I conigli mannari della climatologia – Vivendo, cantando che male ti fo?

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Chi sta seguendo il dibattito sul cambiamento climatico avrà notato che gli scettici sono meno aggressivi dei serristi (= “il recente cambiamento climatico non è un fatto naturale ma è causato essenzialmente dall’uomo”). Questo fatto è particolarmente evidente nei forum dei quotidiani, dove è diventato impossibile contestare certe affermazioni senza essere aggrediti con una violenza verbale inaudita.

Chi dissente (fosse pure un climatologo, un astrofisico, un geologo, un ingegnere, ecc.) viene bollato come ignorante, antiscientifico, corrotto, complottista, egoista, negazionista, ecc. Le sue ragioni e i dati che presenta vengono automaticamente ignorati, anche se sono i dati ufficiali impiegati da entrambi gli schieramenti, anche se le sue ragioni sono quelle di climatologi che, pur non avendo abbandonato la tesi che l’uomo è il principale responsabile, hanno espresso pubblicamente dei dubbi sulla spiegazione ufficiale. Tale è la coazione all’allineamento, che persino gli esperti – es. Hans Von Storch, Lovelock, Gavin Schmidt, Fritz Vahrenholt, Richard Lindzen, titolare della cattedra di Meteorologia al MIT, Judy Curry, ecc. – non devono mostrare incertezze e tentennamenti. Sono compagni che sbagliano. Cieca lealtà alla vera fede.

Gli inquisitori della vera fede arrivano a bruciare i libri dei dissidenti

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/05/02/cosa-motiva-i-fanatici-del-cambiamento-climatico-globale-causato-dalluomo/

E a raccomandare la loro rieducazione

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/05/ce-chi-mici-paragona-agli-schiavisti-ed-ai-segregazionisti/

Il CLIMA che si è creato è davvero insalubre, per la psiche e per la società e, pur dovendo ammettere che una parte di me se ne rallegra, perché se i serristi fossero così certi di avere ragione, essendo ancora maggioritari e godendo del totale appoggio dell’establishment (incluse le compagnie petrolifere, le banche d’affari e i leader politici più potenti e discussi), dovrebbero dimostrare maggior autocontrollo, liberalità, disponibilità al dialogo e confronto, curiosità e volontà di riesaminare le proprie posizioni alla ricerca condivisa della verità.

Così non è. Loro si giustificano spiegando che è uno stato d’emergenza e che noi siamo d’intralcio. Ma che minaccia possiamo rappresentare se è vero che il mondo scientifico, il mondo politico, il mondo economico, il mondo finanziario sono schierati dalla loro parte e la loro egemonia è inviolabile, soprattutto perché (a sentir loro), la loro visione del mondo è corroborata dalla realtà?

Invito a riflettere bene su quanto ho scritto. Golia ha davvero paura di Davide? E perché? Forse perché Davide ha la fionda, ossia ha l’evidenza empirica dalla sua parte? Forse si sentono molto più insicuri di quel che vogliono ammettere? Forse dopo anni di predicazione il fatto che i loro modelli si siano dimostrati TUTTI errati, che i ghiacci artici siano ancora lì, i ghiacciai alpini siano ancora lì, i ghiacci antartici continuino ad espandersi, gli inverni non siano più miti ma anzi più rigidi e nevosi, le temperature globali si siano stabilizzate nonostante l’anidride carbonica stia battendo ogni record, ecc.

Una persona assennata e desiderosa di avvicinarsi al vero, a questo punto, abbasserebbe la cresta e si degnerebbe di analizzare le tesi dei suoi interlocutori, rispettosamente.

Un fanatico, invece, si chiuderebbe a riccio ed uscirebbe solo per attaccare chi non la pensa come lui, invece di lasciarlo in pace ed attendere che rinsavisca.

Ecco, allora, alcune considerazioni sulla tolleranza, il pluralismo, la libertà d’espressione, l’apertura mentale, la curiosità, la ragionevolezza, la democrazia, la maturità morale e spirituale, il fanatismo

Un uomo che toglie la libertà a un altro uomo è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza di pensiero

Nelson Mandela

Un fanatico è un uomo che fa ciò che ritiene che Dio farebbe se fosse veramente al corrente di come vanno le cose quaggiù

Anonimo

Il fanatico è un punto esclamativo che cammina. Non ha una vita privata. Appare come un altruista, visto che si interessa soprattutto agli altri. Ma non lo fa per capire l’altro, lo fa solo per costringere l’altro a essere ciò che lui pensa sia giusto essere. Per costoro, nessuna forma di mediazione è possibile.

Amos Oz

Il fanatico è un uomo che raddoppia gli sforzi quando si dimentica dei fini

George Santayana

Non essendo loro stessi giunti alla maturità dopo tutto, lo scopo fondamentale di ogni tradizione spirituale è la trasformazione e il dominio del proprio spirito – impongono agli altri una trasformazione che non sono riusciti a compiere, imposizione che è all’origine di odio, di attaccamento e di molte altre passioni negative che sono tipiche dell’integralismo.

Dalai Lama

Perché mai chi propugnava una teoria liberatrice e umanistica come il socialismo ha finito per fare del patibolo, delle prigioni, delle deportazioni e dei massacri i suoi mezzi? Davvero la pressione delle minacce contingenti giustifica tutto?

Valerio Evangelisti

Almeno due terzi delle miserie umane derivano dalla stupidità degli uomini, dalla loro malvagità e da quei grandi istigatori e giustificatori della malvagità e della stupidità: idealismo, dogmatismo e zelante proselitismo, frutti della religione o del pensiero politico.

Aldous Huxley

Una mente debole è come un microscopio: ingrandisce le piccolezze, ma è incapace di comprendere le cose grandi

Lord Chesterfield

Discutere con gente siffatta, sarebbe gettare via le perle. Basta semplicemente mantenere con loro una posizione ferma, che non implica inutili sforzi. Discutere con loro è non solo inutile, ma anche dannoso al nostro scopo. Essi vi costringono a dire più di quanto voi non vorreste, vi fanno irritare, vi provocano a sostenere cose inutili e poco precise, ad esagerare il vostro pensiero, e poi, lasciando da parte il nucleo essenziale del vostro discorso, si attaccano solo a questo

Lev Tolstoj

Se l’umanità ha un qualsiasi attributo che la distingue dagli animali, è la capacità di interrogarsi e di dubitare. Qualunque cosa o chiunque voglia sopprimere il desiderio di conoscere e capire va condannato. Quindi prego tutte le persone che hanno già raggiunto una conclusione, per quanto rapidamente, di consentire agli altri la possibilità di arrivare alle proprie conclusioni ragionandoci sopra con la propria testa.

Stefano Fait, per gli internauti in buona fede

Nulla, tranquillo. Non puoi capire. Non sforzarti che ti fa male la testa. Calmati rilassati e torna nel nulla. Fidati.

Stefano Fait, per i troll

Ciò che è giusto deve continuare ad essere giusto

Franz Stangl, comandante austriaco dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka

Comprese ad un tratto che tutto quel male di cui era stato testimone nelle case di pena e l’imperturbabilità di chi lo commetteva, proveniva dal fatto che gli uomini volevano compiere un’impresa impossibile: correggere il male, essendo essi stessi malvagi. Uomini corrotti pretendevano di correggere altri uomini corrotti e pretendevano di arrivare allo scopo per via meccanica. E come unico risultato, uomini bisognosi e avidi, che s’eran fatti una professione di questo preteso punire e correggere la gente, erano essi stessi corrotti fino all’estremo limite e non facevano che peggiorare le persone costrette a subire i loro maltrattamenti.

Lev Tolstoj

I predatori ci hanno dato la loro mente, che è diventata la nostra. La mente dei predatori è barocca, contraddittoria, tetra, ossessionata dal timore di essere smascherata. Benché tu non abbia mai sofferto la fame, sei ugualmente vittima dell’ansia da cibo e la tua altro non è che l’ansia del predatore, sempre timoroso che il suo stratagemma venga scoperto e il nutrimento gli sia negato. Tramite la mente che, dopotutto, è la loro, i predatori instillano nella vita degli uomini ciò che più gli conviene, garantendosi un certo livello di sicurezza che va a mitigare la loro paura.

Don Juan

Lo sfaldamento del PD, il rischio di cattura cognitiva del M5S e il recupero della Concordia

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Inizia la fase decisiva per il recupero della nave da crociera: alla fine sarà raddrizzata e fatta galleggiare.

RomagnaNoi, 17 aprile 2013

L’Italia può essere raddrizzata a fatta galleggiare, se ci sarà concordia, rispetto e fiducia tra un PD rinnovato e il M5S.
Ci sono forze non-democratiche che avrebbero tutto da guadagnare da una giacobinizzazione del M5S e dalla formazione di un fossato invalicabile che separasse queste due espressioni della politica italiana:

Provo un certo godimento, degli orgasmi, a vedere Grillo sfasciare tutto. Il nostro sistema politico è talmente marcio che spero che dal grande caos rinasca tutto. Oggi voterei per lui.

Vittorio Feltri a La Zanzara, 6 novembre 2012

Dobbiamo riuscire a costruire, innovare, democratizzare e unire ciò che viene separato dai seminatori di zizzania.
Ho già spiegato che Fabrizio Barca-Mirabeau può essere la persona giusta (N.B. Non è l’unico! Non ci servono salvatori, ci si salva assieme o si affonda insieme):
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/15/a-roma-serve-un-barca-non-un-alcibiade-la-terza-repubblica-in-33-comode-rate/

A questo proposito, mi trovo, come sempre più spesso mi capita, in sintonia con Barbara Spinelli:

L’accordo fra sinistra e 5 Stelle sul nome del Presidente è infecondo solo se teniamo il naso schiacciato sull’oggi, anzi sull’ieri (le larghe intese erano solo con la destra). Se guardiamo lontano, se vediamo lo sfaldarsi del Pd non come una sciagura ma come un’opportunità, l’accordo con Cinque Stelle può essere reinvenzione democratica. Tra le righe è quel che dice Fabrizio Barca, nel programma presentato il 12 aprile in favore di un Pd disfatto e rifatto a nuovo.

I militanti di 5 Stelle preconizzano ad esempio l’immissione nella democrazia rappresentativa di esperienze sempre più estese di democrazia deliberativa, diretta. Non siamo lontani dallo sperimentalismo democratico che secondo Barca deve innervare il futuro Pd

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/15/a-roma-serve-un-barca-non-un-alcibiade-la-terza-repubblica-in-33-comode-rate/

[…].

