Thomas Sankara e il Terzo Mondo europeo (= PIIGS)

Utili spunti su come resistere alla terzomondizzazione di Irlanda, Grecia, Spagna, Italia, Portogallo, Cipro, Belgio, Francia, ecc.

Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso. Discorso all’Organizzazione per l’Unità Africana, il 27 luglio del 1987, a 3 mesi dal suo assassinio:

“Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”.

(…)

Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più. Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore.

(…)

Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun dibattito; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, Signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua. Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.

Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di qualche individuo. C’è crisi perché qualche individuo deposita nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che si possono nominare, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario. Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.

No! Non possiamo essere complici. No! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine. Signor presidente: sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Parigi, club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io. E’ normale che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba.

Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. E’ solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne. Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non pagano. Noi dobbiamo dire al contrario che è normale oggi che si preferisca riconoscere che i più grandi ladri sono i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono loro che rubano al fisco, alle dogane. Sono loro che sfruttano il popolo.

Signor presidente: non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare subito alla Banca Mondiale a pagare! Lo vogliamo tutti! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da “giovani”, senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un obbligo. E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare. Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora Primo Ministro (di Norvegia). Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo È solo un esempio. Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che almeno il suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. (E’ per questo d’altronde che è normale che paghi un contributo maggiore qui…).

Signor Presidente la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adotti la necessità di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare che ci facciamo assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza!

Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, potremo evitare di pagare, consacrando le nostre magre risorse al nostro sviluppo”.

Emilio L.: un punto di vista “scomodo” su eurozona ed economia italiana

Mi sembrano considerazioni degne di essere dibattute, ma non hanno ricevuto l’attenzione che secondo me meritavano. Sono “scomode” perché contraddicono alcune mie convinzioni e mi sembrano più solide delle medesime. Le condivido nella speranza che qualcuno accetti la sfida di Emilio L.

“Buongiorno.
Ho letto il lavoro del Prof. Bagnai “Crisi finanziarie e governo dell’economia” e desidero condividere con l’Autore e con i Lettori alcune considerazioni, con l’auspicio di proporre spunti utili a stimolare l’approfondimento ed il confronto su tematiche così importanti per il futuro del nostro paese e scusandomi della lunghezza dell’intervento (spezzata in due post).

Facendo uno sforzo di estrema sintesi, la tesi esposta nel paper potrebbe essere così riassunta:

• Nonostante la lezione ricevuta con la crisi finanziaria del 1992, l’Italia ha perseverato nell’errore di entrare nella moneta unica, per motivazioni politiche che nulla hanno a che fare con il benessere della gente.

• Purtroppo l’Italia è meno competitiva della Germania e degli altri paesi dell’area marco, ed avendo perso ogni possibilità di riequilibrio delle ragioni di scambio attraverso la svalutazione, questo riequilibrio può avvenire solo sulla pelle dei lavoratori, attraverso moderazione salariale e flessibilità. Né la politica fiscale può più essere utilizzata liberamente in funzione anticiclica, a causa dell’introduzione di criteri di convergenza che hanno posto un tetto al disavanzo pubblico.

• In queste circostanze il nostro deficit delle partite correnti ha finito per ampliarsi, anche a causa della politica “sleale” attuata dalla Germania di contenimento del tasso di crescita dei propri prezzi e salari, al di sotto del livello degli altri paesi.

• Questa nuova crisi finanziaria trae dunque origine proprio dal deficit strutturale delle partite correnti, piuttosto che dal debito pubblico, che anzi negli anni pre-crisi si era ridotto.

• Per concludere, la moneta unica è uno strumento di dominio e sopraffazione della Germania: l’unica, inevitabile soluzione è uscirne al più presto!

Seguono adesso alcune considerazioni.

