“Renzi uomo del Mossad”: si prepara il ribaltone?

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Natalino Balasso, discorso di fine anno alla nazione + perle di saggezza (vera)

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

Web Caffè Bookique [Facebook]

“Sono un essere pensante abbastanza contemporaneo. Vivo tra la via Emilia e il Nord Est. Per campare faccio l’attore soprattutto in teatro, ma anche nel cinema e in televisione. Qualche volta faccio ridere. Scrivo libri di narrativa, meno di quanti vorrei scriverne. Ritengo che il Ministero per la Semplificazione dovrebbe cominciare tagliando se stesso. In una lingua sanscrita di 4000 anni fa la parola “stelle” si diceva “staras”, oggi gli americani dicono “stars”; credo che negli ultimi 4000 anni non abbiamo detto niente di nuovo sotto le stelle”.
Natalino Balasso
http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/nbalasso/

Ho un sogno: vorrei che il calcio diventasse uno sport.

Se il calcio fosse uno sport gli arbitri sarebbero estratti a sorteggio e anche i calciatori, perché se il calcio fosse uno sport i calciatori più bravi non giocherebbero necessariamente con le squadre più ricche.

Se il calcio fosse uno sport nelle scuole calcio s’insegnerebbe ai ragazzini ad amare la lealtà, il rispetto per le regole e per gli avversari e gli s’insegnerebbe ad odiare  quello squallido repertorio di menzogne, furberie, disonestà che i giornalisti sportivi descrivono come “mestiere“.

Se il calcio fosse uno sport non ci sarebbero né tifosi ultras, ma solo gioiosi sostenitori.

Se il calcio fosse uno sport nessuno tirerebbe un avversario per la maglia, nessuno farebbe finta di essersi fatto molto male, nessuno restituirebbe all’avversario la palla cinquanta metri più lontano di dove l’avversario l’aveva concessa.

Se il calcio fosse uno sport segnare un gol con la mano e non farsene accorgere non sarebbe considerata una cosa geniale, ma una cosa di cui vergognarsi.

Se il calcio fosse uno sport gli ex calciatori sarebbero più sani.

Se il calcio fosse uno sport i giornalisti sportivi sarebbero molti di meno.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/06/20/se-il-calcio-fosse-uno-sport/27384/

E’ più importante il lavoro o è più importante l’uomo? E’ più importante la nostra sicurezza dai criminali o è più importante che questi smettano di essere criminali?

Che ci sia un regresso delle civiltà occidentali a livelli preottocenteschi è sotto gli occhi di tutti. Oggi è purtroppo ancora valida la frase contenuta nel libro del Siracide (nella Bibbia): “Il ricco commette ingiustizia e per di più alza la voce, il povero subisce ingiustizia e per di più deve chiedere scusa”.

[…].

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Peccato. Chi dice che il lavoro è una bella cosa o non ha bisogno di lavorare o ha un bel lavoro.

Che cos’è oggi il lavoro? Il lavoro moderno è inserito in una roba antichissima che si chiama Mercato. Siccome non è il mio campo (dedico la mia vita a rifuggire il lavoro) mi limito a 3 piccoli paradossi.

PARADOSSO 1: Io possiedo una fabbrica che ricicla bottiglie di plastica. Secondo le regole del mercato devo riciclare sempre più bottiglie per essere al passo con la concorrenza. Dunque, per il mio benessere e quello (minore) dei miei operai devo sperare che ogni anno si producano sempre più bottiglie di plastica. In conclusione: affinché la missione ecologista della mia fabbrica sia efficace devo sperare che si inquini sempre di più.

PARADOSSO 2: Io sono un poliziotto con uno stipendio decente. Il mio scopo è quello di catturare e incarcerare i delinquenti. Ma per il mantenimento del mio stipendio e della mia famiglia ho bisogno che continuino ad esserci criminali da catturare. Se domani all’improvviso tutti smettessero di delinquere io non avrei più un lavoro. Dunque, se io voglio continuare a mantenere la mia famiglia dovrò sperare di sconfiggere i criminali ma non il crimine.

PARADOSSO 3: Io gestisco un ospedale che, come tutti sanno, è un luogo che per poter esistere ha bisogno di malati. Se domani all’improvviso tutti fossero sani il mio ospedale chiuderebbe, io non potrei pagare la mia bella casa e i medici del mio ospedale non saprebbero come campare. Dunque, quando dico che la ricerca deve sconfiggere poniamo caso il cancro, non intendo esattamente dire quello che dico. Per il mio benessere il cancro va curato ma non sconfitto.

Ed eccoci per forza arrivati al paradosso dei paradossi: autoconvincerci che non c’è alternativa al profitto, alla concorrenza, all’arricchimento di pochi, equivale a offrire vittime sacrificali a un drago che non esiste. E’ la paura del drago che ci tiene tutti buoni e ci fa accettare la barbarie odierna. D’accordo, ma perché non provare a costruire una civiltà diversa? Veramente diversa. In questa civiltà le nazioni non dovrebbero essere fondate sul lavoro, ma sul benessere di tutti, quello vero, quello che mira a inquinare di meno, a non delinquere, a sconfiggere le malattie e il bisogno. Oppure, se proprio vogliamo tenerci questa, chiamiamo le cose col loro nome, diciamo che siamo per il privilegio di pochi e non raccontiamoci balle. L’Italia è una repubblica fondata sulla paura.

Come diceva un altro figo che tutti dovrebbero leggere, Henry Laborit: “Nell’esame di un problema, non dovremmo limitarci mai al sottoinsieme che ci viene proposto. Non dovremmo limitarci nell’analisi di un’azione all’interesse di un individuo, di un gruppo, ma considerare se possibile il significato di quell’azione rispetto alla specie, cioè all’intera umanità” [cf. Kant].

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/03/litalia-e-una-repubblica-fondata-sul-lavoro-peccato/35938/

Ho letto una statistica che afferma che se non esistessero le multe, le amministrazioni comunali crollerebbero dall’oggi al domani. Si potrebbe dire che l’economia delle nostre città si basa sul fatto che i cittadini delinquono.  E se ci fosse una tassa sulla disonestà la nostra nazione sarebbe ricchissima. Ma forse la tassa sulla disonestà la paghiamo già versando oboli per lavori incompiuti da decine di anni i cui soldi sono andati nelle tasche di politici puttanieri, festaioli, drogati e amici dei mafiosi.

[…].

…non si può a parole dire di amare il prossimo, di stare dalla parte dei poveri e nello stesso tempo applaudire gente che si vanta di scacciare dall’Italia dei poveracci verso un destino di probabile morte. E cosa c’è da vantarsi, quant’è onorevole scacciare dei morti di fame come fossero terrifici nemici?

Quando passo dal Vaticano e vedo quei castelli, quei torrioni, quelle mura fatte per tenere lontani i nemici, quei portoni fatti per chiudere fuori i morti di fame non ci vedo proprio niente di sacro. E niente di santo vedo in quelle madonne scolpite in serie, in quei crocifissi nelle vetrine di Roma, esposti e sanguinanti come salami. Anzi c’è sicuramente qualcosa di sacro nel salame, che rappresenta la morte e l’involontario sacrificio del povero maiale che per ingrassare me affronta il macello. Vendere il sacro non è onesto e questo vale anche per le edizioni Paoline. Se dio esistesse, la Bibbia sarebbe gratis e le antenne di radio Vaticana non provocherebbero tumori nei bambini.

