Michele Serra su Alex Schwazer (e sulla deriva eugenetica della nostra società)

 

Quest’analisi di Michele Serra mette in luce un certo genere di atteggiamento dominante nel nostro mondo che, a mio parere, ci porterà dritti nel gorgo dell’eugenetica (leggete con attenzione fino in fondo e capirete).

Se anche provassi a riscrivere 100 volte un post su questo argomento, non sarei mai all’altezza di Michele Serra. Lo invidio, ma se ci fosse una pillola che mi permettesse di diventare brillante come lui, sarebbe giusto prenderla? Che meriti avrei? La mia componente narcisista sarebbe realmente gratificata? Sarebbe giusto pianificare lo sviluppo di mio figlio dal concepimento alla maggiore età per poterne fare un nuovo Michele Serra?

Michele Serra, “I dopati della domenica”, da la Repubblica del 08/08/2012.

Il padre del povero Schwazer non riesce a darsi pace, «stava male e non ho saputo parlargli, non sono stato un buon genitore». Se la cosa può consolarlo, sappia che milioni di padri (e di madri, di fratelli, di sorelle, di figli, di innamorati) non trovano le parole per arginare la marcia trionfale delle dipendenze (dai farmaci, dagli stupefacenti, dagli eccitanti, dal gioco d’azzardo, dal computer, dal cibo, dall’alcol, da tutto) che sono la piaga più devastante della nostra epoca. Piaga di massa: perché non solamente gli eccellenti, i campioni, i molto sollecitati e molto osservati cedono al doping per reggere lo spasmo del primato, o più banalmente per sopportare meglio le fatiche dello sport e della vita. Dilettanti di ogni risma, anonimi di ogni età si impasticcano o si gonfiano i muscoli o alterano in qualche altro modo i propri connotati fisici e psichici per sentirsi più prestanti, più notati, più ammirati. Il mito antico della rana che voleva farsi bue trova ai nostri giorni la sua più compiuta realizzazione: gonfiarsi fino a esplodere. E se lo fa l’economia finanziaria, se l’idea stessa del limite viene abrogata pur di dare spazio all’illusione dell’illimitato, se perfino l’economia “pulita”, quella della produzione industriale e dei consumi, vive nel mito di una crescita senza fine, quali antidoti culturali possono darsi, i fantozzi delle palestre, delle tirate in bicicletta, dell’ossessione cronometrica? In una fiala, in una pillola, nel docile arrendersi al dominio di una sostanza, è contenuta una resa perfino più grande, e più grave: la resa all’applauso degli altri come sola misura del proprio valore. Il contraltare è il terrore panico che il giudizio degli altri non ti gratifichi, non ti assolva, non ti salvi. Dipendenza è il contrario di indipendenza. Gli indipendenti cercano, e a volte trovano, una maniera più appartata e più personale per misurarsi, per cercare di capire chi sono. Le legioni di dopati del sabato sera in discoteca o degli sport amatoriali sono dipendenti allo stato puro. Cercano di risalire la fila, di recuperare posizioni, di rendersi notevoli con qualunque mezzo: e nessuno che scarti di lato, decida di non voler fare più parte di quella fila. Schwazer, tra una Olimpiade e l’altra, la tentazione di lasciare la fila l’aveva avuta. Un momento difficile, una crisi salutare a patto di elaborarla fino in fondo, e decidere: resto anche se non sono più il numero uno, pazienza se non arrivo primo; oppure: lascio perché non sono più il numero uno. Non ha fatto né l’una né l’altra cosa: ha deciso di rimanere cercando di truccare le carte. Si suole dire, in questi casi, che il campione dovrebbe essere d’esempio, ed è perfettamente vero. Ma bastava, ieri, sentire le telefonate di molti ascoltatori a una popolare trasmissione radiofonica per capire che il doping di Schwazer ha milioni di mandanti, e milioni di alibi. Parecchi invitavano alla comprensione, indicavano la durezza della prova sportiva come giustificazione di un errore molto diffuso, e per questo, tutto sommato, non così grave. Accusavano i giornalisti di sciacallaggio, di accanirsi contro uno che, comunque, rischiava del suo. Rivangavano la tragedia di Pantani parlandone come di una vittima, un valoroso sputtanato dal moralismo della stampa. Quasi a nessuno veniva in mente che il doping, indipendentemente da ogni rischio per la salute, è un imbroglio. Una frode. Nello sport la più grave, la più imperdonabile nelle mancanze. Perché tanta indulgenza? Perché la storia di Schwazer è, qualunque sia il suo esito, la storia di un bravo ragazzo con la faccia da bravo ragazzo? Anche. Ma io credo che la voglia di assoluzione, di comprensione che spirava tra le parole di quei tifosi, di quegli italiani normali, né cinici né disonesti, derivasse da una complicità di fondo con le ragioni psicologiche del dopato. La debolezza del campione rispecchia, ai massimi livelli, la debolezza di tutti. La paura di non farcela non riguarda solo gli olimpionici. La paura di non farcela è l’ossessione di massa della società più competitiva mai vista sulla faccia della Terra; e tanto più competitiva quanto più disposta a reggersi l’anima con i denti, affilatissimi, delle droghe di ogni ordine e grado.

