Daniza e il mondo di Jonas

Antropocentrismo animalista

Antropocentrismo animalista

In una società futuristica in cui l’umanità ha scelto di annullare tutte le differenze tra le persone al fine di evitare conflitti dilanianti, la vita scorre tranquilla e asettica. L’ordine regna sovrano e l’unico legame con un passato “contaminato” dalle passioni è la “Cerimonia dei 12”, durante la quale un individuo viene scelto come Custode delle Memorie dell’Umanità. Quando il compito toccherà all’adolescente Jonas, la conoscenza di ciò che è stato lo porterà a voler scardinare per sempre l’ordine precostituito. Il Premio Oscar Meryl Streep e il Premio Oscar Jeff Bridges ci trasportano in un mondo che non vorremo mai visitare…

The Giver – il mondo di Jonas

Con Daniza è successa una cosa che non era capitata con Bruno o con la povera orsa annegata a Molveno, credo per il semplice motivo che sono passati pochi anni, ma anche per le circostanze davvero eccezionali della vicenda. Con Daniza l’orso è tornato a pieno titolo animale totemico incarnando la nostalgia di sacro di una folta tribù pagana dei nostri tempi. L’animale temuto e venerato, ucciso e (proprio per questo) divinizzato, capro espiatorio collocato sul suo totem al di sopra degli umani e degli altri animali e assurto a simbolo di maternità universale non è più un orso come tanti inserito in un normale benché complesso rapporto ecologico. E’ vittima sacrale dopo essere stato simbolo di violenza e di potenza e di fertilità. Gli innumerevoli animali domestici da lui sbranati non contano, sono vittime dovute al totem; l’innocente (un tempo) passeggiata nel bosco alla ricerca di funghi diventa superamento del confine del sacro, dove il totem regna con i suoi cuccioli; l’uccisione per mano di un potere costituito chiama in correità un intero popolo (i “trentini”), secondo schemi ahinoi ben noti, che per fortuna, ripetendosi in farsa, prevedono l’espiazione attraverso una pioggia di disdette di settimane bianche. E così via…Non giudico, constato. E confesso a mia volta un sottile, irrazionale turbamento per l’accaduto.
Marcello Bonazza

Se è vero che i cuccioli hanno buone possibilità di cavarsela, è vero anche che corrono il rischio, grosso, di diventare dei futuri orsi problematici. Sull’esempio di quanto insegnato loro dalla madre potrebbero avvicinarsi all’uomo e agli animali domestici in cerca di cibo facile; in particolare dalla prossima primavera quando, diventati più grandi e forti, potrebbero sentirsi attratti da rifiuti, pollai, pecore. Quale sarebbe, da parte nostra, l’errore più grande a questo punto? Ritenere che abbiano bisogno di aiuto, e sentirsi tentati di lasciare del cibo “ai poveri orfani indifesi”.
Fare questo sarebbe stupido e criminale, significherebbe spianare la strada al futuro triste che attende gli orsi confidenti e/o troppo dannosi: catture o abbattimenti gestionali, atti di bracconaggio. Quindi il nostro appello è questo: NON LASCIARE CIBO AI CUCCIOLI; segnalare la loro presenza a chi di dovere, senza pubblicizzarla con foto ai media o sui social network, che richiamerebbero curiosi; stigmatizzare e denunciare comportamenti scorretti da parte di altri nei loro confronti. EVITARE DI TENTARE DI AVVICINARSI O ATTIRARLI e, qualora nelle prossime settimane si avvicinassero a masi, centri abitati, persone, SPAVENTARLI.
Solo insegnando loro che avvicinare l’uomo è pericoloso, possiamo aiutarli a diventare grandi; solo così possiamo tentare di evitare loro di seguire le orme della madre. Vogliamo dare una possibilità ai cuccioli di Daniza?

Convivere con l’orso sulle Alpi (Facebook)

 

Non mi piace questa disputa intorno alla morte di Daniza.

