a cura di Stefano Fait

Un attacco all’Iran sarebbe una minaccia per la nostra sicurezza.
Dmitry Rogozin (vicepremier russo)
Stop a qualsiasi tipo di arricchimento dell’uranio. Tutto l’uranio già arricchito deve lasciare l’Iran. Tutte le installazioni sotterranee devono essere smantellate.
Benyamin Netanyahu
L’Italia, d’intesa con la Ue, ha deciso un rafforzamento del regime delle sanzioni nei settori petrolifero e finanziario, che rappresenta un segnale forte di vicinanza alla legittima preoccupazione di Israele.
Mario Monti
Come mai molte persone che si considerano più informate ed istruite della media vanno in Israele con posizioni di grande comprensione nei confronti degli Israeliani per poi tornare su posizioni che in diversi casi potrebbero essere definite antisemite?
Credo che sia perché ben pochi hanno davvero capito cosa succede laggiù:
http://www.informarexresistere.fr/2012/01/07/la-macchina-infernale-che-distrugge-le-coscienze-israeliane/#axzz1rdE0FSFw
http://www.informarexresistere.fr/2012/01/27/auschwitz-in-israele-un-suicidio-collettivo/#axzz1rdE0FSFw
Per non parlare della classe dirigente israeliana, che non ha avuto remore nel negare di possedere l’arma atomica, mentre la forniva, tra tutte le possibili nazioni, al Sudafrica dell’apartheid:
http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/israele-latomica-e-lapartheid.html
quello che sviluppava armi batteriologiche da usare contro i suoi stessi cittadini di colore:
http://it.peacereporter.net/articolo/3977/L%92ultima+vittoria+del+Dottor+Morte
Ora, i bianchi sudafricani hanno avuto il buon senso di capire che se non avessero cambiato rotta, sarebbero stati spazzati via da un gigantesco pogrom.
I dirigenti israeliani, invece, accecati dal terrore del primo Olocausto e dalla paranoia del secondo Olocausto, sembrano avviati ad assicurare ai loro cittadini quest’ultimo esito attaccando preventivamente una nazione sovrana senza aver alcuna possibilità di fermare il suo programma nucleare e quindi rendendo virtualmente certa una rappresaglia forse anche atomica:
http://www.informarexresistere.fr/2012/03/24/e-se-l%E2%80%99iran-avesse-gia-l%E2%80%99atomica-osservazioni-sconvenienti-sull%E2%80%99armageddon-che-verra/#axzz1rdE0FSFw
Tornando alla questione dei sionisti che tornano antisemiti, il meccanismo psicologico è presto spiegato. Una falsa coscienza fondata su sensi di colpa e rimorsi indotti ed ingiustificati e preservata dai nefandi tabù del politicamente corretto, si scontra con una realtà malevola e produce un terribile choc dovuto ad un’improvvisa presa di coscienza della realtà come veramente è e non come viene descritta dai media italiani che, ad esempio nel caso di Günter Grass, sono stati persino più sionisti di alcuni quotidiani israeliani:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/04/neanche-se-hai-un-nobel-per-la-letteratura-ti-e-concesso-criticare-israele/
Sono le lobby sioniste in Occidente che stanno scavando la fossa ad Israele. La gente avverte l’atroce ipocrisia di fondo di quel sentirsi moralmente obbligata a difendere una posizione indifendibile e ne soffre. Questo conflitto latente con la propria coscienza migliore genera una crescente pressione psicologica, che non trova sfogo in un dibattito spassionato e ragionevole su quel che avviene in Israele ed in Palestina, perché sono stati eretti troppi tabù.
Quel che succede in queste conversioni è che la pressione psicologica da rimozione della verità si fa insostenibile quando ci si trova alla prese con la realtà, una realtà che moltissimi Israeliani e tanti Ebrei euroamericani non riescono più neppure ad intuire, essendo i più accecati dalla propaganda sionista (è questa la ragione per cui Gideon Levy è considerato un traditore e non un eroe nazionale ed un giusto del mondo, quale in realtà è). La tensione finisce per spezzare la corda e ci si trova catapultati sull’altra sponda, quella dell’antisemitismo, del capro espiatorio giudeo, quella del: “gli Ebrei se la sono cercata, ben gli sta”.