Ma allora esistono gli onesti in questa nazione? Si. Gli onesti esistono, ma nessuno li nomina, nessuno li premia….E allora oggi lo voglio fare io il nome di una persona onesta: Zanarini Albino, sul suo camion c’è scritto “Spurgo fognature e pozzi neri”. Un paio d’anni fa è venuto a casa mia per liberare un tubo. La missione era improba, il tubo era sottodimensionato, un lavoro in cui edilizia e idraulica erano mal combinate. Il signor Zanarini ha lavorato con suo figlio per 4 ore e mezza, impiegando svariate tecniche ma alla fine le incrostazioni erano tali che il tubo non si è sturato. Gli ho chiesto quanto dovessi pagare per il suo lavoro, mi ha risposto: “Niente. Il lavoro non è riuscito”. Saremmo disposti noi a rinunciare a questa porzione? rinunciare al giusto compenso per quattro ore e mezza di lavoro? E quanti politici, manager milionari, artisti incapaci, sarebbero disposti a rinunciare ai loro milioni perché “Il lavoro non è riuscito”?

Io credo che in quell’uomo, che passa le proprie giornate a levare di torno la merda degli altri, ci sia più dignità e nobiltà che in tutti i cardinali messi insieme.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/15/siamo-una-nazione-di-disonesti/40503/

[…]. Sembra proprio che l’unica estetica che la chirurgia estetica è in grado di migliorare sia quella delle ville dei chirurghi estetici.

Intendiamoci, ciascuno è libero di far ciò che vuole del proprio corpo e se tingere i capelli ti fa star bene, vivaddìo, coloriamo il mondo. E’ chiaro che c’è tutto un indotto che riguarda il desiderio del corpo che porta con sé una vasta problematica dell’accettazione. Ma tutto questo voler cambiare se stessi deve avere un significato più profondo. Non accettare i nostri cambiamenti naturali, che sono la nostra storia o, peggio, non accettare quello che appariamo volendo apparire altro da noi significa non accettare la nostra stessa esistenza, voler dare agli altri un’immagine che spesso non è nemmeno un’immagine migliore, ma solo ciò che noi pensiamo che gli altri si aspetterebbero. Con la conseguenza che cominciamo ad avere tutti le tette uguali, i nasi uguali, i capelli uguali, secondo una logica estetica imposta dall’alto attraverso i soliti modelli del cinema, dei personaggi famosi, dei miti più o meno reali del contemporaneo.

La chirurgia ha un compito importante, riuscire a dare gambe e braccia a chi non le ha, ricostruire un seno che si è perduto per un incidente o una cura, ricreare parti di un volto sfigurato. Sarebbe bello che chi ha questo tipo di problemi potesse risolverli anche se non ne ha le possibilità economiche. A volte sembra che abbiamo voglia di concentrarci sulle sfumature ignorando i fondamentali.

Tutti noi vorremmo “migliorare” il nostro corpo, è comprensibile, è umano e ci sforziamo molto per farlo, ma se ogni tanto usassimo lo stesso impegno per provare a migliorare anche il nostro cervello forse avremmo meno ansie inutili.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/23/lestetica-delle-ville-dei-chirurghi-estetici/43393/

Quando si dice comunismo si pensa, a torto, alle nazioni che negli ultimi due secoli hanno sperimentato il così detto “socialismo reale“. In verità molte epoche hanno sperimentato (qualcuna, si dice, con successo) il comunismo. Ce n’è traccia addirittura nelle sacre scritture, negli atti degli apostoli (l’episodio di Anania e Safira) quando due vecchietti vennero fulminati dal cielo per non aver voluto mettere in comune i propri beni. Era l’epoca in cui Dio seccava i capitalisti.

[…]

Fatto sta che dato il momento favorevole arrivò una fortissima esplosione demografica, regioni diverse ebbero un diversificato sviluppo. I gruppi divennero aggressivi e cominciarono i conflitti. Furono inventate armi sofisticate e i gruppi dominanti, quelli che erano in grado di produrre di più, imposero grazie alla loro tecnologia superiore le proprie leggi e i propri dei agli altri gruppi.

Se ci pensiamo è difficile trovare sulla faccia della Terra una regione che non sia frutto di conquista, e quando si dice conquista si intende dire rapina. La proprietà privata, che oggi santifichiamo come un bene, inizialmente si impose con la forza, visto che nessuno aveva il diritto divino di possedere un pezzo di terra o delle piante o degli animali. Sicuramente c’è stata un’epoca in cui qualcuno, massacrando qualcun altro si è impossessato di un territorio, il suo gruppo ha difeso quel territorio tramandando alle generazioni successive la balla delle radici, della difesa del suolo e delle abitudini accumulate vivendo in quel luogo. Per giustificare la rapina si è spesso detto che gli abitanti del luogo erano malvagi, selvaggi, semi-animali: vedi gli spagnoli prima e gli inglesi poi coi nativi americani; vedi gli aborigeni australiani o come i Boeri hanno “colonizzato” il Sudafrica, ma gli esempi sarebbero a migliaia e in tutte le epoche storiche. Possiamo anche dire che il capitalismo è la risultante di una serie di rapine.

Sarebbe forse fuori luogo però rimpiangere quell’età dell’oro, non solo i tempi, ma anche gli esseri umani sono cambiati. Sembra evidente che per essere comunisti bisognerebbe esserlo tutti, senza imposizioni e senza condizioni; dovrebbe essere uno stato mentale, un istinto. Ma dandoci un’occhiata in giro, si ha l’impressione che questo stato mentale sia assai lontano dalla nostra natura, almeno in questa epoca storica nella quale un pulmino per la scuola viene definito dai felici liberisti (quelli, non dimentichiamolo mai, che ci hanno trascinato in questo pantano economico) una “sacca di socialismo reale”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/16/essere-comunisti-e-impossibile/50663/

Per iniziare, un piccolo paradosso sull’amore.

Un uomo innamorato dice a una donna: “Io ti amo, voglio il tuo bene”.

La donna gli risponde: “Il mio bene è la tua assenza”.

Ora, se l’uomo non sparisce dalla vita della donna e tenta in ogni modo di conquistare il suo amore, dimostra solo di non amarla perché non si comporta assecondando il “suo bene”. Se l’uomo sparisce dalla sua vita, dimostra di amare quella donna, ma in tal caso l’amore è assenza totale di rapporto.

A volte mi stupisco di come si faccia fatica a cogliere l’ipocrisia nascosta nella maggior parte delle canzoni d’amore. Sembra di capire, analizzando quei testi, che il più delle volte, dietro una canzone d’amore, si nasconde un mutuo per la casa.

L’amore come rapporto esclusivo racconta molte balle sulla condivisione e l’altruismo, mentre in realtà nasce dall’istinto del possesso. Forse l’aggettivo che più si associa al concetto dell’amore è “mio”. L’amore assoluto per la madre è un sentimento felice fin quando sappiamo (nella primissima infanzia) di poter disporre della madre, di averla tutta per noi; il sentimento cambia di molto quando scopriamo di doverla “condividere” con altri.

[…].

In realtà l’amore spesso è il contrario dell’altruismo, è egoismo spinto persino alle estreme conseguenze. Anche a livello religioso, cosa significa per gli Ebrei essere il “popolo eletto” se non godere dell’esclusivo amore di Dio? E quando in tempo di guerra, la madre cattolica di un soldato chiede protezione a Dio, non intende forse chiedergli di fare preferenze? Gli chiede cioè il favore di far sopravvivere suo figlio e di far crepare i nemici. La morte è una perdita, ma noi piangiamo per la morte dei nostri cari, non per quella degli sconosciuti. Non che una persona sia morta ci dispiace, ma che non sia con noi, che non sia più a nostra disposizione.

Anziché sentirsi dire “Voglio che tu mi ami” è più facile sentirsi dire: “Voglio che ami solo me”, quindi l’amore più totale ancor più che desiderare qualcuno consiste nel non desiderare altre persone. E’ molto facile se si esprimono luoghi comuni come: “Tu sei bellissima” sentirsi rispondere: “Chissà a quante altre l’avrai detto…”. Non è quindi importante che l’innamorato trovi bella una persona, ma piuttosto che non trovi belle le altre. Un sentimento che viene associato all’amore è quello della gelosia, che non è altro che paura di perdere l’esclusività del possesso di una persona. Ancora più egoistica è l’idea che il proprio innamorato, dopo che non è riuscito a resistere al nostro fascino, debba invece resistere a quello degli altri.

