO AL SUICIDIO

Il diritto alla vita comprende, naturalmente, anche il diritto al suicidio. Non si può pensare che il suicidio sia un reato se si stabilisce che la mia vita è mia e di nessun altro, tanto meno proprietà dello stato, della società o di un dio/dèi. Se la mia vita è mia – e solo un fanatico mitomane indegno della mia attenzione potrebbe pensare che non lo sia – la posso anche concludere prematuramente e la società non ha il diritto di tenermi in vita contro la mia volontà. Il diritto all’aborto è collegato al diritto al suicidio nel senso che la donna non può essere considerata come un mero strumento biologico di perpetuazione della Vita. Entrambi questi diritti scaturiscono da e tutelano il senso che la mia vita non è una proprietà e non può essere adoperata da altri, né tantomeno sprecata da altri.

Se non capiamo questo semplice concetto rischiamo, un giorno, di risvegliarci in una società in cui lo stato si è fatto paladino della qualità della vita e ha promulgato norme che sanciscono l’obbligo di provvedere tutti i cittadini del servizio di una morte rapida e confortevole tramite la sospensione di trattamenti medici somministrati a pazienti la cui “qualità della vita” è anche solo marginalmente compromessa.

IL RISPETTO DELLA VITA UMANA E DELLA SUA DIGNITÀ

Una persona che non è più consapevole o normodotata non è meno umana degli altri, tanto quanto un maschio non è meno mammifero solo perché non ha le mammelle. L’unico significativo discrimine tra esseri umani è la morte. Prima si è interamente umani, poi lo si è meno; ma ancora permane, giustamente, un particolare rispetto per la salma che, di norma, non è trattata come un semplice ammasso di materia organica. Per come la vedo io, se perdessimo il rispetto per la dignità dei vivi e dei morti non saremmo più degni di continuare ad esistere e sarebbe meglio che una pestilenza ci spazzasse via tutti al più presto.

 

Cos’è il Grande Fratello? (La dittatura “morbida”)

 

 

a cura di Stefano Fait

 

 

 

Il re prende nota di tutte le loro intenzioni,

Con mezzi che nemmeno possono immaginare

William Shakespeare, “Enrico V”

Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?

Giovenale, “Satire”, VI, 347

Un uomo di vetro in una società trasparente: è questo il nostro futuro? Torna l’antico interrogativo: qual è il prezzo della libertà? E di quale misura di libertà godremo in un ambiente tecnologicamente ridisegnato in forme tali da ridurre diritti fondamentali delle persone? Noi, e usando il plurale parlo di tutti noi cittadini, siamo chiamati a sciogliere una contraddizione tra una trasparenza crescente e l’inconoscibilità o l’incontrollabilità di chi ci rende visibili, rimanendo egli stesso lontano o oscuro. Ma può la democrazia lasciar crescere al suo interno quello che, per dirla con Conrad, può diventare il ‘cuore di un’immensa tenebra’?

Stefano Rodotà, “Relazione annuale dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali”, Roma, 3 maggio 2000.

http://www.treccani.it/enciclopedia/stefano-rodota/

Pensate alle conseguenze di un altro massiccio attacco (terroristico) negli Stati Uniti – magari la detonazione di una bomba radiologica o sporca, oppure di una mini bomba atomica o un attacco chimico in una metropolitana. Uno qualunque di questi eventi provocherebbe morte, devastazione e panico su una scala tale che al confronto l’11 settembre apparirebbe come un timido preludio. Dopo un attacco del genere, una cappa di lutto, melanconia, rabbia e paura resterebbe sospesa sulle nostre vite per una generazione. Questo tipo di attacco è potenzialmente possibile. Le istruzioni per costruire queste armi finali si trovano su internet ed il materiale necessario per costruirle lo si può ottenere pagando il giusto prezzo. Le democrazie hanno bisogno del libero mercato per sopravvivere, ma un libero mercato in tutto e per tutto – uranio arricchito, ricino, antrace – comporterà la morte della democrazia. L’armageddon è diventato un affare privato e se non riusciamo a bloccare questi mercati, la fine del mondo sarà messa in vendita. L’11 settembre con tutto il suo orrore, rimane un attacco convenzionale. Abbiamo le migliori ragioni per avere paura del fuoco, la prossima volta. Una democrazia può consentire ai suoi governanti un errore fatale – che è quel che molti osservatori considerano sia stato l’11 settembre – ma gli Americani non perdoneranno un altro errore. Una serie di attacchi su vasta scala strapperebbe la trama della fiducia che ci lega a chi ci governa e distruggerebbe quella che abbiamo l’uno nell’altro. Una volta che le aree devastate fossero state isolate ed i corpi sepolti, potremmo trovarci, rapidamente, a vivere in uno stato di polizia in costante allerta, con frontiere sigillate, continue identificazioni e campi di detenzione permanente per dissidenti e stranieri. I nostri diritti costituzionali potrebbero sparire dalle nostre corti, la tortura potrebbe ricomparire nei nostri interrogatori. Il peggio è che il governo non dovrebbe imporre una tirannia su una popolazione intimidita. La domanderemmo per la nostra sicurezza.

Michael Ignatieff, New York Times Magazine, il 2 maggio 2004

http://www.treccani.it/enciclopedia/michael-ignatieff/

Il governo inglese sta mettendo a punto un nuovo programma anti terrorismo che prevede l’archiviazione di tutte le telefonate, messaggini sms, email e siti internet visitati dagli utenti. Lo scrive il Telegraph, precisando che operatori telefonici e service provider saranno obbligati a conservare i dati per un periodo di 12 mesi per metterli così a disposizione dei servizi di sicurezza. I contenuti delle chiamate e delle mail non saranno registrati, al contrario dei numeri delle chiamate e gli indirizzi mail dei mittenti e dei destinatari delle mail. Il ministero dell’Interno, secondo il quotidiano, avrebbe già intavolato i negoziati con le internet company negli ultimi due mesi. Il piano potrebbe essere annunciato ufficialmente a maggio”.

http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/13906_londra-il-governo-monitorachiamate-sms-e-email.htm

“Dopo il no di Repubblica Ceca, Bulgaria, Slovenia e Polonia, anche i governi di Germania e Olanda sono orientati a votare contro l’Acta, l’accordo che imporrebbe limitazioni alla libertà della Rete delegando inediti poteri di polizia e di oscuramento ai service provider. La contrarietà di Amsterdam e Berlino è emersa dopo le manifestazioni di protesta che hanno animato le piazze di molte capitali: segno tangibile dell’esistenza di una nuova opinione pubblica internazionale che vuole difendere il Web da ogni tentativo di controllo politico, magari travestito da “accordo commerciale”. Anche in Italia sono in corso proteste contro l’Acta (come quella di Firenze, il 25 febbraio) seppur poco riprese dalla grande stampa. E anche da noi sta crescendo l’attivismo trasversale pro-Internet, talvolta in grado di influenzare i decisori della politica: com’è di recente capitato, ad esempio, per l’infausto “emendamento Fava” approvato in commissione all’unanimità e poi ritirato nell’imbarazzo generale dei partiti, dopo che era esplosa la contestazione on line.

