Kissinger, Brzezinski e Putin stanno cercando di salvare Obama (un’altra volta)?

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

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Si tende a restringere lo spettro delle variabili in gioco in Ucraina a coppie di contrapposizioni schematiche e nette: Russia contro Stati Uniti, Russia vs Europa, neo-fascisti contro sinistra, Ucraina occidentale vs Ucraina orientale, ecc.

Ma ci sono varie fazioni tra gli oligarchi che compongono l’establishment e non è detto che tutte quelle associate, più o meno strettamente, agli Stati Uniti, siano impegnate a difendere il dollaro, o Wall Street.

È ipotizzabile che, in questa fase, Washington (lo Stato Profondo, per usare un’espressione alla moda) e Wall Street (banche d’affari) non siano in sintonia.

A questo proposito, mi interessa approfondire la questione della convergenza dei vecchi nemici della guerra fredda – Brzezinski, Kissinger e Putin – su delle possibili soluzioni della crisi ucraina e di quella siriana. Sull’Ucraina, come sulla Siria, le loro posizioni sono  sorprendentemente conciliabili.

Chi ragiona in termini rigidamente dicotomici preferirà aggirare questa dissonanza cognitiva, che invece va spiegata.

Partiamo da Obama, pupillo di Brzezinski. Sapeva a cosa andava incontro quando ha accettato di candidarsi, ma ora il gioco si sta facendo pesante.

Il Washington Post lo sta demolendo, paragonandolo a Jimmy Carter.

Leggendo l’editoriale si può capire meglio il significato di un paragone per nulla casuale: l’affaire Iran Contra servì a screditare Carter e far vincere Reagan. Il Washington Post non spiega ai suoi lettori che si trattò di uno sporco complotto interno che aveva precisamente quello scopo.

Coincidenza vuole che proprio il giorno del referendum in Crimea sia l’anniversario dell’incriminazione per complotto ai danni degli Stati Uniti di Oliver North e del vice-ammiraglio John Poindexter, orchestratori della crisi degli ostaggi con l’Iran.

E’ insomma in atto la carterizzazione di Obama.

Da un punto di vista caratteriale-psicologico Obama non è probabilmente la persona più indicata per quella carica, ma ci sono sicuramente stati molti presidenti meno idonei di lui, nella storia americana. La sua amministrazione è stata nel segno della continuità con quella repubblicana che l’ha preceduta, nella piena consapevolezza che, ai giorni nostri, senza l’appoggio di Wall Street e del Pentagono un presidente americano è completamente impotente, specialmente se il Congresso gli è ostile a prescindere.

Ma almeno, finora, ci ha evitati quel temuto conflitto in Medio Oriente che produrrebbe automaticamente un’escalation incontrollabile. Non ama Netanyahu.

Sarà la storia a giudicarlo.

Quel che ci interessa è che Obama è un presidente zoppo. Le varie rivelazioni sul sistema di sorveglianza totale creato dopo l’11 settembre da Bush e da lui perpetuato lo hanno messo in pessima luce; i suoi tentennamenti in politica estera lo hanno trasformato nel bersaglio degli editoriali neocon; la sua timidezza sul fronte della tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori gli hanno alienato le simpatie di moltissimi elettori progressisti.

Domani si vota il referendum in Crimea e sembra sempre più chiaro che questa, come la faccenda delle armi chimiche di Assad, sia l’ennesima trappola tesagli dai suoi nemici, che controllano il nuovo governo ucraino ma anche alcune posizioni chiave della sua amministrazione (Victoria Nuland, lo sponsor del primo ministro ad interim Arseniy Yatsenyuk, è la moglie di Robert Kagan, l’imperialista per antonomasia).

Se è vero che è stato il nuovo governatore di Donetsk, il multimiliardario Taruta, a pagare gli autobus che hanno portato decine di militanti anti-russi a manifestare nell’est filo-russo proprio in coincidenza con una manifestazione anti-governativa – scontri, due morti – allora è chiaro che il nuovo governo che l’ha nominato gli ha dato espressamente l’incarico di gettare le basi per quel caos che potrebbe provocare un intervento russo.

Anche se quest’idea non è facile da accettare, la crisi ucraina ha molti obiettivi (espandere la NATO, togliere di mezzo Putin, inventarsi una nuova guerra perpetua dopo la morte di Osama Bin Laden, “risolvere” la crisi finanziaria), però quello principale è di politica interna.

I neocon/sionisti reazionari (Kagan, McCain, Soros, Netanyahu, ecc.) vogliono un loro uomo al posto di Obama, se possibile anche prima del 2016, e hanno agito in vista delle elezioni del Parlamento europeo (22-25 maggio) e soprattutto delle elezioni congressuali USA (4 novembre).