• Come scrive l’Autore, la crisi finanziaria c’è perché qualcuno ha preso in prestito dei soldi che non riesce a restituire ed è internazionale perché creditore e debitore risiedono in paesi diversi. Nella crisi italiana, esplosa nella seconda metà del 2011, i debitori sono lo Stato e le banche nazionali, l’insolvenza non si è ancora verificata, ma il rischio percepito ha fatto schizzare in alto il premio che i creditori pretendono per continuare a rifinanziare il debito.
• I problemi di affidabilità delle banche sono in realtà riconducibili a quello dello Stato: fino a metà dello scorso anno ci si compiaceva che le nostre banche fossero uscite praticamente indenni dalla crisi in quanto, a differenza di quelle degli altri paesi, non avevano finanziato grosse bolle immobiliari e non avevano investito in titoli tossici o di paesi a rischio. La credibilità delle banche italiane è iniziata a colare a picco insieme a quella dello Stato, quando gli investitori internazionali si sono resi conto che esse avevano in portafoglio ingenti quantità di titoli di stato e che in caso di avversità lo Stato non avrebbe trovato facilmente le risorse per ripatrimonializzarle.

• Il debitore in crisi è dunque lo Stato italiano, ma l’Autore sembra non volerlo ammettere.

È vero che le evidenze non hanno permesso agli economisti di sviluppare una teoria universalmente accettata della sostenibilità del debito pubblico, ciò non di meno il problema della sostenibilità del debito pubblico italiano esiste nel concreto. È vero che negli anni precedenti la crisi il debito pubblico si è ridotto in rapporto al PIL, ma considerato il livello da cui si partiva esso si è comunque mantenuto troppo elevato (forse non per gli economisti, ma sicuramente per i creditori).

• Il ragionamento dell’Autore sulla sostenibilità del debito sembra essere questo: trattandosi del rapporto tra due grandezze, l’entità del debito pubblico al numeratore e la capacità del paese di creare ricchezza al denominatore, misurabile dal PIL, non sarebbe il debito ad essere troppo elevato, bensì il PIL troppo basso, in quanto la sua crescita sarebbe stata minata dal deficit strutturale delle partite correnti verso l’estero provocato dalla moneta unica.
• La causa della crisi finanziaria italiana sarebbe dunque da ricondurre non tanto all’entità del debito pubblico in sé, bensì ai vincoli della moneta unica imposti dai perfidi tedeschi, che ci hanno impedito di ricorrere ancora una volta alla svalutazione per rendere i nostri prodotti più convenienti e riequilibrare il deficit della bilancia commerciale, che è alla base del saldo delle partite correnti.

• Tale situazione sarebbe poi esasperata dal fatto che la Germania opera per rendere i propri prodotti ancora più competitivi attraverso il controllo dell’inflazione ed una crescita salariale contenuta entro i limiti della produttività, attuando così un’odiosa politica di svalutazione reale competitiva (beggar-thy-neisurplusghbour) che andrebbe punita dagli altri paesi.

• Il primo dubbio è di natura etica: se si depreca la Germania per la sua svalutazione reale non è chiaro il motivo per il quale la svalutazione del cambio che l’Autore propone per l’Italia dovrebbe risultare invece più legittima e meno odiosa per i paesi vicini…

• Venendo alla tesi centrale, che la crisi del nostro debito pubblico sia da attribuirsi non tanto alla sua dimensione bensì alla particolare debolezza delle nostre ragioni di scambio con l’estero, non si comprende allora perché gli investitori avrebbero dovuto colpire proprio l’Italia, una delle poche economie a livello mondiale che presenta ancora un surplus negli scambi di prodotti industriali non alimentari, lasciando invece indenne la Francia che presenta una bilancia commerciale strutturalmente peggiore rispetto alla nostra!

• Né si comprende perché l’indebolimento della nostra bilancia commerciale, che pure c’è stato ma non solo per l’Italia, debba essere attribuito alla concorrenza tedesca, quando in gran parte esso è dipeso dall’espansione commerciale della Cina, che hanno sottratto quote di mercato alle nostre produzioni più tradizionali (tessile, abbigliamento, mobili, etc.).