[…].

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/26/la-balla-dellamore/53298/

Se mettessimo in fila un po’ di slogan pubblicitari degli ultimi quarant’anni, eliminando i prodotti e ascoltando solo il “discorso logico” fatto attorno ad essi, ne risulterebbe un invito a farsi gli affaracci propri fregandosene del prossimo. Ecco un piccolo estratto:

“Io ce l’ho profumato… L’alito. Perché io valgo. Per l’uomo che non deve chiedere mai. Il contorno che ti vizia. La ricerca protegge il tuo mondo. Al servizio delle tue idee. Il tuo prossimo desiderio. Il tuo modo di gustarti la vita. Voglio il meglio. Chi segue gli altri non arriva mai primo. Ti tenta tre volte tanto! Se non ti lecchi le dita, godi solo a metà. A me… me piace. Ti dà, gusto a volontà! O ce l’hai o ne hai bisogno. Per te e per gli amici. La tua bionda naturale. Miglioriamo il tuo mondo. Prenditi cura di te. Per chi non si accontenta. Tutta la vita che vuoi. Tutto intorno a te.” [Perché io valgo]

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/10/comprare-un-suv/59007/

[…] Ogni volta che sentiamo al tg la notizia di un assassino, di uno stupratore, di un seviziatore, tutta gente odiosa, sia chiaro…nei commenti ai quali tutti ci lasciamo andare, nei quali suggeriamo di impiccarli per le palle, di tagliargli le mani, di seviziarli in mille modi anche molto fantasiosi, c’è lo sfogo dei nostri istinti più bassi, della nostra ansia di violenza quasi gratuita, visto che il male non è stato fatto direttamente a noi.

Tutte le volte che viene intervistato chi ha subìto un grave torto e gli viene chiesto cosa chiede ai tribunali, costui risponde “giustizia” ma sulla faccia si legge “vendetta”. È umano e comprensibile, ma va chiamata col suo nome.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/11/si-dice-giustizia-si-pensa-vendetta/71048/

[…]. Negli ultimi 50 anni è stato costruito un secondo medioevo, con i “famosi” al posto dei nobili, i mezzi di comunicazione al posto degli editti e le banche al posto delle chiese, un medioevo in cui la gente viene talmente riempita di problemi di sopravvivenza da attaccarsi al primo che arriva, senza aver modo e tempo di capire chi sia. Al popolo viene indicato persino chi odiare, attraverso gogne mediatiche e processi televisivi e spende il proprio tempo in insulti alimentando una guerra tra disperati. Il crescente investimento del potere nell’enfasi della lotteria e del gioco d’azzardo serve ad alimentare questa sensazione di aleatorietà. Il popolo non ha più tempo. Non ha tempo per informarsi, non ha tempo per organizzarsi, non ha nemmeno il tempo per capire quanto profonda sia diventata la sodomizzazione sociale cui è giornalmente sottoposto. Chi ha soldi, potere e mezzi di produzione di beni (siano essi materiali o intellettuali) può permettersi di pensare a cosa potrebbe fare tra cinque anni, chi è precario, ha un salario all’osso con la mannaia del licenziamento, è afflitto dalla ricerca di un lavoro che non arriva, deve assistere familiari malati senza nessun aiuto, riesce a malapena a pensare a cosa potrebbe fare il mese prossimo. Questa differenza è la chiave. Il potere ha tutto il tempo e può comprarsi il tempo altrui per studiare il popolo e conoscerlo più di quanto egli conosca il potere, anzi, più di quanto conosca se stesso, come ammette amaramente Noam Chomsky:

Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su se stesso”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/15/il-popolo-e-gia-fottuto/71860/

A Vicenza, che è da sempre città civilissima checché ne dicano gli antisettentrionalisti, nel ’500 è stata affissa e ancora si può vedere una lapide in Piazza dei Signori per ricordare un certo signor Baldus (cerco nella memoria e potrei sbagliare nome), il quale, essendo stato connestabile in quella città, si rese meritevole di vergogna imperitura per aver creato un “grave ammanco di cassa”; perché nelle città civili rubare i soldi di tutti è un crimine.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/20/veneto-i-soldi-per-lalluvione-ci-sono-gia-tutti/82849/

Nei lunghi viaggi in cui sono da solo in macchina, mi diverto a fare un gioco: se incrocio per strada un’auto uguale ad una macchina che ho posseduto, immagino che al volante di quella macchina ci sia il me stesso degli anni passati, di quando guidavo quella macchina e lui mi chiede: “Sei contento di quello che fai, di come la pensi?” perché quell’altro me stesso era un po’ diverso, magari aveva una macchina meno costosa e si recava a fare lavori meno gratificanti, ma talvolta mi capita di vergognarmi di fronte a lui.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/25/e-la-maggioranza-a-decidere-come-sbagliare/88217/

L’orgoglio è un sentimento pericoloso, non vedo perché dovrei sentirmi orgoglioso di essere italiano, quando questo dovrebbe significare che preferisco essere italiano invece di francese o lèttone o curdo o israeliano o americano. Mi sarebbe indifferente appartenere a qualsiasi nazionalità, perché ritengo che l’amor patrio sia una cosa vuota oltre che pericolosa. E in fondo non è da questo che nascono le guerre? Non è dagli inni nazionali? Non è dallo stringiamci a coorte? Dalle bandiere?

Quando al telegiornale danno notizia di un disastro o di un attentato all’estero, si affrettano a dire che fra le vittime non vi sono italiani. Ma, fatte salve le preoccupazioni degli eventuali parenti delle vittime, per quale motivo dovrei sentirmi sollevato se fra centinaia di morti non ci sono italiani? Non sono morti gli altri? C’è da dispiacersi meno se i morti non parlavano la nostra lingua? Rispondere alla retorica della Lega con una retorica ancor più vecchia non mi sembra cosa utile. No, Benigni che canta l’inno nazionale non mi commuove affatto e a dire il vero mi preoccupa una sinistra che sembra rispondere alla mancanza di moralità e all’arroganza dei governanti con un bigottismo cieco o una vacua retorica.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/02/20/retorica-di-sinistra/93129/

Caro Gigi, lo so che secondo la tua professione di lucido ateismo, ora che sei morto, sei convinto di non esistere più. Io ti voglio scrivere lo stesso, un po’ perché mi rimproveravi di non farlo, un po’ perché c’è una cosa che ti devo dire. Tu hai reso noto il tuo paese natale: Malo, grazie al tuo celebre romanzo e a Malo riposi, nel cimitero del paese. E’ giusto quindi che tu sappia che il tuo paese natale non ha più un assessorato alla cultura.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/10/lettera-a-luigi-meneghello-sulla-cultura/144435/

La gerarchia è un astuto stratagemma per moltiplicare a cascata il meccanismo di dominanza-sottomissione. A parte il vertice, tutti sono sottomessi, ma tutti hanno l’illusione di dominare qualcun altro, via via, fino agli ultimi in un meccanismo che dà l’illusione della libertà, ma che visto da lontano ci rimanda l’immagine di una guerra di tutti contro tutti.

Probabilmente gli esseri umani hanno cominciato a collaborare tra loro quando hanno compreso che collaborare è più utile che lottare. La collaborazione, il lavoro comune, è l’unico meccanismo che permette di sfuggire alla trappola delle tre opzioni: sottomissione-lotta-fuga. La collaborazione estromette dalla società l’idea di dominanza e di privilegio. Ma la classe dei privilegiati dominanti, da sempre la più potente, allo scopo di tenersi in vita cercherà sempre di rendere ostico il concetto di collaborazione ed esaltare il culto della persona. Ecco perché, nonostante sia sconveniente ai più, il vecchio e rugginoso sistema dominanza-sottomissione torna a più riprese in auge corroborato da amplificatori sociali regolati ad arte per invitare alla lotta o alla sottomissione.