Anche per questo lascia un po’ perplessi il fatto che il governo italiano non abbia preso una posizione pubblica sull’Acta: sarà uno di quei Paesi che al Parlamento europeo, l’11 giugno prossimo, ne proporranno la ratifica oppure no? Non si sa”.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/libero-web-monti-balbetta/2175050/1111

“Irresponsabile, anacronistico, anti-europeo e liberticida: sono questi gli aggettivi che – assieme  a molti altri – possono essere utilizzati per definire l’emendamento alla legge comunitaria 2011, con il quale l’on. Fava (Lega Nord) minaccia di attuare, nel nostro Paese, l’infausto progetto – nome in codice Sopa – che il Congresso degli Stati Uniti d’America è stato costretto ad abbandonare dopo lo sciopero della Rete dichiarato, nei giorni scorsi, dai giganti del Web.

L’emendamento, approvato giovedì scorso dalla Commissione per le politiche comunitarie, stabilisce – tra l’altro – che chiunque possa chiedere a un fornitore di servizi di hosting di rimuovere qualsivoglia contenuto pubblicato online da un utente sulla base del semplice sospetto – non accertato da alcuna Autorità giudiziaria né amministrativa – che violi i propri diritti d’autore e che, qualora il provider non ottemperi alla richiesta, possa essere ritenuto responsabile.

Un’inaccettabile forma di privatizzazione della giustizia: la permanenza o meno di un contenuto nello spazio pubblico telematico non dipenderà più dalla decisione di un Giudice ma da una semplice segnalazione – autonoma ed arbitraria – di un singolo.

E’, probabilmente, la più concreta e attuale minaccia per la libertà di espressione sul web registrata negli ultimi anni nel nostro Paese.

[…]

Il ministro per le politiche europee Enzo Moavero Milanesi, infatti, nel prendere la parola in Commissione, giovedì scorso ha dato parere favorevole al testo del disegno di legge, limitandosi a rilevare che l’emendamento Fava, affrontando “un tema – quello del commercio elettronico – di particolare delicatezza, che incontra sensibilità diverse…, avrebbe meritato di essere affrontato in uno specifico provvedimento”.

Nessun veto, tuttavia, né una parola sulla circostanza che le disposizioni in questione siano oggetto di una richiesta inoltrata dallo stesso Governo italiano a Bruxelles.
Cos’altro aggiungere?

La sensazione è quella che – Governo dei professori o governo del Cavaliere – il Paese rimanga saldamente in mano ad un manipolo di dilettanti allo sbaraglio, prezzolati dai soliti noti delle solite lobby e, soprattutto, totalmente ignoranti e disinteressati a proposito di Internet, futuro e innovazione”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/22/sopa-italiano-la-legge-che-minaccia-il-web/185580/

Orwell, in 1984, immaginava l’esistenza di una Psicopolizia, capace di intercettare suoni, gesti, pensieri. L’incubo di ognuno era rappresentato dallo psicoreato, il delitto che consisteva nell’aver pensato male del governo del Grande Fratello. (125) Non siamo a questo punto, né mai, si spera, ci arriveremo. Ma è anche vero che molti sistemi di controllo ed intercettazione attualmente esistenti fanno temere per la libertà e la dignità dei cittadini che li subiscono loro malgrado. Molti di questi sistemi sono stati a lungo occultati alla conoscenza dell’opinione pubblica, altri sono stati invece adottati in quasi totale mancanza di rispetto verso le regole più elementari della democrazia. Oggi, con una guerra al terrorismo in atto dal famigerato 11 Settembre 2001, con gli attentati sempre più frequenti, in un clima di paura che aleggia su ogni scelta politica recente, alcuni potranno pensare che siano più che giustificate delle misure di massima sorveglianza. Ma non va dimenticato che alcuni degli apparati di controllo delle comunicazioni più potenti esistono da molto tempo prima dell’11 Settembre: Echelon, Enfopol, il Sistema Informativo Schengen, ed altri sistemi di intercettazione elettronica su scala mondiale, dimostrano che la sorveglianza a scopo di sicurezza ha una lunga storia alle sua spalle.

http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/control/surace/cap1.htm

“Non si può nutrire più alcun dubbio in merito all’esistenza di un sistema di intercettazione delle comunicazioni a livello mondiale, cui cooperano in proporzione gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda nel quadro del patto UKUSA. Che tale sistema o parti dello stesso abbiano avuto, almeno per un certo tempo, il nome in codice “ECHELON” può essere plausibile, alla luce degl’indizi a disposizione e delle numerose dichiarazioni concordanti provenienti da cerchie assai disparate, comprese fonti americane. Ciò che conta è che tale sistema serve non già all’intercettazione di comunicazioni militari, ma all’ascolto di comunicazioni private e commerciali. […]. Nella sessione del 30 marzo 2000 il Consiglio ha messo in chiaro che non intende accettare la creazione o l’esistenza d’un sistema d’intercettazione che non rispetti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e che violi i principi fondamentali del rispetto della dignità umana”.

Gerhard Schmid, Relazione sull’esistenza di un sistema d’intercettazione globale per le comunicazioni private ed economiche (sistema d’intercettazione ECHELON, 2001/2098 (INI), Parlamento Europeo, 11 luglio 2001

Le distopie della letteratura e del cinema, soprattutto quelle che tentano di immaginare un futuro prossimo per le nostre società, sono sempre state caratterizzate da un’atmosfera di oscura premonizione, che si palesa attraverso concetti ben scelti: spesso si tratta delle capacità di sorveglianza di un apparato tecnologico sofisticatissimo, o di un Grande Fratello che osserva chiunque, oppure della manipolazione di soggetti resi acquiescenti attraverso il controllo. Durante gli ultimi anni, però, la realtà in cui è immerso l’uomo contemporaneo occidentale ha subito mutamenti profondi, divenendo sempre più simile alle narrazioni distopiche di tipo orwelliano. E’ inutile negarlo: viviamo in una società sorvegliata, dove la dimensione privata si fa rarefatta e l’uso intrusivo delle nuove tecnologie, attuato da aziende private e governi, ci sta obbligando a condurre una “vita continuamente pubblica”.