Il buonismo italiano, l’etica protestante ed un fantastico futuro per Schwazer e per tutti noi

Quando atleti, anche nella marcia, non hanno talento e fanno uso del doping questo mi fa incazzare. L’unica scorrettezza nello sport è chi usa sostante dopanti. Ho sempre disprezzato chi si dopa. Bisogna fare sport con la convinti che anche senza doping si vince.

Alex Schwazer


Mi fa molto piacere che migliaia di Italiani si siano stretti attorno a Schwazer, un sudtirolese, come se fosse un figliocco loro, uno di famiglia, a prescindere dal suo accento e dalle questioni separatiste. Un affetto cosmopolita che fa ben sperare per l’Italia e per il mondo.

Ma c’è un lato oscuro in tutto questo.

In Italia siamo arrivati al punto in cui un atleta olimpico, un potenziale modello per milioni di ragazzini, che si dopa non può essere criticato aspramente nei primi due giorni dall’evento, altrimenti si viene paragonati a Savonarola. Si parla di “gogna mediatica”, in una nazione che ha fatto del volemose bene, tengo famiglia e dell’impunità una ragione di vita.

Non si può criticare, non si può esprimere un giudizio, non si può condannare. Va tutto bene, poverino. E chi non la pensa così sta facendo una crociata moralista – una frase che ricorda quelle rivolte a chi si indigna per qualunque furberia italica. Invece i perdonisti affermano di voler capire, senza voler giustificare, salvo poi elencare mille giustificazioni e stigmatizzare chi non le trova sufficienti per chiudere entrambi gli occhi, a poche ore dal fattaccio.
“Sei sicuro che non l’avresti fatto anche tu al posto suo?”
Magari pensano di aver liquidato qualche millennio di dottrina giuridica.
Con questo atteggiamento non usciremo mai dal fango in cui siamo, ma cosa volete che vi dica?
Per fortuna i perdonisti della prima ora non rappresentano l’intero panorama dei commenti, forse sono perfino una minoranza molto chiassosa. Chi lo sa?
Molti si sono commossi per le lacrime della Fornero dopo che aveva promesso di distruggere il futuro di migliaia di famiglie (promessa mantenuta, un caso eccezionale nel panorama politico italiano).
La gente che piange ci fa tenerezza.
Se Berlusconi avesse pianto sarebbe al 30% delle intenzioni di voto, forse avrebbe le elezioni in tasca.
Poche ore dopo lo scoppio dello scandalo alcuni stano già pensando a come voltare pagina, a spegnere l’indignazione, lo sdegno, la rabbia, l’amarezza profonda, ecc. come se fosse immotivata, come se chi si indigna avesse chiesto di metterlo alla gogna in piazza o rinchiuderlo in un centro di rieducazione. Ma stiamo scherzando?
E’ in questi momenti che uno comincia a capire l’astio protestante nei confronti dei cattolici.