A tutti i livelli, in ogni classe sociale, anche tra i più umili, vengono creati miti che spingono tutti nella trappola a suon di coraggio, di fierezza, di sicurezza, di ordine, di patriottismo, di concorrenza, di speranza, di onore, di ambizione, di avidità e di altri euforizzanti sociali.

[…].

Fino al giorno in cui non avremo compreso veramente l’utilità del lavoro comune, fino a quando non difenderemo questa opzione dagli assalti del meccanismo dominanza-sottomissione, saremo vittime e compici dell’arroganza dei potenti.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/28/larroganza-degli-umili/148330/

Cari amici di Cittadella in provincia (molto in provincia) di Padova, per chi ama la carne il kebab è una trovata alimentare davvero buona, privarvi di questa opportunità non è solo stupido, è anche una possibilità di conoscenza in meno. Perché conoscere i cibi significa conoscere le persone. La giunta leghista di Cittadella, privando quelli che (immagino senza costrizione alcuna) vogliono assaggiare un cibo diverso da quelli della propria zona, non credo riuscirà davvero a dare – come dicono loro – un “giro di vite” alle abitudini esterofile che tanto minano l’identità delle persone di Cittadella. La motivazione principale (ma anche un bambino immagina che non è quella) è che “Non sono certo alimenti che fanno parte della nostra tradizione e della nostra identità”.

Io vorrei fare una proposta alle amministrazioni venete che si riempiono la bocca con parole di cui non conoscono il significato, di smetterla di tirare fuori l’identità. Cosa sarebbe dunque l’identità dei cittadini di Cittadella? Forse i suv tedeschi o giapponesi? Forse le pizzerie napoletane? O si hanno notizie di pizzerie celtiche a Cittadella? Cosa rende peculiari i cittadini di Cittadella da doverli definire quasi identici, forse i ristoranti che preparano pesce di mare? Sono cibi tradizionali il limoncello o l’ananas servito a fine pasto? Perché questi coraggiosi sindaci così bravi a fare i forti coi deboli non chiudono i McDonald’s? Perché non chiudono i pub che vendono birre irlandesi? o tedesche? Persino lo spritz non è di origine italiana e, diciamolo pure, fa veramente male al fegato. Io mi chiedo se ad esempio gli abitanti di Saronno debbano passare il proprio tempo a mangiare amaretti e bere liquore o se gli abitanti di Battipaglia debbano mangiare tutti i giorni mozzarella. E sono davvero preoccupato per il fegato degli abitanti di Prosecco. La biodiversità sarebbe un miraggio con queste idee. Cari amministratori leghisti di Cittadella, cercate nei vostri vecchi sussidiari di quinta elementare, lì troverete scritto che l’uomo è onnivoro.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/05/si-ai-mcdonalds-no-ai-kebab/150058/

E’ il 14 settembre. Siamo fuori Padova. Un ladro sfugge ai carabinieri col motorino rubato. Si butta nel Brenta ma non sa nuotare. Muore annegato. Quel ladro ha commesso due errori: il primo è stato scegliere, così giovane, la morte anziché la galera, il secondo è stato nascere in Moldavia. Si, perché Ruslan Moisei, di anni 23, in questo modo non avrà pace neanche da morto. Essere moldavo e morire braccati in Veneto è un errore. Il Mattino di Padova ne ha dato notizia e sul sito in rete fioccano commenti che vanno da “San Brenta” a “Uno di meno”. E tutto il discorso si sposta sul tema “Io non sono razzista ma ne abbiamo le palle piene”.

Ora, ripetendo per l’ennesima volta che non si capisce perché per un imprenditore che truffa o un politico che intasca bustarelle si debbano coniare termini come “concussione” e “corruzione”, mentre per uno che ruba nelle macchine, anche quando lo fa per la prima volta, si dice che è un ladro, la deriva morale e culturale della nostra società si fa sempre più evidente. Così come non si capisce come si possa invidiare politici corrotti e cocainomani e diventare all’improvviso moralisti e forcaioli quando si tratta di un disgraziato. Il problema è che anche i giornali sembrano perdere il senso dei fatti. E il fatto è che un giovane di 23 anni è morto.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/17/i-forcaioli-con-lo-spritz/158162/

 

Nella confusione totale che governa il Paese, un Paese in cui governanti pagati con soldi pubblici scelgono le politiche in base alle direttive di una Banca Privata (la Bce) ci si mette anche il localismo di sinistra ad offuscare un quadro già abbastanza surreale di per sé. Il concetto è: se la Lega dicendo stupidaggini vince, proviamo a dirne anche noi.

Nel Comune di Albignasego (provincia di Padova) un consigliere comunale del Pd propone che sia permesso a chi lo vuole, nei Consigli comunali e nelle sedute pubbliche, di parlare in “Lingua Veneta”, avete capito bene, proprio quella lingua propugnata dalla Lega (veneta) e i cui studi sono sovieticamente foraggiati dalla Regione con la solita solfa dell’identità, e che non esiste al pari della Padania.

Perché forse quello che Mirco Cecchinato del Pd, così pronto a seguire la Lega sui suoi stessi errori, non ha ancora capito è che il dialetto che parla lui, probabilmente una specie di padovano, non può essere la stessa lingua che parla un bellunese, non ha ancora capito che in Veneto c’è una lingua che si chiama veneziano e una miriade di dialetti come un po’ in tutte le regioni.

Perché dunque un esponente di paese del Pd parla di “Lingua Veneta” al pari dei linguisti leghisti? Forse non sa che un vicentino non capisce quello che dice un rovigotto (o rodigino)? Che i veronesi capiscono molto male il trevigiano? E’ davvero bizzarro che una regione che convince i propri cittadini sulla base del settarismo e della divisione, poi cerchi unità e coesione proprio dove non può esserci.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/01/caro-pd-la-lingua-veneta-non-esiste/161399/

Una di queste voci a mio avviso è quella di Piero Calamandrei, uomo dell’800, morto nel 1956, costituzionalista e del quale si può dire senza abusare dell’espressione “libero pensatore”. Ad esempio leggo dall’instant book di fresca pubblicazione Lo Stato siamo noi (Chiarelettere) ciò che lui dice del federalismo: La libertà è indivisibile, basta che sia minacciata in una sola città, perché subito si trovi in pericolo in tutti i continenti… I popoli saranno veramente liberi quando si sentiranno anche giuridicamente “interdipendenti”. Il federalismo, prima che una dottrina politica, è la espressione di questa raggiunta coscienza morale della interdipendenza della sorte umana.

Quando leggo questo penso alla distanza abissale con chi parla oggi di federalismo che parte dall’idea esattamente opposta, di compartimenti stagni, penso all’illustre trevigiano Gentilini che a dispetto del proprio cognome ha dichiarato: “Voglio eliminare tutti i figli dei zingari”, penso al leghista Cavallotto, che in Liguria gioisce perché l’alluvione fa sgomberare i campi nomadi, penso che costoro non abbiano capito nulla del federalismo di cui si riempiono la bocca e che spesso anche noi usiamo frasi e parole copiaeincolla senza averle capite.

Parlando dell’Italia come di una “Repubblica pontificia”, lui che ha fatto parte dell’assemblea costituente dice che se si dovesse poi scoprire che in Italia i cittadini professanti una certa religione hanno diritti maggiori degli altri, o che i cittadini seguaci di una certa opinione politica hanno diritti minori degli altri o addirittura non ne hanno alcuno, bisognerebbe allora concludere che la democrazia scritta sulla Carta costituzionale è una menzogna. Non posso non pensare alle mille disparità che questo Paese è riuscito a mettere insieme nei 60 anni che sono trascorsi da quando Calamandrei diceva questo.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/11/federalismo-labisso-calamandrei-lega/169970/

Che le banche stiano governando gli Stati e non da adesso è cosa risaputa. Che la Politica, dopo essersi trasformata in Economia, si stia mestamente trasformando in Finanza, è sotto gli occhi di tutti. Ma c’è un lato nascosto di questa crisi che sembra essersi insediata nelle vite di tutti e non volerne uscire più.

