“Meglio vedere quello che ci accadrà e resistere, piuttosto che ritirarci nelle fantasie condivise da una nazione di ciechi”.

 

Chris Hedges, corrispondente di guerra e premio Pulitzer, è autore di un magnifico studio della psicologia umana alle prese con la fascinazione per la violenza. La traduzione italiana è intitolata “Il fascino oscuro della guerra” e la consiglio a tutti.

Qui descrive la condizione umana al crepuscolo della nostra civiltà e il senso ultimo di questo e di altri blog.

Hedges coglie quella tragica verità che continuiamo ad ignorare a nostro rischio e pericolo: l’unica maniera per salvarci è uscire almeno occasionalmente dalla modalità egocentrica e, per farlo, dobbiamo fare attenzione a quel che ci circonda. Un bimbo ipnotizzato dalla caccia al piccione si farà arrotare da un’auto piuttosto che interrompere quel che sta facendo. Ma gli adulti sono radicalmente diversi? Avete notato come se siete in bici in una zona pedonale dove è permesso circolare in bicicletta la gente non si sposta? Avete notato quante persone non vi aiutano quando state spostando un oggetto pesante perché non è la loro mansione? Se non facciamo attenzione a quel che accade ed al nostro prossimo saremo eterne vittime delle menzogne, delle manipolazioni e dell’effetto cumulato di milioni di egotismi. È un compito ingrato perché la gran parte del tempo pensiamo ed agiamo meccanicamente. È a questo che servono gli amici: a farci notare quel che da soli non riusciamo a notare. Fungono da specchio e noi facciamo lo stesso con loro. Prendiamo coscienza di quel che non va in noi e così apriamo un pertugio per far uscire quel che di meglio c’è in noi. Ma senza attenzione tutto questo non è possibile e ci sarà sempre iniquità.

Scrivevo in un precedente post: “Seth L. Schein (1996) nota perspicacemente che l’Odissea è piena zeppa di personaggi che si dimenticano le cose, non pongono attenzione a quello che fanno, si formano una valutazione superficiale ed estremamente arbitraria della realtà e per questo falliscono e periscono. Il loro è un fallimento morale e pratico: vengono tutti puniti per aver preteso ciò che non spettava loro, per aver sottratto indebitamente i mezzi di sostentamento altrui senza dare nulla in cambio, per essersi comportati empiamente e parassitariamente”

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/22/amleto-e-lingiustizia-iniquita/

Ecco il pezzo di Hedges.

“Le culture che durano dedicano un spazio riservato a coloro che mettono in dubbio e sfidano i miti nazionali. Artisti, scrittori, poeti, attivisti, giornalisti, filosofi, ballerini, musicisti, attori, registi e ribelli devono essere tollerati se una cultura vuole evitare il disastro. I membri di questa classe artistico-culturale, che solitamente non sono benvenuti nelle stordenti aule accademiche dove trionfa la mediocrità, fungono da profeti. Sono allontanati o etichettati come sovversivi delle elite del potere, perché non condividono il narcisismo collettivo dell’autoesaltazione. Essi ci obbligano ad affrontare tesi mai prese in considerazione, quelle per cui andremmo verso la distruzione se non le affrontassimo.

Essi ci presentano le elite governanti come false e corrotte. Essi manifestano l’insensatezza di un sistema basato sull’ideologia della crescita senza fine, dello sfruttamento continuo e della costante espansione. Ci ammoniscono del veleno del carrierismo e della futilità di ricercare la felicità accumulando benessere.
Ci mettono faccia a faccia con noi stessi, dall’amara realtà della schiavitù e delle leggi Jim Crow (*) alla strage omicida dei nativi americani, alla repressione dei movimenti operai, alle atrocità commesse dalle guerre dell’impero, all’assalto all’ecosistema. Ci rendono insicuri dei nostri valori. Loro mettono in discussione i cliché che utilizziamo per descrivere la nazione – il paese dei liberi, il miglior paese della Terra, il faro della libertà – per mettere in luce i lati oscuri, i crimini e l’ignoranza. Essi ci offrono la possibilità di una vita piena di significato e la capacità di avviare un cambiamento.

Le società civili vedono quello che vogliono vedere. Da una miscela di fatti storici e fantastici, creano miti di identità nazionale. Ignorano i fatti spiacevoli che disturbano l’auto-esaltazione. Credono ingenuamente nella nozione del progresso lineare e nella certezza del potere nazionale. Ecco su cosa si basa il nazionalismo: sulle bugie. E se una cultura perde la capacità di pensiero ed espressione, se realmente mette a tacere le voci dissidenti, se si rinchiude in quello che Sigmund Freud chiamava “ricordi di copertura”, un miscuglio rassicurante di fatti e finzione, allora quella cultura muore. Si arrende il suo meccanismo interno di blocco delle auto-illusioni. Dichiara guerra alla bellezza e alla verità. Abolisce il sacro. Trasforma l’educazione in un corso di formazione professionale. Ci rende ciechi. E questo è ciò che è avvenuto. Ci siamo persi in alto mare durante la tempesta. Non sappiamo dove ci troviamo. Non sappiamo dove stiamo andando. E non sappiamo cosa ci capiterà.

Lo psicoanalista John Steiner chiama questo fenomeno “chiudere un occhio”. Fa notare che spesso abbiamo la possibilità di avere conoscenze adeguate, ma poiché è spiacevole e sconcertante decidiamo inconsciamente, e spesso consciamente, di ignorarle. Usa la storia di Edipo per sostenere la sua affermazione. Sostiene che Edipo, Giocasta, Creonte e il “cieco” Tiresia si rendevano conto della verità del parricidio di Edipo e del suo matrimonio con la madre, come era stato profetizzato, ma lo avevano ignorato di comune accordo. Anche noi, scrisse Steiner, chiudiamo un occhio sui pericoli che dobbiamo affrontare, nonostante le numerose prove che, se non riconfigureremo radicalmente il nostro rapporto con la Natura, la catastrofe sarà assicurata. Steiner descrive una verità psicologica profondamente sconcertante.

Io ho riscontrato questa stessa capacità collettiva di auto-illusione tra le élite cittadine di Sarajevo e poi a Pristina, durante le guerre in Bosnia e in Kosovo. Queste raffinate élite si rifiutavano categoricamente di credere che la guerra fosse un’eventualità possibile, sebbene gli atti di violenza fra bande armate avversarie avessero già iniziato a lacerare il tessuto sociale. Durante la notte si potevano sentire gli spari. Ma loro furono gli ultimi a “venirne a conoscenza”. E anche noi siamo auto-illusi allo stesso modo. La prova tangibile della decadenza nazionale – lo sgretolarsi delle infrastrutture, l’abbandono delle aziende e di altri posti di lavoro, le file di negozi distrutti, la chiusura di librerie, scuole, stazioni dei pompieri e uffici postali – che vediamo accadere sotto i nostri occhi, passano in realtà inosservati. Il rapido e terrificante deterioramento dell’ecosistema, provato dall’aumento delle temperature, dalle siccità, dalle alluvioni, dai raccolti distrutti, le perturbazioni anomale, lo scioglimento dei poli e l’aumento dei livello dei mari, vanno perfettamente d’accordo con il concetto di “chiudere un occhio” formulato da Steiner.

Edipo, alla fine dell’opera di Sofocle, si strappa gli occhi e con sua figlia Antigone come guida viaggia nel paese. Una volta re, diventa uno straniero in un paese sconosciuto. Muore, come dice Antigone, “in un paese straniero, ma un paese che aveva desiderato ardentemente.” William Shakespeare in “Re Lear” gioca sullo stesso tema della vista e della cecità. Chi ha gli occhi, in “Re Lear”, non è capace di vedere. Gloucester, cui sono stati cavati gli occhi, nella sua cecità si vede svelata una verità. “Io non ho strada, e perciò non ho bisogno degli occhi”, afferma Gloucester dopo essere stato accecato.
“Ho inciampato quando ho iniziato a vedere”. Quando Lear bandisce la sua unica figlia legittima, Cordelia, che lui accusa di non amarlo abbastanza, Lear urla: “Sparisci dalla mia vista!” A cui Kent replica: Guarda meglio, Lear, e lascia che io rimanga ancora il vero punto di mira dell’occhio tuo.

La storia di Lear, così come la storia di Edipo, riguarda l’acquisizione della visione interiore. Riguarda l’etica e l’intelletto accecati dell’empirismo e dalla vista. Riguarda la visione dell’immaginazione umana, come diceva Blake, quale manifestazione dell’Eternità. “L’Amore senza immaginazione è morte eterna.”

L’allievo Shakespeariano Harold Goddard scrisse: “L’immaginazione non è la capacità di creare illusioni; è la facoltà grazie alla quale ogni uomo apprende la realtà.” L’illusione si scopre essere realtà. “Fai che la fede soppianti la realtà”, dice Starbuck in “Moby-Dick”.

“E’ solo il nostro assurdo pregiudizio ‘scientifico’ che la realtà debba essere fisica e razionale che ci rende ciechi di fronte alla realtà”, ammoniva Goddard. Come scrisse Shakespeare, ci sono “cose invisibili alla vista dei mortali“. Ma queste cose non sono professionali, fattive o empiriche. Non possono essere ritrovate nei miti nazionali di gloria e potere. Non si possono ottenere con l’imposizione. Non giungono per apprendimento o ragionamento logico. Sono intangibili. Sono le realtà della bellezza, del dolore, dell’amore, della ricerca del significato, della lotta per fronteggiare la mortalità di noi stessi e l’abilità di affrontare la realtà. E le culture che disprezzano queste forze immaginative commettono suicidio. Non possono vedere.

Come potrà a questa rabbia opporsi la bellezza,” scrisse Shakespeare, “che non è più forte di un fiore?L’immaginazione umana, la capacità di avere visioni, di costruire una vita di significato piuttosto che di utilitarismi, è delicata come un fiore. E se viene soffocata, se uno Shakespeare o un Sofocle non vengono più ritenuti utili in un mondo empirico di affari, carrierismo e potere, se le università ritengono che un Milton Friedman o un Friedrich Hayek siano più importanti per i loro studenti, piuttosto che una Virginia Woolf o un Anton Cechov, allora diventiamo barbari. E così ci assicuriamo l’estinzione. Gli studenti cui viene negata la saggezza dei grandi oracoli della civiltà umana – visionari che ci esortano a non adorare noi stessi, a non inginocchiarci di fronte all’infima emozione della cupidigia – non possono ritenersi istruiti. Non possono pensare.