Sta mettendo a nudo la tendenza umana a fantasticare oltre ogni misura che sarebbe ragionevole:

– immaginare realtà diverse e migliori di quella presente è fondamentale (cf. Adam Ewing “Ma cosa è l’oceano, se non una moltitudine di gocce?” – Cloud Atlas);

– perdere di vista la realtà così com’è – e non come vorremmo che fosse – è invece deleterio e genera la violenza di chi odia il presente perchè non è più com’era e di chi lo odia perché non è ancora come dovrà essere.

Aggredito da orso: Galletti, non sto con Daniza nè contro

Fin dall’inizio il progetto di rewilding del Trentino è stato impestato da un processo di estetizzazione che ha interessato entrambe le parti: l’estetizzazione della scienza di Life Ursus, l’estetizzazione dell’orso, l’estetizzazione dei valligiani, l’estetizzazione del Trentino e della sua natura “selvaggia”, l’estetizzazione di una natura che è chiamata ad essere selvaggia per soddisfare i nostri bisogni psicologici, ma nel contempo deve stare alle nostre regole…un mucchio di miti e di scariche emotive, di granitiche certezze, di scarsa disponibilità all’ascolto, alla riflessione, all’analisi dei fatti, anche quelli che non ci piacciono…

Ora occorre trovare un giusto compromesso, un equilibrio tra selvatico e domestico, tra grandi predatori e persone, tra città e mondo rurale, senza snaturare, addomesticare ed estetizzare l’orso (lupo), chi vive in montagna e l’umanità nel suo complesso.

Dobbiamo ascoltarci, capire le ragioni altrui, accettare che ci può essere del vero da una parte e dall’altra, oltre a grossi fardelli passionali che tirano fuori il meglio e il peggio di noi, a seconda che ci assistano, oppure ci dominino.

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Questo, secondo me, vale anche per gli esperti, che oggi si trovano sotto accusa (e non poteva essere diversamente, perché fin dall’inizio hanno preferito non rispondere alla domanda più scomoda: e se la natura non collabora?).

La questione della reintroduzione dei grandi predatori non passa solo per l’educazione del “volgo”. Non è che tutto si sarebbe già risolto se la gente fosse stata informata adeguatamente. Questo è un pregiudizio positivista che non ha più ragion d’essere: la conoscenza non scende solo dall’alto, può anche salire dal basso. Anche gli esperti possono e debbono imparare dal patrimonio di conoscenze acquisite e tramandate nei secoli da una comunità su cui intervengono.

Parliamoci, ascoltiamoci, capiamoci e risolviamo assieme i nostri problemi.

Oppure un giorno arriverà qualcuno che ci spiegherà che, per il nostro bene, sarebbe opportuno castrare la nostra irruenza e la nostra immaginazione (cf. Equilibrium).

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Un governo mondiale per porre fine alle guerre?

http://it.wikipedia.org/wiki/Equilibrium_%28film%29


C’è un
a piccola, semplice domanda che vorrei rivolgere a tutti coloro che vorrebbero trasformare la pace salutare ed umana che speriamo di avere in Europa in una pace di ferro imposta da un internazionalismo militarizzato. Vorrei, in particolare, porre questa domanda a chi si dichiara, come faccio io, liberale. Se questa persona nega che la guerra possa essere giusta, negherebbe anche che la rivolta possa essere giusta? Supponiamo infatti che nasca uno Stato Mondiale, che bandiere e frontiere non siano più riconosciute; supponiamo scompaiano tutte le uniformi, salvo quelle del sacro poliziotto cosmopolita. Il mio interlocutore riterrebbe di poter negare ad una parte dello Stato Mondiale il diritto di ribellarsi contro la sua restante parte, se si considera tiranneggiato, come i Francesi si rivoltarono nel diciottesimo secolo? Se proibisce la ribellione, nega il principio basilare del liberalismo. Se invece la consente, consentirebbe anche la guerra, semplicemente una guerra priva dei canti, delle musiche e degli emblemi che le conferiscono una certa poeticità e distinzione. Lo Stato Mondiale sarebbe autorizzato a sparare ai suoi prigionieri di guerra: questa sarebbe quasi l’unica differenza.