Da teatrante ho osservato un fenomeno che sta avvenendo nel mondo dei teatri, un mondo che conosce la crisi (finanziaria) da molti anni. Da qualche tempo molti teatri si sono messi in rete. La cosa è sempre più frequente. Ciò può avvenire per questioni meramente economiche, per condividere spese di materiale e di promozione, ma anche per questioni più profonde: teatri piccoli, facenti parte di un territorio ristretto, condividono gli spettatori creando un unico cartellone il quale, formato dai cartelloni dei singoli teatri, diventa ricco ed interessante. Si possono così condividere gli abbonati, programmare le date in modo che non si accavallino e incassare più denari. Il momento di difficoltà spinge al consociativismo.

Il mio maestro e regista Gabriele Vacis dice sempre agli attori che un oggetto che cade, un vestito che impaccia, un qualsiasi impedimento sulla scena non deve mai essere considerato un ostacolo, ma un’opportunità per avere un’idea scenica o per dare veridicità alla scena che si sta interpretando. L’ostacolo può essere un’opportunità, che bella intuizione.  Trasferendo questo ragionamento al momento attuale di crisi, credo che le difficoltà economiche spingeranno necessariamente la gente a cercare nuove soluzioni attraverso una maggiore apertura agli altri, a mettersi in rete, a consociarsi, a condividere.

[…].

Abbiamo ora due scelte: o approfittiamo di questo momento per metterci in rete, per cercare nuovi spunti e nuovi modelli di società, rinunciando a ciò che abbiamo acquisito per tentare di guadagnare terreno in campi che ora non frequentiamo, oppure continuiamo a lamentarci cercando di “arrangiarci” al meglio attraverso conoscenze e truffe varie. La prima ipotesi credo sia portatrice di civiltà, la seconda mi sembra un grosso passo indietro.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/14/approfittiamo-della-crisi-mettiamoci-rete/177397/

La farfalla avvelenata

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“La «Farfalla avvelenata» insomma, non vuole essere solo il resoconto degli aspetti investigativi e processuali della vicenda dei rifiuti pericolosi ma sottolinea anche le incertezze della politica e le sue reazioni, morbide e contorte, all’allarme ambientale lanciato dal magistrato. Quella politica che avrebbe cercato soprattutto di rassicurare e sminuire, davanti alle richieste sempre più precise di quei Comitati popolari nati prima e dopo l’inizio delle inchieste.
Nel volume Tomasi e Valenti si chiedono  perché sia stato il Corpo forestale dello Stato a scoperchiare questa vaso di «monnezza», e non il Corpo trentino. Perché per molte delle analisi determinanti per le inchieste, la magistratura abbia fatto riferimento non all’Appa ma ad aziende sorelle di regioni limitrofe? E perché solo le segnalazioni, per anni inascoltate, dei cittadini, abbiano smosso i controlli? La domanda che esce con forza da «La farfalla avvelenata» riguarda più la funzionalità della democrazia in Trentino che la situazione dell’inquinamento ambientale. Qualcosa non ha funzionato per portare tratti importanti del nostro territorio a questo livello di inquinamento: i controllori non hanno controllato. Talvolta, le indagini lo confermerebbero, sono stati timidi, poco attenti, giungendo in qualche caso a facilitare la vita degli inquinatori“.

http://www.ladige.it/articoli/2012/12/15/libri-avvelenata-farfalla-trentino

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Paolo Tessadri, “Il Trentino (avvelenato) che non ti aspetti”, 29 gennaio 2013

“Due giornalisti, Andrea Tomasi e Jacopo Valenti, raccontano l’altro Trentino, dove si sono consumati rilevanti danni ambientali. Perché nella terra della mela Melinda e dei paesaggi incantati non tutto è lindo come si vorrebbe far credere.

Un libro che è un colpo al cuore della legittimità dell’autonomia. La delega che i trentini consegnano nelle mani di chi li governa, che siano principi della Chiesa o principi della Margherita, non viene più usata per il buon governo ma per la causa del “lasciateci lavorare fatto proprio dalla classe dei politici e, a caduta, dei dirigenti privati. Tracotanza, presunzione, fastidio nei confronti dei controlli”. Lo scrive Claudio Sabelli Fioretti nella prefazione del libro “La Farfalla avvelenata“, scritto dai giornalisti Andrea Tomasi e Jacopo Valenti.

Il volume (edito da Città del Sole, 168 pagine, 15 euro) racconta le tre inchieste ambientali condotte dalla procura di Trento in Valsugana e a Trento a partire dal 2008. In particolare Tomasi e Valenti si concentrano sul traffico di rifiuti nelle cave di Sardagna e Monte Zaccon (inchiesta Tridentum), sull’inquinamento da fumi dell’Acciaieria Valsugana (Fumo neglio occhi) e sul vicenda legata allo smaltimento di scorie di acciaieria su terreni destinati a bonifiche agrarie (Ecoterra). Vengono raccontati i lunghi mesi di indagini del Corpo forestale dello Stato e i risultati delle perizie condotte nei siti sequestrati dall’autorità giudiziaria.

Ne “La Farfalla avvelenata” il racconto delle indagini giudiziarie si fonde anche con la politica, le incertezze, le reazioni, il solito grido d’allarme: attacco all’autonomia da parte dei veneti (i Forestali del Corpo dello Stato con stazione ad Enego) brutti, sporchi e cattivi.

E poi c’è il ruolo giocato dai comitati cittadini, che reagiscono in modo imponente, organizzando campagne di informazione, manifestazioni e iniziative di protesta.

Un tema, quello dell’attacco all’ambiente, e alla Valsugana in particolare, che è di attualità per almeno un paio di ragioni. La prima è quella che ci offre la cronaca degli ultimi mesi: il Corpo forestale dello Stato, non quello provinciale, ha effettuato dei prelievi nella discarica di San Lorenzo, in valle di Sella, dove si ipotizza un presunto inquinamento delle acque da metalli pesanti. La medesima ragione per cui lungo il torrente Moggio, a Olle, sono state fatte delle analisi congiunte da Appa e Comune di Borgo Valsugana, per stabilire l’eventuale rischio di alcuni depositi di acciaieria lungo il corso d’acqua. Quanto ai fumi dell’acciaieria, gli ex vertici dello stabilimento sono stati convocati a giudizio per nuove emissioni (l’udienza si tiene il 23 febbraio). Anche in questo caso – come era avvenuto per Monte Zaccon – le notizie di reato sono venute da privati cittadini, anziché dagli organi di controllo provinciali”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/29/il-trentino-avvelenato-che-non-ti-aspetti/482831/

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“L’inchiesta trentina è un’occasione per riflettere sulle debolezze del sistema, che si sente forte, troppo forte. Le ecomafie penetrano nel ventre molle del Paese. E del paese fa parte anche questa terra. Un’autonomia gestita bene? Sì, stando ai depliant della promozione turistica. Ma la farfalla del Trentino deve essere curata. È già, in parte, una farfalla avvelenata. Chi ha avuto la forza di arrivare alla fine di queste pagine, come noi che il libro lo abbiamo scritto, guarderà con occhi diversi le mele appese agli alberi delle nostre campagne, l’uva e il vino che ne deriva. Aprendo il frigorifero e afferrando la bottiglia del latte o il vasetto dello yogurt, si farà qualche domanda in più. È come nella scena di Gomorra (sappiamo che il paragone è forte, perché il Trentino non è Scampìa), quando il trafficante di rifiuti tossici abbandona la cassettina di pesche, coltivate su un terreno contaminato.