Per pensare, come aveva già capito Epicuro, dobbiamo “vivere appartati”. Dobbiamo costruire mura per tenere lontani le ipocrisie e il chiasso della folla. Dobbiamo ritirarci in una cultura a base letteraria, dove le idee non sono deformate dai rumori e dai cliché che abbattono il pensiero. Il pensiero è, come scrisse Hannah Arendt, “un dialogo silenzioso tra me e me stessa”. Ma il pensiero, scrisse, presuppone sempre la condizione umana della pluralità. Non ha alcuna funzione utilitaristica. Non ha un fine o uno scopo esterno a se stesso. Differisce dal ragionamento logico, che è incentrato su un scopo definito e identificabile. Il ragionamento logico, gli atti di cognizione, promuovono l’efficienza di un sistema, incluso il potere commerciale, che solitamente è moralmente neutro nel migliore dei casi, se non malvagio, come spesso accade. L’incapacità di pensare, scrisse la Arendt, “non è una debolezza di molti cui manca la capacità cerebrale di farlo, bensì un possibilità eventuale per chiunque – scienziati, studenti e non si escludono altri specialisti in attività intellettive.”

La nostra cultura commerciale ci ha effettivamente separato dall’immaginazione umana. I nostri strumenti elettronici si insinuano sempre più in profondità negli spazi che un tempo erano riservati alla solitudine, alla riflessione e al privato. Le nostre radio sono piene di baggianate e assurdità. L’istruzione e le comunicazioni disprezzano le discipline che ci permettono di vedere. Celebriamo mediocri capacità professionali e i ridicoli requisiti di test standardizzati. Abbiamo condotto in disgrazia chi pensa, inclusi molti insegnanti di materie umanistiche, cosicché non possano trovare occupazione, né sussistenza, né visibilità. Seguiamo il cieco nel precipizio. Facciamo guerra a noi stessi.

La vitale importanza del pensiero, scrisse la Arendt, appare solo “in tempi transitori, quando l’uomo non si affida alla stabilità del mondo e al suo ruolo in esso, e quando le domande riguardanti le condizioni generali della vita umana, che come tali ci seguono dall’apparizione dell’uomo sulla terra, acquistano inconsueta intensità emotiva.”. E’ proprio nei momenti di crisi che abbiamo bisogno dei nostri pensatori e dei nostri artisti, ci ricorda la Arendt, perché ci forniscono racconti sovversivi che ci permettono di tracciare un nuovo corso, uno che ci possa assicurare la sopravvivenza.

“Quando erediterò la vita eterna?” Fyodor Pavlovich Karamazov, citando la Bibbia, chiede a Padre Zossima ne “I fratelli Karamazov”. A cui Zossima risponde: “Prima di tutto, non mentire a te stesso“.

Ed è qui il dilemma che dobbiamo affrontare come civiltà. Ci dirigiamo collettivamente verso l’autodistruzione. Il capitalismo commerciale, se lasciato a briglia sciolta, ci ucciderà. Ciò nonostante, rifiutiamo di vedere cosa ci accadrà, perché non possiamo pensare né ascoltare ancora quelli che pensano, per capire cosa ci aspetta. Abbiamo creato meccanismi di intrattenimento che offuscano e mettono a tacere la verità nuda e cruda, dal cambiamento climatico al collasso della globalizzazione, alla schiavitù del potere commerciale, il che significa per noi autodistruzione. Se non possiamo fare nient’altro dobbiamo, come individui, alimentare il dialogo privato e la solitudine che sviluppano il pensiero. Meglio essere un emarginato, uno straniero nel proprio paese, piuttosto che emarginati da se stessi. Meglio vedere quello che ci accadrà e resistere, piuttosto che ritirarci nelle fantasie condivise da una nazione di ciechi.

Chris Hedges

Fonte: www.truthdig.com/

Link
09.07.2012

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10672

Heiliges Land Tirol / Fratelli d’Italia

 

Estratto da Stefano Fait e Mauro Fattor, “Contro i miti etnici: alla ricerca di un Alto Adige diverso“, Raetia, 2010, 224 pagine.

Ti sei mai chiesto cosa sia questa patria, questa nazione? Pure invenzioni di un piccolo gruppo di sciagurati che vogliono governare sui popoli! Quando la Terra venne creata non fu suddivisa in nazioni! …poi vennero gli uomini, con le loro strampalate idee di possedere il territorio, dimenticando, inoltre, che su questa Terra, mentre lei permane, noi veniamo e ce ne andiamo.

Mario Martinelli

 

Dopo lo spettacolare fallimento della moralità convenzionale (di stampo comunitario) nel corso del secolo scorso, la mansueta, meccanica identificazione dell’individuo ad una collettività, sia essa un’etnia, una patria o una corporazione, è estremamente problematica e va trattata come ogni altra forma di idolatria o tribalismo, ossia con il più lucido scetticismo. L’Heimat è un territorio dell’immaginario, non un’entità naturale. Gli esseri umani fanno già abbastanza fatica a non fuggire da se stessi per paura di essere inadeguati e a non essere prevenuti nei confronti degli sconosciuti per paura di scottarsi l’anima: indurli ad amare una finzione che esalta le differenze verso l’esterno ed annulla l’unicità di ciascuno di noi è irresponsabile.

Dunque il valore dell’Heimat/Patria non solo non esercita effetti virtuosi sulla società civile, ma addirittura la danneggia, sia a livello morale sia a livello pratico. Vediamo meglio come e in che misura ciò avvenga nel contesto altoatesino. C’è una significativa testimonianza di Bernhard Pircher che fu intervistato dalla rivista “UnaCittà” quando aveva 19 anni ed era membro della compagnia di Schützen venostana di Glurns/Glorenza (Pircher 1997). Illustrando le ragioni che lo avevano indotto a diventare uno Schütze, Pircher spiega che “Quello che mi affascinò di più era questo essere dalla parte della Heimat, delle tradizioni, della religione e anche del bisogno di coesione, il fatto cioè che ci si raduni per le celebrazioni pubbliche e per marciare insieme. L’ammissione nella compagnia degli Schützen di un nuovo membro deve essere unanime”. Questa scelta fu resa più facile da un evento particolarmente spiacevole, una rissa con degli italiani per futili motivi. Così Pircher confessava di essere stato per lungo tempo anti-italiano: “Adesso però la vedo diversamente. Anche gli italiani sono esseri umani e hanno quindi molto in comune con noi”. Una frase che chiarisce meglio di dozzine di saggi la natura disumana e de-umanizzante, per entrambi i gruppi etnici, della separazione etnica in vigore nella Heimat altoatesina, specialmente per i giovani, inesperti e quindi estremamente influenzabili. E l’Heimat? Cos’era l’Heimat per quel giovane Schütze della Val Venosta? “Heimat è quel luogo in cui ci si sente “a casa”. Qui da noi ci si conosce tutti. Ci si saluta anche se non ci si conosce e si ha fiducia negli altri…Heimat è per me lì dove si sta volentieri. Io nella mia terra posso fare le cose che amo fare…Nella mia Heimat io ho l’aria pura e un ambiente quasi incontaminato, che rispetto”. Per Pircher l’Heimat non è chiusa ai forestieri: “Essa è per tutti, questo lo voglio ben sperare. Anche per quegli italiani che sono nati qui. Io vorrei anche che ognuno si prendesse cura di questa Heimat, anche delle sue tradizioni. Quando ad esempio si preparano i fuochi per il “Sacro Cuore di Gesù”, è bello perché vecchi e giovani si incontrano, salgono insieme sulla montagna e condividono il piacere di queste tradizioni. Si ascoltano storie di tempi passati, e quando poi bruciano i falò, si sente dentro di sé una gioia e un senso di comunione così unico e profondo. Tutti aiutano, tutto il paese si dà da fare affinché queste feste riescano bene. È anche un modo per incontrare persone che altrimenti non si incontrerebbero. È un’alternativa al solito bar, e magari pure alla discoteca in cui i più vecchi in ogni caso non vanno. Anche questi incontri sono Heimat”. O forse no. Forse l’idea di Heimat è una sovrastruttura del tutto superflua. Tant’è che in italiano basta dire – “sentirsi a casa” – senza tanti fronzoli mistici politicamente manipolabili. Heimat non è l’unica risposta, o la migliore, allo spaesamento da globalizzazione. Il paesaggio emotivo tedesco non è poi così diverso da quello latino o slavo. Così in Trentino si possono fare le stesse cose e provare le stesse sensazioni senza che la mente chiami in causa come un automatismo del tipo “stimolo-risposta” la nozione di patria/Heimat. C’è chi si è chiesto come mai una parte del mondo germanico sia così fermamente aggrappata a questa idea di Heimat. Ad esempio Peter Blickle, docente di germanistica presso l’Università del Michigan, ritiene (Blickle 2002) che essa nasca dalla fusione di Romanticismo ed anti-Illuminismo e che il bisogno psicologico derivi in primo luogo dal desiderio di ricavarsi uno spazio idealizzato e protettivo, un’appartenenza di tipo neo-tribale percepita come naturale nella quale perdersi. È una provincia dello spirito che è emanazione di una spiritualità provinciale, locale e che impregna una “individualità collettiva” che “rassicura i germanofoni circa il loro valore, identità e unicità” (Blickle, op. cit., 50). Il sé, come detto, si perde nell’Heimat e diviene un sé diverso da quello descritto da Freud, un sé “preconscio, dipendente dal gruppo e sociale…bisognoso di radici. Un sé sradicato è percepito come sminuito o guastato” (ibidem, 69) che confonde persone e cose, l’errore ontologico del pensiero magico-superstizioso che un tempo si chiamava idolatria pagana.In passato quest’invenzione del pensiero umano è servita a tenere in piedi un sistema di valori, poteri e rapporti umani fortemente lesivo della dignità delle donne e discriminatorio nei confronti dei bambini e delle minoranze.

