Donata Borgonovo Re e Luca Zeni ritirano la loro candidatura: perché?

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Un, dos, tres, cuatro:
¡Tierra, Cielo!
Cinco, seis:
¡Paraíso, Infierno!
Siete, ocho, nueve, diez:
Hay que saber mover los pies.

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Entriamo nel parlamento per munirci, nell’arsenale della democrazia, delle sue stesse armi. Se la democrazia è così stupida da darci biglietti gratuiti e stipendi per farlo, sono affari suoi. Non veniamo da amici e nemmeno da neutrali. Veniamo come nemici. Noi entriamo nel Reichstag come il lupo entra nell’ovile.
Joseph P. Goebbels

Come si previene questo tipo di evento catastrofico?
Con 68 persone che decidono quale sarà il candidato che dovranno (dovrebbero) votare gli elettori del partito (top down), oppure lasciando che gli elettori ascoltino le ragioni degli uni e degli altri – ragioni nuove, “inaudite”, perché nessuno dei candidati si era mai proposto prima per guidare la Provincia di Trento – e si sentano PARTE IN CAUSA nella campagna elettorale, partecipanti, protagonisti già nella fase che precede il voto (bottom up, come raccomanda Fabrizio Barca)?

Il PD locale (del Trentino) ha deciso di andare controcorrente, invece di venire incontro alla crescente coscientizzazione ed indignazione dei cittadini. Se riuscirà ad evitare una sonora sconfitta sarà solo per la pochezza degli avversari, ossia per mancanza di alternative, che si tradurrà in un alto tasso di astensione. Ma ha comunque dato un pessimo esempio a livello nazionale e l’elettorato locale, invece di votare per una brutta copia dei centristi, finirà per votare per dei centristi veri.

Non solo, se anche Olivi vincesse le primarie di coalizione (che saranno disertate in massa da un elettorato indifferente), la debolezza della legittimazione popolare sarà un’enorme zavorra nelle attività della futura giunta, che si troverà ad affrontare questioni enormemente complicate senza godere di un solido appoggio da parte della società, come invece accade con le primarie di partito per le elezioni presidenziali statunitensi.

Il PD trentino sta mandando l’inesperto Olivi al massacro e un po’ mi dispiace per lui.  Ma, se ha fortuna, vincerà Schelfi, cioè Dellai, e quindi non si brucerà.

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Le considerazioni di Luca Zeni e Donata Borgonovo Re

“Siamo arrivati al termine di un percorso durato quattro mesi e, dopo tante discussioni, è stato deciso che le primarie per la Presidenza della Provincia – quelle vere, dove i cittadini scelgono tra diverse proposte in quale direzione far andare il Trentino del futuro – non ci saranno. Forse perché considerate troppo rischiose, dato che il loro esito non è né prevedibile né controllabile. Potrebbe vincere una proposta diversa da quella precostituita, come insegnano le esperienze di Milano con Pisapia a Milano, di Firenze con Renzi, o di Genova con Doria.

Noi però crediamo in un partito Democratico di fatto, oltre che di nome: un partito aperto, inclusivo, nel quale le persone possano riconoscersi ed appassionarsi al di là della loro provenienza sociale e della loro specifica competenza. Crediamo in un partito di centrosinistra che sia davvero al servizio del Trentino (e del Paese), che costruisca in modo partecipato e trasparente il bene comune, che non si chiuda nel rappresentare gli interessi di qualche categoria soltanto ma che scelga di rappresentare democraticamente tutta la società, fornendo una visione complessiva nella quale possano riconoscersi attivamente donne e uomini, giovani e anziani, deboli e forti, lavoratori e imprenditori, tutti egualmente portatori di dignità, di idee e di proposte significative.