Si dovrà guardare con occhi diversi anche ogni intervento di scavo, ogni buca, ogni cava, ogni pista ciclabile (perché non sai cosa c’è sepolto sotto l’asfalto) e ogni prato (perché non sai cosa è stato messo nel sottofondo). Serve a qualcosa preoccuparsi? Serve a qualcosa uscire da questo piccolo-grande Matrix che è il racconto di un paradiso terrestre che stiamo distruggendo, convinti del contrario? Secondo noi sì. Serve perché un cittadino informato può pretendere una politica ambientale seria. Può chiedere a chi governa questo territorio di preservarlo, di non nascondere la verità sotto il suolo (in alcune zone della Valsugana, nel sottosuolo, scavando, ancora oggi si trovano rifiuti industriali).

Ali di farfalla appesantite dallo sporco. E ali appesantite non permettono di volare.

Questo è un atto di amore verso quella farfalla”.

http://www.ecceterra.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1128

http://www.ruralpini.it/Inforegioni-23.12.12-Farfalla_avvelenata.htm

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Ricordiamoci tutti chi ha difeso questo sistema e chi invece l’ha denunciato:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/14/donata-borgonovo-re-presidente-del-trentino-nel-2013-la-mia-scelta-per-un-mondo-nuovo/

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su una possibile correlazione tra comportamento antisociale ed avvelenamento da piombo tetraetile:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11332

Uscita dall’eurozona = rivoluzione + guerra civile

Bruno Tabacci (economista ed esperto di politiche industriali, oltre che politico) ha ragione e mi spiace che l’abbiano tagliato per dare spazio solo a Bagnai.

Bagnai dovrebbe leggere quel che cita, cosa che io ho fatto e dovrebbe rendersi conto che gli hedge fund stanno attaccando l’eurozona per distruggere l’Unione Europea e l’élite europea li sta aiutando.

Il responsabile principale della crisi dell’eurozona non è l’euro ma sono il sistema finanziario globale e la classe dirigente europea. Tsipras ha ragione da vendere a voler restare nell’euro creando una coalizione di paesi PIIGS (e non solo) che spingano con determinazione per delle riforme strutturali radicali, salvando l’Unione Europea. Chi preme per la sua frantumazione sta facendo il gioco di oligarchie interessate unicamente ad addivenire ad una separazione tra Europa di serie A (teutonica) e quella di serie B (le merdacce private di pressoché ogni margine di sovranità), che per di più provocherebbe la disgregazione di Italia e Spagna (Padania e Alto Adige chiederebbero di andarsene al più presto, la cosa non avverrebbe pacificamente ed il Trentino, una provincia complessivamente lealista, si troverebbe presa in mezzo)

E’ scandaloso che Messora e Bagnai, pur di restare fedeli alle loro posizioni, siano disposti a non investigare su chi siano i loro compagni di viaggio.
Ecco chi sono.

A luglio del 2012 l’equipe di analisi diretta da Roger Bootle, economista neoliberista (ex HSBC), ha vinto le 250,000 sterline del Premio Wolfson per l’Economia con uno studio su come spezzare l’eurozona conservando un euronucleo forte e riesumando le vecchie valute di Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia.

Secondo l’analisi la riconfigurazione economicamente ottimale della zona euro vedrebbe il mantenimento di un nucleo nordico (neo-carolingio, NdR) che incorpori Germania, Austria, Paesi Bassi, Finlandia e Belgio, paesi che hanno strutture economiche compatibili e possono formare un’area valutaria ottimale. La Vallonia potrebbe però essere sacrificata e la Francia verrebbe accettata solo per ragioni di opportunità politica. Non ci sarebbe un’eurozona di serie B perché i paesi esclusi non avrebbero interesse a coordinarsi e non hanno rapporti economici tali da giustificare una qualche sorta di unione. In alternativa, il nucleo neocarolingio potrebbe abbandonare l’attuale eurozona, dotandosi di un proprio euromarco.

Sempre secondo il parere di questi analisti finanziari neoliberisti, i divari sono tali che è altamente improbabile che il nuovo assetto possa essere provvisorio. Nessun escluso potrà rientrare dal retro, neppure dopo le più drastiche “terapie” di austerità.

L’evento, che viene definito paragonabile al collasso dell’Impero Austro-Ungarico o dell’Unione Sovietica, avverrebbe all’insaputa dei cittadini dei suddetti paesi (!!!) per “evitare il caos” (fuga di capitali, corse agli sportelli bancari) e non è prevista la consultazione referendaria dei cittadini. Cittadini che non sarebbero troppo felici di vedere un crollo del PIL del 10-20%, un analogo balzo dell’inflazione (con il costo dell’energia alle stelle), la massiccia riduzione dei salari e del potere d’acquisto, l’evaporazione dei propri risparmi (con il blocco dei bancomat per evitare che possano tirar fuori quanti più euro sia possibile finché sono in tempo) e l’umiliazione di essere trattati come dei paria dalle altre nazioni europee.

Questi sono piani che sembrano ideati da “intelligenze artificiali” prive di compassione, umanità e radicalmente utilitaristiche.
In questo scenario, entro non più di un anno, io e milioni di altri cittadini dei paesi PIIGS saremmo costretti a rubare per vivere o a sfasciare tutto (= rivoluzione).

http://www.policyexchange.org.uk/images/WolfsonPrize/wep%20shortlist%20essay%20-%20roger%20bootle.pdf

Questo è lo studio che, criminalmente, Bagnai cita a sostegno della sua tesi che i PIIGS dovrebbero abbandonare l’euro! Bagnai ha riserve d’argento e oro nascoste da qualche parte? Lo sa che sono metalli non  commestibili?

Il premio Wolfson, dell’ammontare di 250mila euro, assegnato a chi avesse trovato il modo di smantellare l’eurozona nel modo meno doloroso possibile, è stato indetto da un barone e finanziere inglese neoliberista che l’ha intitolato a se stesso, per il tramite del più influente think tank di destra in Gran Bretagna (Policy Exchange)! Tra i 5 valutatori: FRANCESCO GIAVAZZI (iperliberista consulente del FMI), un ex consulente della Banca d’Inghilterra, un ex consulente della Bundesbank e del governo tedesco, un ex consigliere di Tony Blair, il criminale di guerra.

A Bagnai va bene tutto questo? E’ in sintonia con GIAVAZZI e la Bundesbank? Ha letto quello studio prima di citarlo favorevolmente? Con che coscienza propone agli Italiani di prendere decisioni drammatiche, potenzialmente catastrofiche, contestando i suoi critici con questo tipo di supporti teorici, non a caso divulgati ampiamente dal Financial Times e dall’Economist, che fin dall’inizio si sono schierati dalla parte degli avvoltoi degli hedge fund? Non gli è squillato un campanello d’allarme in testa?

Il premio Wolfson è assegnato dall’élite a chiunque compiaccia le aspettative dell’élite. Era davvero così difficile dedicare 5 minuti del proprio tempo sulla rete per capire chi lo assegna e a chi è stato assegnato? Perché proprio i politici bavaresi e Wolfgang Schäuble, che sono i più accesi fautori dell’euromarco, non hanno fatto altro che perorare la causa dell’espulsione della Grecia? Vogliono il bene dei Greci?

Oppure poteva informarsi sulle ragioni per cui Tsipras, invece di guadagnare migliaia di voti facili, ha insistentemente rifiutato di inserire nel suo programma l’uscita della Grecia dall’eurozona. Gli economisti greci che hanno formulato il programma economico di Syriza sono dei fessi o dei mostri che se ne infischiano delle sofferenze dei loro concittadini e delle loro famiglie? Come mai Syriza e Tsipras sono detestati da tutti i maggiori quotidiani finanziari internazionali e demonizzati dalla troika se in effetti sono i massimi responsabili della continua presenza della Grecia nell’eurozona, che in teoria dovrebbe incontrare i loro favori?

Bagnai (e Messora e gli altri) avrebbe anche potuto chiedersi come mai oltre tre quarti dei Greci, nonostante tutto quel che stanno patendo da anni, siano ancora intenzionati a restare nell’eurozona. Tutti fessi? E perché allora sostenere che hanno impedito ai Greci di votare per l’uscita dall’eurozona? Il referendum avrebbe visto il trionfo del no all’uscita. Perché queste cose Bagnai non le dice? Dov’è l’onestà intellettuale? A che gioco sta giocando il Fatto Quotidiano?