• Se si hanno a cuore le sorti delle imprese che si confrontano quotidianamente con la competizione internazionale, si provi a chiedere ai diretti interessati quali siano i fattori di freno: carico fiscale sul lavoro e sulle imprese, alto costo dell’energia, risorse insufficienti per la politica industriale, giustizia inefficiente. Tutti problemi che chiamano in causa l’entità delle spesa pubblica e l’efficacia delle politiche attuate. Nessuno parla di euro e di svalutazione competitiva.
• Volendo concludere, la personale opinione è che abbiamo più che mai bisogno della lucidità e coesione necessari ad affrontare tre grandi nodi rimasti irrisolti: 1) la riqualificazione della spesa pubblica ed il reperimento delle risorse da destinare allo sviluppo; 2) una riforma del sistema fiscale, che contemperi l’obiettivo di incentivare nuovi investimenti produttivi, con quello di ridistribuire il carico su redditi evasi e patrimoni; 3) un approccio cooperativo tra lavoratori e imprese, basato sulla programmazione di obiettivi comuni di competitività, investimento e compartecipazione ai risultati.
• Per raggiungere questi obiettivi non sembra utile addossare ad altri la responsabilità dei nostri malanni e proporre fughe indietro nel tempo, ad un “età dell’oro” che non c’è mai stata (altrimenti, chi ci avrebbe potuto costringere ad abbandonarla per cercare nuove strade ?).

Cordiali saluti.

Emilio L.

DIALOGO IMMAGINARIO CON IL PROF. ALBERTO BAGNAI

Gentile Professore,

ho iniziato a frequentare con interesse il suo blog per comprendere ragioni e prospettive della proposta di abbandono dall’euro, che sta alimentando tanta parte del dibattito a sinistra.

A tale fine, ho letto con attenzione il suo paper e ne ho tratto spunto per alcune considerazioni che mi piacerebbe poter condividere con Lei e con i Lettori del blog, nell’auspicio che possano essere di stimolo per ulteriori approfondimenti e confronti di opinione.

Ho inviato tali mie considerazioni nella mattina di domenica 23, in risposta al suo post “Liquidità o compensazione: quale Bretton Woods?”. Ma non avendo finora visto la pubblicazione, ne ho desunto che sicuramente si doveva essere verificato un problema tecnico e mi sono permesso di inviarLe la presente per riproporre nuovamente quanto sopra.

Nel ringraziare per l’attenzione e lo spazio che vorrà riservarmi, desidero esprimerLe apprezzamento per lo sforzo di ricerca e divulgazione di nuove linee di pensiero, nonché il mio augurio per l’esercizio equilibrato della sua responsabilità di accompagnare crescita culturale e apertura mentale dei giovani studenti che le sono affidati.

Un cordiale saluto.

RISPOSTA
Guardi, nel mio blog mi sono dato la regola di non pubblicare commenti a puntate, come lei saprebbe se avesse letto le istruzioni. Trovo molto significative le sue considerazioni e le pubblicherò in un post, in tempi direttamente proporzionali all’insistenza dei suoi solleciti (cosa altresì chiarita nelle istruzioni).
Cordialmente.

REPLICA
La ringrazio, non era mia intenzione forzarle la mano.

Cordiali saluti.

RISPOSTA
Non si preoccupi, è che sono molto preso dal libro del quale lei ha praticamente scritto la recensione. Mi interesserà molto vedere su quali dati e competenze la appoggia, ma prima occorre che la pubblichi, è inutile che ne parliamo in privato.

A presto.

REPLICA
Buonasera,
spero stia bene.

Ieri verso le 14.00 ho inviato un contributo sul post “Catalano alla riscossa”. In sintesi: la tesi da lei sostenuta nel post è che l’esplosione del debito pubblico negli anni Ottanta sia stata causata dalla crescita dei tassi di interesse, conseguente la svolta in senso restrittivo delle politiche monetarie a livello internazionale, piuttosto che dai disavanzi pubblici (eccesso di spesa rispetto alle entrate fiscali o viceversa).

La mia osservazione era circa questa

• tra 1980 e 1992 il debito pubblico italiano è esploso dal 58 al 116% del PIL (+60 p.p.);

• nello stesso periodo il debito pubblico delle altre grandi economie industriali con cui siamo usi confrontarci (ger, fra, uk, us, jpn) è cresciuto molto meno;

• come si spiega questa divergenza, considerato che il tasso di interesse reale sul debito pubblico italiano, sebbene in forte crescita rispetto ai valori negativi degli anni Settanta, si manteneva comunque inferiore a quello degli altri paesi?