È quel che succede a molti credenti traumatizzati dalle tragedie dell’esistenza umana, che all’improvviso si trasformano in fondamentalisti dell’ateismo.
Il dio dell’Antico Testamento è chiaramente un dio malvagio, come malvagia è la sua arrogante pretesa che violiamo la nostra integrità venerandolo come assolutamente buono e giusto anche se la sua creazione indica il contrario.
Ma non succede forse lo stesso con Israele, la cosiddetta nazione prediletta da Geova? Non siamo forse costretti a considerarla buona e giusta quando è vero il contrario?
L’ego umano fatica a mantenere assieme gli opposti contrastanti (riconciliazione degli opposti, coincidentia oppositorum, interdipendenza dei contrari: Baldur e Loki, Osiride e Set, Apollo e Dioniso, Pesci e Gemelli), perché questa coesistenza lo rende insicuro, incerto; la percepisce come caotica. Per questo tende a polarizzarsi: o bianco o nero, o sionismo o antisemitismo, sebbene non ci sia luce senza oscurità, verità senza errore, bianco senza nero.
Ci risulta difficile credere che Dio possa contenere tutti gli opposti, trascendere ed armonizzare le dualità, anche se per definizione lo fa (cf. Paracleto).
Allo stesso modo, ci risulta difficile accettare l’idea che gli Ebrei possano essere contemporaneamente vittime (del primo Olocausto e della sua lunga ombra) e carnefici (perpetratori e legittimatori della pulizia etnica dei Palestinesi e della prossima distruzione di migliaia di innocenti vite persiane, israeliane e non solo).
Ci è difficile capire che, molto spesso, i ribelli assomigliano all’autorità contro cui si rivoltano e ci è difficile capire che le vittime di bullismo finiscono spesso per assomigliare ai loro persecutori.
In questa fase storica, Israele è un grande ego in preda al suo libero arbitrio ed alla propensione ad imporre il suo potere ed i suoi valori a chi percepisce come più debole di lui (inclusi Obama e Sarkozy, che detestano Netanyahu ma non gli si oppongono) e a considerarsi arrogantemente autosufficiente.
L’immagine del Geova sionista è la proiezione di ciò che davvero conta per ego: il potere, l’autonomia, la purezza. Con Thomas Hobbes queste diventano le virtù dello stato: una divinità secolare e totalitaria. È quel che è diventato Israele: una megalomania paranoide legata ad un desiderio infantile di onnipotenza. È un ribellismo totalitario: la rivolta contro le ingiustizie patite in passato spinge gli Israeliani a disfarsi di ogni limite ed inibizione rispetto alla volontà di potenza. Qualcuno si ricorderà che Hitler è riuscito a fare lo stesso con i Tedeschi, brandendo l’infame trattamento riservato alla Germania a Versailles (e, almeno su questo, aveva ragione Hitler: gli anglo-francesi, e specialmente banchieri e speculatori londinesi, erano ugualmente responsabili dello scoppio della prima Guerra Mondiale). Qualcuno si ricorderà anche di che fine abbia fatto la Germania: sono morti molti più “Ariani” che Ebrei o ritenuti tali.
Il comportamento di Israele, o quantomeno del governo israeliano, è sempre più simile a quello della Germania umiliata ed a quello di Geova, il Dio-Padre ortodosso che, proclamando aggressivamente il suo infinito potere e perfetta bontà si comporta come un ego immaturo che ha bisogno di compensare le sue insicurezze, in un completo divorzio dagli obiettivi umanisti che si era prefissato inizialmente (cf. Martin Buber e il sionismo). Come Geova, Israele si nutre sadomasochisticamente della manipolazione altrui per mezzo della pietà, del disprezzo, dell’invidia, del vittimismo, del senso di colpa, del richiamo alla “giustizia”. Sguazza nelle metafore connesse al rapporto padrone e servo, comando e sottomissione, alla devozione alla causa. Proietta tutto il suo marcio (l’ombra) su qualcuno esterno alla comunità, il forestiero o il capro espiatorio di turno che sarà perseguitato: i Palestinesi.
L’amara ironia è che le caratteristiche negative e malvagie attribuite ai Palestinesi sono evidenti nel comportamento della comunità persecutrice, quella sionista, nella stessa maniera in cui la descrizione nazista dell’Ebreo corrispondeva, nei fatti, a quella del Nazista.
Vittime dell’ego sionista, Netanyahu (e chi lo sostiene) crede sia possibile eliminare il male dal mondo e che sia suo dovere farlo. Non a caso il premier israeliano si considera un nuovo Churchill (una cosa che farebbe sorridere se non fosse tragica). Crede anche nella fantasia del paradiso perduto – quello stato ideale nei ricordi dell’utero e dell’infanzia, quando non c’erano ostacoli e qualcuno era sempre pronto a soddisfare i nostri bisogni –, che identifica con Eretz Yisrael.
È il classico espediente delle persone malvagie (cf. M. Scott Peck, “People of the Lie”). I malvagi si rifiutano di riconoscere il peccato in loro stessi, celano i loro crimini con proiezioni e capri espiatori, motivati dalla loro paura dell’autocritica. Devono mantenere un’immagine di perfezione. Professano di essere alla ricerca della bontà perfetta, quando invece bramano solo il potere fine a se stesso. Un desiderio di potere che nasconde il terrore dell’incertezza.
Questo abbaglio imprigiona lui e tutti i sionisti in un circolo vizioso di illusioni, ipocrisie e persecuzioni arbitrarie. L’unica maniera per uscirne, diceva Jung, è quella di affrontare l’ombra che c’è in noi, affrontare la realtà del male nel mondo e in noi stessi; altrimenti la nostra civiltà e la nostra specie, ormai potenzialmente iperdistruttiva, non sopravvivranno: feriremo l’intero ecosistema, prima di estinguerci.
La parabola di Israele ha molto da insegnarci in merito alle nostre ossessioni per la purezza e la perfezione. Il suo percorso autodistruttivo indica che non è più possibile determinare se siamo alienati perché superbi o vice versa. Il nostro ego si è gonfiato e si è allontanato ed alienato dalla coscienza, dal nostro giroscopio morale, e dagli altri. Neghiamo la nostra essenziale interdipendenza, sottraiamo l’amore che dovremmo destinare al nostro prossimo, dirigendolo verso l’interno, dove si inacidisce e si perverte, tramutandosi in iniquità. Per questo siamo autodistruttivi. Per questo Israele sta procedendo a rapidi passi verso il suo annichilimento. Non ne è consapevole, come non lo siamo noi: “Osserviamo i segni dei tempi. Questo è un tempo apocalittico. Segni premonitori e letteratura, analisi dotte ed elevate (non ciarpame new age o ciarlatani pseudo-religiosi e millenaristi) colgono nel tempo presente segni catastrofistici che spianano la strada a una mentalità apocalittica” (Gustavo Zagrebelsky, Ezio Mauro, “La felicità della democrazia: un dialogo”, 2011, p. 43).
La mentalità dell’Apocalisse – intesa come resa dei conti e trionfo finale del Bene sul Male, non come distruzioni cicliche – è antitetica a quella di Gesù ed è in piena consonanza con quella del fondamentalismo cristiano, giudaico, islamico e hindu che minaccia la democrazia in quattro potenze nucleari: Stati Uniti, Israele, Pachistan, India e presto anche nell’Iran, dove l’attacco israeliano non farà altro che esacerbare questi sentimenti apocalittici.
In questa mentalità, l’archetipico Satana (Palestinesi, Iraniani, ma anche Israeliani, Americani, ecc.) diventa il capro espiatorio dell’ego dell’archetipico Geova (Israele, USA, ma anche India, Unione Europea, ecc.), che proietta su di lui la sua ombra, i tratti che non vuole vedere nella sua psiche. Per poterlo fare con una certa costanza ha bisogno che Satana continui a poter esprimere tutto se stesso al suo peggio. In pratica, se l’Intifada non esistesse, Israele dovrebbe inventarla, cosa che probabilmente è già successa in passato e succederà di nuovo, al momento “giusto”.
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