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Ettore Livini, “Grecia, il ritorno della dracma costerebbe 11mila euro all’anno per ogni europeo”

Il ritorno della dracma, se mai succederà, “non sarà indolore né per la Grecia né per la Ue”, ha garantito Per Jansson, numero due della Banca di Svezia (che non è parte in causa, NdR).

IL PRIMO ATTO

Il primo atto del possibile Calvario è già scritto: un fine settimana, a mercati chiusi, Atene formalizzerà a Bruxelles la sua uscita dalla moneta unica. Poi sarà il caos. La Banca di Grecia convertirà dalla sera alla mattina depositi, crediti e debiti in dracme, agganciandoli al vecchio tasso di cambio con cui il Paese è entrato nell’euro nel 2002: 340,75 dracme per un euro. Si tratta di un valore virtuale: alla riapertura dei listini, prevedono gli analisti, la nuova moneta ellenica si svaluterà del 40-70 per cento. Per evitare corse agli sportelli (i conti correnti domestici sono già calati da 240 a 165 miliardi in due anni), Atene sarà costretta a sigillare i bancomat, limitare i prelievi fisici allo sportello e imporre rigidi controlli ai movimenti di capitali oltrefrontiera.

IL PIL GIU’ DEL 20%

L’addio all’euro costerà carissimo ai greci: il Prodotto interno lordo, calcolano alcune proiezioni informali del Tesoro, potrebbe crollare del 20 per cento in un anno. I redditi andrebbero a picco, l’inflazione rischia di balzare del 20 per cento. Il vantaggio di competitività garantito dal “tombolone” della dracma sarà bruciato subito. La Grecia – che a quel punto non avrebbe più accesso ai mercati – sarà costretta a finanziare le sue uscite (stipendi e pensioni) solo con le entrate (tasse) senza potersi indebitare. E non potrà più contare né sui 130 miliardi di aiuti promessi dalla Trojka, nei sui 20,4 miliardi di fondi per lo sviluppo stanziati da Bruxelles. Di più: i costi delle importazioni (43 miliardi tra petrolio e altri beni di prima necessità nel 2011) schizzerebbero alle stelle mettendo altra pressione sui conti pubblici. Un Armageddon che rischia di far passare il memorandum della Trojka per una passeggiata. Il colpo di grazia per una nazione in ginocchio, reduce da cinque anni di recessione che hanno bruciato un quinto della sua ricchezza nazionale e con la disoccupazione al 21,7 per cento.

TORNANO I DAZI

In questa tragedia greca, l’Europa non avrà solo il ruolo di spettatore. Il pedaggio a carico del Vecchio continente – che un minuto dopo il ritorno della dracma potrebbe imporre dazi alle merci elleniche – è salatissimo. L’effetto contagio, tanto per cominciare, si tradurrà in una Caporetto per i mercati e una via crucis per Italia e Spagna. Gli spread, calcolano gli algoritmi di Sungard, potrebbero salire del 20 per cento, le borse scendere del 15 per cento. Ma è solo l’antipasto. La Grecia – dove le banche saranno nazionalizzate – smetterà di pagare i debiti anche ai privati e così lo tsunami della dracma travolgerà diversi istituti di credito e molte imprese continentali. Una matassa inestricabile (anche legalmente), molto peggio di quella della Lehman che nel 2008 ha mandato in tilt il mondo.

I CALCOLI DI UBS

Italiani e spagnoli, ha calcolato Ubs un anno fa, pagherebbero tra i 9.500 e gli 11.500 euro a testa all’anno per l’addio all’euro di Atene. I tedeschi poco meno. Le cifre vanno aggiornate al rialzo: il debito di Atene a fine 2009 (301 miliardi) era tutto controllato da privati. Ora, grazie alla ristrutturazione, è sceso a 266 miliardi. E ben 194 sono in mano a paesi Ue, Bce e al Fondo Monetario. Se la Grecia non onorerà i suoi impegni come ha fatto l’Argentina, l’Apocalisse europea è belle e servita.

http://www.repubblica.it/economia/2012/05/15/news/grecia_il_ritorno_della_dracma_costerebbe_11mila_euro_all_anno_per_ogni_europeo-35060321/

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PREVISIONI DI NOMURA

http://www.forexinfo.it/Grecia-fuori-dall-euro-Nomura-fa

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“La mancanza di un processo costituzionale (o permesso da un trattato) per uscire dalla zona euro ha una solida logica solida alle spalle. Il punto di creare la moneta comune era quello di convincere i mercati che si trattava di un’unione permanente che avrebbe assicurato perdite enormi per chiunque avesse osato scommettere contro la sua solidità. Una singola uscita basta ad abbattere questa solidità percepita. Come una piccola crepa in una possente diga, un’uscita greca porterà inevitabilmente al collasso l’edificio…Nel momento in cui la Grecia viene spinta fuori accadranno due cose: una massiccia fuga di capitali da Dublino, Lisbona, Madrid, ecc, seguita dalla riluttanza della BCE e di Berlino ad autorizzare liquidità illimitata alle banche e stati. Questo comporta il fallimento immediato di interi sistemi bancari, nonché dell’Italia e della Spagna. A quel punto, la Germania dovrà affrontare una terribile dilemma: mettere a repentaglio la solvibilità dello stato tedesco (devolvendo alcune migliaia di miliardi di euro per salvare ciò che resta della zona euro) o salvare se stessa, abbandonando la zona euro. Non ho alcun dubbio che sceglierà la seconda. E poiché questo significa strappare una serie di trattati e carte dell’UE e della BCE, l’Unione Europea, di fatto, cesserà di esistere”.

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/31/interviewed-by-fxstreet-com-on-grexit/

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L’uscita dall’eurozona sarebbe una catastrofe pazzesca e, soprattutto, è esattamente quel che vogliono gli hedge fund, che puntano proprio a quell’esito per spolpare le carcasse degli stati lasciati dietro. Non per altro hanno cominciato attaccando proprio quelli. È quel che fanno i predatori: separano le prede più deboli dal branco e poi le aggrediscono assieme.

Bagnai & co sbagliano e se la gente li prenderà sul serio ci porteranno alla catastrofe.

La troika va combattuta dall’interno dell’eurozona e le riforme strutturali si dovranno fare assieme, con i PIIGS che finalmente fanno fronte comune, dopo essersi liberati delle attuali classi dirigenti corrotte ed incompetenti, e pretendono i cambiamenti necessari.

Yanis Varoufakis: “Questo significa che la Grecia dovrebbe sorridere e sopportare la misantropa idiozia del pacchetto di salvataggio-austerità imposto dalla troika (UE-BCE-FMI)? Certo che no. Dovremmo certamente fare il default. Ma all’interno della zona euro. (Vedi qui  per questo argomento.) E utilizzare la nostra disponibilità al default come una strategia di contrattazione con la quale realizzare un New Deal per l’Europa (nel modo che ho descritto qui )”.

http://vocidallestero.blogspot.it/2012/05/per-varoufakis-la-grecia-non-puo.html

Qui la sua proposta di soluzione (eminentemente ragionevole)

IN ITALIANO (ACCENNI): https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/04/la-modesta-proposta-per-superare-la-crisi-delleuro-di-yanis-varoufakis/

IN INGLESE (TESTO COMPLETO):

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/15/the-modest-proposal-for-overcoming-the-eurozone-crisis-version-3-0/

Se seguiremo i consigli di Bagnai ci sarà una rivoluzione (con relativa contro-rivoluzione) entro pochi anni e tutte le peggiori tipologie umane si sfideranno per arrivare al potere.
http://fanuessays.blogspot.it/2012/01/se-incontrate-questo-tipo-di.html

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UNA POSTILLA

Qualcuno che conosce Alberto Bagnai (goofynomics) può spiegargli che trattare come sterco tutto quello che non è in linea con il suo pensiero e come degli imbecilli quelli che non la pensano come lui diminuisce il potere persuasivo dei suoi articoli?