• Hanno forse sbagliato gli altri paesi … ?

Salvo che non sia dipeso da un problema tecnico (nel qual caso la prego di non considerare quanto segue) riterrei che la sua decisione di non dare visibilità al mio punto di vista possa essere interpretata in uno dei modi seguenti:

1.sta valutando la risposta più opportuna, in quanto non ne ha una immediatamente pronta;

2.non ha intenzione di rispondere, in quanto la risposta potrebbe instillare nella sua piccola corte la sensazione che la realtà è sempre più complessa dell’interpretazione data secondo schemi ideologici predefiniti (sia ortodossi che eterodossi).

Se invece ritiene che la mia osservazione sia basata sull’errore e vuole evitarmi il pubblico ludibrio, beh! la ringrazio, ma ho le spalle grosse e in fondo “sbagliando si impara”.

Per concludere, so bene che si tratta di casa sua e che lei può farci entrare chi vuole … ma non conoscendola di persona desideravo solo comprendere di che pasta è fatto veramente. Capire se lei, che dimostra così tanta passione e capacità nel denunciare il pensiero unico, i condizionamenti del potere, etc. etc. … nel suo piccolo usa poi le stesse odiose strategie per creare e difendere il piedistallo su cui si è issato.

Un cordiale saluto.

ALESSIO

@Emilio L.
Secondo me ha fatto benissimo il prof. Bagnai a non risponderti. D’altronde perché dovrebbe perdere tempo con una persona che non conosce la differenza tra la bilancia commerciale dei beni industriali e la bilancia dei pagamenti? E poi, ti è mai venuto in mente che usare la svalutazione attraverso la flessibilità del cambio della moneta serva semplicemente per difendersi dalla svalutazione reale attuata da un paese che, in un regime di cambi fissi, ha violato i trattati non rispettando il tetto del 2% dell’inflazione? Delle due, l’una, o sei ignorante, per cui ti mancano le conoscenze basilari per fare una ricostruzione cronologica dei fatti che hanno scatenato la crisi dell’eurozona, oppure sei in malafede.

Gentile Alessio,

ti ringrazio per la risposta. Personalmente mi sento ancora “in ricerca”: desidero capire, non ho risposte pronte e verità incontrovertibili in tasca. Apprezzo taluni aspetti della democrazia che purtroppo sono stati persi nel dibattito politico, quali il confronto basato sui fatti ed il rispetto delle persone. Io apprezzo il Prof. Bagnai e ne seguo costantemente il blog, quello che mi ha ferito è stato appunto il vedere applicate su di me quelle stesse forme di censura che si erge a denunciare. Da questo punto di vista, è più apprezzabile un blog come questo che mi concede liberamente spazio e mi permette di entrare in contatto e confrontarmi con persone come te. Quanto ai contenuti, ti faccio solo alcune domande:

1) Se trovi odiosa la svalutazione reale della Germania, come pensi che i tedeschi abbiano reagito alle continue svalutazioni nominali cui l’Italia è dovuta ricorrere dagli anni Settanta fino al 1992-94 ? Credi che sia politicamente possibile mantenere una zona di libero scambio senza stabilità valutaria?

2) Cosa o chi credi che abbia generato la maggiore inflazione che l’Italia ha sperimentato dall’entrata dell’euro in poi e che ne ha rivalutato il cambio reale? Credi tale fenomeno sia stato un bene per i lavoratori ? Credi che uscendo dall’euro le cause di questo zoccolo di inflazione si risolvano?

3) Da ultimo, in un mondo che è radicalmente cambiato rispetto a quello della grande svalutazione 1992-94, credi che svalutare risolva tutti i nostri problemi: saremo in grado di riprenderci le produzioni che sono state progressivamente trasferite in Cina e nell’Europa dell’est (tessile, abbigliamento, mobili, etc.) ? Saremo all’altezza di fare concorrenza alle produzioni ad elevata intensità di capitale/ricerca su cui la Germania ha costruito il suo export e che le permettono alle aziende tedesche di pagare già oggi un costo del lavoro superiore del 40% rispetto all’Italia ? L’unica certezza è che pagheremo di più petrolio e materie prime (70 mld di import netto nel 2011) e tutte le altre cose che non siamo più in grado di realizzare in Italia (chimica fine, farmaceutica, elettronica, aeromobili, etc.).

Un cordiale (e democratico) saluto.

Emilio L.

http://www.sinistrainrete.info/europa/2288-alberto-bagnai-tecnica-e-politica.html

Milena Gabanelli chiede l’abolizione del contante

Sempre più di frequente si levano voci che domandano l’abolizione del contante e l’uso esclusivo di carte di credito/debito per una tale varietà di ragioni e con una tale urgenza (se fosse una questione così emergenziale ci dovrebbe essere una ragione prevalente e sostanziale) da sollevare il dubbio che questa sia un’operazione che potrà solo arrecare danni al cittadino comune e benefici alle solite oligarchie. Non può esistere alcun dissenso quando ti possono  bloccare il credito.

In un altro post ho presentato quelle obiezioni che a mio parere sono più persuasive delle altre (assieme alle ragioni addotte su Slate, una rivista americana).

Recentemente Milena Gabanelli (Report, assieme a Sefania Rimini), dopo aver omaggiato Monti, si è schierata con chi vorrebbe che fosse utilizzato solo il denaro elettronico.
Le reazioni non si sono fatte attendere:

“A volte le illusioni ritornano. Questa volta ci ha pensato Milena Gabanelli che ha riproposto l’abolizione del contante come soluzione a tutti i mali che ci affliggono. Secondo questa curiosa teoria se tutto si pagasse con carta di credito potremmo avere addirittura 150 miliardi in più di gettito fiscale, per poter lastricare d’oro le strade. È un sogno parallelo a quello della Tobin tax, la famosa tassa sulle transazioni finanziare.

In realtà il mondo è differente da quello dei sogni dove basta vietare e tassare per ottenere schiere di angioletti. Vediamo perché.

Prima di arrivare alla soluzione estrema dell’abolizione delle banconote cominciamo con l’esaminare il senso delle limitazioni all’uso del contante: nessun malaffare «che si rispetti» viene gestito con carta di credito o assegno. È da gonzi pensare che lo spacciatore paghi la droga col bancomat o il ricettatore faccia un bonifico con casuale «incasso refurtiva», allo stesso modo chi incassava somme in nero continuerà a farlo che il limite sia a 10mila euro o a mille. Le soglie di tracciabilità sono andate su e giù come la marea a seconda del livello di demagogia fiscale dei governi ma nulla è cambiato nella propensione all’evasione. Mettere vincoli addizionali ottiene il semplice risultato di aggravare pastoie e commissioni per l’onesto, lasciando del tutto indifferente il disonesto che continua esattamente a comportarsi come prima. Illusione massima poi è quella di supporre che se, con una magìa, domani tutti pagassero con la carta, si incasserebbero i famosi 150 miliardi. Per capire quanto grossolano sia l’errore basti pensare che il valore totale delle banconote presenti in Italia è solo 100 miliardi ( e già qui casca la Gabanelli) ma la nostra pressione fiscale è calcolata sul Pil: aggiungendo ulteriori introiti fiscali pari al 10% del prodotto interno lordo si otterrebbe un dato incompatibile con qualsiasi attività economica di larga scala.

[…].

Torniamo al contante: ai sostenitori di idee radicali come questa o la Tobin Tax sfugge che la condizione necessaria per raggiungere lo scopo finale è che lo stesso divieto sia recepito globalmente, altrimenti molto semplicemente le transazioni si sposterebbero in un’altra valuta o in un altro Paese. È concepibile pensare che tutto il mondo, dalla Cina agli Usa, ripudi contemporaneamente il contante per fare una cortesia a noi? [secondo alcuni è esattamente quel che accadrà, perché ce lo imporranno, NdR].

Se la risposta è no è inutile anche soltanto distrarci dai problemi veri per dedicarci a queste fantasie, senza contare che il malaffare è esistito ben prima dell’invenzione del denaro e basterebbe scambiarsi oro o beni di qualsiasi altro tipo per aggirare le limitazioni. Ogni restrizione unilaterale avrebbe come unico effetto la fuga di capitali: il monitoraggio da stato di polizia dei conti correnti, concesso all’Agenzia delle entrate è un unicum in Europa e infatti, grazie al parallelo inasprimento delle tasse, il trasferimento del denaro all’estero sta raggiungendo livelli record e le conseguenze della fuga saranno ben superiori agli introiti fiscali delle ispezioni.

[…]

Claudio Borghi (Twitter:@borghi_claudio)

http://www.ilgiornale.it/interni/la_gabanellivuole_toglierci_soldi/contanti-milena_gabanelli/16-04-2012/articolo-id=583296-page=0-comments=1

“Il governo afferma che si tratti di una soluzione utile alla lotta dell’evasione fiscale, in quanto tutte le transazioni vengono registrate e si può meglio controllare tutti i pagamenti che avvengono tra clienti, fornitori, consumatori.

FALSO per la seguente ragione: il grosso dell’evasione fiscale (cosiddetti 40 miliardi di sommerso di cui parla l’A.B.I.) non riguarda le piccole-medie imprese che hanno un giro di affari modesto, bensì le grandi corporations, proprio quelle S.p.A. che nascondono al fisco milioni e milioni di euro, attraverso transazioni segrete in qualche conto bancario o hedge fund con sede nei paradisi fiscali. Il vero evasore non è il fruttivendolo sotto casa, ma i manager che risiedono nei CdA delle multinazionali e gli speculatori finanziari che spostano gli utili all’estero in posti come Panama, Cayman, Jersey, etc.

[…].

Di questo passo si arriverà all’eliminazione totale del denaro contante e andremo in giro acquistando beniservizi solo con carte di credito e su di esse ogni movimentazione dovrà essere certificata.

La moneta elettronica, che adesso spacciano come soluzione all’evasione fiscale, se attuata al 100% non sarà altro che l’ennesima vittoria dell’oligarchia bancaria sui cittadini”.

http://salvatoretamburro.blogspot.it/2011/11/perche-vogliono-imporci-la-moneta.html

“Segno dei tempi la trasmissione di “Report”, del 15 aprile? Speriamo di no e continuiamo a credere che Milena Gabanelli non sia ancora omologabile ai tanti giornalisti RAI oramai proni al “pensiero unico” di Monti e dei partiti che lo appoggiano. Ma guardiamola da vicino questa puntata di “Report”.
Saltiamo a piè pari sull’”INTERVISTA” A MONTI (E SULL’INCREDIBILE RINGRAZIAMENTO A LUI RIVOLTO) CHE QUASI CI FA RIMPIANGERE EMILIO FEDE e arriviamo alla sostanza della trasmissione.

Dunque, il debito pubblico per “Report” sarebbe da addebitare all’evasione fiscale commessa da idraulici, tassisti, parrucchieri, salumieri… Neanche una parola sulle imprese che, sempre più spesso, grazie ad una vergognosa legislazione comunitaria, pur operando in Italia, localizzano le loro direzioni nei “paradisi fiscali” o su manager plurimiliardari, come De Benedetti o Marchionne, che “evadono le tasse” pigliandosi la cittadinanza svizzera. Neanche una parola sulla progressiva diminuzione della tassazione ad aziende e imprese (le aliquote marginali dell’imposta sui redditi più alti sono passate il Italia dal 72% del 1981 al 43% del 2010, le imposte sui redditi delle società dal 31,9% al 23,2%; nel 2007, il Governo Prodi con il “cuneo fiscale” regala in detrazioni fiscali, ad aziende, banche ed assicurazioni 18 miliardi di euro, ogni anno). Neanche una parola sul progressivo smantellamento degli Ispettorati del Lavoro, principale causa di evasione in Italia, al quale “Report” contrappone l’edificante storia di un imprenditore della ristorazione che, scovato con i dipendenti non in regola, a causa di non meglio precisati “disguidi burocratici”, non trova niente di meglio da fare che licenziarli tutti.
No, per “Report” l’evasione fiscale e il debito pubblico si risolve abolendo il contante e sostituendolo con le carte di credito e transazioni finanziarie (tra l’altro, una strada intrapresa da Tremonti che aveva già ridotto le soglie dei pagamenti cash prima a 12.500 euro e poi a 5.000) e obbligando dipendenti e pensionati ad aprire un conto corrente.