Riporto lo sfogo anti-buonista (anti-italiano?) di una mia amica, che sottoscrivo in pieno:

“E che palle! Dramma umano?? Uno decide di doparsi per essere il migliore, lo beccano ed é un “dramma umano”??? Spero solo che l´allenatrice di mia figlia non la pensi allo stesso modo, va là… (mi sa che in Italia “prendersi le responsabilità per le cazzate che si fanno, specie se illegali è un poco fuori moda)…poverino, mi fa così tanta pena…ma la pensate nello stesso modo con tutti quelli che fan cose non ammesse dalla legge? No, perché il prossimo magari è quello che vi entra in casa, ve la svaligia per benino, lo beccan di fuori, e si mette a piangere dicendo che ha fatto tutto da solo per esser più ricco… ma mi sembra che siano un po´ troppi quelli che giustificano il doping, in Italia, ultimamente. Che, poi, sai, se lui non arrivava primo, sparivano anche i soldoni della Kinder, eh….che dramma umano!!! Ma dai….

io vorrei che Schwazer si prendesse un bel calcio in culo e lo obbligassero a mangiare tutti i giorni kinder pingui, seduto davanti alla televisione, tanto da diventare grasso e ancora più scemo. Cosi, solo per far veder ai nostri figli come NON ci si deve comportare, se lo sport lo so ama davvero, e da persone oneste (oddio, che brutta parola…) 🙂

Non capisco perché sempre due pesi e due misure. Quando si tratta di sportivi, in Italia, è tutto lecito. Ma un personaggio pubblico ed uno sportivo, poi, è o dovrebbe essere un esempio per tutti, specialmente i giovani. E partiamo dal presupposto che tutte le persone che “contravvengono alle leggi sociali” (droga, furto, corruzione, anche solo arroganza e cattiveria), lo fanno perché deboli e fragili (infanzia difficile, mancanza di genitori o di supporto parentale, etc.etc.).

Non per questo li si giustifica. Secondo me dovrebbero schierarsi *tutti* contro questo genere di cose. Chi ha figli, mi piacerebbe moltissimo sapere se lo porta ad esempio o meno, un atleta che si dopa per vincere. Tutti poverini, tutti fragili, tutti ingenui. Calciatori, ciclisti, fondisti. E guarda, io son ben contenta che non sia morto stramazzato a terra per un infarto, come molti suoi colleghi sportivi. O che non sia finito su una sedia a rotelle paralizzato come parecchi calciatori. O che non abbia fatto la fine di Pantani. Certo che mi fa pena.Mi fan pena tutti: quelli che giocano al videopoker, i tossici, e persino le veline di berlusconi e le autoreggenti della brambilla. Certo che son tutti fragili.

Non posso più dire che uno sportivo che si droga per vincere (e beccarsi i soldi degli sponsor, che col cavolo che la kinder prende uno che arriva 4°…) deve esser messo alla gogna, ma che, gli facciamo allora, la ola?

Non sei un pinco pallo qualsiasi. Sei un personaggio sportivo, pubblico, campione olimpico in carica (“olimpico”, sottolineo, con tutto ciò che il temine comporta). Ti dopi? Bene, ti becchi anche le critiche. E ti prendi le conseguenze del tuo comportamento. 4 ani fa tutti che ti osannano, perché hai vinto l´oro. Adesso tutti che ti criticano, perché hai fatto una grande cazzata. Ma no, criticarlo non si può, perché è fragile…No, la ola non gliela faccio. Anzi, lo porterò come esempio a mia figlia per spiegarle “cosa non è lo sport”. Penso che non ci sia punizione peggiore, per un atleta olimpico, che esser portato ad esempio per questo.