Mi rendo conto che, in una certa misura, sia un rischio che corriamo (e una trappola in cui caschiamo) tutti noi che ci troviamo a combattere contro un paradigma dominante palesemente errato e criminale ma tenuto in vita dai media; tuttavia su goofynomics si esagera e c’è davvero pochissimissimo spazio e rispetto per visioni alternative.

Quando gli amici FB mi chiedono di leggerlo mi domandano un vero e proprio sacrificio, perché davvero faccio fatica ad esaminarlo obiettivamente, mi mette subito a disagio e mi irrita. Sono sicuro di non essere il solo. Non saprei dire se Bagnai sia peggiorato o sia io ad essere diventato sempre più sensibile, ma sta diventando un problema.

Questo sfogo nasce dalla lettura del seguente articolo:

http://goofynomics.blogspot.ch/2012/11/piccoli-prodi-friniscono.html

Anch’io, come lui, ho poca pazienza per diversi aspetti del grillismo, però qui mi pare ci sia cattiveria gratuita (anche nel dibattito che segue), un livore che eccede i limiti della disputa e che comincia davvero a mostrare dinamiche da cultismo, da inquisizione puritana. La cosa non mi piace per niente perché lo vedo succedere sempre più spesso in diverse sedi e mi spaventa l’idea di finire così.

 

Prossima mossa neoliberista: chi non paga abbastanza tasse perde il diritto di voto (George Monbiot sul Guardian)

Ogni volta che sul Fatto Quotidiano o su qualunque altro quotidiano o rivista leggerete un articolo di supporto agli studi dell’Istituto Bruno Leoni – che è un covo di neoliberisti assatanati ed orgogliosi di esserlo – ricordatevi della seguente analisi di George Monbiot, uno dei giornalisti britannici più quotati ed uno dei pochi che si può ancora permettere di criticare l’establishment.

“Sovvertire significa rovesciare dal basso. Abbiamo bisogno di una nuova parola, che significhi rovesciare dall’alto. La principale minaccia per lo Stato democratico e le sue funzioni non è il governo della masse o un’insurrezione di sinistra, ma è costituita dai più ricchi e dalle multinazionali sotto il loro controllo.
Queste forze hanno affinato la loro strategia di assalto alla gestione democratica della società. Non c’è più bisogno – come invece facevano Sir James Goldsmith, John Aspinall, Lord Lucan e altri negli anni Settanta – di discutere la possibilità di lanciare un colpo di stato militare contro il governo britannico: i plutocrati hanno altri mezzi di sovvertirlo.

Nel corso degli ultimi anni ho cercato di capire meglio in che modo le esigenze delle grandi imprese e dei più ricchi vengano implementate nelle politiche statali, e sono arrivato a capire il ruolo centrale dei think tank neoliberisti in questo processo. Questi sono gruppi che pretendono di difendere il libero mercato, ma le cui proposte spesso appaiono come raccomandazioni per un più ampio potere delle imprese.

David Frum, ex membro di uno di questi think tank – l’American Enterprise Institute – sostiene che “funzionano sempre più come agenzie di pubbliche relazioni”. Ma in questo caso, non sappiamo chi siano i clienti. Come il lobbista Jeff Judson ribadisce entusiasticamente, sono “virtualmente immuni da qualsiasi punizione … l’identità dei finanziatori dei think tank è protetta dall’anonimato”. Un consulente che ha lavorato per i miliardari fratelli Koch [i responsabili della creazione del movimento Tea Party, quello di Oscar Giannino] sostiene che vedono il finanziamento dei think tank “come un modo per ottenere quello che vogliono senza sporcarsi le mani”.

Questo mi era già chiaro, ma negli ultimi giorni ho imparato molto di più. In Think Tank: la storia dell’Adam Smith Institute [Think Tank: the story of the Adam Smith Institute], il fondatore dell’Istituto, Madsen Pirie, fornisce una guida, involontaria ma inestimabile, su come opera realmente  il potere in Gran Bretagna.

Poco dopo la sua fondazione (nel 1977), l’istituto si avvicinò a “tutte le principali aziende”. Circa 20 di loro risposero con l’invio di assegni. Il suo sostenitore più entusiasta fu James Goldsmith, uno degli aspiranti golpisti, una degli speculatori più spietati del suo tempo. Prima di fare una delle sue donazioni, scrive Pirie, “ascoltò con attenzione la descrizione del nostro progetto, i suoi occhi brillavano per la sua audacia e la sua scala. Poi ci fece consegnare dalla sua segretaria un assegno di 12mila sterline [sterline degli anni Settanta!]”.

Fin dall’inizio, giornalisti veterani del Telegraph, Times e Daily Mail offrirono volontariamente i loro servigi. Ogni sabato, in una vineria chiamata “the Cork and Bottle”, i ricercatori di Margaret Thatcher e gli editorialisti e giornalisti del Times e Telegraph incontravano il personale dell’Adam Smith Institute e dell’Institute of Economic Affairs. Durante il pranzo, “pianificavano la strategia per la settimana successiva”. Queste riunioni “coordinavano le nostre attività per massimizzare la nostra efficacia collettiva”. I giornalisti poi si incaricavano di tradurre in editoriali le proposte dell’istituto mentre i ricercatori s’incollavano ai ministri ombra.

Molto presto, riferisce Pirie, il Mail iniziò a pubblicare articoli di sostegno volta che l’Adam Smith Institute pubblicava qualcosa. L’allora direttore del giornale, David English, curava in prima persona la loro stesura ed aiutava l’istituto a migliorare le sue argomentazioni.

[…]

Pirie si prende, tutto o in parte (e fornisce un mucchio di prove a sostegno) il merito della privatizzazione delle ferrovie e di altre industrie, dell’appalto di servizi pubblici a società private, dell’imposta procapite (indipendente dal reddito e quindi favorevole ai ricchi), della vendita di case popolari, delle liberalizzazioni nel campo dell’istruzione e della sanità, della creazione di penitenziari privati e, successivamente, delle politiche fiscali dell’attuale governo Cameron [neoliberista].

Pirie, restando anonimo, scrisse anche il manifesto dell’ala neoliberista del governo Thatcher, “No Turning Back”.

[…]

Successivamente Monbiot stabilisce un parallelo con il think tank neoliberista “Free Enterprise Group”, che ha raccolto il testimone.

“Ancora una volta la stampa ha risposto alla chiamata. Il Telegraph ha commissionato una serie di articoli che promuovono lo stesso desolante programma a base di meno tasse per i ricchi, meno assistenza ai poveri e meno regolamentazione delle attività delle imprese. Un altro articolo sullo stesso giornale, pubblicato una quindicina di giorni fa dal responsabile delle questioni finanziarie dell’istituto Ian Cowie, propone che non sia prevista alcun rappresentanza per chi non paga le tasse. In pratica chi non paga abbastanza tasse sul reddito perderebbe il diritto al voto.

Considero queste persone come gli avanguardisti della destra, mobilitati per sfasciare prima e assumere il controllo poi di un sistema politico che è stato concepito per appartenere a tutti noi. Come sovversivi marxisti, parlano spesso di rompere le cose, di “distruzione creativa”, di spezzare le catene e togliere il guinzaglio. Ma pare che stiano più che altro tentando di liberare i ricchi dai vincoli della democrazia. E al momento stanno vincendo.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/oct/01/rightwing-insurrection-usurps-democracy

Qui un’altra traduzione in italiano, con il testo completo:

http://znetitaly.altervista.org/art/7947

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Sul potere e le “profezie” dei think tank

http://www.informarexresistere.fr/2012/10/12/la-perniciosa-influenza-planetaria-delle-fondazioni-e-think-tank-degli-stati-uniti/#axzz29HXJDac0

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/15/il-futuro-visto-da-un-think-tank-della-rockefeller-foundation/

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