Per questo primarie aperte – capaci di coinvolgere, di aprire una discussione sul futuro, sulle politiche di sviluppo sostenibile, sulla formazione e sulla istruzione, sull’innovazione, sul turismo, sul ruolo delle strutture pubbliche, sulle politiche di accompagnamento sociale, sull’autonomia che crea autonomie – sarebbero state non solo importanti, ma essenziali: sia per dare forza e respiro alla proposta politica offerta dal Pd, sia per coinvolgere effettivamente i cittadini nella scelta del futuro che vorrebbero per il loro, per il nostro Trentino.

Alla fine il candidato del Partito Democratico sarà scelto dall’assemblea provinciale, un organismo di 68 persone, certamente rappresentativo ma che non può sostituirsi alla ben più ampia platea dei 72.000 elettori del PD o degli oltre 500.000 trentini. La scelta non sarà dunque affidata ai cittadini, come previsto dalle regole fondamentali che hanno ispirato la nascita del Partito Democratico e che ne guidano il funzionamento, e questo rappresenta per noi un limite del quale prendiamo atto e che ci costringe ad assumere una decisione chiara. Abbiamo deciso di rimanere coerenti con quelle regole e quello spirito, e quindi oggi annunciamo di non presentare la nostra candidatura: riteniamo di non poter partecipare ad un confronto che si esaurisce all’interno di un organo di partito e che non consente in alcun modo di superare la separazione e la distanza che nel tempo si è creata tra gli apparati dei partiti ed i cittadini. Una distanza che le primarie aperte avrebbero accorciato, se non colmato.

Il nostro impegno è comunque quello di continuare a lavorare perché anche dentro il PD del Trentino diventi maggioranza – come già lo è tra i cittadini – la posizione di chi desidera costruire un Trentino capace di guardare in avanti, partendo dai tanti punti di forza che ci sono ma senza nascondersi né le criticità, né le difficoltà. In un mondo che cambia è dovere di una politica responsabile avere il coraggio di innovarsi e di proporre sempre nuove soluzioni, perché limitarsi a guardare all’indietro, rivendicando le cose buone fatte, non è sufficiente. Quindi pur ritenendo un errore grave quello fatto dalla dirigenza del PD, non potremo che rimetterci alle decisioni che prenderà il partito in ordine al percorso di avvicinamento alle prossime elezioni provinciali, ed a possibili primarie chiuse di coalizione, con la forte speranza che ancora una volta gli elettori sapranno essere capaci di procedere con tenacia e fiducia nel difficile cammino di costruzione della democrazia, dimostrando di avere uno sguardo più aperto e coraggioso.

In conclusione, vogliamo ringraziare con tutto il cuore le tantissime persone che hanno lavorato e stanno lavorando insieme a noi e quelle che in questi giorni ci hanno manifestato il loro sostegno. Comprendiamo la delusione per la scelta di chiusura che è stata fatta, ma siamo certi che sta a noi trasformare questo momento difficile in una utile tappa nel nostro comune cammino per la costruzione di una politica più aperta e semplicemente inclusiva e per la edificazione di un Trentino sempre migliore, nel quale sia per tutti una gioia ed un impegno vivere”.

http://donataborgonovore.com/

Il paese più stupido del mondo, il giorno dopo

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Serata di ieri molto piacevole. Claudio Giunta incontenibile e stimolante. Pubblico folto (tanta gente in piedi) – nonostante il concomitante gran finale di Montalbano – e molto soddisfatto. Meritato applauso finale. Diverse richieste di dare un seguito a questo primo incontro-dibattito (primo per l’associazione Yomoyamabanashi ma anche per me: si fa esperienza, si migliora col tempo).
Non ci sottrarremo perché è facendo cultura e facendolo in modo allettante che si costruisce un Mondo Nuovo (non huxleyano).

Ieri mi sono ripromesso di pubblicare delle citazioni che inquadrano meglio il senso del fare cultura per renderci tutti più umani (= i soldi spesi per la Cultura sono un investimento).
Sono il “movente” della mia partecipazione a questa iniziativa (ciascuno aveva le sue ragioni). Lavorare per contrastare le tendenze alla lobotomizzazione delle facoltà critiche delle persone, aiutandole ad osservare obiettivamente la superficie della cose, scavare in profondità, scandagliare dentro di sé (che è precisamente quel che ha fatto Giunta in Giappone).

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Non è che racconto balle (“ho pescato pesce grosso così” – “la sala era stracolma” – “sono uscito con una tizia bellissima”): la saletta era davvero piena e abbiamo dovuto portar lì altre sedie


ANNI SESSANTA E SETTANTA

Lettera di Aldous Huxley, autore di “Brave New World” (“Il Mondo Nuovo”), a George Orwell, autore di “1984”, risalente all’ottobre 1949, definisce la divergenza tra le visioni del mondo futuro dei due geniali pensatori e scrittori.

[Una curiosità: nel 1917, ad Eton, Huxley aveva insegnato francese ad Orwell, per un breve periodo].

Gentile signor Orwell,

È stato molto gentile da parte sua invitare i suoi editori ad inviarmi una copia del suo libro. […]. Concordando con tutto ciò che i critici hanno scritto di questo libro, non ho bisogno di dirle, ancora una volta, quanto sia splendido e profondamente importante. Posso parlare, invece, di ciò di cui si occupa il libro – cioè a dire la rivoluzione definitiva? Le prime avvisaglie di una filosofia della rivoluzione definitiva – la rivoluzione che sta al di là della politica e dell’economia, e che mira al sovvertimento totale della psicologia dell’individuo e della sua fisiologia – si trovano nel Marchese de Sade, che si considerava il continuatore, il realizzatore di Robespierre e Babeuf. La filosofia della minoranza dominante in “1984” è un sadismo che è stato portato alla sua logica conclusione, andando al di là del sesso e negandolo. Che nella realtà la politica dello stivale schiacciato sul volto possa protrarsi all’infinito sembra dubbio. La mia convinzione personale è che l’oligarchia dominante troverà modi meno ardui e dispendiosi di governare e di soddisfare la sua brama di potere, e questi modi assomiglieranno a quelli che ho descritto in Brave New World (“Mondo Nuovo”).

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Aldous Huxley, The Ultimate Revolution,  intervento al Berkeley Language Center del 20 marzo 1962:

“Se si vuole controllare una popolazione per un lungo periodo di tempo occorre che vi sia una certa misura di consenso, essendo difficile che il terrorismo puro e semplice possa funzionare a tempo indefinito. Esso può anche funzionare per molto tempo, ma io credo che prima o poi sia necessario introdurre un elemento di persuasione, un elemento che spinga le persone ad essere consenzienti a ciò che gli viene fatto.

Io penso che la natura della rivoluzione definitiva che abbiamo di fronte sia precisamente questa: siamo sul punto di sviluppare una serie di tecniche che consentiranno all’oligarchia al potere – che è sempre esistita e probabilmente sempre esisterà – di spingere le persone ad amare la propria schiavitù. Questa è, io credo, una rivoluzione di malvagità definitiva, ed è un problema al quale mi sono interessato per molti anni e su cui ho scritto 30 anni fa un romanzo, Mondo Nuovo, che descrive una società in cui vengono utilizzati tutti gli strumenti disponibili – e alcuni degli strumenti che allora immaginavo sarebbero stati disponibili nel futuro – prima di tutto per standardizzare la popolazione, appiattendo le fastidiose diversità tra gli esseri umani, per creare, diciamo così, modelli di esseri umani prodotti in serie e organizzati in un sistema di classi basato sulla conoscenza scientifica. Da allora mi sono interessato sempre di più a questo problema e ho notato con crescente raccapriccio che un gran numero delle previsioni che sembravano pura fantasia quando le feci 30 anni fa, si sono poi realizzate o sono sul punto di realizzarsi.

Un gran numero delle tecniche di cui parlavo sembrano essere già utilizzate. E sembra che vi sia una corsa generale verso questa rivoluzione definitiva, un sistema di controllo attraverso il quale è possibile far piacere alla gente una situazione che, secondo i normali standard, non dovrebbe piacergli affatto. Questo “apprezzamento della schiavitù”… questo sistema, come dicevo, è in evoluzione da anni e io sono sempre più interessato in ciò che sta avvenendo”.