Chi adotta il metodo minimalista non crede che lo Stato possa molto, per curare la democrazia malata o attenuare la povertà sociale. Quel che gli importa, è preservare una chiusa élite (di esperti politici, di tecnici) che prenderà decisioni senza curarsi se funzionino, convinta com’è che i piani di austerità daranno ineluttabilmente frutti anche se immiseriscono popoli interi.

Il candidato al Colle preferito da simili élite non deve essere popolare, non deve nemmeno rappresentare un emblema ideale per i cittadini: deve essere abile, e soprattutto omogeneo alle oligarchie che lo faranno re. Meno popolare sarà, più sarà scongiurato il pericolo, temuto dai benpensanti del vecchio ordine, del populismo. A parole, i minimalisti si augurano uno Stato leggero, non invadente. Nei fatti, le oligarchie partitocratiche vivono in osmosi con lo Stato e rendono quest’ultimo più che pervasivo, indifferente alla voce di chi (localmente, nelle Azioni Popolari, nei voti online) reclama cambiamenti.

Tutt’altra l’idea degli sperimentatori, o della democrazia deliberativa: è il metodo sfociato nel voto, da parte degli attivisti di M5S, dei candidati al Colle. L’esperimento è difficile, ma innovativo e molto più onesto di quel che era stato pronosticato. Non tutti i candidati vincenti erano graditi ai vertici del Movimento: tuttavia il verdetto è stato accolto democraticamente e con responsabilità istituzionale.

[…].

Stupidità fanfaronesche s’incrociano spesso sul web. Ma ancor più funeste dilagano nei non meno virtuali palazzi del potere. Le cerchie partitiche, o tecniche, mostrano una conoscenza del pubblico interesse infinitamente meno vigile. Sono le cerchie contro cui si scaglia Barca, quando denuncia i “partiti di occupazione dello Stato, dove si vende e si compra di tutto: prebende, ruoli, pensioni, appalti, concessioni, ma anche regole, visioni, idee”. Berlinguer usò parole quasi eguali, quando ruppe col compromesso storico e denunciò la degenerazione dei partiti, Pci compreso (“I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo”, disse a Eugenio Scalfari su Repubblica, il 28-7-81).

[…].

Non sappiamo ancora se le strade di Barca e di Grillo si incontreranno. Se dall’eventuale incontro la democrazia uscirà più forte. Se il M5S intirizzirà, a forza di rifiutare alleanze. Resta che l’Italia ha bisogno di sperimentatori, non di minimalisti. Che solo i primi sono in grado di guardare in faccia la crisi, e di mutare anche l’Europa. Di ripensare l’austerità come aveva provato Berlinguer nel 1977, quando il capitalismo aveva appena cominciato a vacillare.

http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2013/2013/04/17/news/coraggio_solitudine-56800260/?rss

L’alternativa è la giacobinizzazione…

Io ho amore per la ragione, ma non ne ho per il fanatismo. La ragione ci guida e ci illumina, ma quando ne avrete fatto una divinità, essa vi accecherà e vi indurrà al delitto.

Brotteaux (da Anatole France, “Gli dèi hanno sete”).

GIACOBINISMO

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I popoli non giudicano come le corti giudiziarie, non emettono sentenze: lanciano la loro folgore; non condannano i re: li piombano nel nulla… quale altra legge può seguire il popolo se non quella della giustizia e della ragione sostenute dalla sua onnipotenza?

Maximilien Robespierre, “Discorso per la condanna a morte di Luigi Capeto”, 3 dicembre 1792.

Io ho sostenuto, tra persecuzioni incredibili e senza appoggi, che il popolo non ha mai torto, io ho osato proclamare questa verità in un tempo in cui non era ancora riconosciuta; il corso della rivoluzione l’ha dimostrato.

Maximilien Robespierre, 25 febbraio 1793

Il fine della rivoluzione è il trionfo dell’Innocenza.

Robespierre

Questa nostra Rivoluzione è una religione e Robespierre è il capo della setta. È un prete che governa i devoti…Robespierre predica, Robespierre censura, è furioso, solenne, melanconico, esaltato – ma tutto freddamente; i suoi pensiero fluiscono con regolarità, le sue abitudini sono regolari; tuona contro i ricchi e i grandi; vive con molto poco; non ha bisogni. Ha una sola missione – parlare, e parla incessantemente; crea discepoli…parla di Dio e della Provvidenza; si definisce amico degli umili e dei deboli…riceve la loro venerazione…è un prete e non sarà mai altro che un prete.

Condorcet (1743 –1794) su Robespierre, articolo apparso su Chronique de Paris

Voi dovete punire non solo i traditori, ma anche gli indifferenti; dovete punire chiunque sia apatico nella Repubblica e non faccia nulla per essa; giacché, dopo che il popolo ha manifestato la sua volontà, tutto ciò che si oppone ad essa si pone fuori del popolo sovrano, e tutto ciò che è fuori del popolo sovrano è nemico.

Saint-Just, “Sulla necessità di dichiarare il governo rivoluzionario fino alla pace”, 10 ottobre 1793

La rivoluzione deve fermarsi quando abbia raggiunto la perfezione della felicità e della libertà pubblica per mezzo delle leggi. I suoi slanci non hanno altro scopo, e devono spazzar via tutto ciò che vi si oppone.

Saint-Just, “Frammenti sulle istituzioni repubblicane”, 1794

Quello che costituisce una Repubblica è la distruzione di tutto ciò che la contraria.

Saint-Just

Molti dei Francesi che ci avevano appoggiato ci guardavano come dei pazzi, come degli energumeni, spesso persino come degli scellerati.

René Levasseur de la Sarthe, giacobino, 1795.

La rivoluzione francese mi ha influenzato molto e in special modo Robespierre…Robespierre è il mio eroe. Robespierre e Pol Pot: entrambi hanno la medesima qualità di determinazione ed integrità.

Suong Sikoeun, uno dei leader dei Khmer Rossi (1975-1979)

Il problema non è il terrore in quanto tale, il nostro compito è precisamente quello di reinventare il terrore emancipatore.

Slavoj Zizek, “In difesa delle cause perse: materiali per la rivoluzione globale”, 2009.

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Saint-Just, orfano di padre e di origine contadina, giunto squattrinato a Parigi e col vizio del gioco d’azzardo, si iscrive ad una loggia massonica che gli finanzierà le pubblicazioni sovversive e libertine e l’acquisto di 8 ettari di terreno.

“Intanto l’abilissimo Jean de Batz, che sembra avere innato il genio dell’intrigo e della corruzione, sta preparando il suo piano: suscitare di continuo tali dissensi e sospetti in seno alla Convenzione da spingerla a disfarsi, in fasi successive, di tutti i suoi uomini più rappresentativi. […]. De Batz ordina ai suoi agenti, che ostentano di proposito un esacerbato giacobinismo (tutti o quasi, si noti, ricchi banchieri e uomini d’affari come Dufourny, Proly, Desfieux, pereyra, Gusman, d’Espagnac e i due fratelli Frey), di spingere sempre più gli estremisti a favorire, con ogni mezzo, un’insurrezione popolare che faccia sparire i deputati della Gironda, tutti irrequieti partigiani della monarchia costituzionale”.

[Da: “Saint-Just”, di Mario Mazzucchelli. Milano : Dall’Oglio, 1980, p. 109].

GRILLISMO

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“Siamo la rivoluzione francese senza la ghigliottina” (Grillo 29 marzo 2013)

“Il Movimento 5 Stelle è il cambiamento che non si può arrestare, è il segno dei tempi. È l’avvento di una democrazia popolare che pretende di decidere, di controllare il destino del suo Paese, del suo Comune, della sua vita”

“In parlamento pronti alla rivoluzione”

 “Arrendetevi! Siete circondati dal popolo italiano. Uscite con le mani alzate. Nessuno vi toccherà. Il vostro tempo è finito, non abusate della fortuna che vi ha assistito finora. Di voi, ormai, nelle piazze, tra la gente, si parla al passato, come di persone estinte. Quando apparite in televisione scatta l’insulto che equivale al vilipendio di cadavere. Quello che stupisce è la vostra folle ostinazione a non farvi da parte come se foste investiti da una missione divina. C’è in ciò qualcosa di patologico, che richiede l’intervento di uno psichiatra”.

“Siete terrorizzati, in preda di attacchi d’ansia al pensiero di perdere il potere, di qualcuno che potrà rovistare nei vostri cassetti, capire, scoprire, denunciare. Vi consiglio comunque uno, due, tre, cento passi indietro. Se anche vinceste queste elezioni avrete solo rimandato il cambiamento, durerete un anno, forse meno, ha senso? Fate una pubblica ammissione di colpa e chiedete agli italiani di perdonarvi. Arrendetevi. La vostra stessa presenza è diventata insopportabile. Il vostro tirarvi fuori da ogni responsabilità, lo scuotere le piume e minacciare come dei guappi, lo stalking a cui sottoponete gli italiani sono al di là di ogni sopportazione. Arrendetevi. Non potrete dire che non vi ho avvisato”.

Apriremo il Parlamento come una scatola di tonno”

“Siamo i pasdaran anti casta”

“Siamo i marziani a cinque stelle”

“So perfettamente che nei prossimi giorni ci sarà la fila di pennivendoli, di zoccoli dell’informazione, di specialisti della macchina della merda all’attacco del M5S. Lo so benissimo. Sono l’ultima barriera della Casta prima dell’urna. Ci vediamo in Parlamento e subito dopo in tribunale. Preparate il quinto dello stipendio se ne avete uno”.

“Un po’ Don Chisciotte e un po’ Savonarola”

“Il loro tempo è finito. Ci riprenderemo i nostri soldi”

“Niente onorevole, sarà Cittadino del MoVimento 5 Stelle, il leader sarà il MoVimento”.

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Ci sono numerose analogie tra giacobinismo e grillismo più radicale: fede rivoluzionaria, esigenza di sovversione totale, epurazioni, “dispotismo della libertà”, magistero di ortodossia, implacabilità, radicalismo, assolutismo, egualitarismo radicale, messianismo, antiliberalismo, antiparlamentarismo, meccanismi di produzione dell’unanimità, centralismo decisionale, cinismo (e nichilismo rottamatore), sospensione della realtà e trionfo del principio sul fatto, virtù indivisibile del MoVimento che perciò deve restare unito, fanatismo, violenza verbale, terrorismo psicologico.

I leader rivoluzionari più estremisti sono più spesso ventenni-trentenni, con poca esperienza di vita, che impongono la loro rozza, inesperta visione del mondo a tutti gli altri. Coltivano orgoglio, a volte crudeltà, quasi sempre un appetito di dominazione. Sono tigri erudite che non hanno ancora avuto tempo di diventare adulte.