Peccato che nulla venga detto da “Report” sull’uso sempre più diffuso e “spensierato” di carte di credito (che è diventata la principale causa di indebitamento per i privati in tutti i paesi capitalisti, anche per i tassi da usura imposti dalle banche a chi va “in rosso”) o sul controllo orwelliano dei consumatori determinato dalle carte di credito.

Nulla di tutto questo: solo qualche frase sull’arricchimento delle banche che arrivano a pretendere il 3 per cento sulle transazioni tramite carta di credito (senza parlare dei costi per il POS) e la presentazione come Vangelo di uno sbalorditivo “studio” di un istituto, (guarda un po’ facente capo all’A.B.I.) che assicura che l’uso delle carte di credito risulta essere per i consumatori più economico e conveniente del contante”.

Francesco Santoianni

http://www.contropiano.org/it/cultura/item/8170-“report”-inciampa-su-debito-pubblico-ed-evasione-fiscale

1-Se stampare denaro costa, un’operazione tramite POS o carta di credito invece è fonte di guadagno per le banche e finanziarie. Pensate a quante transazioni vengono effettuate in un giorno e avete la dimensione del problema.

2-Le indagini di mercato costano, analizzare in automatico le spese degli italiani invece costa molto meno e offre maggiori garanzie. Inutile, ad esempio, continuare lo sviluppo del prodotto X ver.02 quando il prodotto X ver.01 non è stato apprezzato.

Inoltre, come già sottolineato da un altro utente, con le carte di credito non c’è rischio della fine della Northern Rock, con file immense che pretendono la consegna di quanto depositato. Ovvero impossibile disattivare la riserva frazionaria se non ci sono più contanti. E la riserva frazionaria è la vera chiave di lettura del sistema bancario attuale. Tallone d’Achille se esiste la moneta, ma scandaloso metodo per permettere qualsiasi speculazione se ci sono solo carte di credito.

Infine: il Grande Fratello ci spia, e siamo sempre più sottoposti a controlli su tutto quello che facciamo. A che ora abbiamo preso l’autostrada e dove siamo andati (telepass o viacard); a che ora siamo andati nel supermercato e cosa abbiamo acquistato; cosa abbiamo acquistato online; com’è l’andamento delle nostre spese, mese per mese e così via.

Tonguessy

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10169

L’abolizione del contante non sarà mai imposta per decreto. Semplicemente, i consumatori verranno progressivamente addestrati all’uso della moneta elettronica rendendola più semplice da usare. Non più tante carte di credito, assegni, giroconti e RID con annesse scartoffie ma UN SOLO oggetto (il telefonino) atto ad eseguire ogni tipo di transazione, dai 0,79 centesimi di una app dell’Apple Store in su. In Giappone questa cosa si sta già rapidamente diffondendo, tanto da aver alterato nella mente dei consumatori il concetto stesso di “spesa”. Il popolino non avrà più il problema di avere o non avere soldi, ma solamente di avere o non avere credito. Questo consegnerà alla classe finanziario-proprietaria globale la disponibilità immediata, in ogni istante, dell’intera ricchezza del mondo. Dire che l’abolizione del contante eliminerà l’evasione fiscale è solo una fesseria, oltre che una balla.