[…].

La scena urbana descritta da Ridley Scott in Blade Runner non è più così immaginifica. Si tratta di un vero e proprio digital divide, un sistema di separazione tra coloro che sono in possesso delle informazioni e tutti gli altri. Non riguarda solo le diseguaglianze tra Nord e Sud del mondo, ma anche le interazione interne alle società capitaliste più sviluppate. Si tratta di un digital divide che concerne i differenti livelli di accesso alle informazioni ed ai servizi. […].

Dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001, ed i più recenti tragici avvenimenti del Luglio 2005, la sorveglianza generalizzata che trasforma le popolazioni in una massa di sospetti, mette a dura prova ogni discorso in difesa della privacy. La pretesa degli stati è, molto spesso, che si rinunci a diritti fondamentali come la riservatezza e le libertà di circolazione ed opinione, in cambio di una società più sicura. La guerra al terrorismo ha portato ad una crescita esponenziale dei sistemi di sorveglianza, legittimando prassi che ledono gravemente le libertà individuali, a volte in maniera assolutamente sproporzionata rispetto al fine ed ai risultati. Termini come Internet e globalizzazione perdono ogni significato, se quello che ci aspetta è una società in cui ognuno si sente autorizzato a sospettare del proprio vicino, alimentando la crescita di una società sorvegliata, in cui noi stessi siamo i controllori ed i controllati. Non ci si deve abbandonare agli allarmismi, ma nemmeno arrendersi ad una realtà che appare immodificabile. Soprattutto, non bisogna permettere che il diritto a mantenere l’anonimato, essenziale affinché ognuno si senta libero di esprimere il proprio pensiero senza timore di ripercussioni e conseguenze dannose, venga leso in nome di controllo globale e generalizzato, costruito sul pretesto di una società al riparo da attacchi esterni. E’ difficile, infatti, pensare a che tipo di democrazia ci troveremmo a difendere, se lasciassimo che i nostri più elementari diritti venissero elusi in cambio della vana speranza di sentirci più al sicuro.

http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/control/surace/conclus.htm

LA QUESTIONE DELLA VIDEOSORVEGLIANZA

La Guerra al Terrore e la Guerra al Crimine ci hanno trascinati, a strattoni, spinte, strappi e pungoli, verso un collage surreale di autoritarismo messianico e burocratismo invasivo in una società del rischio, satura di timori e paranoia, che ha finito per prendersi talmente sul serio da non essere più in grado di distinguere una minaccia fantomatica da una minaccia reale.

In troppi animi alberga il desiderio che il potere sia collocato nelle mani delle Autorità, in una polarizzazione che sospinge figure sinistre al potere e riduce ad una condizione ovina cittadini che in passato aveva dato miglior prova di sé. Un cittadino democratico non vorrebbe essere comandato o guidato ma, più semplicemente, avrebbe l’aspettativa legittima di essere rappresentato da un suo delegato. La storia insegna che più forti sono stati i leader, più roboanti sono stati i disastri: affidarsi anime e corpo all’Autorità equivale a giocare alla roulette russa.

Parallelamente a questi sviluppi è diventato invalso un uso piuttosto generoso ed arbitrario del pronome noi, che dovrebbe includere tutti, ma classicamente si riferisce ad una conventicola di eletti o ad un ipotetico popolo, coeso ed unitario, eccezion fatta per poche pecore nere. Un noi che, a giudicare dalle tendenze, finirà per criminalizzare certe categorie di cittadini e concittadini prima ancora che possano persino essere sfiorati dall’idea di commettere un reato. Sono criminali in potenza. Questo noi plebiscitario e tirannico è un conveniente pretesto che giustifica ogni decisione imposta alla collettività. Sarebbe opportuna una maggiore umiltà nell’impiego dei pronomi plurali, ma non è una virtù che è saggio attendersi da chi presume di poter condannare il prossimo sulla base di una presunta colpa collettiva (“voi musulmani”, “voi ebrei”, “voi zingari”, “voi comunisti”, ecc.), sebbene sia impossibile stabilire che cosa una persona farà in futuro con un ragionevole margine di certezza – persino i chiaroveggenti ammettono che il futuro non è predeterminato – e punire le persone preventivamente distrugge il rispetto per la legge, il che non è nell’interesse di nessuno.

Allora perché le CCTV (telecamere a circuito chiuso) sono endemiche nei quartieri popolari e non in quelli dei ricchi, dove pure si concentrano i furti? Perché bastano le telecamere private o perché i ricchi non vogliono essere sorvegliati? Non abbiamo diritto ad una vita che non sia perennemente sorvegliata anche in pubblico? Ad una telecamera non posso chiedere perché mi stia monitorando, ad un poliziotto sì. Nel caso delle CCTV l’osservatore non è visibile, essendo remoto e spesso dissimulato. Si chiama sorveglianza asimmetrica: una parte reclama per se stessa il diritto di esercitare il controllo sullo spazio pubblico senza essere presente, senza essere in una condizione “da pari a pari”.

È anche uno spreco di denaro pubblico. Nel Regno Unito si stima un costo di circa 3000 sterline all’anno per ogni telecamera. I risultati sono magri e si sottraggono preziosi fondi che potrebbero essere destinati all’effettivo miglioramento delle condizioni di vita (Welsh and Farrington, 2002; Gill and Spriggs, 2005; Groombridge, 2008). Le telecamere rendono alcune persone insicure ed insinuano in altre una sensazione di falsa sicurezza. Più grave è la possibilità, più che plausibile, che instillino nella gente il senso che l’autorità sia onnipresente, addestrandola a credere che sia giusto, opportuno ed inevitabile e che lo spazio pubblico non appartenga a loro ma al potere centrale. La presenza di CCTV mortifica inoltre la dignità che dovrebbe essere accordata ad ogni cittadino onesto (presunzione di innocenza), ricorda ai cittadini in ogni momento che il prossimo potrebbe non essere degno di fiducia ed infine espone la popolazione al rischio che in futuro possa essere impiegato da un regime malevolo (o falsamente benevolo) per accanirsi su certe categorie di cittadini classificati come dissidenti o eterodossi. Basta che ciò avvenga una volta sola. Una sola volta è già di troppo.

Non è difficile immaginare che le valutazioni negative delle forze di polizia sull’efficacia delle CCTV possano anche dipendere dalla prospettiva di diventare superflui, come certi operai sostituiti dalle macchine. Senza dubbio le telecamere costano infinitamente meno degli agenti, come i droni (aerei spia teleguidati) costano infinitamente meno dei piloti. Ma il cittadino, in una democrazia, può conversare con il poliziotto, che è un cittadino come lui, al suo servizio, non una macchina. Con una telecamera il rapporto diventa asimmetrico ed univoco.

In un recente esperimento (Williams/Ahmed, 2009) dei ricercatori hanno fermato per strada 120 passanti scelti a caso, mostrando loro l’immagine di un ambiente urbano che include uno skinhead, una donna ben vestita, o nessuna persona e la presenza o meno di una vistosa telecamera di sorveglianza. I risultati mostrano che l’immagine con skinhead e telecamera accresce la preoccupazione ed ansia dei passanti, che descrivono la situazione dell’ordine pubblico come più seria rispetto a quelli che vedevano le altre foto in cui la CCTV era assente, compresa quella con lo skinhead. La combinazione di telecamera e skinhead si è dimostrata una miscela esplosiva per le ansie represse, perché attiva tutti gli stereotipi latenti riguardanti quel tipo di persona (un balordo sfaccendato). È ragionevole pensare che se l’immagine avesse raffigurato un poliziotto e non una CCTV la reazione sarebbe stata ben diversa, perché la sua inattiva ma visibilmente partecipe presenza avrebbe neutralizzato il potenziale di minaccia rappresentato dallo skinhead (“se il poliziotto non lo ferma significa che non è un pericolo”).

Il problema è che un crescente numero di cittadini è incline a presumere che ci siano valide ragioni per ogni ulteriore dispiegamento di tecnologie e misure per la sicurezza. Così quanto maggiore è l’incremento di leggi, droni, chip sottocutanei, telecamere, ecc., tanto più drammatica sarà la percezione di vivere un’esistenza minacciata dal crimine e dal terrorismo. “Altrimenti, perché spenderebbero i soldi in quel modo? Sanno certamente quello che fanno”. Il modo migliore per spaventare la gente è continuare a rassicurarla, ripetere che tutto andrà bene, che sarà al sicuro e che si sta facendo tutto il possibile per proteggerla. Alla moltiplicazione delle rassicurazioni corrisponderà l’impressione che ci sia una minaccia terribile della quale non si è messi al corrente, per non gettarci nel panico.

Un’isteria che è una miscela di mancanza di prospettiva, mancanza di senso delle proporzioni, mancanza di coraggio, ignoranza (del business della videosorveglianza), stoltezza e ignobile interesse a mantenere alta la tensione nella popolazione.

Sarebbe sbagliato associare l’orientamento autoritario e di dominanza sociale unicamente all’elettorato di destra. È un fenomeno trasversale e si nutre di una fiducia assoluta nell’autorità, nel bisogno compulsivo di leggi ed ordini dall’alto e nella tendenza a categorizzare gli altri in gruppi ben definiti invece di vedere il prossimo per quello che è, un altro essere umano come noi. Un criminale sa come camuffarsi e muoversi per evitare lo sguardo di una videocamera mentre il cittadino che passeggia vede occhi elettronici che lo scrutano e non può sfuggire. Difficile che non lo assalga il sospetto di vivere in una società insicura.

Questi sono gli interrogativi che cittadini e amministrazione pubblica dovrebbero porsi: quanti casi sono stati risolti dalle telecamere e quanti da un normale lavoro di investigazione? Quanto costano le telecamere? Quali sono i risultati di una valutazione costi-benefici dell’installazione di telecamere per l’ordine pubblico? Quali sono i costi sociali di piazzare telecamere ovunque, allarmando la popolazione, che così si sente insicura e circondata da delinquenti? Si è mai visto un paese eliminare le telecamere in caso di diminuzione della criminalità (che è comunque costante)? Chi controlla i sorveglianti? Chi controlla la circolazione delle immagini registrate?

L’Italia non è certo un paese noto per la meticolosità con la quale si rispetta la privacy dei cittadini e per il rispetto delle norme di gestione dei dati personali.

Si sostiene che i criminali hanno tutto da temere, gli innocenti nulla. Ma naturalmente tutto questo dipende dalla solidità del sistema democratico e dalla stabilità della nozione di crimine e criminale. Una volta introdotto un certo sistema di monitoraggio è particolarmente arduo toglierlo. C’è e, dato l’investimento iniziale, continuerà ad esserci, anche se i termini del contratto con la società civile sono cambiati. Applicando la stessa logica, un giorno si arriverà ad accettare l’installazione di tracciatori-localizzatori su tutte le nostre automobili e l’inserimento di biochip sottocutanei per essere monitorati in ogni momento, per la nostra sicurezza, tanto “se non hai niente da nascondere non hai nulla da temere” e  “le libertà civili vanno bene, ma ci sono cose più importanti…”

Durante la Seconda Guerra Mondiale il sistema olandese di schedatura di ogni cittadino, percepito come benevolo ed utile dai cittadini, che mai avrebbero immaginato che la loro amministrazione pubblica l’avrebbe potuto impiegare ai loro danni, diventò un’arma micidiale nell’Olanda occupata dai Nazisti, quando solerti burocrati resero possibili rastrellamenti efficienti di oppositori ed ebrei.

Rimane infine l’analisi dell’efficacia, che è comunque accessoria rispetto alla centralità dei diritti fondamentali dei cittadini (compreso quello alla privacy e ad una vita non-sorvegliata). Finora non ci sono prove incontrovertibili che la videosorveglianza serva da deterrente. Il Ministero degli Interni inglese ha riscontrato che in metà dei casi gli esiti sono stati lievemente positivi (max. 4 per cento) e nell’altra metà dei casi sono stati insignificanti o addirittura negativi. Nel 2007 a Londra operavano 10 mila telecamere anti-crimine. La polizia non è riuscita a rilevare una significativa differenza nella cattura di fuorilegge tra aree più o meno video-sorvegliate. Anzi, in quattro aree su cinque tra quelle con una maggiore concentrazione di videocamere si è registrato un minor numero di casi risolti. Nel 2008 un rapporto della polizia inglese ha rivelato che solo il 3 per cento dei crimini sono stati risolti grazie alla videosorveglianza. Analogamente, secondo i dati della polizia metropolitana di Londra, nel 2008 le videocamere hanno fornito un aiuto decisivo solo in un caso su mille.