Un fanatico austero, dal cuore freddo come la sua morale, Saint-Just si paragona a Tarquinio e Muzio Scevola. Lui e Robespierre usano spessissimo i termini “cuore”, “sensibilità” e “virtù”, come se dovessero supplire verbalmente alla loro mancanza di cuore, sensibilità e virtuosità. Saint-Just si attribuisce una ragguardevole dose di virtù, ma è un pessimo giudice di se stesso – come tutti gli esseri umani.

Sfortunatamente le rivoluzioni spesso nutrono mostri in forma umana e da esse sono fatte degenerare. La rivoluzione è anche l’habitat per gli psicopatici integrati, quelli che s’irrigidiscono nei moralismi e si fissano intransigentemente sulle virtù etiche perché non hanno empatia e quindi non possono sapere cosa sia un comportamento spontaneamente morale.

I pifferai di Hamelin sono responsabili della conversione della rivoluzione in una crociata teocratica, in un moloch che divora gli esseri umani. In nome della loro certezza che siccome c’è una sola verità e loro sono riusciti a comprenderla, ad impadronirsene definitivamente, chiunque sia in disaccordo è motivato da propositi maligni.

Robespierre si considera e dichiara vittima di persecuzione tutte le volte che qualcuno lo contraddice, si sente investito di una sacra missione, e patisce un’immensa frustrazione quando il mondo si rifiuta di sottomettersi al suo volere.

Lo stesso discorso vale per Saint-Just. Sono entrambi sicuri che la cosa giusta da fare sia ridurre la diversità del mondo al proprio denominatore individuale. Il loro ego ipertrofico proietta sul gruppo la loro esigenza di uniformità, di una singola volontà, di un carattere unitario: la premessa di ogni politica genocidaria.

Sono l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine.

Notiamo la stessa logica in molti dittatori ma anche in Karl Rove. Nel 2002, un consigliere di George W. Bush, presumibilmente Karl Rove, spiegò a Ron Suskind: “Ora noi siamo un impero e quando agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà, noi agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che potrete studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia e a voi, a tutti voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che facciamo”.

O tutto o niente, o con noi o contro di noi, ora o mai più.

Non c’è rivolta senza una filosofia del limite. Sono gli psicopatici che rifiutano i limiti e non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Il M5S va salvato dalla giacobinizzazione, prima che intossichi la vita del paese ed apra la strada a soluzioni autoritarie di giovani leader “salvifici”.

Chiudi la porta quando esci

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RAI 1 Il Messaggio di Fine Anno del Presidente della Repubblica ha registrato 4.821.000 telespettatori, per uno share del 27,32%.

RAI 2 Il Messaggio di Fine Anno del Presidente della Repubblica ha registrato 693.000 telespettatori, per uno share del 3,93%.

RAI 3Il Messaggio di Fine Anno del Presidente della Repubblica 859.000 telespettatori, share 4,87%.

CANALE 5 Il Messaggio di Fine Anno del Presidente della Repubblica ha registrato 2.637.000 telespettatori, per uno share del 14,94%.

LA7 Il Messaggio di Fine Anno del Presidente della Repubblica ha registrato 692.000 telespettatori, per uno share del 3,92%.

http://www.tvblog.it/post/133763/ascolti-tv-lunedi-31-dicembre-2012

45 milioni di italiani (escludendo i bambini) non hanno sentito il bisogno di ascoltare cosa aveva da dire un presidente debole e, nella migliore delle ipotesi, inconsapevole di cosa c’era in gioco. Nella peggiore: un traditore dell’interesse generale.

In entrambi i casi la persona sbagliata, al posto sbagliato, nel momento sbagliato, dal punto di vista dell’Italia.

Naturalmente questo giudizio non piacerà a chi si pasce della retorica di un giornalismo che ha da tempo abdicato ad una qualunque funzione democratica di critica dell’establishment, tranne poche meritevoli eccezioni, e preferisce credere all’apparenza invece di guardare alla sostanza. Per la stessa ragione esistono persone che credono che Monti abbia salvato l’Italia nonostante il 90% degli indicatori economici dovrebbe far chiudere la bocca dello stomaco a chi è ancora in grado di leggere e capire i numeri e le tendenze.

Questa realtà inoppugnabile è decisamente spiacevole per il “professore”, tanto che, in Italia, la si censura anche su Wikipedia:

“Alle 22.28 del 24 dicembre si potevano leggere i dati non lusinghieri dell’economia italiana durante l’anno del governo tecnico: disoccupazione, Pil, debito, cose che conosciamo fin troppo bene. L’indomani, alle 10.18, qualche Erode aveva già spazzato via tutto. Le due versioni sono a disposizione a questo indirizzo: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Mario_Monti&diff=54873876&oldi….Il giorno in cui nasce Gesù si fermano tutti i quotidiani, ma non le forbici della wiki-censura pro-Monti. È un fenomeno solo italiano. Un wiki-utente, infatti, ha aggiornato la biografia del professore anche nella disinformata versione in lingua francese. I wiki-cugini, lungi dallo zittire il collaboratore, gli hanno chiesto notizie e dettagli aggiuntivi. E anche la relativa discussione è online”. http://www.ilgiornale.it/news/interni/vietato-dire-verit-su-monti-e-nella-rete-scatta-censura-870035.html

Si badi bene, le persone che ancora oggi apprezzano Monti e Napolitano (fortunatamente una minoranza) non sono le persone comuni, il cosiddetto “volgo”. Il “volgo” ha un fiuto che manca ai cosiddetti “istruiti”, che per di più sono carenti in umiltà: una persona veramente istruita continua infatti a cercare, non prende per buono un editoriale di Scalfari solo perché è in grado di capirlo, guardando dall’alto in basso il “volgo” che procede oltre, fino alla pagina sportiva. Quest’epoca è afflitta da un vero e proprio analfabetismo morale ed intellettuale di ritorno: milioni di persone troppo certe di aver capito quel che c’era da capire e troppo sicure di essere dalla parte giusta della storia (non come quei fanatici dei complottisti!) per rendersi conto del loro stesso fanatismo, del loro torpore morale, della loro apatia cognitiva, della loro hybris.

Daranno sempre la colpa alla crisi – un’entità misteriosa, una forza della natura, un castigo divino – mai alla propria dabbenaggine.

Mi auguro di non dover mai più parlare di Napolitano. Che se ne occupino i posteri, quando la potenza di fuoco della propaganda sarà un ricordo e le nuove generazioni saranno libere di distinguere i fatti dagli slogan.

Fanatismo religioso (per intensità) – cenni di antropologia critica del consumismo e del marketing

La cultura influenza ciò che le persone vedono, ricordano ed il modo in cui elaborano le informazioni. Essa influisce sulla costruzione soggettiva della realtà, degli insiemi di valori, atteggiamenti e reazioni standardizzati e convenzionali, norme e principi, suggerendo un certo indirizzo d’azione o una certa linea di interpretazione. Quando i valori sono socio-culturalmente strutturati, allora queste linee guida e priorità forniscono motivazioni per l’agire dei gruppi sociali e, cumulativamente, in certe circostanze storiche, di interi popoli.

Anche l’acquisto ed il consumo di un prodotto sono frutto di una scelta fatta sulla base di considerazioni di ordine sociale, culturale ed economico che s’intersecano con le più vaste dinamiche dei mutamenti culturali, dei rapporti di potere, e dei processi di costruzione di un’identità personale e collettiva. Comprare un determinato prodotto equivale a fare una dichiarazione pubblica sulla propria identità, sul proprio status e sui propri gusti. Un consumatore può teoricamente identificarsi con numerose categorie sociali e quindi con vari stili e modalità di consumo, ma non tutte queste variabili sono in grado di attivare i suoi criteri selettivi, perché la loro influenza sulla sua identità sociale e sulla sua rappresentazione del tipo di persona che aspira a diventare può variare sensibilmente.
In altre parole, i suoi bisogni cambiano al variare delle sue identificazioni (religiose, di genere, etniche, di ruolo sociale, ecc.), cioè al variare del messaggio che il consumatore intende trasmettere a chi gli sta intorno e che spesso definisce la sua affiliazione ad un gruppo (es. donna araba di ceto medio-alto che sceglie di esibire la sua etnicità).
Si tratta di capire quali valori e preferenze prevalgono in un certo contesto socio-culturale ad un dato momento.

E’ nell’interesse dei pubblicitari che operano in mercati “esotici” sottolineare ed accentuare differenze, peculiarità, specificità, idiosincrasie ed incongruenze di culture e società che vengono descritte come non pienamente confrontabili e traducibili. Solo così possono valorizzare la loro professionalità (lo stesso discorso vale anche per numerosi antropologi, ovviamente). Ma è anche così che nascono interpretazioni fantasiose sulla concezione di natura umana che prevale nella tal cultura, sulle prerogative del tal gruppo sociale e sulle inclinazioni della tal categoria di consumatori.

L’indirizzo meramente quantitativo delle ricerche di mercato può comportare conseguenze sommamente spiacevoli:

  • l’esclusione di tutto ciò che non si concilia con parametri prefissati e obiettivi specifici del cliente;
  • la mortificazione dei consumatori, trasformati in dati statistici più o meno corrispondenti alla realtà;
  • l’accumulo di studi che presentano conclusioni discrepanti e dati disomogenei. Ci si dovrebbe chiedere: indicano differenze interculturali reali o sono il risultato di misurazioni imprecise?
  • l’impossibilità di stabilire se le differenze nel comportamento dei consumatori siano significative;
  • l’impossibilità di verificare se le risposte ai questionari completati dai consumatori siano veritiere e se i consumatori agiscano coerentemente rispetto ai propri propositi (discrasia tra intenzioni dichiarate e comportamento reale);
  • l’impossibilità di verificare che i parametri non siano datati o che siano efficaci nella “lettura” della realtà, che le generalizzazioni siano giustificate, che i dati culturali siano trasferibili in altri contesti, che le correlazioni siano dirette e non coinvolgano altri fattori che si è scelto di non considerare;

Per “etnogenesi” s’intende la creazione di un’etnicità (di un gruppo etnico) attraverso la reificazione (fabbricazione) di determinati attributi. Un caso emblematico di etnogenesi è quello dei Latini e degli Ispanici negli Stati Uniti, generati a tavolino per classificare chiunque provenga da sud e parli una lingua iberica, a prescindere dall’ampiezza delle differenze tra un portoricano ed un cileno, o tra un Maya ed un cittadino della capitale del Messico.
Questa irragionevole semplificazione, che serve agli analisti del servizio censimenti ed all’amministrazione pubblica per meglio gestire la complessità di una società multietnica e multiculturale, si interseca con la logica propria dell’analista di mercato il quale, prendendo per buono il criterio classificatorio ufficiale, tende a cercare di dimostrare che esistono differenze ragguardevoli tra i gruppi sociali ed etnici, tali da giustificare il ricorso a specialisti. Questa operazione amplifica le differenze tra gruppi (es. Italo-Americani ed Ispanici) e riduce quella all’interno di un gruppo (es. Cubani e Boliviani).
Questa vera e propria invenzione di marcatori di differenze spesso inconsistenti finisce per inglobare l’intera cultura, essenzializzandola: se alcune di queste peculiarità si rivelano incerte, allora se ne creano di nuove.
Così le dinamiche interne alla segmentazione del mercato su base etnica producono differenze che possono essere irrilevanti, ininfluenti, o persino inesistenti, ma che sono rese salienti ed influenti a fini commerciali. Al contrario, quelle differenze reali che non sembrano utili alla commercializzazione del prodotto o che complicano il quadro generale vengono dissimulate e rimosse.

Ogni discorso alternativo e “deviante” che nasca all’interno di una comunità viene soffocato da certi dogmi del marketing, che preferisce linee divisorie nette e precise e nessun mutamento sostanziale. Altrimenti come si spiega il fatto che l’unico metodico esame comparativo delle strategie pubblicitarie svedesi e statunitensi abbia mostrato che il contenuto valoriale degli spot commerciali è rimasto pressoché invariato nel corso di 20 anni?

Lo tsunami giapponese e la guerra con l’Iran – per chi crede ancora che la leadership israeliana sia razionale

 

“Proprio come i cittadini giapponesi devono rendersi conto che possono subire dei terremoti – ha dichiarato Vilnai, ministro uscente della Difesa interna di Tel Aviv – i cittadini israeliani devono capire che se vivono qui devono essere preparati ad aspettarsi missili sul fronte interno. Non è piacevole, ma devono essere prese delle decisioni e dobbiamo essere pronti”.

http://www.lapresse.it/mondo/asia/israele-ministro-vilnai-in-guerra-a-iran-possibili-centinaia-di-morti-1.203009

Sembra impossibile che un ministro possa equiparare le vittime di una guerra che può essere evitata intraprendendo un serio processo di pace in tutto il Medio Oriente, a partire dai Territori Occupati, alle vittime di una catastrofe naturale inevitabile. Il messaggio che trasmette gronda di fatalismo e di megalomania, la megalomania di cui è impregnato il gabinetto Netanyahu:

“Se Netanyahu attacca, indipendentemente dal risultato, Israele diventerà uno stato paria, come da anni sanno bene i diplomatici israeliani, mentre se non attacca dopo aver tanto parlato, rischia l’ostilità di tutti quei paesi, e sono tanti, che a parole appoggiano Israele e in realtà ne detestano il governo, sono stufi di dichiarazioni bellicose e temono ulteriore instabilità in un Medio oriente già più che complicato. […]. In una riunione di governo a porte chiusissime, Netanyahu ha detto che si prenderebbe lui la responsabilità di un attacco all’Iran.
Discorso talmente infantile da  essere incredibile, forse le fonti anonime hanno riferito male?
Anzi, ricorda molto certe uscite del Duce sul balcone, l’ora delle decisioni supreme etc.
Perché Bibi, con totale irrealtà, crede che un politico che prende una decisione sbagliata venga al massimo temporaneamente mandato a casa, oppure diventi oggetto di una commissione di inchiesta.  Faccenda che non fermò Sharon dopo la sua decisione, nel 1982, di disobbedire al governo Begin e invadere il Libano molto più del previsto. E poi divenne capo del governo. Ovvero Bibi crede di non rischiare nulla e vuole il suo momento di gloria. Messianico. Dimentica che molte cose possono succedere e che anche le democrazie a volta uccidono i propri capi democraticamente eletti – dopotutto ne ha avuto un esempio in casa.
La risposta alla follia di Netanyahu l’ha indirettamente data Grossman, citando il poeta Bialik: sarà Israele a pagare col sangue e col midollo.
Alcuni anni fa, Grossman ricevette una laurea ad honorem dall’Università di Firenze, con la motivazione che non era solo un grande scrittore ma un profeta. E i profeti, per definizione, hanno ragione solo dopo, quando è tardi”.
http://www.santalmassiaschienadritta.it/2012/08/lestate-messianica-di-nethaniahu.html

Il lavaggio del cervello che stanno subendo i tedeschi (e tutti gli altri)

Da tempo sostengo che i Tedeschi stanno subendo una tremenda manipolazione delle coscienze e che la teutonofobia mediterranea è ingiustificata, perché i principali responsabili del disastro europeo non sono i comuni cittadini tedeschi (o la maggioranza di cittadini greci che ha fatto il suo dovere), in gran parte impossibilitati a formarsi un giudizio ragionato ed informato su quel che sta succedendo, al pari della vasta maggioranza della popolazione mondiale. C’è al potere, nel mondo, un’oligarchia che si spaccia per europeista ed umanitaria ma non ha alcuna lealtà che trascenda l’egotismo e l’interesse di casta.

Fortunatamente un numero crescente di giornalisti coscienziosi se ne stanno rendendo conto.

Nella crisi dell’euro i mezzi di comunicazione tedeschi ripetono all’unisono i pregiudizi e le frasi fatte sugli altri paesi e hanno un ruolo decisivo nella contestata politica di Angela Merkel.

Robert Misik

Di recente sulla sua copertina la rivista inglese New Statesman definiva Angela Merkel come “Europe’s Most Dangerous Leader” [la “Leader più pericolosa d’Europa]. Nelle pagine interne della rivista la cancelliera veniva addirittura definita la “persona più pericolosa del mondo” e si concludeva con questa sintesi: “Con il suo rifiuto a cambiare e con la sua determinazione a mantenere la politica di rigore über alles, Merkel sta distruggendo il progetto europeo, impoverendo i vicini della Germania e rischiando una nuova depressione mondiale. Bisogna evitarlo”.

Sì, in queste frasi la tendenza dei giornalisti per il superlativo è piuttosto evidente. Tuttavia gli autori dicono chiaramente quello che in quasi tutta Europa si pensa della cancelliera tedesca e del suo sadismo fiscale, così come del rifiuto della Germania di spegnere questo incendio adottando delle misure energiche.

Ma c’è un paese in cui si pensa in modo diametralmente opposto, la Germania. Di solito in materia di politica europea, quando si parla della “posizione tedesca” o della “posizione francese”, si parla della posizione del governo. Ma nella crisi attuale in Germania esiste un consenso fra il governo, l’opinione pubblica e quasi tutti i media, a tal punto che l’opposizione non osa nemmeno più opporsi.

E quando la cancelliera è costretta a deviare di qualche millimetro dalla sua posizione fondamentalista, come in occasione dell’ultimo vertice europeo, deve subire dure critiche. Merkel “si è piegata” e i grandi media si chiedono spaventati: “Chi pagherà il conto?”

Eh sì, da molto tempo non è più solo la Bild con titoli alti dieci centimetri a gridare: “Ancora altro denaro per i greci rovinati? La Bild dice no!” Da qualche mese anche la stampa ritenuta oggettiva e seria, la cosiddetta stampa normale, sembra aver adottato la stessa posizione.

Spesso è in frasi accessorie, apparentemente anonime, che si esprime in modo più evidente questo consenso nazionale, questo sciovinismo che sottomette l’Europa a una prova di verità. In espressioni come “i paesi indebitati” o “poco seri”, che si indirizzano ovviamente agli stati meridionali della zona euro – “la Spagna indebitata”. Ma, un attimo, a quanto ammonta il debito pubblico della Spagna? All’inizio dell’anno corrispondeva al 68 per cento del pil spagnolo. A titolo di paragone quello della Germania era dell’81 per cento. Allora, chi è “il paese indebitato”?

Nel bel mezzo del reportage del programma Heute-journal della rete pubblica Zdf sulle elezioni greche si può sentire questa frase: “Il peggio è stato evitato all’ultimo momento”. Il peggio sarebbe stata la vittoria di Syriza, la coalizione di sinistra, ed stato evitato grazie alla vittoria dei conservatori, quella banda di ladri che ha portato il paese alla situazione attuale. Due minuti dopo un altro servizio e un altro inviato. Questa volta si parla del G20 e si può sentire: “Gli altri vogliono il denaro dei tedeschi”.

Quando si passa sulle altre reti si sentono ovunque frasi del genere, che contribuiscono ad alimentare questa situazione. I mezzi di comunicazione sembrano suonare tutti la stessa musica. I giornalisti non sembrano neanche più rendersi conto di fare propaganda, e utilizzano formule che da molto tempo sono diventate dei luoghi comuni.

Anche il settimanale Die Zeit non vede alcun problema a utilizzare un titolo a caratteri cubitali: “Il mondo intero vuole il nostro denaro”. Forse il giornalismo più miserabile è quello che si crede oggettivo e che invece non fa altro che diffondere i pregiudizi locali.

Ovviamente ci sono anche altre voci, che con grande pazienza ricordano che finora la Germania è riuscita a cavarsela piuttosto bene a spese degli altri e che ha la sua parte di responsabilità negli attuali squilibri economici, che possiamo lottare contro la crisi solo se riusciremo a sopprimere i difetti della costruzione della zona euro e che è assurdo parlare degli immaginari “limiti delle capacità tedesche”, quando in realtà i costi della crisi sono esagerati. Ovviamente queste voci ragionevoli esistono e formano delle macchie di colore in un’atmosfera piuttosto grigia.

Si può analizzare tutto ciò e cercare di capire. Ma di fatto in questa atmosfera non è certo facile rimproverare a Merkel di rimanere troppo concentrata sul rigore. O criticare i socialdemocratici per non essere in grado di condurre una vera politica di opposizione. In questa atmosfera di esaltazione nazionale non deve di certo stupire che i responsabili politici se vogliono essere eletti – o rieletti – non si allontanano di un millimetro dai soliti luoghi comuni.

Ripetere semplici pregiudizi, diffondere le formule di propaganda più seducenti, ben lontano da qualunque logica economica, comportarsi come se si fosse dei visionari o semplicemente non correre rischi urlando insieme agli altri, ecco quello che ha fatto la grande maggioranza della stampa tedesca durante questa crisi dell’euro. Ma dove diavolo è finito il Kurt Tucholsky [giornalista e uomo di satira considerato come una delle coscienze morali della Repubblica di Weimar] che riuscirà a farsi beffe di questa triste stampa?

 http://www.presseurop.eu/it/content/article/2333541-ranghi-serrati-dietro-la-cancelliera

Lucio Caracciolo, “L’Europa è finita?” (considerazioni di immenso buon senso sull’Europa, sull’Italia e su altro ancora)

Estratti da “L’Europa è finita?”, di Enrico Letta, Lucio Caracciolo. Torino : Add, 2010.

Lucio Caracciolo scrive:

18-19: L’Europa che vorrei dovrebbe essere anzitutto un grande spazio di democrazia, di libertà e di protezioni sociali nei limiti in cui demografia ed economia ce lo permetteranno. Sotto il profilo istituzionale, non penso a un’Ue-Stato. Vedo semmai diversi sottogruppi europei, alcuni più, altri meno integrati. I primi potrebbero sviluppare delle confederazioni europee, cioè degli Stati con diversi livelli di sovranità concordata, gli altri svilupperebbero l’integrazione attuale, approfondendone gli aspetti economici (per esempio riguardo alla mobilità della forza lavoro), a istituzioni politiche più o meno costanti.

20-21: Penso a una Confederazione europea nell’Unione europea, che comprenda i sei Paesi fondatori (Italia, Francia, Germania, Olanda, Lussemburgo e Belgio) più Spagna, Portogallo, Austria. Aggiungerei la Svizzera, se mai gli elvetici dovessero cambiare idea sull’Europa, cosa di cui dubito fortemente. Escludo quindi le isole britanniche, la cui storia si fonda sull’idea di impedire l’unità europea. Ed escludo anche nuovi o risorti Stati dell’Europa centrale e orientale, la cui priorità attuale non è l’integrazione comunitaria ma il consolidamento della recuperata sovranità nazionale. In termini diacronici, sono nazioni risorgimentali. Alcune delle quali ancora in cerca di confini stabili.

21-22: Alcuni popoli europei – penso ai catalani piuttosto che ai fiamminghi o agli scozzesi – usano l’Europa come grimaldello per emanciparsi, in prospettiva, dai rispettivi Stati (multi)nazionali, o almeno per conquistare autonomie sempre più accentuate.

L’attuale crisi economica, che è sempre più una crisi sociale, rischia poi di mettere in questione il senso concreto degli Stati nazionali, a cominciare dal nostro. Quando i tedeschi riscoprono l’Euronucleo come insieme riservato ai Paesi connessi all’economia e alla cultura monetaria germanica, constatiamo che ne risulta rafforzata la tesi «padana» per cui il Nord Italia pertiene a questo spazio, il Sud niente affatto.

22: Non so fino a dove si spingeranno fra vent’anni i confini dell’Unione europea, se ancora esisterà. In ogni caso mi pare difficile che possa recuperare una funzione integrativa, mentre probabilmente si acccentuerà la tendenza opposta. Ne risulterà una geopolitica più complessa, quindi di più ardua gestione.

25: Il mio timore è che l’Ue finisca per delegittimare le democrazie nazionali – le uniche di cui disponiamo – senza produrre una democrazia europea.

26: Se per fare l’Europa dobbiamo negare il cittadino, tengo il cittadino e butto l’Europa.

31: Infatti la Germania non pensava a un euro per tutta l’Europa – roba da europeismo ingenuo – quanto a una moneta dell’ area del marco: un vestito europeo per la moneta tedesca.

33: Se riprendiamo in mano i giornali tedeschi o olandesi della seconda metà degli anni Novanta, quando si dibatteva del diritto di questo o quello Stato di entrare nell’euro, vi troviamo gli stessi stereotipi che corrono di nuovo oggi, sull’onda della crisi partita dalla Grecia: PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna = maiali), Club Med e altre simpatiche definizioni di stampo antropologico. Categorie irrazionali ma potentemente radicate nelle opinioni pubbliche e nelle élite, che illustrano il presunto carattere dei vari popoli, echeggiando le teorie di Schumpeter sulla cultura monetaria come espressione della cultura nazionale. Quindici anni dopo, senza dracma né peseta né lira ma con l’euro in mano, siamo ancora a questo genere di polemica etnomonetaria. Un razzismo soft. Alla faccia dell’affratellamento europeo che l’euro avrebbe inevitabilmente generato.

42-43: Un’Europa per non con gli europei, elaborata da un club di ottimati nei loro inaccessibili laboratori. Quell’ europeismo si considerava figlio di una filosofia della storia che avrebbe prodotto l’Europa per surrogazione tecnocratica, non per effetto di una scelta politica discussa e condivisa, ritenuta impossibile. Un tentativo titanico, che meriterebbe un’ analisi aperta e approfondita, invece dei mascheramenti che tuttora lo occultano. Un orizzonte talmente astratto dalle dinamiche storiche da contenere in nuce le premesse della sua irrealizzabilità.

45-46: Trovo…straordinariamente affascinante e originale il ragionamento dell’ europeismo «alto». Quello che nonostante tutto continua a crederci davvero. O almeno non sa rinunciare a credere. Questi, più che rispettabili politici e pensatori, mi ricordano Tertulliano: credo quia absurdum. È una fede. Una fede, per me paradossale, nelle virtù salvifiche delle crisi. La tesi: dobbiamo stare molto male per diventare buoni. Più costruiamo meccanismi imperfetti – l’euro senza Europa -, più ci costringiamo a perfezionarli. A questo può portare la sfiducia degli eletti nei cittadini europei, o futuri tali. Soffrire fa bene all’Europa? Non condivido. Confesso di non essere obiettivo nella mia analisi, perché il cilicio continua a sembrarmi una forma di perversione anziché un veicolo di perfezionamento. Dunque non mi convince la teoria dell’ europeismo classico, fondata sulla speranza nell’effetto maieutico delle crisi. Tu stesso hai citato l’esempio della seconda guerra mondiale o dell’ attuale crisi economica. La crescente consapevolezza del deficit politico dell’Europa prodotta dalla crisi dell’ euro sarebbe destinata a produrre più Europa. Mi pare un’idea catastrofica. In senso tecnico. Per me le catastrofi sono catastrofi, le crisi crisi. Punto. E non sono affatto certo che mi o ci migliorino. Tanto meno che facciano l’Europa. È semmai durante le crisi che emergono i nostri lati peggiori: nefandezze collettive talvolta riscattate dall’ eroismo di pochi. Egoismi, diffidenze, chiusure, tentazione di scaricare sui più deboli i problemi dei forti (e viceversa). In ogni caso, anche se la teoria delle catastrofi potesse un giorno molto futuro rivelarsi corretta e dunque produrre davvero l’Europa, preferirei non rischiare l’esperimento. Invoco il principio di precauzione.

46-47: il vincolo esterno. Tu ne hai fatto le lodi. lo non ci riesco proprio…Un riflesso pericoloso perché fondato sulla radicale sfiducia in noi stessi. Nell’Italia e negli italiani. Ma se non siamo capaci di governarci da soli, in che senso saremmo una repubblica e una democrazia? Se non ci fidiamo di noi stessi, dobbiamo per forza cercare qualche soggetto esterno che abbia tempo da perdere con l’Italia, per eterodirigerla.

47: Ci poniamo volutamente in una condizione di inferiorità che non ci permette di essere percepiti come pari da chi si considera al cuore del progetto europeo. Ciò rende paradossale il nostro europeismo, perché è tanto più spinto quanto più grave è la sfiducia in noi stessi. È l’esatto contrario dell’idea di Europa dei Paesi più forti: l’Europa come moltiplicatore della propria potenza, non come compensazione della propria impotenza. Il vincolo esterno è la dichiarazione di non-europeità dell’Italia.

48: Se l’Italia vorrà avere un ruolo di rilievo in Europa nei prossimi anni, dovrà prima di tutto occuparsi di se stessa, recuperando un’idea sufficientemente forte di unità nazionale.

49: In un Paese dove efficienza e legittimazione dello Stato non solo sono storicamente deficitarie ma decrescenti, parlare di federalismo significa lavorare per lo smantellamento di quel poco di istituzioni comuni di cui ancora disponiamo. Significa produrre un patchwork di regioni semi-indipendenti molto dissimili tra loro sotto ogni profilo, che dovrebbero essere tenute assieme miracolosamente da un centro sempre più delegittimato. E come per l’europeismo, il federalismo all’italiana non esprime un progetto.

49: Il paradosso è che invece di utilizzare lo slancio europeo per costruire un’Italia che si tenga in piedi con le proprie gambe e dia, in quanto tale, un proprio contributo alla costruzione dell’Europa, con il mito del vincolo esterno abbiamo contribuito a decostruire quel poco che rimane del nostro Stato democratico.

56: SULLE PECCHE DELA GRECIA: Il pericolo è fare di questa giusta critica un argomento etnico. Un razzismo appena mascherato. Questa forse è la peggiore delle derive della tecnocrazia, che tendendo a esautorare la politica riporta in auge gli stereotipi culturali. Come se vi fossero Paesi geneticamente dediti a spendere e spandere, e altri Paesi costitutivamente dediti alla virtù. In ogni stereotipo, come in ogni leggenda, c’è una base di verità. Farne però la regola immutabile, il destino di un popolo, è la fine della politica. Nel caso dell’ euro, concepire come hanno fatto e tendono di nuovo a fare i tedeschi, un Euronucleo di Paesi automaticamente virtuosi, è un modo di ragionare antipolitico. Una sorta di etnomonetarismo. Trascurando, come tu ricordavi, che la stessa Germania, oltre naturalmente alla Francia, ha allegramente deviato dalle presunte virtù e dalle regole scritte in più di un’ occasione. E dimenticando che gli altri europei hanno pagato un prezzo molto alto per l’unificazione tedesca, contribuendo allo sforzo di Berlino volto a riempire il buco nero della Rdt con enormi trasferimenti finanziari, dai risultati peraltro discutibili. E purtroppo questo etnomonetarismo si sposa con analoghe tendenze interne agli Stati membri. Penso anzitutto al Belgio, ma anche all’Italia, alla propaganda leghista sull’inconciliabilità fra Nord e Sud.

74: Noi tendiamo purtroppo a rimuovere il nostro passato recente. E a immaginarci come un continente spontaneamente democratico. Noi pensiamo di essere più democratici degli altri. Come se la democrazia fosse nel nostro Dna.

75: Che tale vincolo sia eterno, ne dubito. Continuando a minare la logica della politica democratica, potremmo risvegliare le bestie intolleranti che animarono i nostri avi.

79: Contesto che esista un’opinione pubblica europea. Niente affatto. Esistono diverse opinioni pubbliche nazionali in Europa. La prova? Ogni volta che si tenta di varare un medium europeo, non funziona. Non si riesce a vendere lo stesso giornale a Cipro e a Dublino, a Roma e a Riga, a Londra e a Lubiana, a Parigi e a Berlino (nemmeno a Berlino e a Francoforte). Le culture e i gusti di queste popolazioni, tutte orgogliosamente rivendicanti la loro radice europea, sono troppo diverse.

