Sanders è ebreo quanto Soros e i Rothschild…e allora?

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Il problema è unicamente dato dal fatto che dei criteri probabilistici vengono trasformati in luoghi comuni, ossia in software che programmano l’esistenza degli altri e finiscono per condizionare le esistenze di tutti (il Milanese, il Siciliano, l’Africano, il Giapponese, il Trentino, ecc.).

Se io mi aspetto che un “Ebreo” si comporti in un certo modo, leggerò ogni sua parola o azione secondo quel filtro, generando equivoci, sospetti, reazioni negative o ipocrite che convertiranno un dialogo in una rappresentazione teatrale, un sistema aperto in un sistema chiuso, un confronto in uno scontro.

E’ assurdo paragonare anche solo lontanamente un Sanders con un Soros o un Rothschild. Sarebbe come dire che la nazionale di rugby neozelandese e Daesh sono IN FONDO la stessa cosa perché le loro bandiere sono nere.

Il problema sono precisamente le identificazioni: le culture non sono programmi, non sono sistemi chiusi, non sono un destino inevitabile. Un essere umano è prima di tutto una persona ipercomplessa, con un suo percorso individuale. Solo in seguito vengono le varie appartenenze (prima quelle che sceglie e solo alla fine quelle che gli vengono imposte).

Nessuno, in nessun istante, può stabilire con certezza che tipo di persona sarò tra 1, 5, 20 anni, a prescindere da tutte le mie identità incrociate: ogni essere umano è indeterminato/inattuato/incompleto/evolvente in una misura che non ha paralleli neppure remoti tra gli altri esseri viventi di questo pianeta.

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http://ufobruneck.it/it/events/parliamo-di-heimat-ist-das/

Fanatismo religioso (per intensità) – cenni di antropologia critica del consumismo e del marketing

La cultura influenza ciò che le persone vedono, ricordano ed il modo in cui elaborano le informazioni. Essa influisce sulla costruzione soggettiva della realtà, degli insiemi di valori, atteggiamenti e reazioni standardizzati e convenzionali, norme e principi, suggerendo un certo indirizzo d’azione o una certa linea di interpretazione. Quando i valori sono socio-culturalmente strutturati, allora queste linee guida e priorità forniscono motivazioni per l’agire dei gruppi sociali e, cumulativamente, in certe circostanze storiche, di interi popoli.

Anche l’acquisto ed il consumo di un prodotto sono frutto di una scelta fatta sulla base di considerazioni di ordine sociale, culturale ed economico che s’intersecano con le più vaste dinamiche dei mutamenti culturali, dei rapporti di potere, e dei processi di costruzione di un’identità personale e collettiva. Comprare un determinato prodotto equivale a fare una dichiarazione pubblica sulla propria identità, sul proprio status e sui propri gusti. Un consumatore può teoricamente identificarsi con numerose categorie sociali e quindi con vari stili e modalità di consumo, ma non tutte queste variabili sono in grado di attivare i suoi criteri selettivi, perché la loro influenza sulla sua identità sociale e sulla sua rappresentazione del tipo di persona che aspira a diventare può variare sensibilmente.
In altre parole, i suoi bisogni cambiano al variare delle sue identificazioni (religiose, di genere, etniche, di ruolo sociale, ecc.), cioè al variare del messaggio che il consumatore intende trasmettere a chi gli sta intorno e che spesso definisce la sua affiliazione ad un gruppo (es. donna araba di ceto medio-alto che sceglie di esibire la sua etnicità).
Si tratta di capire quali valori e preferenze prevalgono in un certo contesto socio-culturale ad un dato momento.

E’ nell’interesse dei pubblicitari che operano in mercati “esotici” sottolineare ed accentuare differenze, peculiarità, specificità, idiosincrasie ed incongruenze di culture e società che vengono descritte come non pienamente confrontabili e traducibili. Solo così possono valorizzare la loro professionalità (lo stesso discorso vale anche per numerosi antropologi, ovviamente). Ma è anche così che nascono interpretazioni fantasiose sulla concezione di natura umana che prevale nella tal cultura, sulle prerogative del tal gruppo sociale e sulle inclinazioni della tal categoria di consumatori.