Jor-El

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“Vi scrivo perché sono INORRIDITO dal servizio che avete mandato in onda ieri sera. INORRIDITO. In nome di una legittima lotta all’evasione avete proposto infatti un sistema che a suo confronto il romanzo “1984” di George Orwell è “La casa nella prateria” ! Ma stiamo scherzando ?!!!?!?
innanzitutto… il vostro programma dovrebbe fare inchieste, trovare dati, ascoltare opinioni (ed è per quello che l’ho apprezzato in tutti questi anni)  e non darne di proprie, facendo a tutti gli effetti politica con i soldi dei contribuenti.
Dopodiché… ma davvero volete “immaginare” un sistema in cui lo Stato (lo stesso stato che dà centinaia di migliaia di euro ai partiti senza chiederne contabilità, che non sa se gli esodati sono 65.000 o 350.000, che non sa calcolare se i politici nostri prendono meno o più della media europea, che non sa comunicare quante auto blu abbiamo, etc etc…).. questo stato… conosca tutto dei suoi cittadini !??!?!
Che sappia quale giornale compro (Libero o  L’Unità)
Che sappia che squadra tifo
Che medicine compro
Dove vado in vacanza
Se ho l’amante
Se guardo film porno
Se investo nel fondo finanziario A o quello B
etc etc…
Ma siamo impazziti ?!?!
Non voglio neanche pensare poi a situazioni sul modello Argentina… qualora i soldi in banca venissero completamente bloccati dal governo. Una cosa del genere con i contanti non sarebbe possibile“.
Marcello Mazzilli

A me pare che questo scenario si faccia sempre più realistico, per le generazioni a venire.

ALCUNE CONTESTAZIONI DA PARTE DI UN FINANZIERE (CHE RINGRAZIO) PER QUEL CHE RIGUARDA IL SUO AMBITO DI COMPETENZA:

< Ti faccio solo alcuni esempi:

“Illusione massima poi è quella di supporre che se, con una magìa, domani tutti pagassero con la carta, si incasserebbero i famosi 150 miliardi. Per capire quanto grossolano sia l’errore basti pensare che il valore totale delle banconote presenti in Italia è solo 100 miliardi ( e già qui casca la Gabanelli)”

100 mld è un valore di stock, non di flusso. Immagina di avere 100 euro in contanti, vai al ristorante, mangi, paghi con i tuoi 100 euro, il ristoratore non ti fa la ricevuta. Il giorno dopo il ristoratore con i suoi bei 100 euro incassati in nero paga il tecnico della caldaia che non gli fa la ricevuta. Il giorno dopo il tecnico con i suoi bei 100 euro incassati in nero va dal falegname…. ecc. ecc.

Oppure: “il grosso dell’evasione fiscale (cosiddetti 40 miliardi di sommerso di cui parla l’A.B.I.) non riguarda le piccole-medie imprese che hanno un giro di affari modesto, bensì le grandi corporations, proprio quelle S.p.A. che nascondono al fisco milioni e milioni di euro, attraverso transazioni segrete in qualche conto bancario o hedge fund con sede nei paradisi fiscali”

E’ falso. A parte il fatto che le grandi imprese in Italia sono pochissime (3.000 su quasi 9 milioni di partite iva), queste evadono poco, semmai eludono e certo non “attraverso transazioni segrete”, bensì semplicemente sfruttando buchi della legislazione fiscale o interpretando la normativa a loro favore. Per legge i cd. “grandi contribuenti” sono controllati dall’Agenzia delle Entrate o dalla G.di F. ogni anno (tutoraggio fiscale: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/documentazione/attivita+di+controllo/grandi+contribuenti#tutoraggio), mentre gli autonomi e le imprese medio-piccole, a causa del loro numero elevatissimo, possono anche non subire mai un controllo.
Sostenere che la tracciabilità non è utile nella lotta all’evasione è improponibile. Fidati. Altrimenti fai conto che non abbia detto nulla >.

La domanda da porsi è: ne vale la pena? Il gioco vale la candela?
Come spiega un amico FB: “Il controllo del denaro è un’ ulteriore controllo, grazie al quale possono sapere molte altre cose su di noi, ma soprattutto offre loro il potere di vita o di morte sul cittadino. Infatti se il denaro è tutto elettronico, significa che chi ha in mano il nostro conto ha in mano la nostra vita, se scelgono di bloccarci il conto siamo fottuti. Finchè ci sono in giro le banconote possiamo sempre fare la spesa o pagarci un avvocato che ci difenda, mentre se esiste solo il denaro elettronico siamo completamente nelle loro mani. Schiavi al 100%…
Vogliamo davvero vivere in una gabbia sociale così efficiente, trasparente e tracciabile, mentre i soliti ignoti dell’1%/0,1% continueranno a sfuggire ad ogni controllo?

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