84: L’altro protagonista ad avere le idee chiare sull’ allargamento a est era la Gran Bretagna. In parte perché condivideva la russofobia di quei Paesi; in parte perché vedeva l’ex Est come un’ area da non lasciare al predominio esclusivo della Germania; e in parte perché, come gli americani, voleva collegare gli ex satelliti di Mosca al mondo atlantico più che al mondo europeo. Londra non voleva «europeizzare» l’ex Est, voleva «atlantizzarlo» anche attraverso Unione europea. Con ciò rendendo complessivamente l’Ue meno europea e più atlantica. E ha vinto. L’allargamento battezzato da Bruxelles è stato un grande successo di Londra e Washington.

107-108: Il tuo ragionamento mi sembra uno sviluppo radical-utopistico del funzionalismo, per cui istituzioni e funzioni che si scoprono imperfette devono essere surrogate da autorità non-statuali e non legittimate da meccanismi democratici condivisi. Sicché le attuali istituzioni democratiche nazionali dovrebbero finire per autocommissariarsi per il bene della nostra moneta. Mi sembra politicamente difficile. Con tutto quello di buono che l’esperimento della moneta «unica» (nell’Ue ne circolano altre undici, ma continuiamo a chiamarla così, misteri dell’ eurogergo) può aver prodotto sotto il profilo economico, dobbiamo prendere atto che abbiamo raggiunto e superato il limite entro il quale il funzionalismo aveva un effetto integrativo. Adesso ha una funzione disintegrativa.

109-110: Stiamo chiedendo in nome dell’Europa sacrifici che i cittadini europei non sono disposti a concedere. Diamo così alimento alle teorie cospirative degli estremisti, che vedono un solo grande complotto mondiale di speculatori, banchieri e loro tirapiedi politici [Beh, è così: 1% contro 99%, ma l’1% non è compatto, per fortuna – NdR]. Con l’Europa pallido vampiro che affonda i denti nei nostri corpi infiacchiti dalla recessione. Temo che presto potremo trovarci di fronte a rivolte di piazza, a ondate di violenza, quanto meno a una protesta diffusa e rabbiosa che metterà sotto pressione le nostre istituzioni democratiche. Credo che il «rigore» così astrattamente concepito sia una risposta sbagliata, che avrebbe un effetto deprimente sulla stessa idea di Europa, per quel che ne resta. Non penso solo alla Grecia, ma anche all’Italia, una volta che alcuni ammortizzatori sociali avranno terminato o ridotto il loro effetto.

Se Europa non vorrà più dire pace e benessere, ma violenza e deflazione, chi oserà più difenderla?

121-122:   Un incendio è un incendio; molti incendi sono molti incendi. E la crisi che stiamo vivendo a mio avviso non ha nulla di positivo. Anzi, nasce proprio dall’ assenza di una prospettiva comune tra i principali Paesi europei sul da farsi. Insomma, se vogliamo parlare di unione politica dobbiamo parlare di politica.

Ascoltandoti, e conoscendo il tuo carattere moderato, mi colpisce l’impronta rivoluzionaria del tuo ragionamento. Quando parli di Europa mi sembri un bolscevico, che si augura che la crisi finaale del capitalismo diffonda nelle masse la consapevolezza dell’ oppressione di classe, spingendole ad affidarsi al Partito per conquistare il socialismo. Perché questo è il destino dell’umanità scoperto da Marx. Sostituisci Europa a socialismo e hai il ritratto dell’ideologia europeista.

lo non credo che la crisi che stiamo vivendo renda gli europei più consapevoli della necessità dell’Europa. Però il tuo ragionamento è interessante, perché lo sento ripetere ormai da molto tempo e da persone di diverso orientamento politico, che si riconoscono in tale presunta necessità della storia. Ora, non vedo alcuna necessità della storia, né nel caso europeo né in alcun altro caso. Sarò troppo ottimista, ma resto convinto che la storia non sia data ma sia anche frutto delle nostre azioni, spesso involontarie, nei brevi limiti della nostra esistenza e scontando l’inerzia formidabile del passato.

121-122: L’Europa che sogno è uno Stato confederale, dotato quindi di vari livelli di sovranità, dall’Europa al comune. I suoi confini saranno quelli dell’Europa centro-occidentale che ho sopra evocato. Questa Confederazione europea sarà una potenza attiva su scala globale. E sarà parte della molto più vasta e lasca Unione europea, da estendere a sud-est, verso la Turchia e il Nord Africa, che chiamerei quindi Unione euromediterranea.

Come si avvicina questo sogno? Non certo a partire dalle istituzioni comunitarie, perché non hanno la legittimità né l’autorità per farlo. Qualsiasi proposta per l’Europa futura non può che partire dalle autorità nazionali, le sole titolate a organizzare il consenso dei cittadini.

123-124: Se davvero si costituisse un Euronucleo paracarolingio, forse ne saremmo esclusi. In tal caso metteremmo a rischio l’unità nazionale. Perché se il criterio di quel nucleo è l’appartenenza alla sfera economica tedesca, Fino a Verona ci siamo, più a sud molto meno. Bossi avrebbe buon gioco a rispolverare i suoi argomenti secessionisti. Per la Lega l’Euronucleo torneerebbe a rivelarsi la leva per dividere l’Italia, non per unire l’Europa. E l’unica reazione possibile è quella di metterci definitivamente insieme come europei.

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https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/22/contro-i-miti-etnici-alla-ricerca-di-un-alto-adige-diverso-un-libro-preveggente/

Gli opportunisti dell’umanitarismo sono un pericolo per tutti noi (e ci porteranno in guerra)

Le guerre non sono catastrofi naturali, sono scelte, scelte variamente motivate, ma spesso dettate dalla brama di gloria, di potere, di ricchezza, ecc. Ci sono persone che le programmano e le scatenano.

Gli Osservatori ONU hanno confermato che l’ultimo massacro (in ordine di tempo), non ha colpito civili ma disertori e militanti (= ribelli armati). Il che conferma quando affermato dal regime siriano nella giornata di ieri: “Anche secondo i dati raccolti dal New York Times, quella di Tremseh più che una strage di civili è stata una carneficina di ribelli: uno scontro impari tra truppe siriane più numerose e ben armate e forze dell’opposizione in numero inferiore e dotate solo di armi leggere”.

http://www.repubblica.it/esteri/2012/07/14/news/siria_missione_onu-39073815/?ref=HRER2-1

Se non avessero estromesso le forze di opposizione che volevano negoziare fin dall’inizio con il governo, preferendo la via della violenza, non sarebbero morti a questo modo. Lo Yemen dimostra che si poteva fare altrimenti, ma nello Yemen l’Occidente voleva stabilità, in Siria no.

Ma la Repubblica riesce a distorcere quest’informazione, con un sapiente uso delle parole, al punto da far credere al lettore che invece confermano la versione dei ribelli (che ieri parlavano, invece, di civili disarmati).

Che interesse ha il gruppo la Repubblica/l’Espresso a spingerci verso l’intervento armato, a pochi mesi da quello in Libia, che si è concluso così:
“Nel caotico dopo-Gheddafi…in tutto il paese si registrano scontri armati. Bengasi da culla della Rivoluzione è diventata regno della paura controllato soprattutto dagli integralisti, con agguati e sparatorie (…) Gli islamisti si sentono i padri e i martiri della Rivoluzione e non sanno cosa sia il rispetto delle regole, delle leggi, dello Stato. Qualsiasi contrasto i bengasini lo risolvono con l’uso della forza (…) Oggi nel paese regna il caos. La tribù Mashashia ha combattuto con Gheddafi e oggi è in guerra con la tribù Gontran di Zintan. Misurata è in guerra con Taurga i cui uomini si schierarono con Gheddafi. Per Misurata, Taurga deve «sparire». Lo stesso accade tra Zwarah e Jmail e Regdaline. Tra Sabratah e Zwarah. E a Kufra è peggio ancora. A Derna, regno dei qaedisti e degli integralisti islamici, tutti gli occidentali, anche dei «paesi amici» come la Francia «sono nemici perché occidentali». La Libia è una polveriera, non c’è polizia e l’esercito nazionale, lasciando alle milizie il controllo del territorio”.

Guido Ruotolo, La Stampa, 29 giugno 2012

http://www.difesa.it/Sala_Stampa/rassegna_stampa_online/Pagine/PdfNavigator.aspx?d=29-06-2012&pdfIndex=26

Resta il fatto che i ribelli siriani hanno mentito, per l’ennesima volta (come facevano quelli libici), ma ogni volta i media italiani prendono per oro colato tutto quel che dicono.

Resta anche il fatto che i ribelli stanno perdendo e quindi c’è da attendersi un false flag, un falso attentato terroristico con armi chimiche: infatti “fonti dell’intelligence” affermano che il regime sta spostando armi chimiche a Homs. Di tutti i posti possibili, proprio la cosiddetta “capitale dei ribelli”, che peraltro è ancora sotto controllo governativo? Vogliono gasare i propri cittadini pur avendo il controllo della città?

http://news.sky.com/story/959953/syria-military-moves-chemical-weapons-to-homs

Stiamo avvicinandoci a grandi falcate ad una terribile guerra nel Medio Oriente che si ripercuoterà sull’intero globo, con embarghi incrociati, escalation militari e uso di armi di distruzione di massa e di nuove tecnologie belliche.

L’umanità è solo responsabile della sua inerzia e della sua credulità. Non è l’umanità a volere questa guerra. L’umanità non ama le guerre, preferisce coltivare il proprio campicello (vivi e lascia vivere):

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/02/lopinione-pubblica-occidentale-rifiuta-di-farsi-coinvolgere-nella-questione-siriana/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/01/mussalaha-riconciliazione-quei-siriani-che-rifiutano-gli-uni-e-gli-altri-e-vogliono-vivere-in-pace/

Non c’è un mostro sanguinario dentro di noi che è tenuto a bada dalle élite. Ci sono invece élite che, ripetutamente, per puntellare il proprio potere ed aumentare i propri profitti, ci mettono gli uni contro gli altri. élite occidentali ed euro-asiatiche.