L’indirizzo meramente quantitativo delle ricerche di mercato può comportare conseguenze sommamente spiacevoli:

  • l’esclusione di tutto ciò che non si concilia con parametri prefissati e obiettivi specifici del cliente;
  • la mortificazione dei consumatori, trasformati in dati statistici più o meno corrispondenti alla realtà;
  • l’accumulo di studi che presentano conclusioni discrepanti e dati disomogenei. Ci si dovrebbe chiedere: indicano differenze interculturali reali o sono il risultato di misurazioni imprecise?
  • l’impossibilità di stabilire se le differenze nel comportamento dei consumatori siano significative;
  • l’impossibilità di verificare se le risposte ai questionari completati dai consumatori siano veritiere e se i consumatori agiscano coerentemente rispetto ai propri propositi (discrasia tra intenzioni dichiarate e comportamento reale);
  • l’impossibilità di verificare che i parametri non siano datati o che siano efficaci nella “lettura” della realtà, che le generalizzazioni siano giustificate, che i dati culturali siano trasferibili in altri contesti, che le correlazioni siano dirette e non coinvolgano altri fattori che si è scelto di non considerare;

Per “etnogenesi” s’intende la creazione di un’etnicità (di un gruppo etnico) attraverso la reificazione (fabbricazione) di determinati attributi. Un caso emblematico di etnogenesi è quello dei Latini e degli Ispanici negli Stati Uniti, generati a tavolino per classificare chiunque provenga da sud e parli una lingua iberica, a prescindere dall’ampiezza delle differenze tra un portoricano ed un cileno, o tra un Maya ed un cittadino della capitale del Messico.
Questa irragionevole semplificazione, che serve agli analisti del servizio censimenti ed all’amministrazione pubblica per meglio gestire la complessità di una società multietnica e multiculturale, si interseca con la logica propria dell’analista di mercato il quale, prendendo per buono il criterio classificatorio ufficiale, tende a cercare di dimostrare che esistono differenze ragguardevoli tra i gruppi sociali ed etnici, tali da giustificare il ricorso a specialisti. Questa operazione amplifica le differenze tra gruppi (es. Italo-Americani ed Ispanici) e riduce quella all’interno di un gruppo (es. Cubani e Boliviani).
Questa vera e propria invenzione di marcatori di differenze spesso inconsistenti finisce per inglobare l’intera cultura, essenzializzandola: se alcune di queste peculiarità si rivelano incerte, allora se ne creano di nuove.
Così le dinamiche interne alla segmentazione del mercato su base etnica producono differenze che possono essere irrilevanti, ininfluenti, o persino inesistenti, ma che sono rese salienti ed influenti a fini commerciali. Al contrario, quelle differenze reali che non sembrano utili alla commercializzazione del prodotto o che complicano il quadro generale vengono dissimulate e rimosse.

Ogni discorso alternativo e “deviante” che nasca all’interno di una comunità viene soffocato da certi dogmi del marketing, che preferisce linee divisorie nette e precise e nessun mutamento sostanziale. Altrimenti come si spiega il fatto che l’unico metodico esame comparativo delle strategie pubblicitarie svedesi e statunitensi abbia mostrato che il contenuto valoriale degli spot commerciali è rimasto pressoché invariato nel corso di 20 anni?

Durnwalder tiferà per la Spagna in finale? (e chissenefrega?)

“In Alto Adige, terra bilingue italo-tedesca, non tutti tifano per gli azzurri in vista dell’incontro con la Germania. Il governatore Luis Durnwalder, ad esempio, dice di provare simpatia per molti giocatori italiani, incontrati durante i ritiri estivi in montagna: «Ma personalmente tengo per la Germania», dice sulla partita di stasera. Il quotidiano Dolomiten ha interpellato alcuni personaggi di lingua tedesca: non mostra tentennamenti Ulli Mair, segretaria del partito dell’ultradestra Freiheitlichen: «Non importa chi vince – afferma – basta che sia la Germania». Apparentemente più decoubertiniano è Elmar Pichler Rolle, personaggio di spicco della Svp: «Vinca il migliore», dice. Ma poi aggiunge: «In questo caso il migliore è certamente la Germania»”.

http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2012/06/28/news/durnwalder-io-tifo-per-la-germania-1.5330681

“L’elemento decisivo non è quindi l’unità amministrativa, ma ritorna con prepotenza in primo piano il richiamo a una supposta e auspicata unità etnolinguistica della propria “parte”.  Si potrebbe inoltre chiosare che in passato fu Magnago ad opporsi decisamente all’idea di definire i sudtirolesi una “minoranza austriaca”. Lui infatti parlava sempre di “minoranza tedesca” o di “lingua tedesca”. Mentre solo con Durwalder il discorso della “minoranza austriaca” pareva diventato il centro di una nuova identificazione culturale e politica.

Certo, sarebbe possibile obiettare che alcuni sudtirolesi tifano Germania, e non Austria, solo perché l’Austria è calcisticamente insignificante e spesso assente dalle grandi competizioni internazionali. Eppure il sospetto che quanto abbiamo appena sottolineato indichi una tendenza non dettata da mero opportunismo rimane. Dobbiamo preoccuparci? No, ammesso che tutta questa faccenda dell’appartenenza legata al calcio sia solo una metafora. Ma le metafore sono “solo metafore”? Comunque la vediate: buona partita a tutti”.