Io penso che sarebbe più saggio destinare quei soldi alle forze di polizia (poliziotti di quartiere), o ad una migliore illuminazione stradale, opzioni che hanno registrato risultati tangibili e non rappresentano una minaccia per i diritti civili.

Infine, per gli amanti del bello, vale la pena di citare in conclusione anche la questione dell’imbruttimento progressivo delle città, sempre più simili a prigioni a cielo aperto.

LA MARCHIATURA ELETTRONICA DEI CITTADINI

 Il Sistema Elettronico Epidermico (epidermal electronic system – EES) è un adesivo elettronico che si sistema sulla pelle come un tatuaggio provvisorio senza incollarlo, sfruttando la forza di van der Waals:

http://it.wikipedia.org/wiki/Forza_di_van_der_Waals

È stato presentato sulla rivista “Science” di agosto 2011:

http://subitotechs.com/2011/08/15/tatuaggi-elettronici-tracciare-segni-vitali-pazienti-16156/

Non si sente, non si vede (50 micron; 1 millimetro = 1000 micron) e quasi privo di peso: come se uno non lo indossasse. Flessibile e soffice come la pelle, può servire a monitorare cervello, cuore e tessuti muscolari, ma anche a comunicare ed interfacciarsi con le macchine e registra con il 90% di accuratezza i comandi vocali di chi parla, se posto sulla gola. Si alimenta autonomamente con l’energia solare o ricevendo impulsi elettromagnetici. Può contenere sensori, LED, transistor, radioricevitori, antenne senza fili (wireless), celle solari, conduttori elettrici:

http://www.breitbart.com/article.php?id=CNG.6e1e2ad90e2d94b12b6258b7e9c5b33d.611&show_article=1

Eccolo, collocato su un polso:

http://www.physorg.com/news/2011-08-smart-skin-electronics-temporary-tattoo.html.

Un lettore commenta: “Potrei mettere la mia carta di credito sul polso”.

Qualcuno ha naturalmente già evocato il Marchio della Bestia (Apocalisse 13: 16-17):

E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome”.

In Messico migliaia di persone, terrorizzate dal caos causato dalla guerra tra narcotrafficanti e forze dell’ordine, hanno richiesto di farsi impiantare dei chip di localizzazione:

http://www.washingtonpost.com/world/americas/scared-mexicans-try-under-the-skin-tracking-devices/2011/08/14/gIQAtReNUJ_story.html?wprss=rss_world

Si inizia così, e poi…

COME SI SCIVOLA IN UNA TIRANNIA

In un futuro non troppo lontano alcune nazioni cominceranno a richiedere ai propri cittadini di farsi impiantare dei dispositivi di localizzazione miniaturizzati, come quelli già disponibili per gli animali domestici. Sebbene sia arduo crederlo, la popolazione ottempererà a tale richiesta, in parte entusiasticamente, in parte di malavoglia. Ma alla fine tutti si atterranno alle nuove disposizioni, anche perché chi non lo farà non potrà esistere in società.

Ecco le ragioni che saranno addotte dalle autorità. Ce ne sarà per tutti:

– lo Stato è prossimo alla bancarotta, anche gli altri stati non sono messi meglio. Serve un nuovo sistema monetario in cui tutte le transazioni siano controllate da un’istituzione finanziaria centrale. I contanti saranno aboliti. N.B. Già se ne discute:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/16/labolizione-dei-contanti/#axzz1nNrT1Utx

– ci saranno sforbiciate alle tassazioni di chi adempie. Chi disobbedisce pagherà più tasse;

– i servizi sanitari saranno garantiti solo a chi adempie: in questo modo si ridurranno i casi di malasanità;

– il crimine ed il terrorismo svaniranno, dato che le forze dell’ordine potranno rintracciare tutti in ogni momento;

– i soccorritori sapranno immediatamente dove intervenire, i bambini saranno ritrovati in men che non si dica;

– non si faranno più file negli aeroporti;

– i passaporti saranno aboliti;

– casse self-service in ogni negozio, nessuna fila perché ognuno pagherà con il suo impianto identificativo che fungerà anche da carta di credito (es. film “in time”);

– nessun rischio di frode: nessuno potrà clonare una carta di credito o sottrarre un documento di identificazione;

– i diritti civili saranno garantiti;

– saremo tutti una grande famiglia;

– i generi di prima necessità costeranno di meno, risparmi per tutti, debito pubblico sotto controllo;

– evasione fiscale eliminata, non ci saranno più furbi: ogni transazione sarà registrata;

– dite addio ai commercialisti: saranno inutili;

– l’impianto è semplice, rapido ed indolore. Non vi accorgerete neppure che c’è;

– la Chiesa non è contraria;

– non ci saranno più disservizi, tutto funzionerà meglio;

– chi è onesto non ha nulla da temere;

– se il sistema non funziona lo abbandoneremo e tutto tornerà come prima;

– è un vostro dovere di cittadini fare quanto è necessario per aiutare gli altri e la nazione: siamo tutti nella stessa barca.

Gandhi o Arundhati Roy? La scelta che determinerà il futuro dell’umanità

 

a cura di Stefano Fait

 

 

Le grosse imprese commerciali e industriali hanno la loro personale scaltra strategia per trattare il dissenso. Con una minuscola parte dei loro profitti gestiscono ospedali, istituti educativi e fondazioni, che a loro volta finanziano ONG, università, giornalisti, artisti, cineasti, festival letterari e perfino movimenti di protesta. Usano la beneficenza per attirare nella loro sfera di influenza coloro che plasmano ed orientano l’opinione pubblica. È un modo di infiltrare la normalità, di colonizzare l’ordinarietà, così che sfidarle sembri tanto  assurdo  (o esoterico) quanto lo è sfidare la “realtà” stessa. Da qui a “non esiste alcuna alternativa”, il passo è breve ed agevole.