Inoltre l’aura di innocenza che spira attorno all’Heimat è saldamente legata alla semplice e perniciosa equazione di bello e buono. Se l’Heimat è un idillio di bellezza, innocenza e purezza, allora chi la ama è buono ed irreprensibile per definizione. Anzi, è un eletto. Non è quindi per nulla sorprendente che l’Heimat sudtirolese attiri le personalità narcisistiche. Tutti, anche se in misura diversa, siamo affetti da narcisismo. Il militante etnicista o patriottico va oltre, dando libero sfogo alla sua immaginazione ipertrofica. In talune circostanze la discrepanza tra realtà e immaginazione è tale che questo tipo di narcisista inveterato trova arduo non provare disgusto per ciò che stona, fosse pure una certa classe di esseri umani. Dimostra povertà di spirito e scarsa empatia, tratta gli altri come oggetti utili ad alimentare il proprio bisogno narcisistico, si chiude autisticamente nel suo bozzolo di certezze, nel suo personale universo di riduzionismi che lo deresponsabilizzano e spostano la colpa sui difetti congeniti degli altri. Necessita di ordine e chiarezza e li può trovare nella superstizione del gene onnipotente, della tradizione ordinatrice, dell’identità totalizzante e neo-tribale, cioè nell’idea in quanto tale, immacolata ed omogenea. Il Südtirol o l’Italia come filo a piombo dell’anima (Stecher 2008). Un’idolatria che è anche un terribile auto-inganno e che bolla come minaccia tutto ciò che contamina la purezza dell’idea, arrivando a negare la realtà, come nel risibile “no a un’Italia multi-etnicadi Berlusconi. Se questa minaccia non è opportunamente neutralizzata la condanna è all’alienazione. Un inconscio processo di alienazione è già comunque in atto, perché il narcisista immaginifico è già schiavo delle sue idee fisse. I totalitarismi altro non sono che manifestazioni su vasta scala del medesimo fenomeno, vere e proprie epidemie di narcisismo. Ciò potrà sembrare strano per chi è abituato, erroneamente, a pensare al narcisismo in termini di egocentrismo ed eccessivo amor proprio. In realtà il narcisista, se privato della sua sorgente di conferme e rassicurazioni, si sente vuoto e depresso, inutile, senza scopo, amorfo, ansioso ed insicuro. Soffre di considerevoli oscillazioni nell’autostima e può arrivare a credere che la vita non sia degna di essere vissuta. Per evitare questo tragico epilogo sente l’impulso di aggrapparsi ad una qualche figura o idea dominante che fornisca un sostegno solido. Anela la fama e l’ammirazione, perché queste portano con loro l’universale approvazione. Se non può conseguirla si attacca al culto della celebrità. Molti binomi padrone-servo potrebbero essere tranquillamente invertiti, perché entrambi sono narcisi ed hanno bisogno di quel tipo di rapporto patologico più di quanto necessitino di un certo status. È il vuoto interiore, l’inautenticità, la perdita di senso, l’incertezza del futuro che paventano più di ogni altra cosa. La superficialità non è un problema, il narcisista è in ogni caso antropologicamente pessimista, il suo pensiero non è mai profondo – è arendtianamente banale –, né lo è la sua stima nei confronti degli altri esseri umani, che non sono mai davvero suoi simili e per questo possono essere ordinatamente incasellati in categorie arbitrarie. Il feticismo, l’illusionismo nella sua accezione più ampia è il vizio caratteristico del narcisista. Non potendo contare su una vita ultraterrena, esorcizza lo spettro della morte concentrandosi sull’immagine e sull’idea – la Patria, l’Etnia –, rendendole immortali, e si autoipnotizza, dissipando il suo potenziale. Il suo amor proprio è dunque fragilissimo e la concentrazione su di sé in realtà è molto precaria e può mutarsi molto facilmente in attaccamento fanatico ad un movimento e ad un leader che incarnino le idee fisse che danno senso alla sua esistenza, almeno provvisoriamente. Insomma il narcisista non è autonomo ed indipendente, non ha alcun serio controllo sulla sua esistenza. Al contrario è eterodiretto, e si lascia facilmente assimilare da fazioni, sette, tribù, razze, campanilismi, integralismi e militanze varie, riflessi distorti della realtà. Si intossica di lusinghe, vezzeggiamenti, adulazioni, apprezzamenti di un sé illusorio, falso e privo di valore, che ha bisogno di ripetute conferme e le trova nella grandezza del Gruppo. È una comparsa nella sua vita, non il protagonista, anche se non se ne rende conto e profonde impegno e risorse per rinsaldare ancora di più questo stato di cose.

Oggi, in Alto Adige come in gran parte dell’Europa, la logica etnarchica, – essenzialmente narcisistica – che antepone il particolare all’universale sacrificando il motto Liberté, Égalité, Fraternité sull’altare della Cultura e dell’Identità, è sopravvissuta alla sconfitta del nazismo e del comunismo. Si è tornati a parlare di identità naturali, anche se nessuno ha saputo ancora spiegare cosa ci sia di naturale e di univoco in queste identità. D’altronde quello identitario non è un appello alla ragione, ma alle emozioni, ai sensi di colpa ed alla paura di chi, sentendosi in dovere di appartenere “anima e core” ad un insieme più ampio, non si sente di poter affrontare il giudizio altrui e l’ostracismo degli altri membri del gruppo. La moda etnarchica non va però affrontata in modo sbrigativo. Non è un atavismo incontrollabile ma piuttosto un nobile stimolo umano primordiale (quello al raggruppamento ed alla condivisione di sforzi ed aneliti) che può essere male indirizzato, nel qual caso trova pretesti e razionalizzazioni eminentemente moderne quando il modello universalista segna il passo, cioè ad ogni seria crisi internazionale o sotto la spinta dell’immigrazione di massa.

Essa rimane una strategia fallimentare sotto ogni punto di vista. A livello etico perché non rispetta la dignità intrinseca e l’autonomia delle persone e dissimula la loro unica, comprovabile appartenenza, quella alla specie umana. A livello pratico perché non esiste alcun modo per tenere sotto controllo le forze centrifughe ed atomizzanti messe in moto da una politica della differenziazione identitaria. Ci sarà sempre una minoranza che pretenderà il pieno autogoverno se non riceverà un’adeguata compensazione. Pensiamo a quel che sta avvenendo in Bosnia, dove la Republika Srpska a forte maggioranza serba sta già meditando di seguire l’esempio del Montenegro e Kosovo, distruggendo quindi ogni sforzo pacificatore ed unitario della comunità internazionale in Bosnia. Oppure pensiamo alla contrapposizione tra Scozia ed Inghilterra, tra Catalogna ed Andalusia, tra Fiandre e Vallonia, tra Padania e Meridione. In caso di separazione, il paradigma etnico che la giustifica sarebbe nel contempo il maggiore ostacolo alla realizzazione di una società equa, giusta, e solidale. La maggioranza etnica sarebbe autorizzata a decidere in funzione dell’interesse primario della conservazione della sua egemonia. E non è precisamente quel che avviene in Alto Adige – e in Italia –, con la ben remunerata connivenza di quasi tutti i partiti? Cosa succederebbe in Alto Adige se si arrivasse al distacco dall’Italia? Cosa farebbe la maggioranza italofona di Bolzano e dell’Oltradige-Bassa Atesina? E come si può evitare che degli standard etici locali logorino la coesione dell’Unione Europea attorno ai principi universalistici ereditati dall’ecumenismo cristiano, dall’Umanesimo e dall’Illuminismo? Il separatismo localistico ed il differenzialismo identitario non sono né assennati né moralmente giustificabili. Non possono costituire una risposta ai problemi dell’autogestione territoriale né possono mitigare l’impatto della globalizzazione a livello socio-economico, se non altro perché i movimenti etnopopulistici europei sono sempre ed invariabilmente libertari (di destra), in quanto il loro bacino elettorale si concentra soprattutto nella piccola e media impresa, cioè tra elettori che troppo spesso sono più propensi a pretendere tutele per sé stessi, anche se a discapito del resto della popolazione e degli immigrati che pure loro stessi assumono in gran numero (Tamás 2000). Quel che è scandaloso è che una parte della sinistra, in nome dell’anti-imperialismo, si sia sentita in dovere di combattere la destra su un campo come quello delle identità collettive, che è il terreno naturale della destra stessa.

Huxley e Orwell sul Nuovo Ordine Mondiale – un’illuminante missiva

 

A mio avviso hanno entrambi ragione. In condizioni normali lo scenario di Huxley è quello più indicato per governare le masse. Ma, quando la gente si sveglia anche solo un po’, lo scenario di Orwell diventa più pressante e lo vedremo molto presto all’opera in tutta la sua “tangibile genuinità”. Il Mondo Nuovo che ho in mente io, se diventerà realtà, lo farà in una fase successiva, dopo che milioni di persone avranno preso in mano i loro destini e ricacciato indietro gli architetti del “Mondo Nuovo” huxleyano, che tanto nuovo non è, come si evince dal fumetto.

Ad ogni modo, una lettera di Aldous Huxley, autore di “Brave New World” (“Il Mondo Nuovo”), a George Orwell, autore di “1984”, risalente all’ottobre 1949, definisce la divergenza tra le visioni del mondo dei due geniali pensatori e scrittori.

[Una curiosità: nel 1917, ad Eton, Huxley aveva insegnato francese ad Orwell, per un breve periodo].

Gentile signor Orwell,

È stato molto gentile da parte sua invitare i suoi editori ad inviarmi una copia del suo libro. […]. Concordando con tutto ciò che i critici hanno scritto di questo libro, non ho bisogno di dirle, ancora una volta, quanto sia splendido e profondamente importante. Posso parlare, invece, di ciò di cui si occupa il libro – cioè a dire la rivoluzione definitiva? Le prime avvisaglie di una filosofia della rivoluzione definitiva – la rivoluzione che sta al di là della politica e dell’economia, e che mira al sovvertimento totale della psicologia dell’individuo e della sua fisiologia – si trovano nel Marchese de Sade, che si considerava il continuatore, il realizzatore di Robespierre e Babeuf. La filosofia della minoranza dominante in “1984” è un sadismo che è stato portato alla sua logica conclusione, andando al di là del sesso e negandolo. Che nella realtà la politica dello stivale schiacciato sul volto possa protrarsi all’infinito sembra dubbio. La mia convinzione personale è che l’oligarchia dominante troverà modi meno ardui e dispendiosi di governare e di soddisfare la sua brama di potere, e questi modi assomiglieranno a quelli che ho descritto in Brave New World (“Mondo Nuovo”). Ho avuto recentemente occasione di esaminare la storia dell’ipnotismo e del magnetismo animale e sono rimasto colpito dal modo in cui, per centocinquanta anni, il mondo ha rifiutato di prendere atto, seriamente, delle scoperte di Mesmer, Braid, Esdaile e degli altri.

In parte a causa del materialismo imperante e in parte a causa del perbenismo imperante, i filosofi e gli uomini di scienza del XIX secolo non erano disposti ad indagare gli aspetti più strani della psicologia che potevano essere applicati nell’arte del governo da uomini pragmatici, come politici, soldati e poliziotti. Grazie alla deliberata ignoranza dei nostri padri, l’avvento della rivoluzione finale è stato ritardato di cinque o sei generazioni. Un altro caso fortuito è stato l’incapacità di Freud di riuscire ad ipnotizzare i pazienti e la sua conseguente svalutazione dell’ipnotismo. Tutto ciò ha ritardato l’applicazione diffusa dell’ipnotismo alla psichiatria per almeno quaranta anni. Ma ora la psicoanalisi è stata combinata con l’ipnosi e l’ipnosi è stata resa agevole ed indefinitamente estensibile attraverso l’uso di barbiturici, che inducono uno stato ipnotico e suggestionabile anche nei soggetti più recalcitranti.