Se non l’avessero beccato e avesse vinto, qui penso che sarebbe pieno di gente che lo osanna. Il punto è che lui non è un uomo qualunque: fino a ieri dava lezioni mediatiche pagato profumatamente da una multinazionale alimentare su “come diventar campioni come me allenandosi tanto e mangiando merendine”. Adesso non è che può chiedere di far finta di niente, e di trattarlo come se fosse uno normale. Perché normale non lo é. Io spero che abbia una famiglia e degli amici veri che gli stiano vicino.

Penso che se vai alle olimpiadi e ti ergi a modello per i giovani sportivi, poi fai una cazzata come questa e la paghi. Tanto tra 3 giorni 3 se lo saranno tutti dimenticato.

Penso che tre giorni di gente che ti svalanga merda per un cosa così non sian poi così tremendi, come pena da scontare”.

UN POSSIBILE FUTURO PER SCHWAZER

Io penso, come altri, che ora il “nostro” abbia una gigantesca opportunità. Qualcuno ha scritto che “può riprendere in mano la propria vita ed uscire da una visione contorta di quelle che sono aspirazioni di fama e gloria… Gli sportivi ad alto livello di oggi, altro non sono che delle macchine computerizzate, menti svuotate dalla naturalità e riempite di programmi che mirano ad un unico scopo”.

A mio parere Schwazer deve ficcarsi in testa che non è finita qui, che ora ha il dovere di riscattarsi e redimere lo sport non con le lacrime o scomparendo dalla vita sociale nel maso dei suoi aspettando che passi la maretta, ma usando il suo nome ed il suo passato per cercare di insegnare ai ragazzi che non tutto è lecito in nome del successo, che non possono autodistruggersi sull’altare della gloria o per compiacere qualcuno. CHI VUOLE VOLTAR PAGINA AL PIU’ PRESTO NON LO STA AIUTANDO. L’INDULGENZA INNOCENTISTA NON AIUTA CHI SBAGLIA.
La decisione che dovrebbe prendere – per come la vedo io – è quella di dare il suo contributo per cambiare le cose, perché un certo tipo di mentalità che fa comodo a chi detiene il potere economico e politico sta spingendoci a distruggere ogni residuo di innocenza, di bontà e buona volontà. Schwazer può e deve diventare un ambasciatore di un mondo nuovo, meno corrotto di questo, nello sport e non solo.
Oppure vogliamo continuare fatalisticamente e cinicamente a far finta di niente e farci del male?
Penso che tutti o quasi tutti siano convinti che Alex sia un bravo guaglione. Mi auguro che qualcuno aiuti Schwazer a diventare un modello positivo per tutti, dando un senso costruttivo a tutto questo.

Beppe Grillo può salvare Israele?

 

Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di “Geopolitica”, è stato intervistato da Radio Italia dell’IRIB a proposito delle polemiche recentemente scatenate dall’intervista di Beppe Grillo a un quotidiano israeliano.

Le polemiche scatenate dall’intervista rilasciata a un giornale israeliano dal signor Beppe Grillo appaiono alquanto sorprendenti: esprimere un diverso pensiero su USA e Israele è qualcosa di così strano in Italia?

Questa polemica ha in fondo due dimensioni. La prima è quella politica spicciola. Le cose che Grillo avrebbe dichiarato al quotidiano israeliano sono già state affermate da lui in passato, nei suoi spettacoli (in particolare il discorso sul MEMRI, la società israeliana che egemonizza le traduzioni di notizie dall’arabo per il pubblico occidentale). Il fatto che solo oggi abbiano creato tante polemiche va dunque messo in relazione con la forza elettorale che il suo movimento sta acquisendo. Una polemica creata ad uso e consumo della politica interna, dei giochi di potere tra i partiti italiani.
Entrando nel merito dei contenuti scopriamo la seconda dimensione della questione. Qui in Italia l’informazione, più che in altri paesi occidentali, ama le versioni semplificate, quasi sempre provenienti da Oltreoceano. Ciò dipende da un lato dalla fortissima influenza politico-culturale-informativa degli USA sull’Italia, dall’altro a specifiche carenze dell’informazione, della cultura e dell’accademia italiane, che tende sempre più a proporre modelli semplici per un pubblico che sta perdendo senso critico. Quella varietà di posizioni e di visioni che si poteva ravvisare nell’opinione pubblica italiana fino a qualche decennio fa si sta perdendo. Su moltissimi argomenti – dalla questione palestinese alla politica estera italiana alle strategie degli USA nel Vicino Oriente – si tende a ridurre tutto a un discorso dominante. Anche sull’Iran diventa sempre più difficile trovare delle posizioni equilibrate, che cerchino di porre le questioni in maniera più problematica rispetto al denunciare la “malvagità” intrinseca delle istituzioni persiane. In fondo Grillo non ha fatto un peana per l’Iran: ha semplicemente posto in maniera problematica la condizione femminile (da raffrontarsi non agli standard occidentali, ma a quelli degli altri paesi musulmani) o le dichiarazioni più controverse di Ahmadinejad. Perché questa problematizzazione è vista come inaccettabile e filo-iraniana? Si tratta di una conseguenza della suddetta semplificazione del discorso: quello, diciamo così, “anti-iraniano” è divenuto il discorso dominante, e ciò che vi si discosta è percepito come discorso “estremista” anche se di fatto è più equilibrato.

 

Sembra che criticare Israele sia quasi impossibile in Occidente. Ma il signor Grillo ha anche parlato di “occupazione statunitense dell’Italia”. Quali reazioni ha suscitato questa frase?

Questa frase ha provocato meno sdegno perché non carica della medesima pressione “morale” presente in tutto ciò che riguarda Israele; e l’Iran in questo momento, nel discorso dominante, è solo qualcosa che riguarda Israele e la sua sicurezza. In Occidente quando si parla d’Israele si parla del popolo ebraico, e quando si parla del popolo ebraico si parla della Shoah. Si è così creata una connessione automatica tra Israele e la Shoah. O meglio: è stata creata, e secondo me anche in maniera un po’ artificiale, tramite uno sforzo di soft power condotto da Israele soprattutto negli ultimi decenni, e che si è rivelato molto efficace. Pone infatti una grossa pregiudiziale – potremmo quasi dire un “ricatto morale” – quando si parla di Israele: diventa per molti naturale assumere un atteggiamento “giustificazionista” dell’operato di Tel Aviv e, di converso, esagerare qualsiasi critica o ostilità a Israele come una minaccia vitale alla sua sicurezza, un tentativo di ripetere lo sterminio.

Per gli USA non è presente questa dimensione “morale”. Ciò non toglie però che Washington abbia una fortissima influenza sull’Italia. Un discorso come quello di Grillo incontra molti ostacoli, soprattutto se qualcuno volesse cercare di tradurlo in realtà. Mi spiego: i discorsi di critica verso Israele creano ostilità in se stessi, mentre quelli verso gli USA vedono insorgere i problemi soprattutto quando si passa alla pratica. Un tentativo, magari da parte d’un Movimento V Stelle che acquisisse grosso peso nella politica italiana, di ridurre l’influenza degli USA scatenerebbe una reazione molto forte, che potrebbe assumere varie forme: una campagna stampa internazionale, attacchi speculativi sui mercati, pressioni diplomatiche ecc. Per certi versi queste cose si sono già sperimentate in passato. Le istituzioni italiane sono già state attaccate in passato quando si è provato a ridurre l’influenza degli USA o, in misura minore, della Gran Bretagna (si veda a tal proposito Il golpe inglese di Fasanella e Cereghino, che utilizza documenti d’archivio britannici).