Sapendo bene come avrebbe reagito Putin alla prospettiva di perdere il controllo di Sebastopoli, hanno infilato Obama in un vicolo cieco in cui può solo perdere la faccia. Obama e Putin: due piccioni con una fava.

Altri oligarchi si oppongono a questa offensiva. In altre circostanze le alleanze saranno diverse. Non ci sono buoni in questa disfida. Queste persone giocano a scacchi con le nazioni e le vite di milioni di persone.

L’Ucraina dopo il colpo di stato

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

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A scontrarsi con la polizia provvedono formazioni paramilitari bene addestrate, afferenti agli ultranazionalisti di Svoboda, del Pravy Sektor o di Spilna Sprava, fautori della “Ucraina agli ucraini”, segnati dai miti razziali otto-novecenteschi distillati dai teorici locali dello Stato etnico, profondamente russofobi, polonofobi e antisemiti. Sotto la pelle della piazza s’infiltrano provocatori di regime (titushki) e agenti più o meno collegati ai servizi segreti russi od occidentali, come si conviene nelle aree di crisi particolarmente strategiche.

A questo punto solo un negoziato fra tutte le forze interne ed esterne che partecipano alla battaglia d’Ucraina può impedire una prolungata guerra civile, che cambierebbe comunque il volto della Russia e dell’Europa. È tempo che Washington e Mosca scendano in campo non per sostenere i loro campioni locali, ma per salvare gli ucraini da se stessi e dagli europei che pretendono di salvarli. Obama e Putin hanno dimostrato di sapersi intendere, quando le alternative al compromesso sono disastrose. Il tempo stringe, nella speranza che non sia già tardi.

Lucio Caracciolo, Repubblica, 20 febbraio 2014

Quando è affidabile la fazione filo-occidentale che sta prendendo il controllo di Kiev?

L’accordo prevedeva il disarmo della bande che avevano attaccato i poliziotti. Sono ancora armate. Le elezioni dovevano essere anticipate a dicembre, ma ora si terranno il 25 maggio. Il parlamento ha rimosso dalla presidenza Yanukovich – senza aver raggiunto il quorum per essere legittimati a farlo (328 voti contro i 338 richiesti) -, che aveva appena firmato l’accordo, rendendolo di fatto nullo. Non erano interessati alla riforma costituzionale, a un governo di coalizione o a qualunque compromesso: volevano il potere, ad ogni costo.

Timoshenko era in buoni rapporti con Putin. Anzi, era in carcere per malversazione per aver favorito i russi di Gazprom in un accordo sul costo del gas. Non è insensibile a chi la paga bene. Potrebbe forse riuscire a evitare una guerra civile?

Guerra-Civil-Espanola-Agosto-Septiembre-1936RussianUseEnE quali saranno questi costi?

– L’arrivo al potere degli ultranazionalisti, omofobi, antisemiti e russofobi di Svoboda, che in precedenza hanno presentato in Parlamento disegni di legge per l’abolizione dell’aborto, il divieto di adozione di bambini ucraini da parte di coppie straniere, l’introduzione dell’identificazione etnica sui passaporti e certificati di nascita. Tiagnibok ieri, in parlamento, ha chiesto di vietare l’uso del russo in Ucraina. E’ degno di nota che i media se la siano presa con Putin per una legge contro la “propaganda gay” ai minori ma non si dicano preoccupati per l’ascesa di una formazione che ha ben altri piani per gli omosessuali ucraini o per chiunque non la pensi come loro e sia diverso da loro (tra parentesi, com’è che il totalitarismo omofobo, misogino, razzista, militarista e schiavista dei sauditi e dei qatarini non è sulle prime pagine dei nostri giornali?)

– Le regioni meridionali e orientali si stanno preparando a resistere anche con le armi ad un’eventuale cambio di regime palesemente anti-russo: se la Timoshenko non si muoverà con cautela e astuzia, la prospettiva è quella della creazione di un’Ucraina filorussa, più ricca, che rifiuterà l’autorità (in primis quella di tassare) di un’Ucraina filo-occidentale più povera (gli 11 distretti più poveri dell’Ucraina sono nella macroregione nord-occidentale che ha scatenato la rivolta, mentre 7 distretti del sud-est filorusso producono quasi metà del PIL ucraino: la “Padania ucraina” tollererà di essere governata da golpisti occidentali?) , che cercherebbe di assicurarsi il controllo della capitale, Kiev. La nuova capitale orientale sarebbe Kharkov, capitale di tutta l’Ucraina fino al 1936. La nuova Ucraina replicherà alle accuse dei leader occidentali rammentando loro che l’Occidente si è fatto paladino della sacralità dell’autodeterminazione dei popoli;