Entro la prossima generazione credo che i governanti del mondo scopriranno che il condizionamento infantile e la narco-ipnosi sono più efficienti, come strumenti di governo, dei manganelli e delle prigioni, e che la brama di potere può trovare, nell’induzione delle persone ad amare la propria servitù, una gratificazione paragonabile a quella generata dal fustigarle e scalciarle per renderle sottomesse. In altre parole, ritengo che l’incubo di 1984 sia destinato a trasformarsi nell’incubo di un mondo che rassomiglia più a quello che ho immaginato in Brave New World. Il cambiamento sarà il portato dell’esigenza di una maggiore efficienza. Nel frattempo, naturalmente, ci potrà essere una guerra su larga scala, biologica e nucleare – nel qual caso avremo incubi di altra natura e difficili da immaginare.

Grazie ancora per il suo libro.

Cordialmente,

Aldous Huxley

Citazioni per un Mondo Nuovo (1)


a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

“Chi sei? Donde sei? Della Terra sono figlio e del Cielo stellato”
Frammento orfico

“Da noi, niente va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi”
Italo Calvino, “Il Sentiero dei Nidi di Ragno”

“Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buona fede, più idealista, c’ erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’ era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, perché di queste non ce ne sono. Non ce ne importa nulla che i bravi “ragazzi di Salò” non sapessero cosa difendevano, insieme con l’onore della patria. Capita, talvolta, nella storia di trovarsi dalla parte sbagliata”.
Alberto Asor Rosa

“Nessun rischio calcolato, all’insaputa delle vittime o delle cavie, giustifica l’esistenza di un potere che tutela dall’alto, che detiene e nasconde informazioni che riguardano la collettività. Un popolo adulto non può dare a nessun tutore una delega in bianco su questo. L’esercizio del potere di controllo dal basso è faticoso e poco gratificante, ma non è barattabile”
Marco Paolini

“Se la “rivoluzione dell’eguaglianza” era stato il connotato della modernità, la “rivoluzione della dignità” segna un tempo nuovo, è figlia del Novecento tragico, apre l’era della “costituzionalizzazione” della persona e dei nuovi rapporti che la legano all’innovazione scientifica e tecnologica.  “Per vivere  –  ci ha ricordato Primo Levi  –  occorre un’identità, ossia una dignità”. Solo da qui, dalla radice dell’umanità, può riprendere il cammino dei diritti. E proprio la forza unificante della dignità ci allontana da una costruzione dell’identità oppositiva, escludente, violenta, che ha giustamente spinto Francesco Remotti a scrivere contro quell'”ossessione identitaria” che non solo nel nostro paese sta avvelenando la convivenza civile. La dignità sociale, quella di cui ci parla l’articolo 3 della Costituzione, è invece costruzione di legami sociali, è anche la dignità dell’altro, dunque qualcosa che unifica e non divide, e che così produce rispetto e eguaglianza. Le manifestazioni di questi tempi, e quella di domenica con evidenza particolare, rivendicano il diritto a “un’esistenza libera e dignitosa”. Sono le parole che leggiamo nell’articolo 36 della Costituzione che descrivono una condizione umana e sottolineano il nesso che lega inscindibilmente libertà e dignità. Più avanti, quando l’articolo 41 esclude che l’iniziativa economica privata possa svolgersi in contrasto con sicurezza, libertà e dignità umana, di nuovo questi due principi appaiono inscindibili, e si può comprendere, allora, quale lacerazione provocherebbe nel tessuto costituzionale la minacciata riforma di quell’articolo, un vero “sbrego”, come amava definire le sue idee di riforma costituzionale la franchezza cinica di Gianfranco Miglio. Intorno alla dignità, dunque, si delinea un nuovo rapporto tra principi, che vede la dignità dialogare con inedita efficacia con libertà e eguaglianza. Questa, peraltro, è la via segnata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Qui, dopo aver sottolineato nel Preambolo che l’Unione “pone la persona al centro della sua azione”, la Carta si apre con una affermazione inequivocabile: “La dignità umana è inviolabile”.
Stefano Rodotà, “La bandiera della dignità”, Repubblica, 15 febbraio 2011

“Tre cose differenziano il vivere con l’anima di contro al vivere solamente con l’Io: la capacità di sentire e apprendere modi nuovi, la tenacia per percorrere una strada impervia, la pazienza di apprendere nel tempo l’amore profondo. L’Io, tuttavia, ha la tendenza naturale e la propensione a evitare l’apprendimento. La pazienza non è una sua dote”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”

“Conoscere sé stessi è studiarsi mentre si agisce con l’altro”
Bruce Lee

“L’attenzione estrema è ciò che costituisce nell’uomo la facoltà creatrice e non vi è attenzione estrema se non religiosa. La quantità di genio creatore in un’epoca è rigorosamente proporzionale alla quantità di attenzione estrema, dunque di religione autentica, in quell’epoca”.
Simone Weil, “Dell’attenzione”

“Una vita senza esame è indegna di essere vissuta”
Socrate, Apologia.

“Il Regno è invece dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete, allora sarete conosciuti e saprete che voi siete i figli del Padre che vive. Ma se non vi conoscerete, allora dimorerete nella povertà, e sarete la povertà”
Vangelo di Tommaso, 3

“Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore”.
Matteo 6, 19-21

“E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”
Luca 12, 57

“La vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi”.
David Foster Wallace, “Infinite Jest”

“Non è una misura di buona salute l’essere ben adattato ad una società profondamente malata”.
Jiddu Krishnamurti

“La società di oggi non accetta facilmente la mia esistenza…Se mi guardo attorno, non c’è un luogo dove mi senta accettato. Non c’è qualcuno con cui poter parlare della domanda filosofica più importante: ‘Perché viviamo?’. Le menti dei miei compagni di scuola sono troppo impegnate a preparare i test d’ingresso alle scuole superiori e non si possono permettere di parlare delle apprensioni del cuore. Nell’educazione contemporanea si pone l’accento sul come realizzare l’obiettivo di passare il test d’ingresso piuttosto che discutere di questioni relative alla dignità umana. Non si capisce quanto importante sia pensare e parlare dei problemi della vita”.
Studente giapponese

“Gli oppressori non sentono il loro avere di più come privilegio che disumanizza gli altri e loro stessi”.
Paulo Freire

“Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.
Alessandro Manzoni

“Quasi nessuno a Thalburg afferrò in quei giorni quel che stava accadendo; mancò la comprensione vera di quello a cui la città sarebbe andata incontro quando Hitler avesse conquistato il potere; mancò la capacità di capire realmente quel che fosse il nazismo”
W.S. Allen, “Come si diventa nazisti”

“Dall’inizio della rivoluzione industriale ha preso piede, e continua ad essere perpetrato, il sacrificio della coscienza di sé, degli altri e della realtà che ci circonda. Coscienza senza la quale nulla differenzierebbe la società umana da un’immensa colonia di laboriosi castori”.
Roberto Castaldi, Il fascino del potere, 1999, p. 79

“Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo”.
Matteo 22, 30

“Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.
Paolo, Lettera ai Galati 3, 28

«Nous ne voyons pas les choses comme elles sont, mais comme nous sommes ».
“Non vediamo le cose come sono, ma come siamo”.
Anais Nin

“È incontestabile che solo chi crede nella verità può dubitare, anzi: dubitarne. Chi crede che le cose umane siano inafferrabili, non dubita affatto, ma sospende necessariamente ogni giudizio…L’astensione dall’affermare di ogni cosa ch’essa sia vera o falsa, buona o cattiva, giusta o ingiusta, bella o brutta significa che tutto è indifferente a questo genere di giudizi. Come forma estrema di scetticismo, è incompatibile con il dubbio. Il dubbio, infatti, al contrario del radicale scetticismo, presuppone l’afferrabilità delle cose umane, ma, insieme, l’insicurezza del carattere necessariamente fallibile o mai completamente perfetto della onoscenza umana, cioè ancora la coscienza che la profondità delle cose, pur se sondabile, è però inesauribile. Onde, di ogni nostra conoscenza deve dirsi ch’essa è non fallace o impossibile, ma sempre, necessariamente, superficiale. […]. Così, l’etica del dubbio non è contro la verità, ma contro la verità dogmatica, che è quella che vuole fissare le cose una volta per tutte e impedire o squalificare quella cruciale domanda: “sarà davvero vero?”. […] Essere per l’etica del dubbio non significa dunque affatto sottrarsi al richiamo del vero, del giusto, del buono e del bello, ma, propriamente, cercare di rispondere alla chiamata, in liberà e responsabilità verso sé e verso gli altri”.
Gustavo Zagrebelsky, “Contro l’etica della verità”

“Ciò che mi ha sempre colpito degli occidentali è il loro ardente desiderio di imparare. Ogni volta che presenzio a una conferenza sul buddismo, per esempio, tirate subito fuori carta e penna per prendere appunti, oppure il registratore portatile, mentre ho notato che tra i tibetani, i cinesi o gli indiani, anche se mi guardano con estrema devozione, nessuno tira fuori la penna; stanno lì, tranquilli, come se sapessero già tutto. La stessa cosa vale per i mongoli: credono che più si spingeranno in mezzo alla folla, più la benedizione sarà forte – apparentemente anche dei tibetani la pensano così! Ho sempre ammirato l’atteggiamento autenticamente scientifico nella ricerca, in cui l’imparzialità, l’apertura mentale e anche lo scetticismo hanno un ruolo importante”.
Dalai Lama, “Oltre i dogmi”.

“Le astrazioni monetarie, la prospettiva spaziale e il tempo meccanico formarono la cornice che racchiudeva la nuova vita. L’esperienza fu progressivamente ridotta proprio a quegli elementi che avevano in sèè la possibilità di essere divisi dall’insieme e misurati separatamente: computi convenzionali preseo il posto di organismi. […] uomini e donne, corporazioni e città, nella loro realtà concreta erano considerati dalle leggi e dai governi quasi fossero creature immaginarie; mentre artificiose finzioni pragmatiche quali il Diritto Divino, il Governo Assoluto, lo Stato, la Sovranità erano considerati realtà concrete”.
Lewis Mumford, “La cultura delle città”

“Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; 3 chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri. Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio”.
Lettera di Giacomo (I secolo)

“I bambini non hanno colore, basta guardarli quando sono tra di loro, non sanno cosa sia la differenza e allora vuol dire che la differenza non c’è”.
Gianangelo Bof, 35 anni, sindaco leghista di Tarzo in provincia di Treviso.

“Non possiamo identificarci con le nostre idee. Le idee hanno importanza, ma una importanza relativa. Chi non sa superare la dicotomia tra l’essere e il pensare, tra ciò che uno è e ciò che uno pensa, diventa schiavo del proprio pensiero e in ultimo termine perde il senso cristiano dell’esistenza”.
Raimon Panikkar

“A immagine del mare, la filosofia elude e polverizza il solido, il radicato, il pregiudizio, l’imperturbabile, il conformismo e la comodità. […] Moltiplicare i punti di vista ci libera dai pensieri imperialisti, unilaterali, dalle monomanie, da una coscienza esaltata o sentenziosa. è la scuola della modestia, della conoscenza giusta. Dilatandoci, ci semplifichiamo. Il mondo si alleggerisce quando non siamo trincerati in noi stessi. Non essere più inchiodati a se stessi permette paradossalmente di sentirsi vivere. Di affermarsi, di dimenticarsi!”
Cécile Guérard, “Piccola filosofia del mare”

“Men are not prisoners of their fate, but only prisoners of their own mind”.
F.D. Roosevelt.