http://italian.irib.ir/analisi/interviste/item/109427-daniele-scalea-all-irib-polemiche-contro-grillo-dovute-a-forza-elettorale-che-sta-acquisendo-il-suo-movimento-audio

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Ribadisco il mio punto di vista. Gli unici veri amici di Israele e degli Ebrei sono quelli che criticano Israele. Gli apologeti sono complici della trasformazione di una nazione democratica in un bullo psicopatico internazionale, che opera clandestinamente oppure con sprezzante improntitudine,  dando comunque sempre l’impressione di essere pronto a tutto per ottenere ciò che vuole – più controllo, più terra, la pulizia etnica dei Palestinesi e la”rimozione” di chiunque si metta sulla sua strada (cf. Arafat). In realtà, come tutti i bulli, è estremamente vulnerabile ed è perennemente sull’orlo di un panico irrefrenabile, al quale risponde cercando un controllo sempre maggiore (e sempre più irragionevole) sulle sue circostanze. Il suo sistema di potere, basato su questa patologica mania di controllo, è un castello di carte che cresce a misura che i vari governi israeliani compromettono ulteriormente la coscienza degli Israeliani destabilizzando, corrompendo, minacciando, ricattando, ecc. Più imponente il castello, più spettacolare sarà il collasso. Ormai nessuno può fermare questa sindrome alla coazione a ripetere gli stessi errori senza imparare mai. Neppure Beppe Grillo, col suo suocero iraniano, che gli consente di sentire entrambe le campane.

Ora, se la cosa riguardasse solo gli Israeliani, si potrebbe anche dire: amen, non è la prima nazione a scavarsi la fossa e non sarà l’ultima (prossima fermata: Stati Uniti). Ma, come ho già scritto altrove, io non sono sicuro che questo processo sia unicamente interno ad Israele e credo invece che ci siano forze visceralmente antisemite in grado di manovrare certi movimenti politici che non avranno troppe remore a perpetrare dei pogrom antisemiti.

Il piano, per quel che mi pare di capire, è quello, classico, di trasformare gli Ebrei in un capro espiatorio incolpandoli di tutto quel che non va nel mondo (es. come se tutti i banchieri fossero ebrei), per poterlo purificare. Siccome Israele ha creato una strettissima identificazione tra se stesso e gli Ebrei, ogni sua colpa ricadrà su tutti gli Ebrei nel mondo, che per di più potrebbero essere imputabili di connivenza con gli interessi finanziari (es. Savi di Sion, plutocrazia israelita ed altre calunnie antisemite).

Che questo sia un risvolto plausibile è dimostrato dal fatto che nei gruppi dove si discute apertamente dei crimini sionisti si finisce troppo spesso per condannare senza appello tutti gli Ebrei e tutti gli Israeliani ed Israele in quanto tale. Non è possibile che questa generalizzazione possa essere spiegata nei termini di un antisemitismo latente che viene rinfocolato incessantemente da abili spin doctor che sfruttano la pressione psicologica generata dalla dissonanza cognitiva citata da Daniele Scalea? Mi riferisco a quel giustificazionismo dovuto alla Shoah che fa sentire la gente sempre più in colpa, sempre più in conflitto con se stessa, sempre più desiderosa di liberarsi della questione sionista che li incomoda?

Allora la domanda che possiamo porci è: l’umanità è davvero così stupida da credere un’altra volta alla stessa menzogna, prendendosela con gli Ebrei e con gli Israeliani per i crimini di certi governanti sionisti e soprattutto per quelli di un’élite post-etnica e post-nazionale che si comporta sempre più psicopaticamente?

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/29/christine-lagarde-e-lfmi-desiderano-una-rivoluzione/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/25/il-criptofascismo-dei-liberalizzatori-e-dei-privatizzatori/

Il passo non è lungo: più Ebrei si trasferiscono in Israele, più sarà facile distruggerli usando Israele come bersaglio e senza rievocare spettri hitleriani, che pure incombono, occultati, sugli Ebrei come su tutti noi.

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