Anche in Italia c’è un’élite che spinge per un intervento armato in Siria. Il nostro ministro degli esteri usa l’eufemismo “muscolare” al posto di “armato”.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/14/il-ministro-degli-esteri-italiano-auspica-una-missione-piu-muscolare/

Altri politici chiedono pressioni sempre più decise sulla Russia (“offensiva diplomatiche”)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/18/il-senatore-della-repubblica-e-la-questione-siriana/

Per avere successo, isolano le migliori personalità, quelle del dialogo, della negoziazione, del compromesso, quelle che veramente si spendono per la causa umanitaria, perché hanno sinceramente a cuore le sorti del proprio popolo e del proprio paese:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/24/leader-della-rivolta-anti-assad-condivide-le-mie-preoccupazioni-sulla-siria/

I falsi umanitaristi (quelli part-time: quando la causa ottiene il sostegno dei media e di Londra+Washington+Gerusalemme/Tel Aviv) spesso credono di essere in buona fede, sebbene siano lupi che si considerano agnelli. A differenza del lupo consapevolmente camuffato da agnello, l’umanitarista opportunista è un fanatico ed è quindi estremamente pericoloso per se stesso e per gli altri, specialmente per i popoli esotici:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/25/la-tirannia-umanitaria-e-i-falsi-profeti-cosa-ci-ha-insegnato-kony-2012/

Sono persone che ancorano la loro autostima ad una causa di vasto consenso e che piace ai potenti. Amano compiacere i potenti e lo fanno con veemenza ed estremismo, la fede cieca di chi, come tutti i narcisisti, ha bisogno di continuare a credere di non aver commesso un errore, pena il collasso del rispetto di sé. Sono quelli che in Germania combattevano per la patria nazista fino all’ultimo, per non dover ammettere di essersi schierati dalla parte sbagliata. Oggi sono gli utili idioti che facilitano l’incedere della macchina da guerra della NATO. Domani, quando la NATO sarà sconfitta a causa della sua hybris, faranno il salto della quaglia e sosterranno la causa dell’amicizia euroasiatica da Finisterre a Shanghai e Vladivostok.

Questo perché non è la propaganda ad ingannare le persone: le aiuta solo ad ingannarsi meglio.

Avendo poca fede in se stessi (tipico del narcisista che ha bisogno di continue rassicurazioni), si aggrappano ad un qualunque surrogato di fede, una santa causa, un relitto che funga da salvagente. Dichiarano di essere altruisti, di aver messo da parte il loro ego, di essere votati al bene del prossimo, ma in realtà la loro è vanità. Diversamente, si informerebbero in modo serio e responsabile a proposito della causa che appoggiano. Se non lo fanno è perché sono loro ad averne bisogno, non le persone che pretendono di voler aiutare. Le “vittime” sono solo un mezzo, uno strumento, perciò l’attenzione dell’umanitarista part-time sarà sempre altamente selettiva. Ci sarà sempre un Hitler di turno che perseguita degli eroi romantici. Ci sarà sempre una popolazione indifesa (la fanciulla, la principessa prigioniera) che necessita dell’aiuto di un cavaliere senza macchia e senza paura pronto a sfidare il drago (ma sempre e solo quando è certo di poterlo battere). Gli scettici saranno sempre complici dell’Hitler del menù del giorno, o idioti complottisti, indipendentemente dai precedenti storici (la storia è cancellata quando interferisce con la visione idealizzata della realtà che protegge un ego insicuro).

Il fatto è che chi non ha problemi ad ingannare se stesso è facile preda di chi lo vuole ingannare. Perciò circuire l’umanitarista opportunista è come rubare un leccalecca ad un bambino. E i risultati sono eccellenti: essendo isolato dalla realtà, non si rende neppure conto della sua meschinità, egocentrismo, vanità, superbia, faziosità, disonestà intellettuale, bullismo, ecc. Userà parole forti non per esprimere le sue emozioni, ma per evocarle in se stesso. Infatti c’è sempre una vocina che lo tormenta, che lo mette in discussione: va tacitata. Il fanatismo non è sintomo di ferma convinzione, ma di un’intollerabile ed intollerata incertezza.   

Oggi c’è la Siria, qualche decennio fa c’era il Vietnam.

Un Americano Tranquillo” è un eccellente romanzo-denuncia di Graham Greene scritto negli anni Cinquanta, quando l’autore era già in grado di prevedere gli esiti funesti del coinvolgimento statunitense nel Vietnam, allora una colonia francese che lottava per la sua indipendenza. Il tranquillo americano in questione è Alden Pyle, all’apparenza un medico volenteroso e posato, che si rivela poi essere uno zelante e spietato agente della CIA, disposto a massacrare decine di innocenti in nome della causa anti-comunista. Qui mi interessa soprattutto riproporre la caratterizzazione che Greene imprime sul personaggio: “Non era capace di immaginare il dolore o il pericolo per se stesso, allo stesso modo in cui non riusciva a riconoscere negli altri il dolore che causava loro” (Greene, 1983, p. 63) – “Mi accadde diverse volte di scorgere nei suoi occhi un’espressione di dolore e disappunto quando la realtà non corrispondeva alle idee romantiche che si era fatto, o quando qualcuno che amava o ammirava non riusciva ad dimostrarsi all’altezza dei suoi inarrivabili standard” (p. 75) – “Sarà sempre innocente, e non si può dare la colpa ad un innocente, perché sono sempre incolpevoli” (p. 183). Pyle è un fanatico ed il fanatico, diceva George Santayana, “è un uomo che raddoppia gli sforzi quando si dimentica dei fini”. Alla fine organizza un finto attentato terroristico (guarda caso!) che servirà a causare un’escalation e l’intervento militare americano: nella piazza devastata cerca prima di tutto di pulirsi i pantaloni dal sangue, invece di aiutare i feriti.

Sta succedendo di nuovo. Di nuovo le credenze sono più importanti dei fatti (loro continuano ad accusare i loro critici di non badare ai fatti, quando sono loro i primi a non degnarsi di considerare i fatti presentati dai critici), l’azione muscolare più importante della pace, le idee più vitali delle persone, la propria asserita innocenza più esiziale dell’innocenza delle vere vittime delle loro iniziative, dei loro errori, delle loro vulnerabilità e dei loro difetti caratteriali. Di nuovi gli opportunisti dell’umanitarismo si rifiutano di pensare e spengono il cervello. Mentre i soldati, che sanno cos’è la guerra, non venerano la forza, ma la temono e la rispettano, gli opportunisti dell’umanitarismo non si fanno troppi scrupoli. Professano di amare l’umanità, ma è lecito dubitarne, visto che non si domandano se certi attivismi siano generati da nobili motivazioni ed indirizzati a nobili scopi e se per caso l’esito finale non potrebbe essere una situazione molto più degradata (es. il narcofeudo del Kosovo, l’anarchia afghana e somala, i ghetti palestinesi).

Per proteggere la loro psiche hanno bisogno di credere ad una realtà manichea in cui la loro parte è sostanzialmente angelica e civile e l’altra è satanica e barbarica. Il fatto che la propria parte si proclami civile ma si comporti barbaramente dovrebbe farli esitare, ma non se lo possono permettere. Sono governati dalle parole, non dai fatti e dalle idee e, per quanto morte possano essere le parole della propaganda, le riempiranno loro di un conveniente e confortevole significato.

Sono pericolosi, perché le diversità di vedute “riconciliate” con l’uso della forza diventano contrapposizioni feroci, marcate da un odio viscerale, diventano un incendio difficilmente estinguibile, che rischia di bruciarci tutti.

Ponti contro muri – Israele, la Palestina e la sindrome di Korsakoff

 

Ho letto con imbarazzo (imbarazzo per gli autori), la replica a Michele Nardelli di Giuseppe Franchetti e Ilda Sangalli Riedmiller (entrambi i testi li trovate sotto).

Imbarazzo per chi minimizza quel che succede nei Territori Occupati:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/07/la-macchina-infernale-che-distrugge-le-coscienze-israeliane/#axzz1vVqmrs7x

e agli Israeliani nel loro complesso:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/27/auschwitz-in-israele-un-suicidio-collettivo/

A questi difensori della loro personale “obiettività”, non basterà una provvidenziale sindrome di Korsakoff a lenire la sofferenza causata dal senso di colpa per le orribili ed immancabili conseguenze del loro etnocentrismo e nazionalismo. Non riusciranno a tacitarlo, perché su di loro graverà il peso di una colpa inestinguibile. Se ne accorgeranno quando ormai sarà troppo tardi.

La sindrome di Korsakoff: “ (…) essi non possono organizzare nuovi ricordi. Perciò essi potrebbero avervi incontrato oggi all’una: voi potreste uscire dalla camera e rientrare all’una e cinque ed essi non vi riconoscerebbero. Essi crederanno di non avervi mai incontrato. Ciò che sto descrivendo non è qualche rarità esoterica; è piuttosto comune. (…) vivono di minuto in minuto senza aver ricordo alcuno di cosa sia accaduto nell’attimo appena passato. Questa amnesia colpisce soprattutto gli eventi più recenti, specialmente quelli che compaiono dopo la comparsa della malattia. Tuttavia questa amnesia colpisce anche i ricordi più antichi, ma progressivamente in minor grado; così abbiamo un gradiente temporale: più si va indietro nel tempo, più i ricordi sono sicuri. Più i ricordi sono recenti, più sono inaffidabili (o non esistenti)”.

http://www.lorenzomagri.it/2008052840/psicologia-clinica-e-patologie/memoria-e-identitla-sindrome-di-korsakoff.html

Michele Nardelli, “Ponti da ricostruire, appartenenze da tradire”, 21/05/2012

“Gaza, 1.645.500 abitanti in una piccola striscia di terra di 360 kmq, viene considerata la più grande prigione a cielo aperto del mondo. In questo inferno, dove la densità è di 4.587 abitanti per kmq (quella del Trentino con una superficie di 6.206 kmq è di 85 abitanti per kmq), nel gennaio 2009 si è consumato l’ennesimo capitolo di una guerra infinita, venti giorni di bombardamenti che portarono alla morte di più di mille palestinesi, molti dei quali donne e bambini.

In quei giorni Desmond Tutu e il compianto Václav Havel così scrivevano «… quello che è in gioco a Gaza è l’etica fondamentale del genere umano. … Se vogliamo evitare che la Fertile Crescent, la “Mezzaluna fertile” del Mediterraneo del Sud divenga sterile, dobbiamo svegliarci e trovare il coraggio morale e la visione politica per un salto qualitativo in Palestina».

Fu proprio a partire da queste parole che prese le mosse una delle prime mozioni approvate dal Consiglio Provinciale in questa legislatura della quale ero primo firmatario e che non casualmente era intitolata “Israele e Palestina. Ricostruire i ponti che la guerra abbatte”.

Narrava di “guerre moderne” che non si accaniscono contro gli eserciti nemici, con i quali piuttosto si fanno affari, ma contro le popolazioni civili, la cultura, la storia, le dimensioni urbane simbolo di incontro e di cosmopolitismo. Nella mozione promettevamo di adoperarci non solo per superare l’emergenza, ma di riannodare i fili del dialogo, dando voce fra le parti ai costruttori di pace.