Arundhati Roy

http://www.ft.com/intl/cms/s/0/925376ca-3d1d-11e1-8129-00144feabdc0.html

Mussolini è un enigma per me. Molte delle riforme che ha fatto mi attirano. Sembra aver fatto molto per i contadini. Inverità, il guanto di ferro c’è. Ma poiché la forza (la violenza) è la base della società occidentale, le riforme di Mussolini sono degne di uno studio imparziale. La sua attenzione per i poveri, la sua opposizione alla superurbanizzazione, il suo sforzo per attuare una coordinazione tra il capitale e il lavoro, mi sembrano richiedere un’attenzione speciale. […] Il mio dubbio fondamentale riguarda il fatto che queste riforme sono attuate mediante la costrizione. Ma accade anche nelle istituzioni democratiche. Ciò che mi colpisce è che, dietro l’implacabilità di Mussolini, c’è il disegno di servire il proprio popolo. Anche dietro i suoi discorsi enfatici c’è un nocciolo di sincerità e di amore appassionato per il suo popolo. Mi sembra anche che la massa degli italiani ami il governo di ferro di Mussolini.

M.K. Gandhi, Lettera a Romaine Rolland, dicembre 1931

Democrazia indiana? Non ci può essere alcuna democrazia in una società divisa in caste, pervasa di religioni fatalistiche  e misantropiche. L’India non è la più grande democrazia del mondo, non è moderna e non è laica. È dominata da un’élite oligopolista neofeudale che intrattiene rapporti neocoloniali con l’impero anglo-americano (potenza militare di Washington, potenza finanziaria della City di Londra) e sbatte in faccia a centinaia di milioni di poveri la sua opulenza in una nazione che si permette di esportare cibo mentre milioni di suoi cittadini vivono nella miseria più nera. Il sistema giudiziario protegge i ricchi (che possono uccidere restando impuniti) ed opprime i poveri (specialmente le donne). L’esercito è impiegato per tutelare gli interessi di pochi latifondisti a detrimento delle popolazioni degli stati di Tamil Nadu, Jharkand, Madya Pradesh, Orissa, Bengala, Bihar, che sono perennemente in rivolta, nell’indifferenza del mondo.

La struttura reazionaria dell’India fu molto utile al dominio britannico, che perciò non fece nulla per smantellarla, anzi la coltivò assiduamente. Oggi conviene agli oligopoli capitalisti, un terribile mix di oscurantismo orientale e avidità rapace occidentale: il peggio immaginabile. Tra la civiltà di un’umanità solidale e la barbarie della legge della giungla imposta da un’èlite che ha come unico obiettivo quello di restare tale, l’India è stata costretta a scegliere quest’ultima. L’ascesa del marchionnismo in Italia è un monito: non possiamo permetterci di sentirci al sicuro da questo genere di derive.

Qui si inserisce il discorso sull’ipocrisia della nonviolenza gandhiana. Gandhi ha predicato la nonviolenza a masse di oppressi in una della società più brutalizzanti che si possa immaginare. Che senso aveva convincere le masse a stare calme e non reagire, come una placida mandria, senza mai condannare la classe/casta dominante che con le sue consuetudini, leggi e politiche economiche diffondeva ed acuiva le disparità sociali, traendone lauti profitti? Non era e non è ancora oggi la peggiore delle violenze, questa? La violenza di interessi di parte mascherati da fatalismo, da “così va il mondo, è sempre stato così e così sempre sarà”? La violenza di una concezione nietzscheana del mondo?

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/24/morbido-e-bello-perche-amo-il-femminino-e-detesto-nietzsche-pur-ammirandolo/#axzz1nNrT1Utx

Con questa sua scelta di campo, Gandhi indossò i panni dell’apostolo di pace a beneficio del capitalismo più selvaggio e dell’imperialismo occidentale, persino di quello nazista, quando implorò Ebrei ed Inglesi di arrendersi mansuetamente all’aggressione nazista:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/chi-era-veramente-gandhi.html

Ben diverso il comportamento di Arundhati Roy, che alle comode astrazioni di una realtà depurata dalle sue contraddizioni e ingiustizie preferisce la lotta contro una lurida quotidianità fatta di patimenti, iniquità, violenza incessante e multiforme, sfiducia e morte della speranza.

Gandhi annunciava al mondo di essere l’erede della migliore tradizione indiana, ma il Dharma dello Kshatriya gli ingiunge di proteggere i deboli e di aiutarli a proteggersi, non di esporli alla violenza contando sul fatto che, essendo numerosissimi, alla fine prevarranno quando l’oppressore sarà esausto. Questa è la logica utilitaristica dello scacchista, non di un autoproclamato campione dei diritti degli oppressi.

La Gita chiama ad essere correttori delle ingiustizie, non ad immolarsi senza resistere, senza neppure difendersi, come prescritto dalla Satyagraha, che raccomanda di essere pronti a morire e patire ogni sofferenza, purché non sia mai ricambiata. Il Satyagrahi rinuncia al diritto all’autodifesa e si vota al sacrificio supremo, alla sua dipartita. Lo spiega Gandhi: “l’unico dovere di un Satyagrahi è quello di sacrificare la sua vita a qualunque compito gli sia toccato. Questo è il fine più nobile che possa realizzare. Una causa spalleggiata da Satyagrahi così nobili non può mai essere sconfitta”. In questa maniera, assicurava Gandhi, il cambiamento sarebbe avvenuto spontaneamente, i forti si sarebbero sentiti in obbligo di effettuare le necessarie riforme.

Abbiamo visto che la storia ha dato torto a Gandhi. L’India indipendente non è un’India sensibilmente migliore di quella coloniale e i “nobili Satyagrahi” sono morti portando con sé nella tomba (nella cenere dei crematori) la loro causa.

Il Kshatriya, come il Satyagrahi, non temeva la morte, ma assegnava un valore alla vita, inclusa quella degli altri che si affidavano a lui cercando protezione. Per lui le due condizioni non erano esattamente intercambiabili come per Gandhi, che non sembrava dare valore alle vite dei suoi seguaci se non in funzione del trionfo della sua dottrina. Anche il semplice buon senso ci insegna che se una persona si trova a dover sostenere l’impegno di proteggere degli indifesi, l’ultima cosa che dovrebbe fare è cercare una morte “eroica” (patetica) ed “esemplare” (pessimo esempio) per mano di chi poi passerà ad eliminare le persone ora completamente indifese. Gandhi non comprese mai il senso di questa responsabilità, che gli spettava in quanto figura pubblica che sfidava, a suo modo, il potere ed in quanto esponente del Partito del Congresso (Indian National Congress) e del Congresso indiano per il Sudafrica (South African Indian Congress – SAIC); non la ritenne mai quell’ovvietà che appare come tale a qualunque persona di buon senso ed il cui raziocinio non sia obnubilato dal fanatismo ideologico.