G. K. Chesterton, Illustrated London News, May 29, 1915.

Non vedo come si possa letteralmente porre fine alla Guerra a meno che non siamo in grado di porre fine alla Volontà. Gli ortaggi sono di norma pacifisti, ma diventare un ortaggio non è un prezzo che sono disposto, o addirittura in grado, di pagare.

G. K. Chesterton, Illustrated London News, October 28, 1916.

Un’Europa con un esecutivo molto forte che si relaziona con piccole realtà regionali potrebbe determinare la morte degli Stati (il che in astratto potrebbe anche essere un bene) e aprire la via all’affermazione di un governo non propriamente e comunque non sostanzialmente democratico.

Luciano Monti, “Il mito d’Europa”, 2000

Jacques Attali, economista, politologo, ex consigliere speciale di Mitterrand ed uno dei più influenti intellettuali europei, ha elaborato nel dettaglio il progetto di un vero e proprio nuovo ordine mondiale federale, sul modello europeo, che si faccia carico degli interessi e dei problemi planetari e faccia rispettare i diritti dei cittadini del mondo (Attali, 2012). Secondo Attali, quest’evoluzione della civiltà umana è inevitabile, perché stiamo procedendo in direzione di un gigantesco caos economico, politico e soprattutto ambientale e ciò costringerà gli esseri umani a prendere coscienza del loro destino comune e della necessità di dotarsi di un unico codice di leggi e di una gestione (“governance”) globale dei problemi globali. Questa governance mondiale nascerà dalla fusione di G20, Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, FMI e Banca Mondiale, sotto l’egida dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Come spiega Attali, se esiste la volontà politica di farlo, “un simile trattato sta in due righe. Può essere adottato in una giornata” (op. cit. p. 22). Successivamente, tutte le leggi e trattati internazionali saranno raccolti in un unico Codice mondiale che prevarrà sulle costituzioni nazionali e sarà introdotta una moneta unica mondiale, sul modello del Bancor proposto da J. M. Keynes. Tra le nuove istituzioni immaginate da Attali ci sono un sistema di giustizia globale, una forza di polizia globale, un’autorità delegata al disarmo ed una delegata al controllo della sicurezza del nucleare civile, un’Assemblea mondiale che vigili sugli interessi di ogni cittadini, un Senato delle nazioni che garantisca quelli dei singoli Stati e infine quella che Attali chiama una “Camera della pazienza”, che tutelerà quelli delle generazioni future e degli altri esseri viventi, incaricata, tra le altre cose, anche di “immaginare nuovi modi di bere, di nutrirsi, di respirare, di vivere sott’acqua o a temperature estreme, di colonizzare l’universo o di “sopravvivere”, trasformandosi geneticamente per diventare capaci di affrontare condizioni radicalmente diverse” (p. 308).

Attali conclude che questo sarà “un governo totalitario o democratico, a seconda di come si instaurerà”. La considero una valutazione ottimistica. La storia ci insegna che il potere corrompe ed il potere assoluto corrompe in misura assoluta. Le scienze politiche e sociali ci insegnano che il decentramento del potere è l’unico strumento che abbiamo a disposizione per tenere a bada i peggiori vizi umani. Tenuto conto della natura umana, della relativa facilità con la quale mentitori incalliti privi di scrupoli e di coscienza (sociopatici, narcisisti, schizoidi, ecc.) riescono a farsi strada verso i piani alti della politica, del preoccupante livello di partigianeria e della scarsa sensibilità democratica dimostrata da numerosi statisti di ieri e di oggi, è difficile immaginare che questo nuovo ordine mondiale si possa dimostrare benevolo.