Il Trentino in relazione

Proprio questa mozione costituì la premessa che avrebbe dato vita, qualche mese più tardi, a “Officina Medio Oriente”. Protagonisti i soggetti che nel corso degli anni hanno realizzato progetti di cooperazione, attività di solidarietà, relazioni di conoscenza, scambio ed amicizia. Aboud, Betlemme, Beit Jala, Gerusalemme, Haifa, Hebron, Jenin, Nazareth, Tulkarem, Gaza…: una fitta rete di esperienze che hanno permesso alla comunità trentina di crescere nella relazione e di mettere in campo esperienze di volontariato, cooperazione, programmi condivisi fra università e luoghi della ricerca, scambi fra gruppi culturali ed artistici, istituzioni. Verso la Palestina, ovvero verso lo stato di Israele e verso i territori governati dall’Autorità Nazionale Palestinese.

Elaborare i conflitti

Insistere sulle relazioni è risultato ed è decisivo. In primo luogo perché sono proprio le relazioni a rendere sostenibili una cooperazione che, per essere efficace, richiede conoscenza dei contesti. E poi perché è nella conoscenza e nello scambio di esperienze che si possono creare le condizioni per il superamento del pregiudizio e per la realizzazione di quei processi di elaborazione del conflitto che della pace sono il presupposto ineludibile. Proprio nell’elaborazione dei conflitti si costruiscono le condizioni per uscire da quell’ossessione che invece immobilizza le parti nelle loro narrazioni, trasformandole in un vero e proprio incubo. Si tratta di un lavoro faticoso, fatto di ascolto e di riconoscimento del dolore, che rischia di essere cancellato tanto dagli atti unilaterali in spregio al diritto internazionale, quanto dalle guerre che lasciano una scia di morte, dolore e rancore.

Rumori sordi

Dobbiamo dirci senza infingimenti che oggi a prevalere non è la pace, non è l’abbassamento del conflitto, non sono il dialogo e tanto meno l’elaborazione del conflitto e di una storia condivisa. E’ piuttosto il sopruso, nella costruzione del muro della vergogna o nel proseguire degli insediamenti israeliani nelle “zone C” assegnate all’Autorità Palestinese, ad avere il sopravvento. E’ l’ostilità verso la primavera dei gelsomini, preferendo i regimi piuttosto che il cambiamento democratico nei paesi arabi. A far sentire il loro sordo rumore sono i motori dei cacciabombardieri israeliani, suggellati dall’accordo di “unità nazionale” fra il Likud e Kadima che – secondo la grande maggioranza degli osservatori internazionali – costituisce il preludio all’attacco contro l’Iran. E, come sempre accade quando si è sotto assedio, a guadagnarci saranno i fondamentalismi, di qualsiasi colore o religione essi siano.

Serve buona politica

Noi ci proviamo, certo, a dare voce al dialogo in tutte le sue forme, politica, culturale, religiosa… ma non possiamo non vedere l’addensarsi delle nubi di una nuova guerra, le cui proporzioni sarebbero incalcolabili non solo per quella Terra che le grandi religioni chiamano santa ma per tutto il Vicino Oriente. Per evitare un esito che avrebbe effetti devastanti sulla vita delle persone e nella radicalizzazione del conflitto, occorre mettere in moto la politica. Non la politica che si muove per calcolo elettorale, ma la buona politica che sa andare contro l’euforia delle chiamate alle armi, che sa osare nei territori dell’improbabile, che comincia a dire cose che possono anche risultare sgradite. E che prova a far emergere quel bisogno di pace che proprio i giovani di Gaza, prima ancora che la primavera araba prendesse corpo, esprimevano nel loro irriverente manifesto che iniziava mandando “affanculo” tutti i protagonisti, regionali ed internazionali, di un conflitto che è diventato funzionale alle parti in guerra.

Tradire

Quel che serve in questo momento è scartare di lato per trovare nuove strade rispetto a quelle sin qui seguite. Non abbiamo bisogno di chiamare a raccolta le tifoserie, ma di testimoni scomodi della pace, di sguardi infedeli disposti a tradire la propria parte per affermare un corso nuovo. Consapevoli che le culture e i popoli danno il meglio di sé quando l’appartenenza identitaria s’incrina”.

*Michele Nardelli è presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani

Giuseppe Franchetti e Ilda Sangalli Riedmiller*, “Gaza non è un inferno”, 22 maggio 2012

[Questo articolo è stato pubblicato martedì 22 maggio 2012 dal quotidiano “L’Adige”]

Vorremmo replicare l’intervento di ieri di Michele Nardelli intitolato “Officina di pace per l’inferno di Gaza”. Gaza non è un inferno e non è una prigione. Esistono zone nel mondo dove le condizioni di vita sono enormemente peggiori e da dove veramente è molto difficile uscire. A Gaza esiste tutto ciò che è indispensabile per una vita normale. Naturalmente tutto è più difficile per i poveri e per i disoccupati. Uscire da Gaza per andare in Egitto non è molto facile, ma non è nemmeno difficile, si tratta quindi tutt’al più di un purgatorio, certo non un inferno, certo non una prigione.

La guerra di Gaza è stata determinata dal fatto che quando gli israeliani si sono ritirati dalla striscia di Gaza, lasciando case, attrezzature ed infrastrutture, i gazani anziché dedicarsi a costruire uno Stato ed un circuito produttivo hanno iniziato a lanciare i missili su Israele. Se andate a rivedere i giornali dell’epoca, vedrete le ipotesi di fare di Gaza la Singapore del medio oriente, cioè una zona dove potessero svilupparsi iniziative industriali e commerciali, eventualmente in collaborazione con Israele, dando nel contempo la possibilità di stabilire strutture statuali nell’indipendenza politica.

I palestinesi però hanno preferito l’offensiva missilistica nel tentativo di indurre Israele a ritirarsi ulteriormente, non solo dal West Bank occupato ma anche dal territorio di Israele proprio che i palestinesi considerano tutto territorio occupato (cioè anche Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme ovest!). Ritirarsi e magari andarsene del tutto!

Parlare dei bombardamenti su Gaza e non su quelli sul territorio di Israele significa vedere solo un lato della realtà e dare importanza solo alle sofferenze di uno dei due contendenti, per ostilità preconcetta verso Israele e gli ebrei. Si tratta di razzismo antisemita? O semplicemente di ignoranza? Quando l’intensità dei bombardamenti missilistici contro Israele ha raggiunto limiti insopportabili, è stato necessario entrare con le forze armate per cercare di mettere fine alla vera e propria offensiva militare dei palestinesi di Gaza. Oggi, infatti, l’offensiva missilistica è sporadica.

L’entità delle vittime civili palestinesi è dovuta al fatto che i militari israeliani in divisa militare dovevano combattere contro un nemico che indossava abiti civili, che si rifugiava in zone densamente popolate da civili non armati ma non distinguibili da quelli armati, e che sparava da case private, addirittura da scuole e da ospedali.

Le istruzioni dei militari israeliani erano di fare tutto il possibile per evitare vittime civili, ma si sa bene che quando si spara possono succedere le cose più terribili, quando vi è in corso una guerra non sempre le pallottole vanno dove si vorrebbe: metà delle vittime israeliane sono state dovute da fuoco amico. Comunque la maggior parte dei morti palestinesi erano militanti armati.

Vi sono stati dei casi di violazioni da parte dei soldati israeliani degli ordini di rispettare la popolazioni civile, ma sono stati casi limitati e comunque perseguiti dalle autorità militari israeliane. Non ci risulta che i palestinesi abbiano preso iniziative di questo genere quando sono stati uccisi i civili israeliani, anzi le imprese terroristiche sono state bloccate ed additate a simbolo di come deve essere condotta una lotta contro il nemico!

L’Officina medio oriente, se vuole “riannodare i fili del dialogo, dando voce ai costruttori di pace”, deve in primo luogo evitare di prendere posizioni unilaterali come nell’articolo di Nardelli. Riconoscere i diritti dell’altro è necessario parlando dei fatti, anche se contrastano con il pregiudizio ideologico per cui una parte ha fondamentalmente ragione qualsiasi cosa faccia. Il “muro della vergogna” è stato quello che ha evitato la possibilità di attentati verso i civili israeliani. Cogliamo l’occasione per ricordare che i terroristi palestinesi hanno attaccato civili e scuola bus senza tanti riguardi.

In quanto agli insediamenti israeliani nel West Bank bisogna ricordare che sono ormai proibiti dalle Autorità israeliane, anzi, la Suprema Corte israeliana ha accolto i reclami di cittadini palestinesi che reclamavano contro gli insediamenti costruiti su terreno di privati e ne ha ordinato la distruzione.

Sono in corso tentativi da parte dei coloni di far rinviare l’attuazione di questa decisione. In quanto all’ostilità verso la “primavera dei gelsomini” l’affermazione di Nardelli non corrisponde al vero: Israele non ha espresso alcuna ostilità, se non la preoccupazione di vedere destituito il presidente egiziano, con cui vi erano rapporti più o meno civili, senza sapere da chi sarebbe stato sostituito. Affermare che l’accordo fra Likud e Kadima “costituisce il preludio all’attacco contro l’Iran” è una delle tante possibilità che si aprono secondo gli osservatori internazionali. E’ falso che sia la grande maggioranza. E’ da rilevare invece che buona parte dei politici israeliani nonché la maggioranza dei militari sono contrari alla possibilità di questo attacco. L’accordo tra Likud e Kadima è dovuto principalmente a questioni di politica interna israeliana, con Netaniahu che cerca di sganciarsi dagli estremisti dei coloni israeliani.

Siamo sicuri che bisogna dare voce al dialogo ed il lavoro fatto durante Officina medio oriente, promosso dall’assessore Lia Beltrami Giovanazzi, dalle otto donne di cinque religioni diverse che sul territorio di Israele e di Palestina collaborano insieme in progetti di convivenza ne sono un esempio estremamente positivo. Certo vi sono le nubi di una nuova guerra, ma se si vuole aiutare questo dialogo ed evitare l’addensarsi delle nubi non si possono fare affermazioni partigiane e, quantomeno, inesatte. Pensiamo non sia vero che “le culture ed i popoli danno il meglio di sé quando l’appartenenza identitaria si incrina” ma che le appartenenze identitarie ben definite e sicure di sé possono meglio andare incontro alle appartenenze identitarie dell’altro.

* rispettivamente: Presidente Federazione sionistica e Sinistra per Israele

 

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