“Questa è la stessa logica dei survivalisti, coi loro bunker e i loro allenamenti in vista del peggio, e le scatolette di fagioli impilate in cantina. Ibernarsi non significa davvero sopravvivere, perché poi arriva il disgelo e il mondo intorno può essere tutto diverso, e l’atmosfera talmente rarefatta da ucciderti in pochi secondi. Sopravvivere significa migliorarsi, accettare la mutazione. Per questo la lotta per l’identità non è – in ultima analisi – un modo per sopravvivere, ma soltanto un modo per invecchiare più in fretta e avvicinarsi più in fretta al decesso”.
Giovanni Cattabriga, Wu Ming 2.

“A giudicare dalle tendenze culturale ed ideali della nostra epoca, la disumanizzazione procede in due direzioni, verso il naturalismo e verso il tecnicismo. L’uomo è soggetto a forze cosmiche o alla civiltà tecnologica…si dissolve e svanisce nella vita cosmica, oppure nella tecnica onnipotente. Assume l’immagine della natura o della macchina. In entrambi i casi perde la sua e si disperde nei suoi costituenti. L’uomo come essere integrale, come creatura centrata in sé stessa, scompare; cessa di esistere come essere dotato di un centro spirituale, capace di mantenere una sua continuità ed unità intrinseca. Alle sue frazioni e componenti sono offerti non solo il diritto all’autonomia, ma anche la supremazia nella vita”
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Il pensiero borghese”, 1934.

“Good and ill have not changed since yesteryear; nor are they one thing among Elves and Dwarves and another among Men”.
Aragorn, “Lord of the Rings”

“Bandita la giustizia, che altro sono i regni se non grandi associazioni di delinquenti? Le bande di delinquenti non sono forse dei piccoli regni? Non sono forse un’associazione di uomini comandati da un capo, legati da un patto sociale, e che si dividono il bottino secondo una legge accettata da tutti? Se questa compagnia recluta nuovi malfattori, se occupa un paese, stabilisce proprie sedi, se si impadronisce di città e soggioga popoli, prende il nome di regno; titolo che le viene conferito non perché sia diminuita la sua cupidigia, ma perché a questa si aggiunge l’impunità. Così disse un pirata, fatto prigioniero, con arguzia e verità ad Alessandro Magno. Interrogato da questo sovrano con quale diritto infestasse il mare, egli con audace franchezza rispose: “Per lo stesso diritto con cui tu infesti tutta la terra. Perché non ho che una piccola nave, sono chiamato corsaro, e perché tu hai una grande flotta sei chiamato imperatore!”
Agostino, De Civitate Dei, libro IV, cap. 4

“I popoli, più o meno, sono rappresentati dagli Stati che formano; e gli Stati dai governi che li guidano. In questa guerra, il singolo cittadino può verificare con sgomento ciò che già in tempo di pace aveva talora intravisto: e cioè che ho Stato ha interdetto al singolo la pratica dell’illecito, non perché voglia abolirla, ma solo perché intende averne il monopolio.
Dai suoi cittadini, lo Stato pretende il massimo di obbedienza e di spirito di sacrificio, ma “li tratta come dei minorenni”, esagerando nella segretezza ed esercitando nei confronti di ogni comunicazione ed espressione di pensiero una censura tale da rendere tale lo stato d’animo di coloro che ha così represso intellettualmente del tutto privo di difese nei confronti di qualsiasi situazione sfavorevole che possa determinarsi o di una qualunque confusa diceria. Recede da tutti gli accordi e il cittadino deve approvare tutto questo per patriottismo”.
Sigmund Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Roma, Editori Riuniti, 1982, pp. 56-57

“Quando lo Stato si prepara ad assassinare, si fa chiamare patria”
Friedrich Dürrenmatt

“A sense of humor always withers in the presence of the messianic delusion, like justice and truth in front of patriotic passion”
H.L. Mencken

“Tutti i nazionalismi hanno il potere di non vedere alcuna rassomiglianza fra due serie simili di fatti. […] Il nazionalista non solo non disapprova le atrocità commesse dalla sua fazione, ma ha la notevole capacità di non sentirne nemmeno parlare. […]. Nel pensiero nazionalista esistono fatti che sono contemporaneamente veri e non veri, conosciuti e non conosciuti. Un fatto conosciuto può essere così insopportabile da essere abitualmente accantonato e non ammesso ad entrare nei processi logici o, altrimenti, può entrare in ogni valutazione senza esser accettato come fatto, perfino nella proprio mente. […]. Ogni nazionalista è perseguitato dalla convinzione che il passato può essere alterato […]. I fatti materiali sono soppressi, le date alterate, le citazioni estrapolate dal loro contesto e alterate in modo da cambiarne il significato. Eventi che si sente non avrebbero mai dovuto accadere non sono menzionati e sono infine negati […]. L’indifferenza alla verità obiettività è incoraggiata isolando una parte del mondo dall’altra, cosa che rende sempre più difficile scoprire cosa stia effettivamente accadendo […]. Per qualcuno che in un qualunque angolo della mente nutra lealtà nazionalistiche od odio, alcuni fatti – sebbene in un certo senso si sappia siano veri – sono inammissibili”.
George Orwell, Notes on Nationalism

“Non siamo riusciti a creare una tradizione intellettuale in cui le persone pensino con la propria testa. Operiamo solo collettivamente. Parliamo al plurale, come Serbi. È spaventoso, specialmente tra i giovani. Ci vorranno anni prima di potersi liberare di questo virus”.
Obrad Savic

“Seguire un sistema di valori così privo di vita provoca una grave perdita del collegamento con l’anima. …la nostra sfida…è di non amalgamarci in nessuna collettività, è di distinguerci d quelli che ci circondano, gettando eventualmente per loro dei ponti dietro di noi..E le collettività che saranno da noi favorite con rapporti saranno quelle che offrono il massimo sostegno alla nostra anima e alla nostra vita creativa”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”

“Nel circo, gli esseri umani sono rappresentati come liberi dall’abbraccio della morte. Nel circo una persona cammina su un cavo a cinquanta piedi dal suolo…un’altra rimane sospesa in aria per il tallone, qualcuno sostiene dodici persone in una piramide umana, qualcun altro è un proiettile umano. L’artista circense è l’immagine della persona escatologica – emancipata dalla fragilità e dall’inibizione, briosa ed eccitante mentre trascende la morte, ormai né confinata né conforme ai dettami della paura di morire. Il circo perciò ridicolizza la morte e, così facendo, ci mostra che l’unico nemico in vita è la morte, un nemico che dobbiamo fronteggiare tutti, in ogni circostanza, in ogni momento…Il servizio che ci rende – più di quello che ci rendono le chiese, malauguratamente – è quello di illustrare esplicitamente, drammaticamente ed umanamente la morte in seno alla vita. Il circo è una parabola escatologica e una parodia sociale: segnala la possibilità di trascendere il potere della morte, rivelando il mondo così com’è mentre apre al strada al Regno”.
William Stringfellow, “A Simplicity of Faith”

“Conformismo, opportunismo, grettezza e debolezza: ecco dunque, della libertà, i nemici che l’insidiano “liberamente”, dall’interno del carattere degli esseri umani. Il conformista la sacrifica all’apparenza; l’opportunista, alla carriera; il gretto, all’egoismo; il debole, alla sicurezza. La libertà, oggi, più che dal controllo dei corpi e delle azioni, è insidiata da queste ragioni d’omologazione delle anime. Potrebbe perfino sospettarsi che la lunga guerra contro le arbitrarie costrizioni esterne, condotta per mezzo delle costituzioni e dei diritti umani, sia stata alla fine funzionale non alla libertà, ma alla libertà di cedere liberamente la nostra libertà. La libertà ha bisogno che ci liberiamo dei nemici che portiamo dentro di noi. Il conformismo, si combatte con l’amore per la diversità; l’opportunismo, con la legalità e l’uguaglianza; la grettezza, con la cultura; la debolezza, con la sobrietà. Diversità, legalità e uguaglianza, cultura e sobrietà: ecco il necessario nutrimento della libertà”.
Gustavo Zagrebelsky, Repubblica, 16 giugno 2011

“Il valore del viaggio è nella paura. E’ nel fatto che, a un certo momento, così lontani dal nostro paese e dalla nostra lingua (un giornale francese assume un valore inestimabile. E quelle ore serali trascorse al caffé cercando di stabilire un contatto con altri uomini), un vago timore ci coglie, e l’istintivo desiderio di ritrovare il rifugio delle vecchie abitudini. E’ l’apporto più evidente del viaggio. In quel momento siamo febbrili ma porosi. La minima emozione ci scuote sino al fondo dell’essere. L’incontro con una cascata di luce ci mette in presenza dell’eternità. Per questo non bisogna dire che si viaggia per piacere. Non esiste piacere nel viaggiare, ma piuttosto, mi sembra, un’ascesi”.
Albert Camus, “Alle Baleari, l’estate scorsa” –  Taccuini, 1935-1942

“Perché ci sia democrazia basta il consenso della maggioranza. Ma appunto il consenso della maggioranza implica che vi sia una minoranza di dissenzienti. Che cosa facciamo di questi dissenzienti una volta ammesso che il consenso unanime è impossibile e che là dove si dice che vi sia, è un consenso organizzato, manipolato, manovrato e quindi fittizio, è il consenso di chi, per ripetere il famoso detto di Rousseau, è obbligato ad essere libero? Del resto, che valore ha il consenso dove il dissenso è proibito? I dissenzienti li sopprimiamo o li lasciamo sopravvivere? E se li lasciamo sopravvivere, li recintiamo o li lasciamo circolare, li imbavagliamo o li lasciamo parlare, li espelliamo come reprobi o li teniamo fra di noi come liberi cittadini?”.
Norberto Bobbio, “il futuro della democrazia”, Einaudi, Torino 1984

“Ecco i principi cardine della democrazia: la fede in qualcosa, la cura dell’individualità, lo spirito del dialogo, il senso dell’uguaglianza, l’apertura verso la diversità, la diffidenza verso le decisioni irrevocabili, l’atteggiamento sperimentale, la responsabilità di essere maggioranza e minoranza, l’atteggiamento altruistico, la cura delle parole”.
Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”