Anche con un governo mondiale permarrebbero delle sensibili diversità di vedute tra le genti e la polizia globale dovrebbe essere pesantemente armata ed intervenire in ogni angolo del globo, in applicazione del discutibile principio della responsabilità di proteggere, che troppo spesso è stato fatto equivalere al diritto di interferire e colonizzare. Un governo del genere tenderebbe a considerarsi quasi sacralmente legittimato, e quindi interpreterebbe il suo ruolo come quello di chi, essendo dalla parte del giusto, deve rimediare ai torti, ossia rettificare l’atteggiamento di chi la pensa in modo diverso. La sua costituzionalità sarebbe solo una cortina fumogena per nascondere un dispotismo burocratico nudo e crudo, iperpaternalistico, votato a rendere il mondo il più omogeneo possibile – nella lingua, nelle credenze, negli usi e costumi – per agevolare l’unificazione dei popoli, garantire la pace e migliorare l’efficienza della gestione planetaria. In ogni caso, in assenza di una comunità organica mondiale, il governo mondiale sarebbe una costruzione artificiale priva di alcuna autorità. Partire dalla costituzione sarebbe come costruire una casa partendo dal tetto.
Nel mondo esiste una comunità di reciproca dipendenza, ma non di reciproca fiducia e rispetto: un governo unitario non potrebbe applicare la legge efficacemente se la comunità nel suo complesso non si sentisse tenuta a rispettarla e non potrebbe integrare la comunità per decreto. In una democrazia l’autorità non risiede nel governo, ma nella comunità che lo accetta come legittimo e conforme alla sua idea di giustizia. Un governo globale non potrebbe mai fabbricare dal nulla uno spirito di comunità e quindi, alla lunga, fallirebbe. Incrementerebbe il caos e l’anarchia nel tentativo di esercitare la propria autorità in un mondo diviso, pieno di disparità, socialmente diversificato, multiculturale e, in breve, plurale, senza un obiettivo comune ed un’identità condivisa. Un tale governo sarebbe o totalmente inefficiente e perciò irrilevante, oppure dispotico, di un dispotismo senza precedenti.

Faremmo bene ad applicare il principio di precauzione e a non perdere mai di vista il fatto che, proprio perché l’umanità è tendenzialmente egoista e bramosa di potere, bisogna temere il peggio da essa e fare in modo che questo peggio non trovi modo di esprimersi. L’unificazione dell’umanità in macro-entità statali federative non risolverebbe, da sola, i nostri problemi, perché se fosse l’utile a stabilire cosa sia giusto e sbagliato, non si potrebbe evitare che, un giorno, in altre circostanze, si decidesse che sarebbe nell’interesse del genere umano amputarne una sua parte (es. Israele, o gli Stati Uniti, o la Corea del Nord). Per questa ragione, il decentramento del potere è il miglior strumento per scongiurare un avvenire terribile. Umanità certamente unita, ma nel più pieno rispetto dei principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, altrimenti la ribellione sarà un dovere ineludibile (cf. Spartaco).

Tutto questo nulla toglie all’innegabile bellezza e poesia della visione di Attali. Non posso infatti non condividere questo suo lodevole auspicio (op. cit. pp. 304-305):

Ogni essere umano deve disporre di una “cittadinanza mondiale”. Nessuno deve più essere “apolide”. Ciascuno deve sentirsi a casa propria sulla terra. Chiunque deve avere il diritto di lasciare il proprio paese d’origine e di essere accolto, almeno temporaneamente, in qualsiasi altro luogo. Ogni essere umano deve avere diritto a un insieme di beni universali: l’aria, l’acqua, i prodotti alimentari, la casa, le cure, l’istruzione, il lavoro, il credito, la cultura, l’informazione, un reddito equo per il suo lavoro, la protezione in caso di malattia o di invalidità; l’eterogeneità del modo di vivere, la vita privata, la trasparenza, la giustizia, il diritto di emigrare e quello di non farlo; la libertà di coscienza, di religione, d’espressione, di associazione; la fraternità, il rispetto dell’altro, la tolleranza, la curiosità, l’altruismo, il piacere di dare piacere, la felicità nel rendere gli altri felici, la molteplicità delle culture e delle concezioni di benessere“.

Contesto i modi e i tempi, non certo gli scopi (quelli ufficiali – le vere finalità di alcuni, e forse anche di Attali, sono verosimilmente altre), che sono lodevolissimi. È quella la nostra destinazione, l’unica degna di un’umanità possibile. Ma accelerare i tempi sfruttando delle crisi chiaramente pianificate a tavolino per estorcere alla popolazione un consenso che altrimenti non si sentirebbe di dare significa camminare sul filo del rasoio o nascondere dei fini malevoli.

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