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Northrop Frye, “Cultura e miti del nostro tempo” (1969)

“Una leggenda medievale narra di anime di morti costrette a marciare notte e giorno, senza una meta, alla massima velocità: quelle che cadono, stremate, ai margini della via si sbriciolano immediatamente in polvere. Sembra la parabola di un tipo di coscienza molto diffuso nel mondo moderno, ossessionato dalla coazione a “tenere il passo”, ridotto alla disperazione dalla velocità sempre crescente del movimento totale. È un tipo di coscienza che chiamerò l’ “alienazione del progresso” (pp. 22-23).

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Jimmy Reid (1932-2010), rettore dell’università di Glasgow, appello agli studenti (1971)

“L’intero processo è indirizzato alla centralizzazione ed alla concentrazione del potere nelle mani di pochi…Tutto ciò che vi viene proposto dal sistema sembra quasi calcolato per ridurre al minimo il ruolo della gente, per miniaturizzare l’uomo…Il nostro scopo dev’essere l’arricchimento della qualità della vita nel suo complesso…coinvolgere le persone nel processo decisionale della nostra società”.

TERZO MILLENNIO

In una classe sudcoreana sei studenti su dieci auspicano attacco della Corea del Nord perché desiderano morire per porre fine alla pressione psicologica dei corsi di studio.

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Claudio Giunta, Il paese più stupido del mondo [11,90 su Amazon]

p. 81: …il super-io sociale continuamente in azione, finisce per trasmettere una sensazione di pericolo, una sensazione che non è legata alla vita nelle strade di Tokyo – dove niente, assolutamente niente di male vi può succedere – ma alla vita in sé, all’essere in vita. È come se la vita fosse un carico così pesante che, per reggerla, per mantenerla sui binari giusti, occorresse uno sforzo sovrumano, lo sforzo coordinato di tutti. E per alleggerirlo, questo sforzo, per renderlo tollerabile, ecco le cautele, le attenzioni, i regalini, i pacchettini, la gommapiuma intorno agli oggetti, l’adesivo sul coperchio della lavatrice della foresteria che dice “an automatic washing machine for wonderful guests”.

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Claudio Giunta “L’assedio del presente”
“Una rivoluzione che sostituisce la scrittura con immagini da guardare o materiali da ascoltare, che mette la passività al posto dell’attenzione, che si disinteressa del futuro e vive nell’istante, che non si cura della comunità e del bene pubblico, che trasforma la cultura in merce”.

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“La maggior parte dei posti di lavoro non tornerà mai più, e altri milioni rischiano di scomparire, dicono gli esperti che studiano il mercato del lavoro…Vengono cancellati dalla tecnologia…Per decenni, la fantascienza aveva avvertito di un futuro in cui saremmo stati responsabili della nostra obsolescenza, sostituiti dalle nostre macchine. Quel futuro è arrivato”.

Associated Press, “Middle-class jobs cut in recession feared gone for good, lost to technology”, 18 gennaio 2013

Il paese più stupido del mondo – incontro-dibattito (6 maggio, Trento)

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L’associazione culturale italo-giapponese “Yomoyamabanashi – 4 ciacere” è lieta di invitarvi ad un incontro-dibattito dal titolo:

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“Il paese più stupido del mondo”

con Claudio Giunta,

docente di Letteratura italiana all’Università di Trento

e Stefano Fait,

antropologo e politologo

lunedì 6 maggio alle ore 20:30

a Trento, presso il Café de la Paix
passaggio Teatro Osele 6/8

 https://www.facebook.com/pages/Caf%C3%A9-de-la-Paix-Trento/172033196275003

Non ci può essere autentica democrazia se l’opinione pubblica non è sufficientemente istruita. L’analfabetismo di ritorno ci rende incapaci di comprendere la realtà e difenderci dagli abusi.