– L’Occidente dovrà farsi carico, in qualche modo, della parte povera dell’Ucraina, pur non avendo soldi per pagare i propri debiti con le imprese, i servizi pubblici, le pensioni e tantomeno per salvare banche nuovamente sull’orlo del collasso. Ci pensa il Fondo Monetario Internazionale: è già stato richiesto un prestito, che arriverà col suo corollario di austerità, licenziamenti di massa, congelamento dei salari e delle pensioni, crescita delle bollette, svendita dei beni pubblici, ecc.;

– I russi, aggrediti 4 volte in 200 anni da potenze europee (1812, 1914, 1919 e 1941), non staranno a guardare, come non lo farebbero gli Stati Uniti se Russia o Cina cercassero di installare un governo amico in Messico o in Canada. Ma cosa faranno? Resteranno sulla difensiva. L’esplicita volontà di apertura di Siria, Ucraina, Iran e Venezuela nei confronti degli Stati Uniti non è un sintomo di debolezza, ma della consapevolezza che il tempo gioca a loro favore e contro l’Alleanza Atlantica

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2014/02/11/quando-i-banchieri-si-suicidano-e-vengono-suicidati/

L’enorme errore commesso dai decisori occidentali è stato quello di credere di poter vincere un’altra volta la Guerra Fredda (o la Guerra Civil Española). La differenza, rispetto agli anni Ottanta, è che le parti sono invertite. È l’economia euroamericana a trovarsi sul bordo del precipizio ed è l’opinione pubblica occidentale a disprezzare e odiare i propri governanti ed oligarchi che, consci di questo, hanno istituito un sistema di sorveglianza e prevenzione di rivolte degno della DDR.

Il mondo si sta già schierando con lo sfidante, contro l’imbolsito campione in carica, che tipicamente sopravvaluta le sue forze e sottovaluta l’avversario

http://www.tmnews.it/web/sezioni/nuovaeuropa/leader-dell-apec-cantano-happy-birthday-per-il-61enne-putin-PN_20131007_00091_NE.shtml

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Come nel 1989, ma a parti invertite, è sufficiente che uno dei due contendenti attenda il collasso dell’altro, per poi proclamarsi vincitore. La differenza è che mentre nel 1989 la cosa avvenne con un minimo spargimento di sangue, questa volta gli oligarchi non hanno alcuna intenzione di togliersi di mezzo. Il loro obiettivo è chiaramente quello di reinventarsi gattopardescamente e, se possibile, sfruttare la crisi per realizzare la Perfetta Controrivoluzione, la rivoluzione finale. Sono irriformabili.

La variabile X di cui non hanno tenuto conto è la Natura (e quindi anche la natura umana). Gaia si è dotata di anticorpi e il virus psicopatico ha gli anni contati.

http://www.futurables.com/category/editoriali/

Frances Stonor Saunders, “La Guerra Fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti”, Fazi, Roma, 2004

“In nome di che? Non delle virtù civili, ma dell’Impero”

di Guido Barbarigo

Recensione di Frances Stonor Saunders, La Guerra Fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti, Fazi, Roma, 2004 (ed. originale Londra, 1999)

“Bel libro, questo dell’inglese Saunders. L’autrice racconta, con ricca documentazione (da cui abbiamo tratto anche il titolo) e stile gradevole, la storia di una parte delle operazioni culturali della CIA dal 1946 al 1970 circa: la parte relativa all’utilizzo in funzione anticomunista e antirussa di varii intellettuali progressisti, della sinistra non comunista o ex-comunista, a livello mondiale e nelle varie sezioni nazionali del cosiddetto Congresso per la libertà della cultura.
Non è possibile nemmeno tentare di riassumere la vasta messe di episodi relativi alle attività del Congresso, e nemmeno fare l’elenco completo dei nomi di coloro che in USA e in Europa vi furono più o meno pesantemente coinvolti. Fra i principali (alcuni fra l’altro sono già noti): Arthur Koestler, James Burnham, Isaiah Berlin, Raymond Aron, Denis de Rougemont, André Malraux, Jean Cocteau, Mircea Eliade, Salvador de Madariaga, Hannah Arendt, Bertrand Russell, Michael Polanyi, George Orwell, Czeslaw Milosz, Jason Pollock. E in Italia, sotto l’egida della rivista Tempo Presente (e non solo): Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Benedetto Croce, Altiero Spinelli, Enzo Forcella, Adriano Olivetti, Mario Pannunzio, Ferruccio Parri, Primo Levi, Italo Calvino, Eugenio Montale, Vasco Pratolini, Libero del Libero, Ugo La Malfa, Nicolò Carandini, Francesco Compagna, Giuseppe Romita, Gaetano Martino, Tristano Codignola, eccetera eccetera.

Più interessanti sono gli aspetti per così dire strutturali della vicenda, intesa come modello operativo. In primo luogo, si deve dare atto a Bill Donovan, l’indimenticato capo dell’OSS, di autentiche virtù di reclutatore. Praticamente, la squadra CIA che segue l’operazione è prevalentemente composta di uomini da lui selezionati e provati durante la guerra mondiale: i due Dulles, Arthur Schlesinger, John McCloy, James Jesus Angleton, George Kennan, Irving Kristol, Melvin Lasky, Michael Josselson (che del Congresso per la libertà della cultura fu l’anima), Tom Braden, il cui scanzonato cinismo alla fine si attira le simpatie del lettore. Tutti professionisti del miglior livello, dotati di notevole sensibilità intellettuale e di una capacità organizzativa a tutta prova – tale da permettere alla CIA di intervenire in ogni campo della cultura.

Qualche esempio. 1984 di Orwell, Buio a mezzogiorno di Koestler, I machiavellici di Burnham non avrebbero avuto la risonanza che ebbero senza le cure assidue del Congresso. Forse non ci sarebbe stata Radio Free Europe. L’Europa non sarebbe stata invasa dall’astrattismo pittorico di Pollock e sodali, la Boston Symphony Orchestra non avrebbe conosciuto i fasti del successo internazionale, non avremmo avuto un così spiccato interesse per la musica contemporanea (Luigi Nono compreso), e la storia del cinema sarebbe stata alquanto diversa.

In secondo luogo, è interessante notare come su quel tavolo le posizioni eccessivamente di destra o ferocemente anticomuniste (alla Koestler e alla Burnham, per intendersi), non fossero assolutamente gradite. L’operazione, nella sua durata più che ventennale, era diretta a sedurre gli opinion leaders e le “masse” in modo da creare un progressismo non comunista, anche a livello politico e sindacale – non un anticomunismo forcaiolo. Non a caso Burnham fu da noi girato alle Edizioni del Borghese, assieme al più mite de Madariaga, e in bella compagnia col vice di Johnson, Spyro Agnew, ed altri personaggi del genere (il catalogo di qualche decennio fa delle predette edizioni è un vero florilegio di certo anticomunismo para-neofascista nostrano e delle sue liason dangereuses). Non a caso il maccartismo creò alla CIA e al Congresso sempre e soltanto problemi.

In terzo luogo, la struttura organizzativa, il sistema di reclutamento e quello di finanziamento (benissimo descritte dall’autrice) sono un vero classico, soprattutto per l’utilizzo fatto delle fondazioni (Ford, Rockefeller, eccetera eccetera), in modo che la CIA non comparisse mai direttamente, e al tempo stesso avesse sempre un suo uomo nei punti di controllo critici. Ah, va precisato che quando si dice CIA si arriva direttamente alla Presidenza USA: quindi Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson erano al corrente per quanto di loro competenza (cioè molto), insieme al Dipartimento di Stato, peraltro presidiato da personaggi del calibro di John Foster Dulles, il fratello del più celebre Allen, direttore della CIA: ambedue ex-OSS, ovviamente.
In ultimo è di grande interesse la fine del Congresso e delle multiformi attività culturali ad esso collegate. Tutto comincia, anzi finisce, con un’inchiesta della rivista radicale americana Ramparts. Inchiesta talmente dettagliata da far pensare, a livello di quasi certezza, che le informazioni siano state rese accessibili dalla stessa CIA, o meglio da quel gruppo di suoi strateghi che non ritenevano più interessante una sinistra non comunista. La Saunders non inquadra bene il momento (è il 1966): ma se pensiamo ad alcuni eventi successivi (golpe dei colonnelli in Grecia, 1967; avvio della strategia della tensione in Italia, 1969; golpe in Cile, 1971; terrorismo e caso Moro, 1974 e anni successivi), nonché alla situazione in Vietnam e a quella in Medio Oriente, ci sono pochi dubbi che il Congresso fu liquidato perché non serviva più ad una linea di condotta orientata, almeno nei teatri citati, a forme di gestione più – come dire? – incisive.

Va anche detto che i protagonisti della vicenda furono riassorbiti o riciclati in posizioni di tutto comodo, salvo quelli ormai troppo noti, o incapaci di riallinearsi nel quadro di una diversa strategia. Resta anche il fatto che alcuni di essi ebbero singolari, penose vicende cliniche, turbe psichiche assortite e tendenze suicide (realizzate) – vai a capire se logorati dai conflitti di coscienza, dai troppi alcolici e da un tenore di vita pingue ma frenetico, dagli psicofarmaci o da altro.

Imbecilli o ipocriti? – si chiede reiteratamente la Saunders, quando commenta le dichiarazioni di stupore sulla circostanza di essere pagati dalla CIA da parte dei varii collaboratori del Congresso, allorché il giocattolo si ruppe. L’autrice propende – prove alla mano – per l’ipocrisia. Oddìo, c’è anche una certa dose di imbecillità, abbastanza tipica degli intellettuali, nel senso che se è vera la scultorea massima di sir Stuart Graham Menzies, capo dell’Intelligence britannica nell’ultima guerra mondiale – “Intelligence is the business of gentlemen” – è vero che pur sempre di business si tratta, e che quindi è bene sapere che, quando non si serve più, si è, per così dire, serviti. E questo è il caso migliore, perché poi c’è sempre Musil a ricordarci che il funzionario che non funziona più è, logicamente, de-funto.

Vogliamo sottolineare che la Saunders si richiama esplicitamente ad un metodo prosopografico e di ricostruzione delle reti di amicizie: il che le consente di delineare piuttosto bene la sostanziale compattezza e durata della dirigenza USA, la sua consapevolezza, la natura e la qualità del dibattito interno, le modalità di selezione e di cooptazione del personale – insomma, un bello spaccato di una élite molto organica e programmaticamente convinta di dover interpretare, letteralmente, il ruolo dei guardiani platonici al vertice del nuovo impero romano.

Per finire, qualche parola sulla prefazione, molto interessante per alcuni fatti citati, di Giovanni Fasanella. Abbiamo qualche difficoltà a condividere il suo atteggiamento mentale, quando dice che gli obiettivi (la sconfitta del comunismo) erano giusti, e i metodi invece no. Intanto, va messo in chiaro che la classe dirigente americana era pienamente consapevole, fin dal 1949, che non esisteva nessun piano comunista di dominio del mondo e che, anche se fosse esistito, la Russia non aveva i mezzi per attuarlo (si veda al riguardo la nota 39 al cap.6, sugli esiti del progetto Jigsaw). E poi, se gli obiettivi erano giusti, a che discutere di mezzi? Vogliamo perpetuare l’eterna discussione sulla democrazia protetta, ovvero sul fatto che alla democrazia, per difendersi, non sarebbe lecito impiegare gli stessi mezzi usati dalle dittature?

Francamente, sembra un problema di lana caprina, a parte il caso di crimini che sono tali comunque, democrazia o non democrazia. Ma – ci chiediamo – che doveva, anzi, che deve, meglio ancora: che cosa ci si aspetta che faccia un paese consapevole (nel 1946 come adesso) di essere l’unica vera superpotenza, e per di più convinto di avere raggiunto tale status per la propria intrinseca superiorità in quanto civiltà umana? Ovviamente, che faccia di tutto per rimanere tale il più a lungo possibile. La guerra culturale è un mezzo eccellente per un simile fine. E i problemi di accesso a certe fonti che la Saunders denuncia (a cominciare dalle registrazioni di Radio Free Europe prima e durante l’insurrezione ungherese del 1956), nonostante il Freedom of Information Act, sono del pari mezzi adeguati.

Il vero problema non è la contraddizione interna fra democrazia e mezzi per difenderla, fatti salvi gli eccessi sanguinosi e sanguinari. Fin quando la sinistra europea continuerà su questa strada, non riuscirà mai ad elaborare una seria diagnosi della situazione e quindi nemmeno una seria alternativa.
Il vero problema è, molto semplicemente, che quella angloamericana (nelle sue due versioni) non è più da molto tempo una democrazia, ma una sorta di repubblica aristocratica, con buoni meccanismi di rinnovamento per cooptazione della classe dirigente. Una repubblica aristocratica ben decisa a prolungare il proprio dominio, che ha origini ideologiche assai precise, di cui la teoria del destino manifesto è solo una delle più risalenti ed esplicite espressioni – ma non certo la sola.

Insomma, fin quando si rimane nell’equivoco di riconoscere al mondo angloamericano il titolo di democrazia per eccellenza, non si verrà mai a capo di nulla. Si potrà pensare qualcosa di nuovo solo quando si capirà che la democrazia angloamericana è da un bel pezzo solo un mezzo, in sé stesso quasi formale ma alquanto efficiente, per tutt’altri scopi: in modo assolutamente coerente, e in genere anche con linee strategiche definite ed attuate in maniera piuttosto professionale.

Tra l’altro, rimanere in questo equivoco nell’anno del Signore 2004 dimostra che fra le vittime della guerra culturale della CIA possiamo includere, fra i tanti, anche Fasanella. In tal senso, mai fu scritta presentazione più pertinente e significativa del cronico e persistente fallimento della sinistra europea nel pensare una nuova democrazia, e della solida vittoria statunitense in quella guerra culturale che si depreca.

Un libro proprio da leggere, insomma, adatto anche a non specialisti perché adeguatamente annotato. Un libro in cui non si fa troppa fatica a vedere un modello d’azione tuttora in essere, anche se sono cambiati l’avversario, i nomi dei protagonisti, alcuni dei mezzi impiegati, certe tecniche operative, con buona pace di quei commentatori della grande stampa che (imbecilli o ipocriti? – per dirla con la Saunders) qualche tempo fa cadevano dalle nuvole quando gli USA hanno ripreso espressioni tipo “la battaglia delle idee”.

Riguardo a questi sviluppi più recenti, naturalmente, aspettiamo fiduciosi la puntata successiva”.

APPROFONDIMENTI SUL VERSANTE ITALIANO:
http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkppVVlEpFJBzpSaEW.shtml

La Cia finanziò abbondantemente l’Espressionismo astratto. Obiettivo dell’intelligence Usa, sedurre le menti delle classi lontane dalla borghesia negli anni della Guerra Fredda. Fu proprio la Cia a organizzare le prime grandi mostre del “new american painting”, che rivelò le opere dell’Espressionismo astratto in tutte le principali città europee: “Modern art in the United States” (1955) e “Masterpieces of the Twentieth Century” (1952).

http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2010/11/11/news/cia_mecenate_dell_espressionismo_astratto-8997066/

Israele, la destabilizzazione del Medio Oriente ed il neonazismo

Una dopo l’altra, le nazioni e regioni che circondano Israele sono state destabilizzate.

La Siria da metà marzo del 2011, il Sinai negli ultimi mesi, il Libano nelle ultime settimane e presto anche l’Egitto.
Il Washington Post ha spianato la strada all’intervento NATO in Siria citando il classico pretesto delle armi di distruzione di massa (gas nervino in possesso del regime siriano) da porre sotto controllo.
Ma ci possono essere mille pretesti per intervenire.
Carichi di armi provenienti dalla Libia sono stati intercettati nella zona di Tripoli (la Tripoli libanese, quella che la CNN ha scambiato per la Tripoli libica, in un errore che è quasi un lapsus freudiano o una profezia avverata), un distretto con un aeroporto in disuso e a distanza strategica da Tartus, il porto siriano che Assad ha concesso alla flotta russa.
Comprensibilmente Medvedev ha avvertito che le ingerenze NATO in questioni regionali sono sempre a rischio di scatenare guerre internazionali e, nel contesto medio-orientale, conflitti termonucleari.

Intanto i sionisti americani preparano il terreno per l’occupazione israeliana del Sinai, ossia per una guerra con l’Egitto

E Netanyahu chiede al mondo di intervenire contro Iran, Siria ed Hezbollah

La differenza è che in Libia non ci si è mai avvicinati ad una guerra NATO-Russia, in Siria-Libano sarà un risvolto quasi inevitabile e non è tra l’altro per niente chiaro perché la NATO debba coltivare l’alleanza anti-Assad con Arabia Saudita e Qatar, due regimi se possibili ancora più autoritari di quello di Assad e pronti ad intervenire nei paesi confinanti (es. Bahrein, che sta per essere annesso all’Arabia Saudita) per sopprimere con la forza le proteste popolari pro-democrazia.

Occorre tenere sempre a mente che, da Ben Gurion, a Sharon, a Netanyahu l’obiettivo è sempre rimasto quello della restaurazione del Regno di Davide e Salomone, ossia di un’invenzione. Come si scende a compromessi con un mito etnico, con una fantasia maniacale che implicherebbe l’edificazione di una Sparta giudea, con i Palestinesi come iloti (e i lavori sono in stato avanzato: Gerusalemme è in via di giudaizzazione)?

Ricordiamoci sempre che Benjamin Netanyahu, nel 2003, affermava che se gli Arabi fossero arrivati a costituire il 40% della popolazione di Israele sarebbe stata la fine dello stato giudeo. “Ma anche il 20% è un problema e se le relazioni con questo 20% diventano problematiche, lo stato è autorizzato a prendere misure drastiche”.

Ecco, il problema è arrivato.

“Un piccolo, ma essenziale, terremoto demografico è in corso tra la costa del Mediterraneo orientale e il fiume Giordano, nell’area che, secondo i punti di vista, si può chiamare ‘Palestina storica’ o ‘Grande Israele’. A fine dicembre, i due uffici nazionali di statistica, quello dell’Autorità nazionale palestinese e quello di Israele, hanno pubblicato i risultati annuali dell’andamento demografico. E ci sono diverse sorprese. […]. «Il numero dei palestinesi nella Palestina storica, alla fine del 2011, era di 5,6 milioni. Il numero degli ebrei nella Palestina storica era di 5,8 (100 mila in meno rispetto ai dati del censimento israeliano, ndr). Basandosi sulle stime del Dipartimento di statistica israeliano per il 2012, il numero di palestinesi ed ebrei sarà di 6,3 milioni ciascuno per la fine del 2015, se i tassi di crescita attuali rimangono invariati. Tuttavia, il numero dei palestinesi nella Palestina storica arriverà a 7,2 milioni entro la fine del 2020, rispetto a 6,8 milioni di ebrei».

Netanyahu vuole la guerra con l’Iran per questa ragione, non certo per la bomba. La bomba è un pretesto.

Mi piacerebbe che i sionisti italiani (e non solo) si andassero a leggere “Come i nazisti hanno vinto la guerra“, un’intervista a Kevin MacDonald, regista di un terribile ed importante documentario (“Il nemico del mio nemico. Cia, nazisti e Guerra Fredda) su come i nazisti sono riusciti a riciclarsi ed infiltrarsi nelle democrazie occidentali, specialmente nella CIA (cf. Reinhard Gehlen – Allen Dulles) conservando una forte influenza anche dopo la fine della Guerra Fredda (furono direttamente coinvolti nell’uccisione di Che Guevara, nell’operazione Stay Behind / Gladio e nell’operazione Condor)

La sinistra filosionista potrebbe anche leggersi “I nazisti che hanno vinto: le brillanti carriere delle SS nel dopoguerra” di Fabrizio Calvi. Casale Monferrato (AL): Piemme, 2007.

Sui rapporti tra i nazisti e la famiglia Bush

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/la-famiglia-bush-e-il-terzo-reich.html

Sull’omicidio Kennedy e Allen Dulles:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/arduo-da-vedere-illato-oscuro-e.html

Mi stupisce che così pochi sionisti e difensori della causa palestinese siano al corrente di quel che è successo DOPO l’Olocausto, in Occidente.
Se l’avessero fatto ora non staremmo a parlare di Israeliani contro Palestinesi ma di come la minaccia esistenziale per Israele e la Palestina sia più reale che mai ma non provenga dall’Iran o dagli Arabi.

Netanyahu non si rende minimamente conto dell’effetto domino che sta per scatenare con le sue strategie destabilizzatrici (nonostante gli avvertimenti del Mossad).
L’antisemitismo arabo è uno scherzo rispetto a quello di certi ambienti molto influenti che non attendono altro che un errore israeliano per passare alla fase 2, quando l’opinione pubblica internazionale entrerà in una fase di funesta israelofobia

Gli unici che potrebbero beneficiare di questo sarebbero Israele e i Sauditi…Israele e Arabia Saudita sono nemici molto più pericolosi degli Iraniani. Il congresso è maniacalmente fissato con la guerra con l’Iran … Ascoltate il senatore Graham, il senatore McCain e Joe Lieberman … sono controllati dagli Israeliani… i Sauditi sono molto influenti e perciò quando osservate questo tipo di cose vi dovete sempre chiedere chi trarrebbe vantaggio dalla guerra? Ad Israeliani e Sauditi piacerebbe vedere i nostri soldi e i nostri giovani uomini e donne essere uccisi combattendo contro i loro nemici in Iran.

Michael Scheuer, ex agente della CIA ed ora storico alla Georgetown University
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/24/e-se-liran-avesse-gia-latomica-osservazioni-sconvenienti-sullarmageddon-che-verra/

Sarebbe ora che molti sionisti si rendessero conto che alcuni tra i loro critici più tenaci stanno tentato di salvare loro la pelle (e quella dei Palestinesi).