“Conosco tutti gli argomenti utilizzati per giustificare le legislazioni dettate dall’emergenza. Cioè quando la difesa dei diritti, e quindi della libertà, per alcuni diventa un lusso superfluo. Io ero in Parlamento negli anni di piombo. E chi difendeva le garanzie era indicato come un fiancheggiatore dei terroristi. In quel momento, e per lungo periodo, in Italia cambiò la percezione della libertà. Di fatto si disse: il fermo di polizia, la perquisizione di abitazioni per blocchi di edifici si possono fare. E nella media la gente fu d’accordo. […]. In simili casi può cominciare un processo di mitridatizzazione: a piccole e progressive dosi, si abbassa la soglia di percezione della tua libertà”.
Stefano Rodotà, “Intervista su privacy e libertà”

“È la possibilità di ricattare moralmente e indicare alla riprovazione dei cittadini chi manifesta disaccordo (non violento) con il governo, ed equiparare eventuali violenze verbali con la violenza armata”.
Umberto Eco, “A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico”

“Un essere umano è dotato di libero arbitrio. Può usarlo per scegliere tra il bene ed il male. Se può solo fare il bene oppure il male, allora è un’arancia meccanica, nel senso che ha l’apparenza di un organismo di bell’aspetto, colorato e succoso, ma in effetti è solo un giocattolo a molla che può essere caricato da Dio o dal Diavolo o, visto che ormai sta progressivamente rimpiazzando entrambi, dallo stato onnipotente”.
Introduzione di Anthony Burgess all’edizione americana di “Arancia Meccanica” del 1986

“Per umiliare qualcuno si dev’essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. […] Dappertutto […] cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. […] Siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura […] Siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli”.
Etty Hillesum

“La libertà umana non è una pretesa, ma un dovere. Non è ciò che richiede l’uomo, ma ciò che gli è richiesto. L’uomo deve essere libero. Dio lo esige e se lo aspetta da lui”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Cristianesimo e guerra di classe”, 1931

“In realtà, la libertà è aristocratica, non democratica. Dobbiamo riconoscere, sconfortati, che la libertà è cara solo a chi pensa creativamente. Non è necessaria per chi non dà valore al pensiero. Nelle cosiddette democrazie, che si fondano sul principio della sovranità popolare, una proporzione considerevole della cittadinanza non possiede ancora la consapevolezza di essere libera, di recare con sé la dignità della libertà”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Regno dello Spirito e Regno di Cesare”, 1951

“Ama davvero la libertà solo chi la riafferma per il suo prossimo”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Regno dello Spirito e Regno di Cesare”, 1951

“L’uomo veramente libero non vuole dominare, ma neppure essere dominato”
Khalil Gibran

“Cosa sarebbe l’essere umano senza immaginazione? Un automa, uno strumento. Lo sviluppo dell’immaginazione è accrescimento di vita, mentre la sua limitazione è una riduzione di vita, un impulso di morte”.
Stefano Fait, “Il Trentino”, 3 febbraio 2010

“L’idea della congiunzione degli opposti – la coincidentia oppositorum – che accomuna tanto il pensiero di Jung quanto quello di Eliade alla tradizione orientale e al pensiero mistico – non solo anima una più vasta concezione dell’essere umano in quanto unità psico-soma e unità microcosmo-macrocosmo ma diventa anche uno dei motivi che ritornano con forza all’interno della cultura del Novecento, sia come forza di un archetipo che si impone autonomamente, sia come fascinazione di un’idea che permette di riscoprire e attivare l’archetipo operante in ogni individuo”.
Aldo Carotenuto, “Jung e la cultura del XX secolo”

“È noto che gli uomini che agiscono in seguito a comandi sono capaci delle azioni più orribili. Quando l’autorità che li comandava viene abbattuta e li si costringe a guardare da vicino ciò che hanno fatto, essi non si riconoscono. «Io non ho fatto questo», dicono, e non è affatto vero che siano sempre consapevoli di mentire. Quando poi si portano dinanzi a loro dei testimoni, quando cominciano a vacillare, continuano a dire: «Io non sono così, io non posso averlo fatto». Cercano dentro di sé le tracce di quell’azione e non possono trovarle. È sorprendente: ne sono rimasti intatti. La loro vita successiva è davvero diversa, per nulla improntata dalla azione che commisero. Essi non si sentono colpevoli, non si pentono di nulla. Quell’azione non è entrata in loro. Sono uomini perfettamente capaci, in altre circostanze, di valutare il proprio comportamento. Ciò che fanno di loro iniziativa lascia in cui tracce che non dimenticano. Si vergognerebbero di uccidere una creatura sconosciuta e indifesa che non li ha provocati. Proverebbero disgusto a torturare qualcuno. Non sono migliori ma neppure peggiori degli altri fra cui vivono. Alcuni che quotidianamente li frequentano da vicino sarebbero pronti a giurare che li si accusa ingiustamente. Quando poi avanza la lunga fila dei testimoni, delle vittime, che sanno benissimo di cosa parlano, -quando l’uno dopo l’altro riconoscono il colpevole e gli richiamano alla memoria, in ogni particolare il suo comportamento, allora ogni dubbio diviene assurdo e ci si trova dinanzi a un enigma inesplicabile. Ma per noi non c’è in ogni caso nessun enigma, giacché conosciamo la natura del comando. Per ogni comando che il colpevole ha eseguito, è rimasta in lui una spina. La spina è però estranea così come lo era il comando stesso nell’istante in cui veniva impartito. Per quanto a lungo la spina resti confitta nell’uomo, continua ad essere un corpo estraneo: egli non l’assimila mai. È anche possibile –  come in precedenza abbiamo mostrato – che più spine si adunino insieme, costituendo un complesso mostruoso in chi le porta in sé; ma esse restano sempre nettamente isolate dall’organismo in cui stanno infisse. La spina è un intruso che non può mai acquistare diritto di cittadinanza; è indesiderata: ci si vuol sempre liberare di essa. Essa è ciò che si ha commesso: ha esattamente la forma del comando. La spina continua a vivere come istanza estranea in chi ricevette il comando, e gli toglie ogni senso di colpa. Il colpevole non accusa se stesso ma la spina, l’istanza estranea, il vero colpevole – per così dire –, che egli porta sempre con sé. Quanto più il comando fu estraneo, tanto meno ci si sente colpevoli per averlo eseguito, tanto più esso resta separato – come spina – dal suo esecutore. Il comando è dunque testimone perenne del fatto che non fu quella certa persona il colpevole dell’uno o dell’altro delitto, Chi eseguì il comando considera se stesso la vittima, e perciò generalmente non prova alcun sentimento per la vittima vera e propria. È dunque vero che uomini che abbiano agito in seguito a comandi si considerino perfettamente innocenti. Posti in grado di aprire gli occhi sulla loro condizione, essi possono restare stupefatti constatando in quale misura furono in balìa del comando. Ma anche questo giusto moto dell’animo è senza valore, poiché giunge troppo tardi, quando tutto è ormai finito da tempo. Ciò che è accaduto potrà accadere di nuovo, in essi non si costituisce alcuna difesa contro situazioni che siano identiche a quelle trascorse. Essi restano esposti senza difese al comando, solo molto oscuramente coscienti dei suoi pericoli. Nel caso più esplicito, che per fortuna è raro, essi riconoscono nel comando una fatalità e ripongono il loro orgoglio nel fatto d’esserne stati ciechi strumenti, quasi fosse una peculiarità della condizione umana arrendersi a tale cecità. Da qualunque parte lo si consideri, il comando nella sua forma compatta, compiuta, che oggi gli è propria dopo secoli di storia, è divenuto l’elemento singolo più pericoloso della vita collettiva degli uomini. Bisogna avere il coraggio di opporvisi e di spezzare la sua sovranità. Si devono trovare mezzi e vie per liberare da esso la maggior parte degli uomini. Non gli si può permettere altro che di scalfire la pelle. Le sue spine devono diventare solo più lappole di cui ci si sbarazza con un gesto”.
Elias Canetti, “Masse e potere”

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Italo Calvino, “Le città invisibili”

“L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non verrà mai meno. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto”.
Lettera ai Corinzi 13: 4-10

“Nella giustizia delle favole come nella psiche profonda, la gentilezza verso ciò che sembra di poco conto viene premiata con il bene, e il rifiuto di fare del bene a chi non è bello viene punito. Lo stesso accade nei grandi sentimenti come l’amore. Quando ci espandiamo per toccare il non-bello, siamo ricompensati. Se lo disprezziamo, siamo separati dalla vita vera e lasciati fuori al freddo. Per alcuni, è più facile pensare pensieri superiori e bellissimi e toccare le cose che positivamente ci trascendono, che toccare, aiutare ed assistere il non-così positivo. Come la storia illustra, è facile cacciare il non-bello e sentirsi falsamente nel giusto”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”.

“tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12; Lc 6,31)
“quel che non desideri per te, non farlo neppure ad altri uomini” (Confucio, Dialoghi)
“non fare ad altri ciò che non vuoi che essi facciano a te” (rabbi Hillel, Sabbat)
“Nessuno di voi è un credente, fintanto che non desidera per il proprio fratello quel che desidera per sé” (al-Nawawi, Hadith)
“L’uomo dovrebbe comportarsi con indifferenza verso le cose mondane e trattare tutte le creature del mondo così come vorrebbe essere trattato” (gianismo, Sutrakritanga)
“una condizione, che non è gradita o piacevole per me, non lo deve essere nemmeno per lui; e una condizione che non è gradita o piacevole per me, come posso imporla ad un altro?” (buddismo, Sanyutta Nikaya)
“Non bisognerebbe comportarsi verso altri in un modo che non è gradito a se stessi: questa è l’essenza della morale” (induismo, Mahabharata).