Ma cosa vuol dire essere istruiti?

In una classe sudcoreana sei studenti su dieci sperano in un attacco della Corea del Nord perché desiderano morire per porre fine alla pressione psicologica causata dalle esigenze di studio.

Gli studenti con le migliori performance del mondo si trovano molto spesso in nazioni che hanno alti tassi di suicidio e bullismo.

All’estremo opposto, David Gilmour (Pink Floyd), famoso anche per le sue severe critiche al modello educativo inglese, ha dovuto ritirare i suoi figli da una delle migliori scuole steineriane inglesi perché, in un mondo dominato da un sistema formativo standard, si sentivano dei disadattati.

Che fare?

Ne parliamo con Claudio Giunta, docente di letteratura italiana all’Università di Trento, che ha insegnato in Marocco, in Australia, negli Stati Uniti e, ciò che più ci interessa, a Tokyo. Sulla scorta della sua esperienza didattica giapponese, ha scritto “Il paese più stupido del mondo” (Il Mulino), un confronto tra i vizi e le virtù della società giapponese e di quella italiana: ha concluso che i due modelli rappresentano “due tipi opposti di stupidità, due lussuosi fallimenti”.

Dialogherà con Stefano Fait, autore di “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso”.

Associazione culturale italo-giapponese “Yomoyamabanashi – 4 ciacere”

cellulare: +39 345  7866166 (Stefania Da Pont)

http://www.yomoyamabanashi.it/

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Il paese più stupido del mondo

di Claudio Giunta

Ho scritto un libretto sul Giappone, l’Italia e altre cose che si chiama “Il paese più stupido del mondo” (Il Mulino, 14 euro). Il paese più stupido del mondo non è il Giappone, naturalmente. Comincia così:

Nell’inverno del 2008 mi hanno invitato ad andare per due mesi a Tokyo, aprile-maggio 2009, per fare due corsi all’università, la prestigiosa The University of Tokyo. «Mettiamo l’articolo per distinguerla dalle altre che ci sono in città», mi spiegano il giorno del mio arrivo. Ho accettato subito non per il prestigio (non c’è nessun prestigio, il prestigio è un’idiozia) e non per i soldi (pochi) ma perché (1) starci due mesi è l’unico modo per capire qualcosa del Giappone, cosa che probabilmente si può dire e si dice di qualsiasi luogo del pianeta, ma per il Giappone di più; e perché (2) volevo prendermi una vacanza dall’Italia, un paese in cui sembra che tutti quanti si siano messi d’accordo per fare ogni cosa alla cazzo di cane.
Questo non piacevole aspetto dell’«identità nazionale» (non c’è nessuna identità nazionale, l’identità nazionale è un’idiozia) mi aveva spinto, negli ultimi anni, su posizioni non destrorse, oh no, ma diciamo di conservazione intelligente, posizioni fraintese da qualcuno dei miei amici meno benevoli come segno di involuzione, passatismo, misoneismo, e da qualcun altro addirittura come segno di stronzaggine. E insomma volevo, voglio un paese in cui al posto della sacrosanta libertà individuale non ci sia la licenza di fare tutto quel che viene in mente di fare, in cui il bene pubblico conti più del piacere privato, un paese con meno furbizia e più lealtà, più regole e meno illegalità, la repressione degli istinti al posto della loro mobilitazione da parte dei demagoghi, le buone maniere al posto della scortesia, le gonne sotto il ginocchio e via dicendo.
Insomma, la civiltà: una bella civiltà repressiva e funzionante. Non potendo tornare nella Vienna di fine Ottocento, il Giappone sembrava la realtà più prossima al mio sogno. E dunque.

Metterei anche il resto, ma l’editore non sarebbe contento.

http://www.claudiogiunta.it/2007/09/il-paese-piu-stupido-del-mondo/

N.B. Giunta ha poi scoperto cosa significhi vivere in una “bella civiltà repressiva e funzionante” ;oD

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TRACCIA INTEGRALE

In tutto il mondo si domanda a gran voce più democrazia partecipata ma, contemporaneamente, una grossa fetta dell’opinione pubblica non sembra ancora capace di decidere con cognizione di causa in vista dell’interesse generale.

Per di più ci ritroviamo con alti tassi di suicidio, violenza, bullismo e violenza domestica: troppi non sanno adattarsi ad una società in rapido cambiamento e reagiscono distruttivamente. Un recente sondaggio indica che “è quasi raddoppiata la quota di giovani altoatesini disposti ad utilizzare anche la forza fisica per far valere i propri interessi” (Ausserbrunner et al. 2010).

La promessa dell’era tecnologica era che la tecnologia ci avrebbe affrancato dai compiti più ingrati e permesso di sperimentare attività ricreative e creative, alla scoperta delle nostre potenzialità inesplorate.

Invece il tasso di disoccupazione continua ad aumentare, la stagnazione culturale è un dato innegabile, l’analfabetismo di ritorno ci infantilizza, l’indebitamento e il precariato ci imprigionano.

Nick Connelly, insegnante di inglese nella Corea del Sud, poco prima di tornare in patria, quando era già in corso l’escalation di minacce e contro-minacce tra Corea del Nord e Stati Uniti, ha chiesto ai suoi studenti quali siano i loro sentimenti: sei studenti su dieci gli hanno risposto che speravano in un attacco della Corea del Nord perché desideravano morire, non ce la facevano più. Connelly riferisce che è un fenomeno diffuso nelle scuole coreane, dove la pressione competitiva è incredibile, in un paese con il più alto tasso di suicidio del mondo (Nick Connelly, The west seems more concerned about North Korea than most Koreans, Guardian, 14 April 2013).

Gli studenti con le migliori performance del mondo si trovano in Cina, Corea del Sud, Singapore, Hong Kong, Finlandia, Canada, Nuova Zelanda, Giappone. A parte Canada e Nuova Zelanda, sono tutte nazioni con altissimi tassi di suicidio.

A Singapore, su oltre 600 ragazzini tra i 6 ed i 12 anni, il 22% ha dichiarato di avere l’intenzione di suicidarsi o di averci pensato in passato. Un quinto degli scolari soffre di depressione.

Un giovane studente giapponese, citato dalla filosofa ed educatrice giapponese Naoko Saito (Università di Kyoto), ci spiega la ragione dei suoi crucci: “La società di oggi non accetta facilmente la mia esistenza…Se mi guardo attorno, non c’è un luogo dove mi senta accettato. Non c’è qualcuno con cui poter parlare della domanda filosofica più importante: ‘Perché viviamo?’. Le menti dei miei compagni di scuola sono troppo impegnate a preparare i test d’ingresso alle scuole superiori e non si possono permettere di parlare delle apprensioni del cuore. Nell’educazione contemporanea si pone l’accento sul come realizzare l’obiettivo di passare il test d’ingresso piuttosto che discutere di questioni relative alla dignità umana. Non si capisce quanto importante sia pensare e parlare dei problemi della vita”.

All’estremo opposto David Gilmour (Pink Floyd), famoso anche per le sue critiche al sistema educativo inglese, ha dovuto ritirare i suoi figli da una delle migliori scuole steineriane inglesi, perché in un mondo dominato da un sistema educativo standard, si sentivano dei disadattati.

Che fare?

Ne parliamo con Claudio Giunta, docente di letteratura italiana all’Università di Trento, che ha insegnato in Marocco, in Australia, negli Stati Uniti e, ciò che più ci interessa, a Tokyo. Sulla scorta della sua esperienza didattica giapponese, ha scritto “Il paese più stupido del mondo”, un confronto tra i vizi e le virtù della società giapponese e di quella italiana: ha concluso che i due modelli rappresentano “due tipi opposti di stupidità, due lussuosi fallimenti”.

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