NATO CONTRO RUSSIA (“tutto questo è già accaduto, tutto questo accadrà ancora” – BSG)

Vi era una grande e meravigliosa dinastia regale che dominava tutta l’isola e molte altre isole e parti del continente: inoltre governavano le regioni della Libia che sono al di qua dello stretto sino all’Egitto, e l’Europa sino alla Tirrenia. Tutta questa potenza, radunatasi insieme, tentò allora di colonizzare con un solo assalto la vostra regione, la nostra, e ogni luogo che si trovasse al di qua dell’imboccatura. Fu in quella occasione, Solone, che la potenza della vostra città si distinse nettamente per virtù e per forza dinanzi a tutti gli uomini: superando tutti per coraggio e per le arti che adoperavano in guerra, ora guidando le truppe dei Greci, ora rimanendo di necessità sola per l’abbandono da parte degli altri, sottoposta a rischi estremi, vinti gli invasori, innalzò il trofeo della vittoria, e impedì a coloro che non erano ancora schiavi di diventarlo, mentre liberò generosamente tutti gli altri, quanti siamo che abitiamo entro i confini delle colonne d’Ercole. Dopo che in seguito, però, avvennero terribili terremoti e diluvi, trascorsi un solo giorno e una sola notte tremendi, tutto il vostro esercito sprofondò insieme nella terra e allo stesso modo l’isola di Atlantide scomparve sprofondando nel mare

Platone, “Timeo”, 24e-25d

Un’Europa che potrebbe rivelarsi uno dei pilastri essenziali di un più ampio sistema euroasiatico di sicurezza e cooperazione sponsorizzato dagli americani. Ma, prima di ogni altra cosa, l’Europa è la testa di ponte essenziale dell’America sul continente euroasiatico. Enorme è la posta geostrategica americana in Europa…l’allargamento dell’Europa si traduce automaticamente in un’espansione della sfera d’influenza diretta degli Stati Uniti. In assenza di stretti legami transatlantici, per contro, il primato dell’America in Eurasia svanirebbe in men che non si dica. E ciò comprometterebbe seriamente la possibilità di estendere più in profondo l’influenza americana in Eurasia…Un impegno americano in nome dell’unità europea potrebbe scongiurare il rischio che il proceso di unificazione segni una battuta d’arresto per poi essere addirittura gradualmente stemperato.

Zbigniew Brzezinski, “La grande scacchiera”,  Milano : Longanesi, 1998, pp. 83-85

Chi pensa che sia la Russia l’aggressore pensi a come reagirebbero gli Stati Uniti se la Russia posizionasse dei missili in Canada o in Messico vicino alla frontiera americana, per meglio difendersi dal Venezuela.
Poi si vada a leggere i libri di Zbigniew Brzezinski, il grande stratega (russofobo) della politica eurasiatica americana, e capirà che la NATO non è disposta ad accettare nulla di meno di un’egemonia globale totale: cercherà di schiacciare la Russia e l’Europa si trova in mezzo.

Febbraio 2012

Il Capo di Stato Maggiore russo, generale Nikolai Makarov, ha messo in guardia gli Stati Uniti contro lo stazionamento di navi equipaggiate [con il sistema da combattimento] Aegis nel Mar Nero e nel Mare del Nord.

Il generale Makarov ha sottolineato che il dispiegamento di elementi del sistema da combattimento Aegis in questi mari rappresenta “una minaccia” per la Russia e costringe Mosca ad adottare misure di ritorsione per eliminarla. Ha inoltre sottolineato che queste sarebbero misure di ultima istanza in quanto esse hanno richiesto “spese aggiuntive“.

Un incrociatore della Marina statunitense, armato di Aegis, è stato recentemente avvistato nel Mar Nero.

Washington sta anche invitando la Norvegia a dotare le proprie navi da guerra con [il sistema] Aegis. “Fortunatamente, la Norvegia ha preso una posizione di maniera“, ha aggiunto [Makarov].

La Russia e la NATO a guida statunitense esamineranno ulteriormente la questione dello scudo missilistico della UE al prossimo summit di Chicago a maggio. Nel corso della riunione, gli Stati Uniti si concentreranno sui risultati della prima fase del dispiegamento dello scudo anti-missile europeo.

http://english.ruvr.ru/2012/02/14/66033368.html

 

Maggio 2012

Il Capo di Stato Maggiore russo, generale Nikolai Makarov, ha avvertito la NATO che se procederà con l’installazione di un controverso sistema missilistico di difesa americano, la Russia sarà costretta ad usare la forza per eliminarlo. “Se la situazione si deteriora prenderemo la decisione di usare preventivamente la forza”. Il generale Makarov ha minacciato di colpire le basi NATO che ospitano un sistema anti-missile progettato dagli Stati Uniti [ufficialmente, NdT] per proteggere gli alleati europei contro gli attacchi da stati come l’Iran. Ha detto che la Russia avrebbe risposto schierando missili a corto raggio Iskander nella enclave russa di Kaliningrad vicino alla Polonia, creando così la peggiore tensione dai tempi della Guerra Fredda.
http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/russia/9243954/Russia-threatens-Nato-with-military-strikes-over-missile-defence-system.html

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