“La carità non risolve la povertà, perché perpetua il rapporto di dipendenza. Nessuno è perfetto e nessuno ha perfettamente ragione. Condividere le esperienze personali è l’unico modo per cambiare le cose. L’interesse personale sarà sempre al centro delle umane azioni, ma può essere indirizzato verso la cooperazione e la condivisione. La radice dei conflitti non è l’egoismo o l’avidità, ma la nostra incapacità di porci nei panni del prossimo. L’altruismo trova applicazione pratica in una molteplicità di piccole cose che poi si espandono per diventare sempre più grandi”.
Lü K’un (1536-1618)

“Posso dirvi questo: il poco che io so non l’ho imparato all’università, ma in compagnia di uomini come voi. La fraternità è la verità sacra dell’uomo. L’uomo mutilato della sua fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile… Per non morire bisogna ricominciare col riscoprire la fraternità. Amici, io sono venuto per dirvi questo: è necessario, è urgente stare assieme, metterci insieme, creare in questo paese cellule viventi di uomini interi cioè fraterni, difenderci dal contagio della morte”.
Ignazio Silone, “Ed Egli si nascose”

Per prima cosa lasciate che vi suggerisca che se vogliamo avere pace sulla terra, il termine fedeltà per noi deve avere un significato ecumenico, non parrocchiale. La nostra fedeltà deve trascendere la razza, la tribù, la classe sociale, la nostra patria stessa: e questo significa che dobbiamo sviluppare una prospettiva mondiale. Nessun individuo può vivere solo; nessuna nazione può vivere sola; è provato che se qualcuno tenta l’isolamento, questo qualcuno perpetua la guerra. Ecco perché io ho ancora un sogno. Ho il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli
Martin Luther King, “Discorso della Vigilia di Natale 1967 ad Atlanta”

“Ognuno di noi è irripetibile ed unico, non c’è nessun volto uguale ad un altro, e proprio per questa unicità e singolarità siamo tenuti tutti ad assumerci le nostre responsabilità nei confronti della storia”
Alex Zanotelli

“L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando egli stesso non ne riconosce alcuno. Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo. Quest’obbligo non si fonda su nessuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo la volontà dei contraenti, mentre in esso nessun cambiamento nella volontà degli uomini può nulla modificare. Quest’obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell’essere umano. Soltanto l’essere umano ha un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale”.
Simone Weil, “Obbedire all’amore nella giustizia”

“Mi sono spesso domandato perché mai gli esseri umani abbiano dei diritti. E sono sempre giunto alla conclusione che i diritti umani, le libertà umane e l’ umana dignità hanno le loro radici profonde da qualche parte al di fuori del mondo percettibile. Questi valori sono tanto potenti perché in determinate circostanze, la gente li accetta senza esservi costretta ed è pronta a morire per essi. Questi valori hanno un senso solo nella prospettiva dell’infinito e dell’eterno”.
Vaclav Havel, “L’idolo infranto dello Stato sovrano”

“Il mondo non si muove sui piccoli viottoli, sui piccoli viottoli si muovono le persone che valorizzano se stesse, però passeggiano da sole”
Oscar Luigi Scalfaro

“Siamo così pochi. Qualche miliardo in tutto. Una manciata! Forse siamo qui per fare esperienza delle persone come una ragione per amare”.
Andrei Tarkovsky

“So we’ll live and pray and sing and tell old tales and laugh at gilded butterflies”
[King Lear, let’s away to prison – Il re Lear si converte finalmente alla saggezza, dopo una vita di vanità ed ossessione per lo status/prestigio. Si rende conto che ora non gli interessa più e che preferisce vivere nell’anonimato con l’unica figlia che lo ama sinceramente, Cordelia – tatuato sulla spalla di Megan Fox].

“Tutti gli uomini hanno il sentimento della pietà e della vergogna (per i propri difetti) e della repulsione (per i difetti altrui), della reverenza e del rispetto, del diritto e del torto. Il sentimento della pietà e della commiserazione è la benevolenza, il sentimento della vergogna e della repulsione è la giustizia, il sentimento della reverenza e del rispetto è il rito, il sentimento del diritto e del torto è la sapienza. La benevolenza, la giustizia, il rito, la sapienza non sono infusi in noi dall’esterno: noi li possediamo sicuramente, (solo che) non ci pensiamo. Perciò si dice: “cercali e li otterrai, trascurali e li perderai”. Gli uomini non sanno esprimere tutte le loro capacità, chi il doppio di altri, chi il quintuplo, chi innumerevoli volte”.
Meng-tzu (Mencio)

“Capite che la vostra coscienza è quella del resto dell’umanità. L’umanità, come voi, affronta ogni genere di difficoltà, dolore, travaglio, ansia, solitudine, depressione, afflizione, piacere – ogni essere umano le affronta, ad ogni latitudine. Perciò la nostra coscienza, il nostro essere, è l’intera umanità. Siamo così riluttanti ad accettare questo semplice fatto, perché siamo abituati all’individualismo – io, per primo”.
Jiddu Krishnamurti

Philip K. Dick ricorda di quando tormentava uno scarafaggio che si era andato a nascondere nel guscio di una lumaca. Quando lo costrinse ad uscire, la credulità fu soppiantata dalla comprensione che la vita era una sola e che tutto dipende dalla gentilezza: “Voleva vivere, proprio come me, e io lo stavo ferendo. Per un istante – fu come per Siddharta, come per quello sciacallo morto – fui quello scarafaggio. Nel momento immediatamente successivo ero diverso. Non fu mai più lo stesso”.

“Ero venuto qui per sparare ai fascisti, ma un uomo che si tiene su i pantaloni non è un fascista, è manifestamente una creatura come me, e uno non si sente di sparargli”.
George Orwell, vedendo un miliziano franchista che fugge con i pantaloni in mano

“Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! Ne distinguevo gli occhi e i tratti del viso. La luce dell’alba si faceva più chiara ed il sole si annunziava dietro la cima dei monti. Tirare così, a pochi passi, su un uomo…come su un cinghiale! Cominciai a pensare che, forse, non avrei tirato. Pensavo. Condurre all’assalto cento uomini, o mille, contro cento altri o altri mille è una cosa. Prendere un uomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire: “Ecco, sta’ fermo, io ti sparo, io t’uccido” è un’altra. …Uccidere un uomo, così, è assassinare un uomo”.
Emilio Lussu, quand’era soldato nella Prima Guerra Mondiale

“Fra gli junghiani si chiama “partecipazione mistica”, un termine ripreso dall’antropologo Levy-Bruhl, usato per designare una relazione in cui “una persona non può vedersi come individualità separata dall’oggetto o dalla cosa che contempla”. Tra i freudiani si chiama “identificazione proiettiva”. Fra gli antropologi si chiama “magia simpatetica”. Con tutte queste definizioni s’intende la capacità della mente di allontanarsi per un poco da suo Io e di fondersi con un’altra realtà, cioè con un altro modo di comprendere”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”.

“Sappi per vero che lo spirito libero, quando permane in un autentico distacco, costringe Dio a venire al suo essere e, se potesse permanere senza forma e senza accidente alcuno, assumerebbe l’essere proprio di Dio”.
Meister Eckhart, “Del distacco”

“Perché i re non hanno pietà per i sudditi? Perché pensano che non saranno mai essere umani. Perché i ricchi sono così severi coi poveri? Perché non hanno paura di diventare poveri. Perché i nobili disprezzano così i contadini? Perché non saranno mai contadini”.
J.J. Rousseau, “Emilio”

La trance catalettica (esperienza mistica) dell’ateo Bertrand Russell, scatenata dalla visione empatica della sofferenza della moglie di Alfred North Whitehead: “Sembrava tagliata fuori da tutto e da tutti da muri di agonia ed improvvisamente fui sopraffatto dal senso di solitudine di ogni anima umana. Da quanto mi ero sposato la mia vita emotiva era stata calma e superficiale. Mi ero scordato di tutte queste questioni più profonde, accontentandomi di frivole arguzie. All’improvviso mi sentii mancare il terreno sotto i piedi e mi trovai altrove…Al termine di quei cinque minuti ero diventato una persona completamente differente. Per un momento, una sorta di illuminazione mistica s’impadronì di me. Sentivo di conoscere i pensieri più intimi di tutte le persone che incontrato per strada ed anche se questo era indubbiamente un’illusione, mi trovai effettivamente a più stretto contatto con tutti i miei amici e molte delle mie conoscenze. Da imperialista, in quei cinque minuti, divenni un sostenitore dei Boeri ed un pacifista. Dopo aver passato lunghi anni interessandomi solo alla precisione ed all’analisi, mi ritrovai inondato di sensazioni semi-mistiche riguardanti la bellezza, con un intenso interesse per i bambini, e con un desiderio quasi altrettanto profondo di quello del Buddha di trovare una quale filosofia che rendesse tollerabile la vita umana. Fui preda di una strana eccitazione  che conteneva in sé un dolore intenso ma anche degli elementi di trionfo per via del fatto che riuscivo a dominare la sofferenza, trasformandola, così credevo, in un cammino di sapienza. Da allora l’intuizione mistica che immaginavo di possedere si è annebbiata e l’abitudine all’analisi si è riaffermata. Ma qualcosa di quel che ho pensato di vedere in quel momento mi è restato dentro, motivando il mio atteggiamento nei confronti della prima guerra mondiale, il mio interesse per i bambini, la mia indifferenza per i piccoli inconvenienti ed un certo tono emotivo in tutte le mie relazioni umane”
Bertrand Russell, “The autobiography of Bertrand Russell”, vol. 1, London: Allen and UNwin, 1967.

“Il mondo intero non è niente se messo a confronto con la personalità umana…con il suo fato esclusivo”.
“L’uomo è personalità non di natura, ma di spirito. Di natura è solo individuo”.
“La dimensione personale dell’uomo è solo ciò che in lui non è in comune con gli altri, ma in ciò che non è condiviso con altri è compreso anche il potenziale dell’universo”.
“L’universo è parte della personalità, è la sua qualità”.
“Il segreto dell’esistenza della personalità risiede nella sua assoluta insostituibilità, il suo aver luogo una sola volta, la sua unicità, il suo essere senza paragoni”.
“Il valore dell’uomo è la sua personalità. Non c’è altro di valore nell’umanità al di fuori della personalità”.
“La personalità come centro esistenziale presuppone la capacità di sentire la sofferenza e la gioia. Nulla, nel mondo degli oggetti, la nazione, lo stato o la società, o istituzioni social o la chiesa, possiede questa capacità”.
“La personalità è comunitaria; presuppone la comunione con altri e la comunità con altri. La profonda contraddizione e difficoltà che affligge la vita umana è dovuta a questa comunitarietà”.
“La liberazione spirituale dell’uomo è la realizzazione della personalità nell’uomo. È il conseguimento dell’interezza ed al tempo stesso è incessante conflitto”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Schiavitù e libertà”, 1939

“Egli è Dio dell’eterno. Tu, invece, con le tue opere compiaciute, sei legato al tempo e al luogo, al fine e all’intenzione, così come il frutto del matrimonio, che, legato al tempo, ha bisogno di nove mesi per maturare. Tu guardi col tuo proprio io al tuo modo di agire, e cerchi e vuoi qualcosa con esso: te stesso e la tua ricompensa. Tu pretendi di cercare Dio; in verità fai di Dio una candela, con la quale cerchi qualcos’altro e, quando lo hai trovato, getti via la candela. Tu abbassi Dio al ruolo di una vacca da latte, che l’uomo custodisce per il proprio profitto, per il latte e per il formaggio.”
Meister Eckhart

“Possedere tutte le cose come se ci fossero imprestate, non donate: senza alcuna proprietà –corpo o anima, sentimento o facoltà, beni esteriori, onori, case e terreni, amici o parenti.”
Meister Eckhart

“Provavo un senso di estraneità, lo stupore e la meraviglia di esserci. Nello stesso tempo, percepivo di essere immerso nel mondo, di farne parte, e che il mondo si estendeva dal più piccolo filo d’erba fino alle stelle. Il mondo mi era presente, intensamente presente. Molto più tardi avrei scoperto che questa presa di coscienza del mio essere immerso nel mondo, questa impressione di appartenenza al Tutto, era ciò che Romani Rolland ha chiamato il “sentimento oceanico…Un sentimento di coappartenenza essenziale tra me stesso e l’universo circostante”
Pierre Hadot