Gabriele Di Luca, Corriere dell’Alto Adige, 28 giugno 2012

http://sentierinterrotti.wordpress.com/2012/06/28/partita-di-calcio-o-metafora/

“Lo storico dell’Università di Pisa Alberto Mario Banti, uno dei massimi esperti italiani del  Risorgimento, è rimasto coinvolto in un’accesa diatriba sulla bontà ed opportunità di questo risveglio neo-risorgimentalista.  Ha vergato una critica  senza appello al nazional-patriottismo di Benigni, che andrebbe letta alla luce delle sue analoghe obiezioni alla narrativa patriottica di Carlo Azeglio Ciampi, contenute nel bel “Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo” (Laterza, 2011).

Da Luis Durnwalder si è preteso un autodafé patriottico, come quando gli inquisitori spagnoli esigevano una dimostrazione di fede dai marrani ebrei e musulmani. Chiederemo agli immigrati di prostrarsi di fronte ad un crocifisso o di recitare a memoria la costituzione?

In prima battuta devo ammettere di aver avuto uno scatto patriottico: l’ho trovato irritante. L’Alto Adige ha avuto notevoli riconoscimenti e benefici economici ed un rappresentante delle istituzioni dovrebbe avere un altro comportamento. A mente fredda, però, non c’è dubbio che se si preme il tasto delle radici si fa il gioco di Benigni, dell’italianità eterna: i Sudtirolesi non hanno potuto esercitare una scelta nel 1919 ed hanno dovuto subire tutto il peso dell’oppressione fascista. Per questo il terreno comune dovrebbero essere la carta costituzionale e lo stato di diritto, non la storia: a tutela di tutte le minoranze. A scuola, come s’impara la matematica e Manzoni, si dovrebbe anche imparare la costituzione e magari si potrebbe anche estendere il giuramento di lealtà alla costituzione a tutti i cittadini, non solo a certe categorie”.

http://ricerca.gelocal.it/trentinocorrierealpi/archivio/trentinocorrierealpi/2011/02/25/AT6PO_AT601.html

La disputa sulle lealtà calcistiche di Durnwalder dimostra che il totemismo è vivo e vegeto nelle società contemporanee. L’aquila americana continua a contrapporsi all’orso russo, l’orso trentino è vilipeso e Durnwalder è già stato trasformato in un totem clanico vivente. Dellai farà verosimilmente la stessa fine in Trentino.

Ci consideriamo moderni, ma non lo siamo. Tra i “primitivi” aborigeni australiani la sopravvivenza della comunità è affidata ad una corretta riproduzione dell’ordine modellato dagli antenati totemici e i loro simboli devono essere fedelmente riproposti, nelle immagini e nelle ritualità. Analogamente, tra noi “moderni” riscontriamo le logiche tribali, il feticismo, il ritualismo elaborato, l’idolatria, il totemismo, la venerazione della natura e degli antenati, lo spirito del clan, i pellegrinaggi, i percorsi iniziatici, la sacra toponomastica e i sacri simboli, la fede nell’Età dell’Oro e nella Terra Promessa, ecc.

È inevitabile: totem e simboli sacrali servono anche a rassicurare una società sulla bontà e validità della sua visione del mondo. Per il celebre etnografo Clifford Geertz l’esistenza stessa dell’uomo sarebbe salvaguardata dai simboli, nei confronti dei quali si è sviluppata una tale forma di dipendenza che il privarsene equivarrebbe alla morte psichica, al caos assoluto. Il che spiega come mai sono in grado di determinare la nostra esistenza.

Durnwalder poteva dire di non essere interessato al calcio e il Dolomiten poteva fare a meno di fare il suo “sondaggio” sugli orientamenti del tifo dei politici sudtirolesi. In una società matura ci sono delle alternative, in Alto Adige non ci sono: è d’obbligo prostrarsi al cospetto del proprio totem. Durnwalder non ha mai avuto una vera scelta: qualunque risposta avesse dato avrebbe creato malumore. Anche astenendosi dal rispondere avrebbe generato sospetti. Durnwalder, come ciascun residente dell’Alto Adige, è ostaggio più o meno consenziente dei totem clanici e dei miti etnici, una condizione particolarmente problematica in un Alto Adige che si trova a cavallo tra un’eurozona forte ma calcisticamente debole ed un’eurozona debole ma calcisticamente forte.

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https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/22/contro-i-miti-etnici-alla-ricerca-di-un-alto-adige-diverso-un-libro-preveggente/

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