Perché un avversario determinato ad averla vinta dovrebbe mostrare del buon cuore nel vedere che i suoi bersagli sono risoluti a non combattere e a non difendersi? È come rubare un leccalecca ad un bambino. L’aggressore consegue i suoi fini con inattesa ed eccitante disinvoltura. Lo Kshatriya, al contrario, è perfettamente consapevole del fatto che un cuore indomito ed una volontà di ferro non ottengono alcun risultato se non si è propensi ad usare la forza per proteggere se stesi e gli altri dall’aggressione e far valere i propri diritti e quegli degli altri. Tutti i più nobili rivoluzionari della storia, da Spartaco, a Zapata, a Sun Yat-sen l’hanno dato per scontato, molto assennatamente. È necessario combattere per proteggere la gente dalla sofferenza o per non esporla ad ulteriore sofferenza, se necessario fino alla neutralizzazione dell’aggressore/bullo, come si fece con i nazisti e come si è sempre fatto con chi è recidivo e dimostra di capire solo il linguaggio della forza (es. psicopatici/bulli):

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/16/golpe-psicopatico/#axzz1nNrT1Utx

Una difesa efficace, per lo Kshatriya, si basa sulla negoziazione (in cui si cercano di strappare i termini migliori), sull’approntamento di difese efficaci, sull’alleanza con i nemici dei propri nemici.

L’ahimsa era il monopolio del bramino, che non era tenuto a difendere la comunità, non essendo parte del suo dharma: il contributo del bramino apparteneva alla sfera intellettuale ed educativa (a volte esoterica e mistico-sciamanica) e gli era ben chiaro che qualcuno doveva sporcarsi le mani al posto suo, lo Kshatriya appunto, che doveva consigliare al meglio, se voleva avere ancora una comunità a cui impartire i suoi insegnamenti. Per di più l’ahimsa era ristretta ad una parte dei bramini, i Sannyasi, gli individui che aspiravano alla liberazione, non era certo pensata per le masse che non avevano alcun desiderio/predisposizione in tal senso. L’ahimsa era un mezzo per un ben determinato fine, non uno strumento di universale pacificazione.

Non si capisce come un devoto della Bhagavad Gita quale si considerava Gandhi potesse fraintendere il messaggio centrale del testo, contenuto nel discorso di Krishna ad Arjuna, che è tutto fuorché non-violento, essendo un’esortazione a combattere per ristabilire un equilibrio tra le forze – il Dharma, appunto – che era stato compromesso dall’altra fazione, che comprendeva alcuni suoi cugini (di qui i crucci di Arjuna).

L’interpretazione gandhiana di questo documento è intellettualmente disonesta ed equivale a dire che Gesù in realtà stava dalla parte delle autorità, contro le masse: un totale sovvertimento del messaggio originario. Per far valere il suo punto di vista Gandhi fu costretto a concludere che le descrizioni delle azioni e delle situazioni della Gita dovevano essere puramente allegoriche. Il che può anche essere vero, ma è insensato (o disonesto, appunto) dedurne che le forze che si scontrano a livello spirituale non debbano estroflettersi anche a livello materiale e che quindi l’insegnamento di Krishna non sia applicabile alla realtà fisica. Tanto più che proprio il dio spiega che le azioni umane non sono determinate unicamente dal loro libero arbitrio, che la realtà è un campo di battaglia tra forze cosmiche soverchianti (cf. Lost: Jacob e l’Uomo in Nero) e che ciascuno è chiamato a recitare una parte sul palcoscenico della storia:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/08/lost-eroi-nella-tempesta/

L’equivoco gandhiano non può che essere il frutto di una fanatica avversione alla violenza che, peraltro, non sembra averlo guidato nel suo ruolo di marito e di genitore (inflessibile, ma solo quando gli conveniva!):

http://fanuessays.blogspot.com/2011/10/il-vero-gandhi-nulla-di-cui-essere.html

Gandhi era convinto che solo una persona depurata da ogni difetto poteva farsi giudice del prossimo e delle sue malefatte. Era dunque un manicheo, un intellettuale che vede il mondo in bianco e nero: i puri (virtualmente inesistenti) e gli impuri (onnipresenti). La realtà è invece policroma. Gli Alleati, durante la Seconda Guerra Mondiale non erano certo puri, anzi, ma il nemico, il nazismo, era quanto di più impuro si fosse visto fino ad allora sulla faccia della terra e fu dunque correttamente contrastato con ogni mezzo disponibile. Falcone e Borsellino non erano forse sufficientemente puri per giudicare i mafiosi? Pertini non era sufficientemente puro per ricoprire il ruolo di Presidente della Repubblica?

Gandhi era un moralista troppo rigido, convinto che fosse possibile stabilire cosa fosse bene e male in senso assoluto, quando invece a noi umani è concesso solo di vedere le ombre del bene e del male, del giusto e dello sbagliato: vediamo i raggi del sole senza poter vedere il Sole, come suggeriva Agostino di Ippona.

Furono la sua vanità e la sua ambizione a renderlo inflessibile e spietato nei suoi rapporti con il prossimo e fin troppo indulgente in quelli con il suo ego, spingendolo a costringere una popolazione di centinaia di milioni di individui a redimersi ai suoi occhi, come quando affermò di pretendere che i musulmani indiani confessassero le loro colpe e si pentissero delle loro malefatte davanti a lui, come avevano fatto gli Hindu di Calcutta. Quanta superbia, quanta vanagloria in questa pretesa! Proprio lui che non riteneva che nessuno potesse essere giudice del prossimo e quindi fosse autorizzato ad usare la forza contro un antagonista: caduto, come Adamo, nella trappola del narcisismo, dell’hybris, dell’autobeatificazione:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/il-narcisista-umanitario-parte-prima_14.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/limperialismo-umanitario-e-la.html

FONTE: http://www.scribd.com/doc/29991057/Violator-of-the-Kshatriya-Dharma

L’ALTERNATIVA A GANDHI È ARUNDHATI ROY

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/31/arundhati-roy-e-i-gattoni-tracotanti/#axzz1nNrT1Utx

 

La trascrizione tradotta del suo discorso a Zuccotti park, rivolto agli occupanti/indignati, il 16 novembre 2011:

Il capitalismo non può garantire benessere e giustizia sociale per tutte le persone.

Ieri la polizia ha sgombrato Zuccotti park, ma oggi le persone sono tornate. La polizia dovrebbe sapere che la protesta di Occupy Wall street non è una lotta per il territorio. Non stiamo combattendo per occupare un parco, ma per la giustizia. Giustizia non solo per il popolo degli Stati Uniti, ma per tutti. Con la protesta cominciata il 17 settembre, siete riusciti a introdurre un nuovo immaginario, un nuovo linguaggio politico nel cuore dell’impero.

Avete riportato il diritto di sognare in un sistema che cercava di trasformare tutti i suoi cittadini in zombie stregati dall’equazione tra consumismo insensato, felicità e realizzazione di sé. Per una scrittrice, lasciate che ve lo dica, questa è una conquista immensa. Non potrò mai ringraziarvi abbastanza.

Oggi l’esercito degli Stati Uniti conduce una guerra di occupazione in Iraq e in Afghanistan. I droni statunitensi uccidono civili in Pakistan e altrove. Decine di migliaia di soldati americani e di squadre della morte stanno entrando in Africa. Se spendere migliaia di miliardi dei vostri dollari per occupare l’Iraq e l’Afghanistan non dovesse bastare, oggi si parla anche di una guerra contro l’Iran. Dai tempi della grande depressione, la produzione di armi e l’esportazione di conflitti sono state gli strumenti fondamentali con cui gli Stati Uniti hanno stimolato la loro economia. L’amministrazione del presidente Barack Obama ha concluso un accordo con l’Arabia Saudita che prevede la fornitura di armamenti per 60 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti sperano di vendere migliaia di bombe antibunker agli Emirati Arabi Uniti. E hanno venduto aerei militari per cinque miliardi di dollari al mio paese, l’India, che ha più poveri di tutti i paesi dell’Africa messi insieme. Tutte queste guerre – dal bombardamento di Hiroshima e Nagasaki al Vietnam, dalla Corea all’America Latina – sono costate milioni di vite umane. E sono state tutte combattute per garantire l’american way of life.

Quattro proposte

Oggi sappiamo che l’american way of life – il modello a cui dovrebbe aspirare tutto il resto del mondo – ha fatto sì che negli Stati Uniti 400 persone possiedano la ricchezza di metà della popolazione. Ha significato migliaia di persone sbattute fuori dalle loro case e dal lavoro mentre il governo di Washington salvava le banche e le multinazionali: il gruppo assicurativo Aig ha ricevuto, da solo, 182 miliardi di dollari.

Il governo indiano adora la politica economica statunitense. Grazie a vent’anni di economia di libero mercato, oggi i cento indiani più ricchi possiedono beni che valgono un quarto del pil del pae­se, mentre più dell’80 per cento dei cittadini vive con meno di 50 centesimi al giorno.

Duecentocinquantamila agricoltori trascinati in una spirale di morte hanno finito per suicidarsi.

L’India lo chiama progresso, e oggi si considera una superpotenza. Come voi, anche noi indiani abbiamo una popolazione ben istruita, bombe nucleari e un livello di diseguaglianza vergognoso.

La buona notizia è che la gente ne ha abbastanza e non vuole più accettare tutto questo. Il movimento Occupy Wall street si è unito a migliaia di altri movimenti di resistenza in tutto il mondo grazie ai quali i più poveri tra i poveri si alzano in piedi per fermare l’avanzata delle multinazionali.

In pochi sognavamo di poter vedere voi – i cittadini degli Stati Uniti che stanno dalla nostra parte – combattere questo sistema nel cuore stesso dell’impero. Non trovo le parole per spiegare quanto tutto questo significhi.

Loro (l’1 per cento) dicono che non abbiamo richieste precise da fare. Non sanno, forse, che la nostra rabbia da sola sarebbe sufficiente a distruggerli. Ma ecco alcune proposte – alcuni miei pensieri “prerivoluzionari” – su cui possiamo riflettere insieme.

Noi vogliamo mettere un freno a questo sistema che fabbrica ineguaglianza. Vogliamo mettere un limite alla smisurata accumulazione di ricchezza da parte di alcuni individui e alcune società. Ecco le nostre richieste.

Primo. Mettere fine alle proprietà incrociate nel mondo degli affari. I produttori di armamenti, per esempio, non possono controllare reti televisive, le società minerarie non possono gestire i giornali, le aziende non possono finanziare le università, i gruppi farmaceutici non possono controllare i fondi per la sanità pubblica.

Secondo. Le risorse naturali e i servizi essenziali – acqua, elettricità, sanità e istruzione – non possono essere privatizzati.

Terzo. Tutti hanno diritto a una casa, all’istruzione e all’assistenza sanitaria.

Quarto. I figli dei ricchi non possono ereditare la ricchezza dei genitori.

Questa lotta ha risvegliato la nostra immaginazione. Da qualche parte, nel suo cammino, il capitalismo ha ridotto l’idea di giustizia al solo significato di “diritti umani”, e l’idea di sognare l’uguaglianza è diventata blasfema. Non stiamo combattendo per giocherellare con la riforma del sistema. Questo sistema deve essere sostituito. Da militante, rendo omaggio alla vostra lotta.

Salaam e zindabad.

Traduzione di Giuseppina Cavallo.

Internazionale, numero 929, 23 dicembre 2011

Arundhati Roy è una scrittrice indiana. Il suo libro più famoso è Il dio delle piccole cose (Guanda 1997).

http://www.internazionale.it/news/arundhati-roy/2011/12/27/lo-chiamano-progresso/

L’alternativa alla nonviolenza ipocrita e disfattista di Gandhi è la libertà, quella vera:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/la-liberta-quella-vera/#axzz1nNrT1Utx


è l’autodifesa (in stile aikido), l’uso della forza e della violenza difensiva temperata da onestà intellettuale, equità, rispetto per i diritti e la dignità altrui e per i principi democratici, rifiuto di vedere nel prossimo una propria appendice o unicamente uno strumento per il proprio tornaconto, rifiuto di trasformarsi da vittime in aggressori:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/02/la-collera-dei-miti-sullimmoralita-di-pacifismo-e-nonviolenza/#axzz1nNrT1Utx

L’indignato dei nostri giorni può essere un vero Kshatriya:
http://www.informarexresistere.fr/2011/12/21/vendetta-e-rivoluzione-globale-leroe-indignato-in-omero-e-in-shakespeare/#axzz1nNrT1Utx

 

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