“Perché Gino Strada è triste? […]. Strada ha capito che la sua predicazione pacifista non approderà a nulla. E non perché lui sia un cattivo predicatore, non perché i suoi argomenti non siano persuasivi, non perché le persone di buona volontà non si riconoscano in lui. Ma lui deve aver capito che la brama di potere, la volontà di potenza, lo scontro con gli altri e infine la guerra sono un istinto della nostra specie. Non è un vizio, non un’indole perversa da rieducare: un istinto che convive con quello della generosità e con l’amore per gli altri. L’uomo è un groviglio di due amori: quello per gli altri e quello per se stesso. E se mai ci si chiede quale sia il più forte e il più irruente di questi due istinti amorosi, s’arriva presto a concludere che l’amore per sé è quello dominante. Lo si può contenere, si può fare in modo di arginarne la pericolosità, ma non si riuscirà mai a spegnerlo perché si dovrebbe trasformare l’uomo in un angelo, dotarlo cioè di un’altra natura che estingua la natura umana”.
Eugenio Scalfari, “L’amore per sé e quello per gli altri”, L’Espresso, 22 aprile 2011
Commento di un lettore: “A me sembra che dalla filosofia dei Vangeli, espressa in parabole, risulti chiaramente che non la violenza su sé stessi, controproducente e fonte di nevrosi, bensì solo la conoscenza di sé e dei propri meccanismi profondi, possa portare al superamento dell’egoismo e ad un giusto amore per sé stessi, imprescindibile da quello per gli altri”.

“Se le posizioni sociali sono squilibrate, al punto che da una parte sta la libertà illimitata di concedere o non concedere un beneficio e, dall’altra, la necessità riaccettarlo; se c’è libertà contro necessità; se l’uno può tutto, l’altro niente, si può parlare, in questi casi, di dono? Il dono che si fa con la mano del potere è davvero un dono? Sì, ma solo se rimane in superficie. In realtà si tratta dell’esercizio d’una supremazia che approfitta d’una condizione di bisogno per manifestarsi. Quel “dono”, al quale non si ha diritto ma che è frutto d’una concessione graziosa e, pertanto, può essere in ogni momento revocato, sta nell’essenza d’un rapporto servile. È violenza che si esercita tramite mezzi non maligni, ma benigni. Anche con i doni si può far del male. È sfruttamento di uno stato di necessità in cui altri versano; cioè è violenza di natura morale: una violenza da cui ci si aspetta un tornaconto la cui materia è il sentimento di obbligazione verso il donante. Non è vera gratitudine, perché la gratitudine dettata dalla necessità è finta, malata. Se poi il “dono” è reso pubblico, pubblicizzato, diventa violenza usata a fini pubblicitari”.
Gustavo Zagrebelsky, “Sulla lingua del tempo presente”

“La generosità dell’amore consiste nel dono all’altro della sua libertà, nel riconoscimento del suo bisogno (che è costitutivo di ogni essere umano) di espandersi, di crescere, di trascendersi”
Aldo Carotenuto, “Attraversare la vita”

“Meglio astenersi dal governare il destino degli altri, dal momento che è già difficile ed incerto pilotare il proprio”
Primo Levi, “La chiave a stella”.

“È da se stessi, non dagli altri, che bisogna innanzitutto esigere l’onestà, lo zelo e l’intrepidezza; queste virtù, quando le possediamo cessano molto rapidamente di sembrare amabili se pretendiamo troppo dagli altri”
Li Zhi

“Sai bene che il dolore e la colpa non possono essere eliminati dal gesto di una mano fatata. Le cose che portiamo con noi ci rendono ciò che siamo. Perdendole, perdiamo la nostra identità. Non voglio che mi portino via il mio dolore, ne ho bisogno!”
James T. Kirk

Morpheus: Lo leggo nei tuoi occhi. Hai lo sguardo di un uomo che accetta quello che vede solo perché aspetta di risvegliarsi. E curiosamente non sei lontano dalla verità. Tu credi nel destino, Neo?
Neo: No.
Morpheus: Perché no?
Neo: Perché non mi piace l’idea di non poter gestire la mia vita.
Morpheus: Capisco perfettamente ciò che intendi. Adesso ti dico perché sei qui. Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello. Da diventarci matto. È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando.
Neo: Di Matrix.
Morpheus: Ti interessa sapere di che si tratta? Che cos’è? Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.
Neo: Quale verità?
Morpheus: Che tu sei uno schiavo, Neo. Come tutti gli altri, sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore. Una prigione per la tua mente. Nessuno di noi è in grado, purtroppo, di descrivere Matrix agli altri. Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos’è.
* Matrix è un sistema, Neo. E quel sistema è nostro nemico. Ma quando ci sei dentro ti guardi intorno e cosa vedi? Uomini d’affari, insegnanti, avvocati, falegnami…. le proiezioni mentali della gente che vogliamo salvare. Ma finché non le avremo salvate, queste persone faranno parte di quel sistema, e questo le rende nostre nemiche. Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo.
* Neo: Cosa cerchi di dirmi? Che posso schivare le pallottole?
Morpheus: No, Neo. Cerco solo di dirti che quando sarai pronto, non ne avrai bisogno.

“Tu puoi essere pacifista fino all’estremo ed essere disposto al martirio per testimoniare la tua fede, ma ti sentiresti di rimanere inerte quando altri che non partecipano della tua fede sono esposti alla violenza? Ti sentiresti di dire loro: in nome di ciò che io credo, tu lasciati massacrare? Non sarebbe questa, a sua volta, un’estrema violenza, per di più rivestita di buoni sentimenti?”
Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”, 2011

“Da dove ha preso tanti occhi, con i quali vi spia, se non glieli offrite voi? Come può avere tante mani per colpirvi, se non le prende da voi? I piedi con cui calpesta le vostre città, da dove li ha presi, se non da voi? Come fa ad avere tanto potere su di voi, se non tramite voi stessi? Come oserebbe aggredirvi, se non avesse la vostra complicità? Cosa potrebbe farvi se non foste i ricettatori del ladrone che vi saccheggia, complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?… Siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi. Non voglio che lo scacciate o lo scuotiate, ma solo che non lo sosteniate più, e lo vedrete, come un grande colosso al quale è stata tolta la base, piombare giù per il suo stesso peso e rompersi”.
Étienne de La Boétie, Discorso sulla Servitù Volontaria

“Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete di più chi può far perire sia l’anima che il corpo”.
Matteo 10, 28

“La differenza [fra sinistra e destra] è fra chi prova un senso di sofferenza di fronte alle disuguaglian¬ze e chi invece non lo prova e ritiene, in sostanza, che al contrario esse producano benessere e quindi debbano essere sostenute. In questa contrapposizione vedo il nu¬cleo fondamentale di ciò che è sinistra e di ciò che è de¬stra”.
Norberto Bobbio, “La sinistra nell’era del karaoke”

“La misura della vita non sta nella sopraffazione reciproca o nella prestanza bellica, ma nella misura, nella socialità, nella gentilezza e perfino nell’eleganza, che non è una colpa ma una disciplina. […]. Si tratta di scegliere come stare al mondo; con quali idee, quali speranze, quali gusti e quali disgusti”
Michele Serra, Il Venerdì, 1152, 16 aprile 2010

“Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
K. Marx- F. Engels, Opere scelte, Roma, 1969, pag. 962

“Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno”.
Atti degli apostoli 4, 34-35

“Lévinas mostra come il nazismo consista nella filosofia dell’asservimento al corpo, nell’accettarne l’incatenamento, nel cancellare ogni esigenza di evasione. L’appello all’eredità, al passato, al sangue, l’idea della società a base consanguinea, annientano la libertà, precludono ogni possibilità di presa di parola, di critica, di scarto, di rimorso, di pentimento. Le idee che legano l’Io lo legano in maniera indissolubile, egli vi aderisce perché scaturiscono dalla sua carne e dal suo sangue, dal suo passato, dalla sua razza. L’Io non ha più il potere di sfuggire a se stesso. E se le idee con cui si identifica completamente, assumendole come la verità stessa del proprio corpo, pretendono in quanto verità di essere universali, malgrado il loro razzismo, la loro diffusione diviene espansione, diventa violenza, guerra, sterminio. L’origine del nazionalsocialismo è da ricercarsi fondamentalmente nella dedizione all’essere, nell’adesione incondizionata all’essere, da cui solo il peso della responsabilità per altri può disancorarare l’io, schiodarlo. La “filosofia dell’hitlerismo” non è un’anomalia contingente, ma si iscrive come una stabile minaccia nella filosofia occidentale, affetta com’è da allergia all’alterità. Senza il superamento di tale allergia, il liberalismo e la democrazia non possono nulla, dato che essi si sono costituiti fondamentalmente per la difesa dei diritti dell’Io, piuttosto che di quelli dell’Altro; si sono attestati a difesa degli appartenenti, dei comunitari, e non dei non appartenenti, degli extracomunitari”.
Augusto Ponzio, introduzione a “Dall’altro all’io” di Lévinas, Roma, 2002, p. 28

“Diretta conseguenza dell’emigrazione di massa è stata la creazione di tipi completamente nuovi di esseri umani – individui che si radicano in idee piuttosto che in luoghi, tanto nelle memorie quanto nelle cose materiali; gente che è stata obbligata a definirsi – perché così vengono definiti da altri – sulla base della loro alterità; gente nel cui io più profondo avvengono strane fusioni, unioni senza precedenti fra ciò che sono stati e il luogo nel quale si vengono a trovare. L’emigrazione comprende la natura illusoria. Per vedere le cose così come sono, è necessario attraversare una frontiera”.
Salman Rushdie, “Patrie Immaginarie”.

“E di nuovo Trimbali avvertì il privilegio della sua cultura – e della sorte che gli permetteva di sapere molto di più, di potersi sentire, in ogni caso, ovunque, come un “io”. Altre volte, parlando con i soldati, lo aveva colpito il senso totale di sradicamento che, allontanati dalle famiglie, e dal paese, sembravano coinvolgerli; quasi una pianta che, strappata dalla terra, dall’humus, in cui era cresciuta, si inaridisce improvvisamente. Sempre lo avevano attratto questi frammenti di vita, questi ambiti così, ancora, chiusi, ristretti. Eppure c’era un’esistenza, in loro; e affetti; amori; passioni, a volte; più forti, all’occorrenza, delle sue, filtrate com’erano dalla cultura, dalla lontananza”.
Mario Spinella, “Lettera da Kupjansk”

Altre citazioni utili per la creazione di un Mondo Nuovo:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/13/citazioni-per-un-mondo-nuovo-2/

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: