Cercando di prendere il più possibile e dare il meno possibile, che fine abbiamo fatto?

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O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda.

Corano, 49.13

Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua dell’altro!

Genesi

Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo.

Gesù il Cristo

Tutti i doveri dell’uomo e del cittadino derivano da questi due principi impressi dall’Autore della natura nel cuore dell’uomo: non fate ad altri quel che non vorreste fatto a voi; fate in ogni occasione agli altri quel bene che vorreste per voi

Costituzioni di Bologna, di Napoli, delle Repubbliche Cispadana, Cisalpina e Romana (1796-1799)
[cf. Donata Borgonovo Re, “Le quattro stelle della Costituzione”]

Tutti gli uomini sono creati uguali, essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, come la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità

Dichiarazione di Indipendenza americana

Libertà, uguaglianza, fratellanza

Motto della repubblica francese

Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità
Art. 29 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948)

Me ne importa, mi sta a cuore. E’ il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”.
don Lorenzo Milani Lettera ai giudici (1965)
[cf. Donata Borgonovo Re, “Le quattro stelle della Costituzione”]

Che società abbiamo costruito? Che modelli di relazione tra esseri umani abbiamo adottato?
Donata Borgonovo Re
http://donataborgonovore.com/2013/05/25/ogni-liberta-si-accompagna-a-responsabilita/

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Il mio diritto di vivere a lungo e sempre al riparo dalla paura della morte; la mia libertà di fare come mi pare, incurante delle rivendicazioni altrui; la mia illimitata capacità di accumulare ricchezze ed esperienze piacevoli.

Alla faccia delle interpretazioni arbitrarie!

La felicità come la intendeva Jefferson non era quella edonistico-consumistica, era la gratificazione che deriva dal poter vivere senza che un tiranno ti imponga come lo devi fare. Il diritto alla vita era il diritto di non esserne privato dall’arbitrio di qualcuno, o vedersela trasformata in inferno a causa di schiavitù e persecuzioni. Era ed è il diritto a vivere come soggetto – padrone del suo destino, capitano della sua animae non come oggetto alla mercé di qualcuno. La libertà non era licenziosità e non era neppure tutto ciò che rimane una volta che è stato garantito il massimo margine di sicurezza possibile. Libertà era ed è la facoltà di esprimere liberamente il proprio potenziale ed essere trattato da adulto, non da minorenne, minorato o automa.

Anche la promesse della rivoluzione francese sono state disattese. La libertà è diventata sinonimo di prevaricazione; l’uguaglianza sinonimo di omologazione tribale e modaiola o di uniformità del modello socioeconomico (“non ci sono alternative”); la fratellanza è diventata quella degli ultras sportivi e/o politici.

Questi principi sono stati travisati, deturpati e separati, per neutralizzarli e far tornare indietro le lancette dell’orologio della storia, senza che la gente comune se ne avvedesse o ci desse troppo peso. Così non siamo più individui sovrani e ci troviamo a vivere in una società della sorveglianza, del materialismo, del precariato cronico, della competizione senza quartiere, dei mercati e dei potentati che stabiliscono la misura dei diritti sociali e civili che ci possono essere concessi (e non più riconosciuti, come dovrebbe essere).

Non viviamo più in una società costituzionale in cui le libertà autorizzano il potere, ma in una in cui il potere autorizza le libertà (più o meno, dipende…) e in cui i cittadini possono, di fatto, “scegliere” di vivere in una condizione di virtuale servaggio. Una cosa che, in precedenza, accadeva nel resto del mondo, non qui, e che perciò ci importava poco o punto.

Che fine abbiamo fatto?
Ne valeva la pena?

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Le preghiere degli uomini sono una malattia della volontà. La preghiera che implora un particolare rendiconto è viziosa. La preghiera è la contemplazione degli eventi della vita dal punto di vista più elevato. Ė il soliloquio di un’anima che percepisce ed esulta. Ma la preghiera usata come mezzo per ottenere un soddisfacimento privato è un furto e una meschinità. Essa suppone dualismo e non Unità nella natura e nella coscienza. Quando l’uomo sarà uno con Dio, allora non implorerà più, ma trasformerà ogni preghiera in azione.

Ralph Waldo Emerson

La polarità, o azione e reazione, noi la incontriamo in ogni settore della natura; nelle tenebre e nella luce; nel calore e nel freddo; nel flusso e riflusso delle acque; nel maschio e nella femmina; nell’ispirazione e nell’espirazione di piante ed animali; nelle sistole e diastole del cuore; nella gravità centrifuga e centripeta; nell’ondulazione dei fluidi del suono; nell’elettricità, nel galvanismo e nell’affinità chimica.

R.W. Emerson

Lontano da ciò che attira e trascina sta quello che io Sono,

Se ne sta divertito, compiacente, compassionevole, ozioso, unitario,

Dentro e fuori del gioco, osservandolo e meravigliandosi.

Walt Whitman

Che cosa pensate che io voglia suggerirvi in cento modi,

Se non che uomo e donna sono buoni come Dio?

E che non vi è alcun Dio più divino di voi stessi?

E che questo è ciò che alla fine significano i miti più antichi e più nuovi?

Walt Whitman

Nessuno può fare esperienza per un altro, nessuno;

Nessuno può progredire per un altro, nessuno!

Walt Whitman

Io vedo nuove combinazioni – io vedo la solidarietà tra le razze;

Io vedo la Libertà, completamente armata e vittoriosa, e molto fiera,

Con la Legge da un lato, e la Pace dall’altro,

Una Triade stupenda, che si schiera contro l’idea di Casta.

Walt Whitman

La pace si conquista ogni giorno, dicendo no alle menzogne

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Le preghiere degli uomini sono una malattia della volontà. La preghiera che implora un particolare rendiconto è viziosa. La preghiera è la contemplazione degli eventi della vita dal punto di vista più elevato. Ė il soliloquio di un’anima che percepisce ed esulta. Ma la preghiera usata come mezzo per ottenere un soddisfacimento privato è un furto e una meschinità. Essa suppone dualismo e non Unità nella natura e nella coscienza. Quando l’uomo sarà uno con Dio, allora non implorerà più, ma trasformerà ogni preghiera in azione.

Ralph Waldo Emerson

Nessuno può fare esperienza per un altro, nessuno;
Nessuno può progredire per un altro, nessuno!”

Walt Whitman

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Un grande no come quello del Parlamento britannico. La prima volta che un governo del Regno Unito subisce una sconfitta in Parlamento in materia di iniziative belliche dai tempi di Palmerston (1784 – 1865)
https://theconversation.com/commons-rejects-cameron-plea-for-syria-strikes-rewrites-special-relationship-17674

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Un grande no come quello dell’ex primo ministro francese Dominique de Villepin in quest’intervista televisiva [in francese]

Tutta l’umanità deve concordare sul fatto che ci stanno mentendo, chiamare le menzogne e le montature con il loro nome e smetterla di servire questi poteri. Gli esempi sono numerosi, da Mandela a Martin Luther King a Étienne de La Boétie a Aung San Suu Kyi. Il semplice atto di non credere alle loro falsità e deriderli li rende impotenti. La loro forza deriva unicamente dal nostro volontario asservimento, dalla nostra credulità, dall’oblio di chi siamo veramente e di quel che potremo fare una volta liberi

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Nessun paese può fare una guerra se la popolazione è contraria e blocca la nazione con scioperi continui, nessun governo/regime può restare al potere se la popolazione non collabora (per questo Assad è ancora lì dopo due anni e mezzo; per questo i golpisti egiziani saranno spazzati via entro primavera e al loro posto s’insedierà un governo misto di unità nazionale, con diversi ministeri assegnati ai fratelli musulmani).

Basta con la scusa che loro e i loro burattinai sono onnipotenti. La colpa è nostra! Votiamo turandoci il naso (voto utile), continuiamo a leggere quotidiani faziosi pro-establishment nella convinzione che è quello che fanno le persone istruite, continuiamo a comprare prodotti delle multinazionali, continuiamo a credere che non ci siano alternative, che così va il mondo, che c’è poco da fare se non ricavarsi una nicchia e rispettare regole e relazioni di potere rivoltanti, ad ogni livello. 

Il nostro futuro è nostro. Siamo noi che lo determiniamo, non loro. Ci volevano far credere che siamo piccoli, deboli, vulnerabili, impotenti e ce l’hanno fatta. Un grande successo. Milioni di persone credono che l’unico cambiamento possa provenire da fuori (da una catastrofe, dagli alieni, dal Cristo, ecc.), non da loro stessi.
Ma, badate bene, se hanno inscenato tutto questo gigantesco teatrino è perché sanno che c’è qualcosa di incredibile potente in noi, che non possono controllare e che non vogliono che scopriamo che c’è e come usarlo.
Altrimenti come si spiegano i loro immensi sforzi? Forse sono loro i piccoli, deboli, vulnerabili, impotenti, perennemente tormentati all’idea del nostro risveglio, della nostra presa di coscienza, della nostra maturazione?
La loro ossessione per il controllo, per la sorveglianza, per la prevenzione è tipica degli insicuri, dei vigliacchi, di chi deve convincersi di essere quello che non è e di poter controllare tutto ciò che lo circonda, perché le incertezze della vita e del futuro lo terrorizzano. I loro think tank, le loro intelligenze artificiali, i loro modelli, i loro media, l’intera macchina della propaganda, della paura, del senso si colpa e di inadeguatezza è costruita a loro immagine e somiglianza.
Il loro è l’unico linguaggio che conoscono: potere, sfruttamento, paura, subordinazione, prevaricazione, possesso, dominio.

Ci accusano di invidiarli, ma le loro esistenze sono l’inferno di chi investe ogni sua energia nel negare ciò che sa essere vero: la destinazione finale è l’estinzione fisica e la perdita di tutta la loro “roba”.

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La macchina della paura e del controllo è comunque riuscita a farci fessi, ossia a farci pensare e agire come loro: reattivamente, aggressivamente, paranoicamente, psicopaticamente, territorialmente. È il cervello rettiliano / R-complex:

http://it.wikipedia.org/wiki/Triune_Brain

Invece di pensare alla vita, agli affetti, ai sogni, alla creatività, inventiva, ecc., siamo sempre più maniacalmente concentrati su ciò che decade, sulla morte, proprio come questi necrofili. Da creatori siamo diventati distruttori, proprio come loro, proprio come ogni essere demonico.

L’orrore di guardarci allo specchio, di capire che il loro mondo ideale, quello delle loro pubblicità e della loro “arte”, è entropico, satanico, privo di qualunque sbocco che non sia l’involuzione e il degrado della coscienza e di tutto il resto. Non c’è nulla, nel loro mondo, per cui valga la pena di battersi. Il loro è un futuro vuoto, fittizio come le loro anime, simulacri di anime.

Sono la pelle di serpente abbandonata dopo la muta, sono un involucro dall’apparenza umana, ma che non pensa, non sente, non si comporta umanamente:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/05/15/cose-il-male/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/14/legoista/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/16/la-banalita-del-male-e-una-cagata-pazzesca/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/28/del-potere-della-pedofilia-del-male-categorico/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/15/psicopatia-portami-via-la-gente-ce-lha-sotto-il-naso-ma-non-la-vuole-vedere/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/03/06/alcibiade-il-rottamatore/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/10/tea-party-il-totalitarismo-anarchico-alla-conquista-degli-stati-uniti/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/06/perche-non-ce-pace-perche-non-ce-liberta/

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Intanto un nuovo mondo sta prendendo forma, come frutto collettivo di un diverso modo di intendere il mondo e il nostro ruolo in esso

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/20/un-mondo-nuovo-sta-prendendo-forma-canti-da-mat-chants-for-a-nut/

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Una delle ragioni per cui la gente è apatica è per sfuggire alla disperazione. D’altra parte gli speranzosi idealismi non supportati da sano pragmatismo non hanno mai un lieto fine.

Il problema, a mio avviso, è che spesso ci facciamo governare dalla speranza (“l’audacia della speranza”, diceva un Nobel per la Pace degno di Kissinger) e/o dalla disperazione e così affidiamo il nostro destino a queste forze emotive, invece che alla nostra creatività ed inventiva. Paura, senso di colpa, speranza messianica, apatia/indifferenza e disperazione sono probabilmente le migliori armi di distruzione di massa delle coscienze e sono usate precisamente a questo scopo e per indirizzare la civiltà umana sulla via della perdizione, la via dell’egoismo, del materialismo, della violenza, del sopruso, della dismisura.

È per questa ragione che diventa necessario che almeno una minoranza di persone competenti e motivate da buona volontà e dalla volontà di servire l’interesse generale si coordini per realizzare un cambiamento positivo nelle loro rispettive aree di competenza.

Questo può avvenire solo se il pragmatismo sconfigge la disperazione (bastone, poliziotto cattivo) e la speranza fideistica (carota, poliziotto buono) in un cambiamento che non provenga da noi e dalle nostre iniziative.

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Per esempio, una volta che tutto ciò che ostacola la ricerca e lo sviluppo di fonti di energia abbondanti ed economiche – non mi riferisco alle rinnovabili: c’è di meglio: http://peswiki.com/index.php/Main_Page – sarà rimosso, l’intero sistema di infrastrutture e modello socioeconomico globale (che si fonda sul profitto derivato da un regime di scarsità e competizione creato artificialmente – la “decrescita felice” eccita i plutocrati) sarà rivoluzionato in maniera completa e definitiva, a meno che le oligarchie non riescano ad imporre un ulteriore monopolio.

Dobbiamo capire, tra le tante cose, come sostituire un’economia di scarsità e concorrenza basata sulle risorse, in un’economia dell’abbondanza basata sull’energia, ossia l’esatto opposto di quel che crede Luca Mercalli (che è davvero poco stimato tra i ben informati, ma continua ad essere invitato ovunque, purtroppo):

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Molti pensano di dover combattere contro qualcosa, ma quello di cui hanno bisogno è lottare per qualcosa.

Inoltre molti non sanno che farsene dell’ideale della libertà, perché pensa di essere già libera a sufficienza: ciò che li può motivare è la presa di coscienza della loro miseria, o della prospettiva del loro impoverimento. Su questa cosa non possono ingannarsi a lungo, non possono tollerare che così va il mondo e molti ricevono le briciole mentre pochi se la spassano. Se sapessero come potrebbe essere trasformato il mondo una volta che certe tecnologie, conoscenze e risorse fossero rese disponibili, potrebbero cominciare a pensare ad un’esistenza in termini più concreti e lungimiranti.
Capire queste semplici verità e agire conseguentemente significa essere pragmatici, non cinici.
Una minoranza guidata dalla voglia di capire, dalla buona volontà, dall’empatia, dal sapere, dalla capacità di trasformare responsabilmente, costruttivamente e di rendere partecipi tutti, nei loro modi e nei loro tempi, senza paternalismi e autoritarismi neogiacobini (“noi sappiamo cosa è meglio per voi”).
Una maggioranza la seguirebbe a ruota se capisse che è nel suo interesse farlo e se potesse dire la sua
.
Nessuna mobilitazione di massa è possibile senza questa presa di coscienza.

Un vantaggio della propaganda immaginifica dei potentati è che ha creato un terreno fertile per immaginare il nuovo in termini concreti anche in persone che non sanno neanche che per andare da Trento a Trieste servono 3 ore d’auto, perché non sono come Massa e Carrara.

Siamo entrati nell’era dei tecno-miti, della mitologia scientifica. Mentre Omero trasmetteva una visione del mondo parlando delle gesta degli eroi e degli avventurieri, gli Omeri del nostro tempo possono avvalersi della fantascienza e delle invenzioni al servizio del nostro spirito, delle nostre coscienze. Le possibilità di cambiamento sono infinite, nel bene e nel male. “Non ci sono alternative” è un mantra che ormai convince solo chi vuole crederlo vero. I nostri orizzonti si stanno espandendo, inesorabilmente: il futuro è sempre più aperto. Si tratta di scegliere e, soprattutto, di voler scegliere, rifiutando la falsa alternativa tra un futuro neo-medievale e un futuro tecnocratico.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/05/la-democrazia-nella-via-lattea-dirittidoveri-di-un-mondo-nuovo/

Per una sociologia del complotto

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Ed io vi dico invece, brava gente,

che i patrizi si curano di voi

col più caritatevole riguardo.

Quanto a quel che vi manca,

ciò che soffrite in questa carestia,

alzare contro lo Stato romano

le vostre mazze, è come alzarle in aria

con l’intenzione di colpire il cielo:

esso seguiterà per la sua strada,

spezzando mille, diecimila ostacoli

più forti che non possa mai sembrare

quello di questa vostra opposizione.

Quanto alla carestia, sono gli dèi

che l’han voluta, non punto i patrizi,

e davanti agli dèi sono i ginocchi,

non le braccia, che possono soccorrervi.

Ahimè, che voi vi fate trascinare

dalla disgrazia dove altri malanni

v’aspettano, a calunniar così

e maledir come nemici gli uomini

che reggono il timone dello Stato

e di voi son pensosi, come padri.

Menenio (Coriolano, Atto I, Scena I)

La società contemporanea è simultaneamente complottista ed anti-complottista

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/complottisti-ed-anticomplottisti-sono.html

Le persone dotate di una modica quantità di lucidità non possono fare a meno di concludere che le élite sono impegolate in una miriade di complotti: dalle menzogne sulle armi di distruzione di massa, ai cartelli per tenere artificialmente ed illegalmente alti i prezzi di certi beni e risorse, al Watergate, agli accordi tra politica e finanza per garantire l’impunità di certe persone, agli insabbiamenti delle inchieste più delicate, agli accordi tra stato e mafia, agli accordi tra democrazie e dittature o teocrazie, ai servizi segreti “deviati”, ai golpe sponsorizzati, agli attacchi speculativi concordati contro certe nazioni e certe valute, al controllo delle valutazioni delle agenzie di rating, agli accordi sottobanco tra banche centrali e banche, agli inciuci, agli attentati simulati (false flag) come quello previsto nell’operazione Northwoods

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/13/cuba-1962-siriairan-2012-operazione-northwoods-false-flag-per-invadere-cuba/

ed altre operazioni di propaganda per scatenare delle guerre

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/27/uninchiesta-del-guardian-ci-spiega-chi-ci-vuole-portare-in-guerra-e-perche/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/11/il-bilderberg-2012-decide-le-sorti-della-siria-e-del-mondo-articolo-del-guardian/

alla nomina ai più alti uffici di persone al servizio di interessi privati

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/17/il-grigiocrate-mario-monti-nellera-dei-mediocri-di-augusto-grandi-il-sole-24-ore-premio-saint-vincent/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/19/sergio-romano-spiega-il-club-bilderberg-ma-unimmagine-vale-piu-di-mille-parole/

alla creazione di finti movimenti spontanei

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/10/tea-party-il-totalitarismo-anarchico-alla-conquista-degli-stati-uniti/


Disprezza pure la scienza e la ragione,

supreme forze umane,

lascia che il Mentitore ti ammaestri

nelle arti di abbagli e di magie,

e io ti avrò senza condizioni

Mefistofele – Faust (Goethe)

 

Le élite (o, per meglio dire, quella parte dell’oligarchia mondiale che non è formata da persone di buona volontà e che, al momento, è largamente egemone) hanno tutto l’interesse a convincere le masse che gli scettici siano dei paranoici, che tutto procede per il verso giusto e le pecore possono dormire sonni tranquilli. Poiché il livello di credulità ed auto-inganno di molti (inclusi molti giornalisti) è stupefacente, non incontrano troppe difficoltà.

La cospiranoia – demonizzazione degli scettici – è una tecnologia sociale di controllo che stabilisce i confini del “discorso responsabile” e riflette il consenso delle élite sulla natura fondamentale della realtà sociale, conformemente ai propri interessi di classe:

Nel famoso libro L’élite del potere, del 1956, C. Wright Mills sostiene che negli Stati Uniti la politica è dominata da una ristretta e potente élite formata dalle persone che presiedono le maggiori organizzazioni: la burocrazia pubblica, le grandi corporations e le forze armate. Il capitalismo avanzato esige che si prendano decisioni fortemente coordinate e di ampia portata, quindi i dirigenti delle grandi organizzazioni sono costantemente in contatto e spesso assumono in modo informale decisioni di rilievo politico e sociale. Come hanno confermato anche recenti e accurate ricerche, questa élite del potere è composta da persone con un’estrazione sociale molto simile: sono nati in America da genitori americani, provengono da aree urbane, sono in prevalenza protestanti, hanno frequentato gli stessi college, provengono in maggioranza dagli stati dell’Est, si conoscono personalmente e hanno atteggiamenti, valori e interessi molto simili. Con i loro rapporti costituiscono un “direttorio intrecciato” che coordina iniziative e attività. Direttamente sotto questa élite, che opera in modo informale e invisibile, esiste un livello intermedio di gestione del potere, costituito dal settore legislativo, dai gruppi d’interesse e di pressione e dagli opinion leader locali. A un terzo e più basso livello si colloca la massa dei cittadini non organizzati”.

http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/sociologia/Lo-Stato-e-il-sistema-politico/Il-controllo-del-potere/Le-teorie-delle—lite-.html

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/02/succinto-trattatello-sulloligarchia/

In questo modo si afferma un pensiero convenzionale che è un mezzo incredibilmente efficace per consolidare l’egemonia della classe dirigente attraverso il controllo del dissenso e la traduzione degli interessi della classe dominante in quelli della nazione nel suo complesso (es. austerità neoliberista).

Si viene additati come complottisti per il semplice fatto di evocare quello che è un caposaldo della sociologia italiana ed internazionale: ogni classe dirigente si sforza di mantenere l’egemonia e, se necessario, lo fa con metodi cospiratori. La spiegazione alternativa fornita dall’establishment è che la classe dirigente sia indecisa, incoerente, incompetente, dottrinale o, quando il gioco si fa veramente sporco, folle (cf. Peter Bofinger https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/05/17/bagnai-piga-e-gli-zombie/). Si esclude a priori l’opzione “tacita collusione”, “crimine” e “alto tradimento”, nonostante la voluminosa letteratura sociologica dedicata alle élite al potere ed alla “devianza delle élite”.

Le nazioni e gli uomini si circondano di un apparato materiale che corrisponde esattamente al loro…modo di pensare. Osservate come ogni verità e ogni errore, ciascuno il pensiero di qualcuno, si rivestono di società, case, città, lingue, riti, giornali. Osservate le idee del presente…vedete come il legname, il mattone, la calce e la pietra hanno assunto una forma conveniente, obbediente all’idea dominante che governa le menti di tante persone… ne consegue, naturalmente, che il più minuscolo ampliamento delle idee…produrrebbe i più impressionanti cambiamenti delle cose esterne.

R.W. Emerson

La falsa coscienza indotta dalla propaganda mediatica è tale che persino persone laureate in sociologia si fanno buggerare da questa tattica dei poteri forti, poche migliaia di persone (< 100mila) che, accomunate dall’estrazione sociale,

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/la-famiglia-bush-e-il-terzo-reich.html

dominano miliardi di altre persone, ricalibrando le loro iniziative in forum esclusivi e attraverso think tank, figure chiave negli ambienti accademici, giornalistici ed intellettuali ed organizzazioni transnazionali (cf. Gruppo Bilderberg, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, World Economic Forum di Davos, Banca dei regolamenti internazionali, Organizzazione Mondiale del Commercio, Council of Foreign Relations, Commissione Trilaterale, Bohemian Grove, Gruppo degli Otto, Trans-Atlantic Business Council, ecc.)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/16/la-perniciosa-influenza-planetaria-delle-fondazioni-e-think-tank-degli-stati-uniti/

Lo scopo è quello di convincere il maggior numero possibile di persone che l’attuale sistema plutocratico (modello capitalista anglo-americano – e, recentemente, tedesco) funziona o comunque tornerà a funzionare se le masse faranno altri sacrifici.

*****
I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo più ampio, niente meno che la creazione di un sistema globale di controllo finanziario in mani private in grado di dominare il sistema politico di ciascuna nazione e l’economia mondiale nel suo complesso. Questo sistema andava controllato in stile feudale dalle banche centrali di tutto il mondo, agendo di concerto, per mezzo di accordi segreti raggiunti in frequenti incontri privati e conferenze. Al culmine della piramide ci doveva essere l’elvetica Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che a loro volta erano imprese private…non bisogna immaginare che questi dirigenti della principali banche centrali del mondo fossero loro stessi dei ragguardevoli potenti nel mondo della finanza. Non lo erano. Erano piuttosto dei tecnici e gli agenti dei massimi banchieri commerciali delle loro rispettive nazioni, che li avevano allevati ed erano perfettamente capaci di liberarsene…e che rimanevano in gran parte dietro le quinte…Questi costituivano un sistema di cooperazione internazionale e di egemonia nazionale più privato, più potente e più segreto di quello dei loro agenti nelle banche centrali. Il dominio dei banchieri commerciali era fondato sul controllo dei flussi di credito e dei fondi di investimento nelle loro nazioni e nel mondo….potevano dominare i governi attraverso il controllo dei debiti nazionali e dei cambi. Quasi tutto questo potere era esercitato dall’influenza personale e dal prestigio di uomini che in passato avevano dimostrato la capacità di portare a compimento con successo dei golpe finanziari, di mantenere la parola data, di mantenere la mente fredda nelle crisi e di condividere le loro opportunità più vantaggiose con i loro associati.

Carroll Quigley, docente di storia, scienze politiche e geopolitica a Princeton, Harvard e Georgetown e mentore del giovane Bill Clinton, da “Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time” (New York: Macmillan, 1966).

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/27/complottismo-for-dummies-le-trame-finanziarie-spiegate-al-bruco-del-mio-basilico/

La missione dell’America, dopo la sua caduta e risurrezione

?????????????????????

Quel che mi disturba quando si parla di America è il riflesso condizionato tra molte persone di sinistra che le spinge a descrivere gli USA come i neocon o i leghisti descrivono l’Islam.
Un riflesso uguale e contrario a quello dei commentatori di destra che amano appassionatamente USraele.
Non ho scritto “Contro i miti etnici” assieme a Mauro Fattor perché ero disposto a tollerare questi dogmatismi e questo post dedicato a Jacob Needleman è il secondo di una lunga serie che lo vedrà protagonista, perché è uno dei pensatori che più ammiro in assoluto.

Mitch Horowitz intervista Jacob Needleman sulle tematiche trattate nel libro intitolato “The American Soul. Rediscovering the Wisdom of the Founders”

Mitch Horowitz: Il suo libro si apre con un aneddoto dell’epoca del Vietnam, in cui presenta ad un gruppo di studenti un uomo di cultura. Uno studente si lamenta amaramente dell’ipocrisia della nazione. A un certo punto, l’uomo si rivolge a lui e gli dice: “Tu non sai quello che hai qui”. Come l’ha intesa lei quest’affermazione e perché cominciare proprio da quella scena?

Jacob Needleman: Questa persona era un uomo molto saggio, ma anche un uomo di mondo, un uomo d’affari ed un grande maestro. Lo conoscevo da molti anni e lo consideravo la figura che più mi ha aiutato a comprendere la natura del cammino spirituale. Non ha mai parlato molto di politica, ma più che altro della via della tradizione spirituale. Volevo che questi giovani studenti lo incontrassero per via della saggezza delle sue idee filosofiche e spirituali. Saltò fuori il tema della guerra in Vietnam, come succedeva sempre con i miei studenti – questo era un momento in cui il paese era veramente straziato ed i giovani erano indignati. Nella mia vita, non ero mai stato in grado di coniugare spiritualità e questioni politiche. Le ho sempre considerate due mondi completamente separati e vedevo la politica come un mondo prevalentemente pieno di illusioni. Quest’uomo era venuto dalla Scozia e scherzosamente si definiva come “l’ultimo americano”. Ha davvero amato questo paese.

Gli studenti si rivolgevano a me condannando veementemente l’America e all’improvviso disse, in un modo che intimava ai presenti di fare attenzione: “voi non sapere quel che avete qui”. Sbalordì tutti. Ci fu un momento di silenzio assoluto. Venendo da quest’uomo sapiente e di profonda comprensione spirituale, le sue parole si insinuarono in noi come un grande interrogativo, un profondo shock spirituale che ci faceva riflettere e ci spingeva a porci delle domande.

È successo 30 anni fa. Quell’affermazione mi è rimasta dentro, come una bomba a orologeria, nel corso degli anni. E poi, una decina di anni fa, mi sono reso conto che nel tentativo di creare un ponte tra le idee spirituali e le problematiche del mondo contemporaneo – di vedere come le grandi tradizioni di saggezza del mondo potevano illuminare i problemi attuali – mi trovavo di fronte a delle questioni scottanti: Che cos’è l’America? Che cosa significa? A cosa serve? Chi siamo noi americani? Che cosa abbiamo qui? Queste domande, che erano lievitate in me in tutti questi anni, erano affiorate nella mia mente e mi avevano spinto a scrivere questo libro.

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Nel libro lei descrive l’America come parte di una catena di grandi civiltà che nel corso della storia sono state influenzate dalle tradizioni sapienziali. L’America può rivendicare una maggiore o diversa affiliazione a quelle tradizioni rispetto ad altre prospere nazioni democratiche della contemporaneità?

Sì, penso di sì. C’è qualcosa di speciale nell’America, nel senso che questo paese è nato con uomini e donne che erano ​​in parte o in larga misura spiritualmente motivati. Per molti di loro la motivazione della spiritualità era in un certo senso fondamentale e anche le nostre icone, i Washington, Madison, Jefferson, possedevano ragioni di natura spirituale frammiste a pragmatismo e motivazioni economiche e politiche. I fondatori erano profondamente interessati, in un modo o nell’altro, alle questioni relative al cuore, alla ricerca spirituale, e questa passione si è fatta strada nella formazione dei loro ideali, influenzati in larga misura dalle idee che hanno la loro radice nelle tradizioni spirituali dell’umanità, nella filosofia perenne, nella saggezza antica [il libro di Needleman offre abbondanti prove documentarie dell’impetuosa spiritualità degli architetti della dichiarazione d’indipendenza e della costituzione americana, i quali, aspetto non secondario della questione, erano in buona parte massoni o, come nel caso di Jefferson, amici di massoni, NdT].

Le loro motivazioni principali non erano solo di mera convenienza politica, necessità economica, o del bisogno di fare in modo che le persone potessero fruire in parti eguali delle risorse della società. Gli ideali dell’Illuminismo erano molto più esplicitamente o fortemente sviluppate nella fondazione dell’America. Le sue radici affondano in una dimensione spirituale che riecheggia le tradizioni sapienziali. In questo senso, l’America è la madre di tutte le democrazie, anche quando le democrazie assumono forme diverse. Come genitrice di queste democrazie, l’America possiede ancora una dimensione spirituale come parte integrante della sua natura, una dimensione che non è così forte nelle altre democrazie, più recenti.

Oltre alla prosperità materiale ed alla democrazia politica, quali condizioni cercavano di creare in questa nuova società i suoi fondatori?

Stavano cercando di creare una condizione della vita umana in cui uomini e donne fossero liberi di cercare la propria verità, la verità della coscienza, un rapporto con ciò che c’è di più elevato e migliore in loro, di fronte a Dio. I fondatori non erano legati ad una particolare religione settaria, poiché sentivano che esse erano degenerate in dogmatismi e tirannie mentali. Volevano che le persone fossero libere di cercare la propria verità e di associarsi tra loro in modo tale da facilitare questa ricerca. Volevano delle condizioni in cui le persone fossero libere di interpretare Dio, non con partigianeria, ma in quei termini che riflettono una divinità interiore ed un Dio esteriore.

Il libro è popolato da molte delle icone della storia americana: George Washington, Abraham Lincoln, Frederick Douglass, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson – Lincoln sembra essere una spanna sopra gli altri. Quali influenze spirituali vede nella sua vita e nel suo lavoro?

Quando ero bambino mi bastava guardare il viso di Abraham Lincoln per avvertire quel senso di grandezza che gli esseri umani sono in grado di raggiungere. Sapevo che era un grande uomo. C’era qualcosa nella sua presenza o individualità, nel suo essere, una qualità di essere pienamente umano, che rivelava la sua grandezza. Era il mio primo contatto con una persona di un altro livello di esistenza, un altro livello di presenza.

Lincoln rappresenta l’individualità nella sua forma più matura: il significato dell’essere un individuo, non un’idea puerile di qualcuno che si limita a fare cose intelligenti od originali, o che non si cura di nessun altro parere, salvo il suo – nulla di tutto ciò. Fu un uomo che rappresentava nel suo volto, nel suo sguardo, nel suo corpo e nella sua presenza il diritto di dire: “Io sono”. È questo che mi ha impressionato, e che penso impressioni molti americani.

Lei descrive Benjamin Franklin come un uomo che ha creduto nella costante ricerca del proprio miglioramento. Che tipo di contributo ha dato all’anima americana?

Franklin è un meraviglioso rompicapo. Più lo studio, più complesso diventa. A volte ti chiedi se è solo un astuto, materialistico imprenditore della politica. Oppure è un esploratore scientifico che ama la conoscenza e la sperimentazione, o un diplomatico ed ambasciatore estremamente intelligente. È una figura come quella di Merlino o un uomo profondamente spirituale, alla ricerca di un contatto con il Dio della natura e del Dio che dimora nell’essere umano?

Penso che sia tutte queste cose e un uomo profondamente spirituale che è anche straordinariamente pratico delle cose del mondo. Mi piace ri-mitologizzarlo come il simbolo americano della ricerca della verità spirituale nel bel mezzo di un’attiva, impegnata ed efficace esistenza mondana. È un mago, in un certo senso, un imbroglione, un uomo che è legato a Dio in modo molto stretto, fortemente non convenzionale ma altrettanto robustamente genuino. È nel mondo, ma non vi appartiene. Tale principio, che si trova in tutte le tradizioni spirituali, si applica a Franklin in maniera estremamente dinamica.

Esiste, oggi, un’anima americana?

Se usiamo il termine “anima americana” per indicare il significato spirituale del paese, direi, sì, il paese ha un significato spirituale. Il paese rappresenta un’idea del sé umano che circola da migliaia di anni, un’idea del sé definita in una nuova lingua, una lingua americana calata in un’esperienza americana – quella che troviamo ben articolata in alcuni dei discorsi di Lincoln e anche da Emerson, Thoreau e Whitman.

L’anima americana esiste come parte delle nostre ossa e dei nostri tessuti – è nella nostra natura, in quanto americani – ma è stato soppressa, coperta ed oscurata dal consumismo, dal materialismo, dal militarismo e da tutte le cose che sono sbagliate nell’America e che continueranno ad esserlo. Ma il materialismo ed il consumismo fuori controllo della nostra cultura ci hanno fatto vergognare più di una volta di essere americani e ci hanno impedito di vedere l’anima americana celata sotto la superficie della nostra psiche. Ora, quest’anima sta riemergendo. Esiste, certo, ma in un certo senso del termine, è ed è sempre stata in procinto di rinascere, di essere riscoperta.

Quale reputa sia un giusto uso della forza degli Stati Uniti nel mondo di oggi?

L’America è una nazione e le nazioni operano nel mondo delle nazioni. Il mondo delle nazioni è una giungla. Si obbedisce ad una legge molto dura. Non si può giudicare una nazione come si giudica una persona. Alcune persone immaginano che l’America dovrebbe essere santa, ma una nazione non ha alcuna chance di esserlo. Una nazione deve proteggere i suoi cittadini, deve proteggere se stessa, deve lottare a volte, deve avere denti e armature, e ogni nazione che ne è priva viene immediatamente inghiottita o sconfitta dalle altre. Un governo esercita la sua forza: è lì per difendere, punire e proteggere. La società è molto diversa, molto più morbida, molto più umana, molto più etica e, vorrei aggiungere, spirituale.

Quindi mi sento di potermi rifare a Thomas Paine e dire che lo scopo del governo americano, della nazione americana, è quello di proteggere lo spirito americano, l’anima americana, per permetterle di crescere e prosperare. Quel che l’America può fare per noi, e quindi per il mondo, dal momento che è la nazione più potente del mondo e culturalmente la più influente, è continuare a proteggere e favorire la diffusione di condizioni che permettano la ricerca della verità che avrà luogo non solo nel nostro paese, ma anche all’estero. L’America può favorire chi cerca di divenire un essere umano autentico e le condizioni che rendono gli esseri umani felici. La ricerca della felicità non significa la ricerca del piacere. Significa la ricerca di una vita in cui si è in contatto con quegli aspetti di sé che, soli, possono rendere felici. L’America può proteggere quella ricerca e consentire che essa continui ad esistere nel mondo, così come all’interno dei suoi confini, ma non certo per mezzo di maldestre ingerenze.

Un’altra cosa che l’America può fare è essere più generosa verso i poveri del mondo. La qualità che contraddistingue gli americani è la loro buona volontà. Gli americani, con tutti i loro difetti, vogliono davvero aiutare, e sono abbastanza bravi a sistemare le cose. Quindi ci sono molti modi in cui la nostra forza può e dovrebbe essere utilizzata, perché se non riusciamo ad esprimere la nostra natura spirituale, la nostra forza scomparirà.

Lei ci ricorda che i nativi americani avevano una mitologia ed una metafisica pari a quella di qualsiasi altra nazione nella storia. Che cosa abbiamo perso con la distruzione della cultura degli indiani americani?

Abbiamo sicuramente perso la loro influenza spirituale. La forma di governo irochese può aver influenzato la nostra Costituzione, in quanto trova molti sorprendenti riscontri nella nostra Costituzione. Questa cultura si è formata a partire da una visione spirituale della natura dell’universo e delle forze divine operanti nel mondo – le forze cosmiche che gli esseri umani devono comprendere interiormente ed articolare nella forma in cui indirizzano le loro esistenze, il lavoro, il governo e la società. Quindi direi che una cosa che abbiamo perso è il significato cosmico del governo, delle leggi, dell’etica e delle relazioni umane.

Vi è una legge morale inscritta nella natura dell’universo e nella natura dell’essere umano, e il nostro modo di convivere deve rifletterla. È una cosa che ho appreso studiando la cultura degli indiani d’America. Per quanto riguarda il rapporto dei nativi con la natura, lo sanno tutti che, per molti versi, avevano una straordinaria civiltà immersa nella natura. La loro conoscenza della natura era pari a quella di molte delle nostre intuizioni scientifiche al riguardo. Tuttavia, avevano compreso la natura non solo attraverso la mente analitica, razionale e logica, alla quale abbiamo fatto così abbondante ricorso e che ci ha donato il tipo di potere che abbiamo, ma anche attraverso l’attivazione di una qualità della mente di cui sappiamo poco.

Parlano di “visioni” e noi subito pensiamo a qualche sorta di fantasia New Age. Eppure è una qualità della mente che interpreta la natura delle cose e comporta uno stato qualitativamente diverso di coscienza di quello in cui tendiamo a vivere. Le culture premoderne possedevano una visione, un potere, una conoscenza, una comprensione che a volte è superiore a quello che abbiamo. Non hanno usato la logica, l’approccio analitico che privilegiamo, ma l’indiano ce l’abbiamo nel sangue, nelle ossa. Dobbiamo renderci conto che la cultura indiana non se n’è davvero andata, anche se è stata distrutta.

L’atteggiamento americano verso la nostra storia è come un pendolo che oscilla da un estremo all’altro. Quindi o lodiamo George Washington come il ragazzo che ha abbattuto l’albero di ciliegio o denunciamo Thomas Jefferson per il suo schiavismo. Quale delle icone della storia americana direbbe che esemplifica meglio delle altre la nostra incomprensione?

Chiaramente Jefferson, al momento attuale. È stato buttato giù dal piedistallo e penso che le calunnie ai suoi danni indichino un malinteso non solo nei suoi confronti, ma anche circa il il tipo di simbolo che dovrebbe incarnare. È chiaro che i grandi riformatori del genere umano, per quanto ho potuto vedere, sono senza eccezione parte del problema a cui stanno cercando di porre rimedio. Capiscono il dolore e l’orrore del problema che fronteggiano, perché ne fanno parte e forse ne sono responsabili, ed è proprio questa constatazione che alimenta la loro energia riformatrice. Non dico che questo sia vero per tutti, ma Jefferson è stato invischiato nella schiavitù, come tutti i padri fondatori, in un modo o l’altro. Penso che proprio perché ne era intrappolato divenne uno dei maggiori formulatori di quegli ideali e valori e del linguaggio in cui furono espressi, sulla scorta dei quali, per ironia della sorte, oggi viene condannato. I suoi critici non avrebbero gli strumenti per giudicarlo se non avesse articolato quegli ideali. Non si rendono conto che i loro standard di uguaglianza e di equità sono dovuti in larga misura al pensiero di Jefferson ed alla sua mente.

Sì, è stato coinvolto nella schiavitù, e deve aver sofferto lui stesso, perché è noto che dichiarò che se Dio è giusto, allora non poteva che temere per il futuro del suo paese. Sapeva che con la schiavitù era come cavalcare una tigre. La storia dell’America inizia con un compromesso, perché l’America non avrebbe mai potuto prendere l’avvio senza un compromesso intorno a questa questione al momento della formulazione della Costituzione. Quindi Jefferson aveva questa grandezza, questa visione, i suoi ideali e al tempo stesso era coinvolto in quello stesso problema e probabilmente ne aveva tratto profitto. Ma questo non significa che non ne riconoscesse l’erroneità. Infatti, si potrebbe dire che la sentisse ancora più intensamente di chi, come noi, non si vede nei panni dell’oppressore. Ma noi siamo l’oppressore.

Quindi penso che Jefferson debba essere ripensato, proprio per i motivi che servono a condannarlo: era sia un visionario sia un responsabile del problema che stava cercando di correggere. Sant’Agostino e San Francesco divennero santi dopo essere stati peccatori; avevano un atteggiamento verso il loro peccato che li aveva trasformati. Perciò la santità o la virtuosità non derivano dalla capacità di astenersi dal peccare: ma dalla coscienza e dal rimorso. Questa è l’energia che ci guarirà.

Quale domanda crede che noi americani dovremmo tenere sempre al centro dei nostri pensieri?

Dovremmo porci quella domanda d’inizio intervista: “sappiamo che cosa abbiamo qui?”. Se riesaminiamo la storia e diamo un’occhiata al mondo vediamo che  sono molto rari i luoghi in cui si è liberi di informarsi, di associarsi, nella ricerca della verità. L’America, ad onta di tutti i suoi difetti, è ancora un posto in cui possiamo farlo. E’ ancora un luogo in cui possiamo lavorare insieme e cercare la verità. Abbiamo bisogno di apprezzare questo paese per questa ragione molto più di quanto lo stiamo facendo. L’America è il luogo dove possiamo ravvisare i nostri obblighi nei nostri confronti, verso Dio e verso la Terra. Questo è quello che vorrei fare io, nel mio cuore.

http://www.mitchhorowitz.com/jacob-needleman.html

Qual è il ruolo dell’umanità nell’universo? La crescita felice

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La decrescita “felice” ci condurrebbe all’atrofizzazione della mente/coscienza in un mondo rilocalizzato, autarchico, privo di forze espansive e centrifughe, a ridottissimo pluralismo:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/03/04/perche-grillo-non-crede-nella-decrescita-felice/
Il paradigma materialista ci sta già portando verso l’abisso e nuocendo all’ecosfera.

Lo sviluppo dev’essere sostenibile anche per la psicologia ed antropologia umana e deve attivare ed amplificare le nostre migliori facoltà, incluse quelle latenti. La missione della democrazia è proprio quella di creare le precondizioni indispensabili, sebbene di per sé insufficienti, per facilitare il processo evolutivo della nostra specie e di questo pianeta. Dobbiamo crescere, non abbandonarci ad una deriva involutiva. Ma crescere come, in che direzione, per qualche scopo? L’opinione del filosofo e docente alla San Francisco State University Jacob Needleman (che è anche la mia).

Jacob Needleman risponde ad alcune domande sul suo libro “An Unknown World” (“un mondo ignoto”)
D. Quando ci interroghiamo sul senso della vita, lei insiste sulla necessità di aggiungere la Terra a questa ricerca. Perché è importante farlo?
JN. Uno degli obiettivi principali di questo libro è quello di capire che cosa significa per noi il fatto che la Terra stessa sia un essere vivente (cf. Gaia). All’interno di ciascun organismo vivente tutto ciò che esiste ha una funzione, un ruolo, nel quadro complessivo della vita di cui fa parte. Pertanto, il senso della vita umana è inseparabile dalla funzione che la specie umana è destinata a servire come parte della Terra vivente. La questione centrale del mio libro è: di cosa ha realmente bisogno da parte nostra la Terra? Al di là dello sforzo che stiamo facendo per risolvere la crisi ambientale che abbiamo creato. Dal momento che tutto ciò che è umano è parte della Terra ed è pensato per svolgere un ruolo essenziale per l’evoluzione stessa della Terra, allora tutte le cose umane, specialmente la nostra vita interiore e più intima, hanno una funzione essenziale nella vita del pianeta [questo ragionamento va compreso alla luce di una scuola di pensiero antica che, in anni più prossimi ai nostri, ha persuaso, tra gli altri, R.W. Emerson, Teilhard de Chardin, Gustav Theodor Fechner, William James, Vaclav Havel, Mary Midgley, Alfred North Whitehead, i fisici Erwin Schrödinger, Wolfgang Pauli, Fritjof Capra, Shimon Malin e la biologa Mae-Wan Ho, NdT]
D. Il suo libro esplora lo scopo dell’umanità sulla Terra, l’eterna questione che non sembriamo mai in grado di rispondere. Qual è l’elemento mancante nella nostra comprensione del perché l’umanità è sulla Terra? Inoltre, perché è una questione importante per le nostre riflessioni?
JN. Ciò che manca è la nostra comprensione di ciò che distingue la vita umana da tutte le altre forme di vita sulla Terra. L’elemento che distingue un essere umano da tutte le altre creature è la possibilità di una coscienza desta. Pertanto, è proprio questa coscienza desta quello di cui ha bisogno la Terra da noi, ben oltre il livello di pensiero, emozioni e comportamento che caratterizza la qualità della nostra attuale vita di tutti i giorni. Siamo costituiti in maniera tale da vivere a un livello di esperienza cosciente e azione superiore, più fine, più profondo. In questo senso, parlando in generale, la vita umana, la vita pienamente umana, non si è ancora radicata sulla Terra, tranne che in uomini e donne straordinari nel corso della storia che hanno cercato di aiutare gli esseri umani a risvegliare il livello di comprensione, compassione e forza morale che sono gli attributi di una coscienza risvegliata.
D. Nella ricerca della coscienza, lei conclude che il Sé (o l’anima) non è misurabile dalla scienza della nostra epoca. Quali parti del Sé non possono essere spiegate con il metodo scientifico? Perché la scienza non basta?
JN. La coscienza può esistere a diversi livelli e ogni livello di coscienza porta con sé il proprio livello di conoscenza. Il nostro livello attuale di conoscenze scientifiche riflette il nostro attuale livello di coscienza. Una mente umana più pienamente risvegliata umano vedrebbe una realtà completamente diversa, una visione più unitaria di un più teleologico universo vivente. La capacità di sentimento/sensibilità umano più elevato, di una qualità sconosciuta, è un elemento essenziale per vedere l’intera realtà per quello che è. Questa capacità di percezione è sconosciuta alla scienza e può essere riconosciuta solo dal suo destarsi dentro di noi. Pertanto, una profonda conoscenza di sé è necessaria per una più profonda comprensione sia dell’universo, sia del cervello. Gli scienziati che studiano il cervello e la mente prima o poi si renderanno conto che le nuove tecnologie o teorie non saranno capaci di per sé a comprendere il Sé all’interno della psiche umana. Per capire una coscienza risvegliata occorre cominciare a diventare consapevoli della potenzialità della propria coscienza. Senza questo sforzo, la nostra cultura moderna continuerà a spingere su di noi uno standard di conoscenza e una visione della realtà che ci faranno dimenticare il nostro possibile ruolo nello schema cosmico.
D. Perché lei sostiene che tutta la scienza dell’uomo è una scienza della Terra?
JN. Così come ci sono livelli di coscienza e livelli di conoscenza, così ci sono anche livelli di realtà. In altre parole, ci sono livelli di realtà in qualsiasi organismo: ogni livello serve gli scopi di un livello più alto ed è a sua volta servito dal livello sottostante. La vita delle cellule serve le esigenze e le finalità dei tessuti in cui funzionano le cellule – in questo senso i tessuti esistono ad un livello di scopo superiore rispetto alla cellula. Questa è la progressione: cellule-tessuti-organi (come cuore, polmone, ecc), sistema (circolatorio, respiratorio, ecc) e, infine organismo. In un universo vivente, organico, ci sono anche livelli di realtà: i fini della Terra servono i fini del successivo livello – i fini dei pianeti nel sistema solare, i pianeti servono gli scopi del Sole, ecc. Possiamo dire che la scienza moderna non supera mai il livello della Terra perché per percepire uno scopo (e valore) occorre aver sviluppato un sentimento; l’intelletto isolato in quanto tale non può percepire valore o scopo nella realtà, la ragione per cui lo scientismo dogmatico (come quello di Richard Dawkins) offre una visione relativistica di etica e di valori. La parte della mente che viene utilizzata nello scientismo è quella meccanica, la parte logica della mente che è non in grado di percepire lacuna finalità nel mondo esterno. La scienza moderna non supera mai il livello della Terra, perché spiega tutto ciò che incontra tentando di vedere solo gli elementi meccanici in esso (quelli privi di mente e di scopo). Poiché non può percepire uno scopo non può comprendere le finalità che spettano alla Terra e che sono quindi al di sopra del livello della Terra. Nell’essere umano vi è anche un livello di funzionamento che si trova al di sopra del livello della Terra – la consapevolezza risvegliata appunto (che vede uno scopo nel mondo oggettivo) e la coscienza risvegliata (che avverte l’elemento morale in tutta la realtà) [NB. in inglese si distingue tra coscienza morale – conscience – e coscienza come superiore grado di consapevolezza – consciousness]
[…]
D. Che cosa si augura che i lettori ricavino dal suo libro?
JN. Un nuovo senso di speranza e di responsabilità, a misura che ci rendiamo conto che ciò che può dare alla nostra vita il suo vero significato è anche ciò che la nostra Terra minacciata si aspetta da noi.

http://www.jacobneedleman.com/blog/2013/2/9/responding-to-questions-about-an-unknown-world.html

1001 Jacob Needleman An Unknown World cover

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/e-tutta-una-questione-di-coscienza.html
http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/fisica-quantistica-e-trascendenza.html
http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/la-paura-della-morte-non-dovrebbe.html

“Stare insieme è un’arte. Vivere in Alto Adige/Südtirol”, di Lucio Giudiceandrea e Aldo Mazza

978-88-7223-206-4

Insomma, alla fine me lo sono letto, come promesso, e mi è piaciuto.

Non ci ho trovato nulla di rivoluzionario, ma è un bel libro e, soprattutto, un libro che infonde fiducia; e Dio solo sa quanto ce n’è bisogno in questi tempi così cupi, dominati dalla paura, dal sospetto, dalla paranoia, dall’aggressività, dal rancore, dall’esasperazione, dall’egoismo, dalla tracotanza, dalla prevaricazione.
C’è un gran bisogno di libri che uniscano le persone, non nel senso che deve regnare la concordia e l’uniformità – senza conflitto/tensione la vita non sarebbe possibile – ma nel senso della coincidentia oppositorum, cioè a dire quella condizione in cui nessuno degli opposti desidera far scomparire l’altro e restare padrone del campo, ma rispetta il suo diritto ad esistere (unità nella diversità – “E dai discordi bellissima armonia” diceva Eraclito, un aforisma che piaceva molto a R.W. Emerson).

La parte che credo sia stata scritta da Lucio Giudiceandrea è molto chiara e condivisibile. [N.B. Nel suo commento a questo post Giudiceandrea ha precisato che il libro non è separabile in due porzioni]

La parte di Aldo Mazza è molto dettagliata e precisa.

Il contributo di Gabriele Di Luca è importante perché ribadisce un concetto – tradimento autocritico – che se anche fosse ripetuto 1000 volte non sarebbe mai sufficiente (e lo ribadisce bene).

Confesso però che è stato lo scritto di H.K. Peterlini ad impressionarmi di più. Una narrazione che è personale, psicologica ed antropologica, una testimonianza che scava nell’interiorità: è facile sedurmi con questo tipo di cose ;o)

Non ho letto il testo originale in tedesco ma la traduzione in italiano (sempre di Gadilu) scorre via piacevolmente.

Di Peterlini ho letto solo “Freiheitskämpfer auf der Couch” e non era una lettura facile, anche se l’ho trovata preziosa – e infatti l’ho citata molte volte nel mio prossimo libro. Tradurre il tedesco in italiano è comunque un’arte, un’arte necessaria.

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Note a margine di “Stare insieme è un’arte. Vivere in Alto Adige/Südtirol”, di Lucio Giudiceandrea & Aldo Mazza, Merano: alphabeta, 2012

di Stefano Fait, co-autore di “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso“, Bolzano: Raetia, 2010.

“La famosa convivenza non è un fatto naturale, non viene da sola. Essa va imparata. È come fare il falegname, se il paragone è lecito. Intanto quel mestiere dovrà effettivamente interessarmi; poi dovrò conoscere le caratteristiche dei vari tipi di legno, saper usare gli strumenti adatti, preparare i piani di lavoro, provare, sbagliare, riprovare. Solo così arriverò a dei risultati apprezzabili” (p. 11).

La metafora del falegname è bella ma non sono sicuro che sia calzante. Chiunque abbia osservato dei bambini giocare avrà notato che lo fanno con certi bambini e non con altri, per una questione di affinità personale che va ben al di là del colore della pelle, della lingua o dell’accento, dei vestiti indossati e dei cibi consumati. Con alcuni c’è intesa, con altri non c’è. Inoltre, in genere, i figli sembrano avere una soglia di tolleranza alla diversità mediamente più alta rispetto ai loro genitori. I cinici la chiamano beata ingenuità, altri ribattono che è proprio il cinismo a corrompere un’innocenza che renderebbe il mondo adulto meno crudele e doloroso.

In ogni caso, mentre ciascuno nasce interattivo e dipendente dal prossimo, nessuno nasce falegname. Falegnami si diventa con l’aiuto di qualcuno che ti insegna i rudimenti del mestiere. Quando una società valorizza la separazione al di sopra della condivisione, della comunanza e dell’unione, vengono a mancare maestri di convivenza (es. Alexander Langer) e proliferano i maestri di distanziamento (es. Anton Zelger). In Veneto, al sindaco leghista di Tarzo, nel trevigiano, Gianangelo Bof, che, avendo subito sulla sua pelle la condizione di immigrato (in Germania) è diventato un maestro di comunione e simbiosi, corrisponde il sindaco leghista di Adro, nel bresciano, Oscar Lancini, che si è dimostrato maestro di separazione ed entropia.

Quando esiste una lingua ponte che permetta di comunicare, gli esseri umani hanno sempre dimostrato di essere disposti a socializzare. Sono “animali” sociali, in fondo, è la loro natura. Per quanto ne so, non esiste un solo dato etnografico, storico o prodotto dalle scienze cognitive che corrobori la tesi che “vivere in contatto con un’altra cultura non è qualcosa di naturale ma di artificiale”.

Se le cose stessero così esisterebbero le razze (mentre l’umanità è meticcia) e non sarebbero praticati l’esogamia (matrimonio all’esterno del proprio clan, un’opzione che favorisce lo scambio, l’incontro e l’alleanza) ed il commercio; esisterebbe invece uno stato per ogni lingua parlata nel mondo (c. 6500), mentre in realtà gli stati sono circa 200 e la futura nascita di uno stato europeo o di una federazione araba ridurrebbe di molto questo numero.

Perciò non è corretto asserire che istintivamente ognuno sta con i suoi simili e non con chi è diverso. Vale certamente per una maggioranza di persone per la gran parte della loro vita e per tutte le persone in diversi periodi della loro vita, ma la curiosità è una forza irresistibile per quasi tutti gli esseri umani ed il desiderio di allontanarsi quanto più possibile da parenti serpenti, conoscenti scocciatori e comunità soffocanti non è certo un’anomalia nella storia. Non è corretto fingere che questa dimensione dell’umanità non sia significativa, stabilire che la norma sia quella della separazione naturale e volontaria e quindi dare ragione ad Anton Zelger (“più ci dividiamo, meglio ci comprendiamo”) e torto ad Alex Langer (“più ci uniamo, meglio ci comprendiamo”).

Il timore è che sottolineando le componenti “sacrificio” ed “eccezionalità” si finisca in qualche misura per magnificare l’eccellenza di chi ce l’ha fatta (un’impresa quasi “eroica”, in questa prospettiva – il che mi sembra francamente eccessivo, per esperienza personale) e scoraggiare tanti altri dal tentare di uscire dal proprio orticello. Quello della convivenza è un processo arduo solo se tra due gruppi umani manca la fiducia, il rispetto e la stima e questo troppo spesso succede perché certi potentati economici e politici godono di una rendita di posizione derivante dal dividere invece che dall’unire. La componente del potere è sempre al centro dell’agire umano e non deve essere oscurata da un riferimento esclusivo alla sfera culturale. Che ci piaccia o meno, ogni cultura è comunque e prima di tutto espressione di certe relazioni di potere.

È questa, e non delle ipotetiche inamovibili costanti della natura umana, la ragione per cui Giudiceandrea e Mazza sono costretti ad ammettere che “sotto una calma apparente il conflitto [l’Alto Adige] è pronto a riaccendersi” (p. 15).

Non a caso, nel testo tedesco della “dichiarazione di appartenenza ad un gruppo linguistico”, che conta i residenti in relazione alla lingua parlata per determinare la titolarità di certi diritti, non si parla di “consistenza” ma di “Stärke” (forza). Il che ci riporta alle disfide demografiche tra gli stati europei negli anni che precedettero la Grande Guerra: “chi ha la popolazione più grossa?”. Schermaglie viriliste tra potenze con conseguenze deleterie per le persone comuni.

Il potere e la sua distribuzione è sempre il primo fattore da considerare nell’esaminare una società.

Una questione di equilibri di potere ha fatto sì che il modello di convivenza (sarebbe meglio dire “coesistenza”) che è stato scelto per l’Alto Adige fosse quello del Nebeneinander (vivere l’uno a fianco dell’altro), per evitare lo sbocco nel Gegeneinander (l’uno contro l’altro) o nell’Ohneeinander (l’uno senza l’altro). Questa scelta ha sacrificato, o comunque rinviato a data da destinarsi, il Miteinander (l’uno assieme all’altro).

Quando un assessore dei Verdi (partito politico erede di Langer e della sua battaglia per l’incontro e la reciproca contaminazione), Patrizia Trincanato, dichiara che “questa è una terra delicata e complessa dove tutti dobbiamo fare attenzione a muoverci per non pestare i piedi e le sensibilità altrui ed il pentolone dove butti dentro di tutto mi fa paura”– riferendosi al progetto di un maxipolo culturale post-etnico – è difficile non concludere che le cose stanno andando maluccio e che il prosciugamento delle risorse pubbliche non potrà fare altro che peggiorare la situazione. Infatti il timore dell’assessore è che quest’iniziativa faccia parte di un preciso piano della SVP che sfrutti la necessità di compiere dei tagli per affidare la regia della cultura nella provincia di Bolzano alla supervisione del partito di governo, l’SVP: “Secondo me i passi che il presidente Luis Durnwalder ha fatto sono molto chiari. Penso alla toponomastica ed a tutta la questione dei cartelli sui sentieri di montagna, penso alla volontà di creare un Museo unico “Il Landesmuseum”, penso alla creazione di un Polo bibliotecario unico “La Landesbibliothek” magari sotto la direzione di un direttore unico, penso ai colpi che sono stati inferti all’autonomia della scuola e penso adesso alla volontà di andare verso la gestione unica degli spettacoli…. Sarà ma tutto questo non mi piace”. Una privatizzazione della cultura, insomma: “Vogliamo mettere un bavaglio alla cultura? Vogliamo che l’Svp ci spieghi quale spettacolo è bene vedere e quale sarebbe meglio di no? Vogliamo questo in questa nostra meravigliosa terra che ha fatto della convivenza e dell’assoluto rispetto dell’idea altrui la sua bandiera? Vogliamo tenerci una pluralità culturale solo di facciata o la vogliamo reale? Vorrei tanto saperlo” (Alto Adige, 19 agosto 2012).

Hanno perfettamente ragione, i due autori, a paventare che l’unico fattore di integrazione, a questo punto, potrebbe diventare il nemico comune, ossia gli ultimi arrivati, gli immigrati.

Al centro dell’analisi di Giudiceandrea e Mazza si situa, molto giustamente, l’enunciato che “il conflitto ha dalla sua parte gli automatismi, i pregiudizi, i “pensieri semplici”; esso può contare sul fatto che dividersi, riconoscersi come nemici è la reazione più immediata. Stare insieme invece richiede la fatica dei “pensieri complessi” (op. cit., p. 30).

Ma non è forse esattamente questo quello che siamo chiamati a fare in quanto esseri umani? Il dominio dei pensieri semplici è quello dell’infanzia e degli altri primati, di tanti mammiferi, non degli adulti. Senza contare che certi bambini ci stupiscono già in tenera età con intuizioni maestose, pensieri profondi, sintesi che ci lasciano senza fiato (Roehlkepartain et al., 2006). Perché accontentarsi di automatismi, di ragionamenti e comportamenti meccanici quando in noi c’è il potenziale per ben altro? Se uno ha una Ferrari e la guida come se fosse al volante di una Panda difficilmente godrà di un’alta considerazione tra i suoi conoscenti.

Proprio i due autori, tra l’altro, ribadiscono che siamo noi gli artefici del nostro destino. A maggior ragione, quindi, dovremmo sentirci chiamati a vincere le nostre paure, pigrizie, piccinerie, egoismi e pregiudizi e dare una mano al nostro prossimo, per il bene comune, in una prospettiva di coralità che beneficia tutti quanti e non solo una minoranza di privilegiati.

Personalmente io vedo la storia come un tiro alla fune tra chi interpreta il progresso come la realizzazione dell’inscindibile unità di libertà, uguaglianza e fratellanza e chi invece, cinicamente, non scorge nulla al di fuori della relazione pastore-pecora/padrone-servo/élite-massa. L’era della globalizzazione ha reso ancora più netta questa distinzione, polarizzando le coscienze in un senso o nell’altro, in funzione della scelta tra controllo e libertà, gerarchia ed uguaglianza, divisione ed unità.

Di conseguenza, il Nebeneinander non è più sostenibile: alcuni desiderano più muri e più lealtà rispetto alla compattezza etnica ed alla propria civiltà; altri desiderano più ponti, più traditori del proprio gruppo, maggiore autocritica. La via di mezzo non trova più spazio.

C’è bisogno di un Alto Adige diverso, spiega molto bene Hans Karl Peterlini (cf. Giudiceandrea/Mazza 2012, p. 173): “un Sudtirolo non come programma politico o esercizio di sopravvivenza etnica, come esperimento culturale o esempio statale, ma come spazio vitale, campo di possibilità, terreno creativo per coltivare dei sogni”. Recuperando il sogno (che non è utopia, ma lavoro in corso) di Alexander Langer: “Ciò che in lui come visione, come predilezione per l’essere umano al di là di ogni costrutto, come fede nel bene e nell’onestà, come fame e sete di giustizia, appariva nelle edizioni dei suoi scritti, era la summa di tutto quello che doveva sembrare possibile, se soltanto lo si fosse voluto, se non si fosse preferito e si preferisse tenersi abbarbicati a tutte le barriere che sono nella nostra testa, perché tanto si sa che l’altro è fatto così e potrebbe rappresentare per me una minaccia e io sono quello che sono e non posso fare altrimenti (cioè, non è che non vorrei, ma non ho il coraggio di farlo, per usare le parole di Karl Kraus)” (ibidem). Che, poi, sono anche le parole di Paolo di Tarso: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto…in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Romani 7, 15-19).

Credo che moltissimi abitanti dell’Alto Adige/Südtirol desiderino un Alto Adige diverso. Non sono però pochi quelli che vorrebbero avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ossia vogliono le identità forti ma anche la concordia, il particolarismo ma anche l’universalismo, vogliono gli Schützen ma anche Langer, la separazione ma anche l’unione, il cambiamento ma anche l’identità e la stabilità.

Malauguratamente per loro, però, l’indispensabile unità nella diversità richiede dei sacrifici, richiede agli ego (miti, golem) personali e collettivi di fare un passo indietro, richiede di pagare un prezzo – e il prezzo da pagare per un Alto Adige diverso è la scomparsa dell’Alto Adige in cui sono cresciuti.

La pace per gli Irochesi e per i Fanes (Dolomiti)

Non riconoscendo l’altro come altro, per respingerlo nell’insignificanza o per dominarlo o assimilarlo, l’uomo ha inibito la propria crescita, ha sacralizzato la propria parzialità

Ernesto Balducci, “La terra del tramonto”

A questa brama d’integrità, che ci prende nel momento in cui ci imbattiamo in ciò che ci manca e ci mette di fronte alla nostra imperfezione, diamo il nome di eros, amore…due parti, due parzialità o incompletezze, che si cercano per combaciare e congiungersi in totalità e completezza.

Gustavo Zagrebelsky, “Simboli al potere”

L’idea della congiunzione degli opposti – la coincidentia oppositorum che accomuna tanto il pensiero di Jung quanto quello di Eliade alla tradizione orientale e al pensiero mistico – non solo anima una più vasta concezione dell’essere umano in quanto unità psico-soma e unità microcosmo-macrocosmo ma diventa anche uno dei motivi che ritornano con forza all’interno della cultura del Novecento, sia come forza di un archetipo che si impone autonomamente, sia come fascinazione di un’idea che permette di riscoprire e attivare l’archetipo operante in ogni individuo.

Aldo Carotenuto, “Jung e la cultura del XX secolo”

Tutte le culture mitologiche testimoniano un particolare interesse per il fenomeno dei gemelli, qualunque sia la forma sotto la quale vengono descritti: perfettamente simmetrici oppure uno scuro e l’altro luminoso, l’uno teso verso il cielo e l’altro verso la terra, l’uno bianco e l’altro nero. Nella mitologia celtica sono il giorno e la notte, il sole e la luna e rappresentano le tensioni interne dell’uomo, l’ambivalenza dell’universo mitico e le tensioni per adeguarvisi.  […] la paura per i gemelli è la paura…dell’immagine esteriore della propria ambivalenza, la paura della oggettivazione, delle analogie e delle differenze, della individuazione e della indifferenziazione collettiva. Dolasilla e Lujanta, le due gemelle dei Fanes, sono il sole e la luna. Il loro contrasto viene risolto con l’allontanamento di Lujanta, la gemella lunare, rapida dalle marmotte. Dolasilla, la gemella solare, assurgerà invece alla regalità e alla guida del popolo. […]. Tutto il poema è un connubio tra sacralità e violenza, come presupposto della rotazione universale. […]. Il tempo ciclico viene rappresentato, nel racconto, dalla ritualità: l’anno vecchio e l’anno nuovo, l’estate e l’inverno, la pioggia e la siccità, i re e le regine, il bene e il male, si scontrano in battaglie che simboleggiano il loro avvicendarsi.

Brunamaria Dal Lago, “Il regno dei Fanes: racconto epico delle Dolomiti”

Sappiamo che le armi, in un mondo civile, non possono servire ad altro che a difendersi e che la forza è legittima solo se viene impiegata in conformità con il diritto e come ultimo ricorso. Lo sappiamo e ce lo continuiamo a ripetere ma, ogni due, tre anni spunta fuori una nuova guerra aggressiva ma “giusta” in qualche angolo del mondo a cui partecipare. Sono pochissimi quelli che ritengono che la schiavitù sia meglio della libertà e la guerra meglio della pace, ma la guerra e l’asservimento continuano ad esistere. Il nostro mondo ha già visto e subito abbastanza spargimenti di sangue, violenza e morte, eppure continuiamo a razionalizzarli come necessari. Siamo afflitti da una naturale predilezione per il conflitto e, più in genere, da gravi problemi relazionali. La nostra società è un incessante conflitto di ego singoli e collettivi (patrie, nazioni, razze, fedi, classi, generi, ecc.). La guerra è solo la condizione più estrema di questa nevrosi sociale che ci rende più agevole minacciare qualcuno, piuttosto che articolare delle parole gentili. Molti tra quelli che hanno provato ad indicarci la via sono stati uccisi: Rabin, Arafat, Martin Luther King, John Fitzgerald Kennedy, Robert Kennedy, Aldo Moro, Benazir Bhutto, Dag Hammarskjöld, Olof Palme. I quattro evangelisti canonici e Platone riferiscono che anche Gesù e Socrate sono stati messi a morte.

 Gli operatori di pace devono fronteggiare ostacoli a dir poco monumentali, che non possono essere ridotti alla semplice constatazione che l’umanità è egoista, aggressiva, competitiva e violenta.

Penso sia vano cercare di pacificare il mondo. Solo una tirannia globale ci riuscirebbe, sopprimendo chimicamente le emozioni umane, ossia ciò che ci rende speciali e degni di esistere e che rende la vita stessa degna di essere vissuta. Sono invece convinto che sia decisamente molto più realistico provvedere a fare in modo che le guerre si diradino, eleggendo i politici migliori, facendo buona informazione e sorvegliando l’operato delle oligarchie. Possiamo anche realisticamente mantenere una pace stabile in un’area più limitata, come la nostra regione alpina. Sono convinto che l’autogoverno locale rende più agevole la transizione verso un mondo in cui sia possibile, per citare JFK, “ritrarsi dall’ombra della guerra e cercare la via della pace”. Una ricerca infinita.

La problematica del potere, prima ancora che quella della natura umana, deve essere collocata al centro dell’analisi della guerra. Che si tratti di democrazie o di società autoritarie, è il potere centrale che decide delle sorti di una nazione e solo una cittadinanza consapevole, informata ed attiva – ossia che eserciti la sua sovranità costituzionalmente sancita, limitando l’autorità dei governanti – è in grado di indirizzare il paese verso la pace, in luogo della guerra. Nelle piccole comunità nessuno accumula così tanto potere da essere nella posizione di decidere autonomamente ed arbitrariamente se scatenare una guerra. Serve un vasto consenso che viene immediatamente sondato tramite un’assemblea straordinaria. Un leader guerrafondaio può essere rimosso (o addirittura soppresso). Nelle nazioni più grandi, invece, un governo può entrare in guerra senza chiedere il parere del parlamento ed ignorando le manifestazioni di protesta di milioni di cittadini (es. guerra in Iraq). Diceva, saggiamente, Hermann Göring (un mostro, ma con un cervello fuori del comune):

 “È ovvio che la gente non vuole la guerra. Perché mai un povero contadino dovrebbe voler rischiare la pelle in guerra, quando il vantaggio maggiore che può trarne è quello di tornare a casa tutto intero? Ma sono i capi che decidono la politica dei vari stati ed è sempre facile trascinarsi dietro il popolo. Basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese”.

Quel che ci manca è la conoscenza. Purtroppo siamo anche ignoranti e le persone ignoranti istituiscono sistemi sociali ignoranti perché è così che credono di dover operare. Le persone ignoranti eleggono politici inadatti al compito, si fidano ingenuamente delle autorità e non distinguono la propaganda dall’informazione legittima, convinte come sono che solo l’altra fazione mente e che loro stanno dalla parte del bene e della verità.

Il Grande Pacificatore era un disseminatore di conoscenza.

Un’epopea irochese narra di un Grande Pacificatore (Hiawatha) che arreca gaiwoh (equanimità, virtuosità), skenon (salute) e gashasdenshaa (forza, sovranità). Gaiwoh è la giustizia realizzata tra uomini e nazioni ma è anche l’aspirazione a vedere che la giustizia prevalga. È un desiderio più forte del piacere e del bisogno di avere ragione: è un tipo di amore. Skenon è chiarezza di intendimento e integrità fisica, due precondizioni per l’ottenimento della vera pace. Gashasdenshaa è l’autorità sostenuta dalla forza necessaria, una forza che dev’essere in armonia con le leggi universali. La società ideale è quella della casa comune in cui ciascuno ha il suo focolare, ma si convive sotto lo stesso tetto. Là il pensare rimpiazza l’uccidere.

Il Grande Pacificatore deve affrontare Atotarho, un capo malvagio ed antropofago, per convertirlo. Atotarho è come un ciclope – mangia gli ospiti che non sono stati invitati – ed assomiglia anche a Medusa: i suoi capelli sono un groviglio di serpenti e nessun uomo è in grado di guardarlo in faccia. Il suono della sua voce terrorizza l’intera regione. Ma senza di lui non si potrà assicurare la pace. Il Grande Pacificatore ce la fa con un trucco. Fa in modo che il suo volto si rifletta nell’acqua di un pentolone in cui il cattivo sta per preparare il suo pasto umano, cosicché Atotarho scambi il suo volto – saggio, forte e virtuoso – per il proprio e si renda conto della dissonanza tra un tale aspetto e la pratica del cannibalismo, ossia il culmine dell’egocentrismo, l’assimilazione integrale dell’altro da sé. Scioccato, Atotarho cade in depressione, ma il Grande Pacificatore lo aiuta: lo invita a seguirlo in ogni luogo in cui abbia commesso del male per predicare il nuovo verbo della pace come potere (Kayanerenhkowa). La chiave della conversione è la volontà di non imporre la verità o la spiritualità su chi non è pronto a riceverla. Atotarho diventa a sua volta un grande operatore di pace proprio in virtù della grandezza della sua forza interiore, che prima lo rendeva così malvagio e terrificante. Viene “sconfitto” e si converte quando in lui si risveglia la consapevolezza del potere dell’amore e della sapienza che è in lui. All’intensità della sua resistenza – non vuole sentire ragioni, non sono gli argomenti a persuaderlo – corrisponde l’intensità della sua bontà. In questa tradizione irochese il male degli uomini è bontà malindirizzata e malconcepita, malintesa, è amore che opera spinto da una paura sbagliata, uno sforzo equivocato nei mezzi e nelle finalità, uno spirito aggiogato ad un padrone disperato, energia umana sprecata, guastata e deviata dal suo corso migliore.

I popoli che gli Europei hanno considerato incivili intendevano la pace in modo molto diverso dal nostro, che corrisponde da vicino alla quiete che segue la vittoria di una fazione sull’altra. La loro pace era dinamica ed includeva tutte le forze della vita, nella natura e nell’uomo, compreso quello che chiamiamo “male”. Era una concezione inclusiva, non esclusiva: lotta, sofferenza, dolore, errori e stoltezze, passione, tenerezza, rabbia e sconfitta. Persino la guerra era inclusa nell’idea di pace, una guerra condotta in un certo modo e con certe motivazioni. L’assolutismo pacifista era completamente estraneo alla loro mentalità ed è un’invenzione della modernità occidentale. Vivere in pace significava accogliere la vita in tutti i suoi aspetti, le quattro direzioni cardinali, tutte le creature. Il contrario di questo significato della pace e della giustizia è quello che divide e separa le parti della realtà e le mantiene distinte, un moralismo che sminuisce l’interconnessione, l’interdipendenza della vita. Ci sono cose che vanno distrutte e persone che vanno uccise (es. Hitler/Stalin), ma non certo per plasmare il cosmo a nostro piacimento, bensì unicamente perché il cosmo si ricostituisca, per conto suo.

Gli antropologi hanno spesso notato che le comunità dei popoli “tradizionali” erano spesse bipartite in una metà bassa ed una alta, Terra e Cielo, estate e inverno, pace e guerra, femminile e maschile, legate da rapporti al tempo stesso di rivalità e di cooperazione ed accompagnate da una gestione duale dei poteri da parte di un capo civile e di uno religioso. Nell’ambito mitologico la bipartizione trova riscontro nel mito delle origini, che assegna a due eroi culturali, talora gemelli o comunque fratelli, il merito di aver fondato la comunità, mentre, nella concezione dell’universo, alla bipartizione del gruppo sociale corrisponde quella del resto dell’universo degli esseri e delle cose dell’universo, distinti ed aggregati per accoppiamento di opposti: Rosso e Bianco, Chiaro e Scuro, Giorno e Notte, Nord e Sud, Est ed Ovest, Cielo e Terra. Questo stesso aspetto è evidente anche in Cina, dove la polarizzazione yin-yang, che si manifesta già nelle realizzazioni artistiche di epoca shang, mostra la tensione verso una coincidentia oppositorum, una congiunzione che risulta evidente nell’iconografia che mostra gufi con occhi solari ed emblemi della luce adornati con simboli della notte e dell’oscurità, in modo da rappresentare la ciclicità del processo di alternanza tra le due manifestazioni cosmiche complementari.

In Grecia abbiamo Dioniso e Apollo, che varie raffigurazioni ritraggono come androgini. Lo spirito apollineo è razionale, formale, luminoso ed armonico, all’insegna misura e proporzione. Lo spirito dionisiaco è estatico, creativo, oscuro, all’insegna della passione sensuale. Eros e Thanatos, l’impulso creativo e l’impulso entropico/distruttivo (anche autodistruttivo). Empedocle insegnava che l’universo è in costante metamorfosi, si genera e decade, grazie a Amore e Discordia/Odio, che operano in tutto ciò che è animato e in tutto ciò che è inanimato. Eros unisce tutte le forme di vita e Thanatos le separa e le disperde. Composizione e decomposizione sono forze di eguale intensità, eterne e mescolate in ugual misura in tutte le cose, in un’interazione necessaria.

Gesù il Cristo è un maestro delle contraddizioni, delle antinomie. Esaminiamo alcune delle sue parabole. Buon Samaritano: il “degenerato” è un giusto, il “giusto” è un degenerato. Vignaioli: i primi saranno gli ultimi, gli ultimi saranno i primi. Figliol Prodigo: il ribelle è festeggiato, l’obbediente si ribella. L’esattore delle tasse e i farisei: il peccatore è salvato, il salvato è peccatore. Il seminatore: l’abbondanza di semi non garantisce una buona mietitura, pochi semi possono dare buoni frutti. Giudizio Finale: chi sembra celebrare il Cristo è invece servo dell’Anti-Cristo e chi è perseguitato è invece il vero credente. La pecora perduta: quella persa vale più delle 99 salvate.

Analogamente, il vangelo greco degli Egiziani, che è databile tra la fine del I secolo e la metà del secondo secolo a.C., descrive il modo in cui sarà possibile avere accesso al Regno di Dio: “quando quei due (maschio e femmina) saranno uno solo, nell’esterno come nell’interno, e il maschio con la femmina non sarà né maschio né femmina”. La Seconda lettera di Clemente recita: “interrogato da qualcuno su quando verrà il Regno, il Signore stesso rispose: “quando i due saranno uno, il fuori come il dentro e il maschio con la femmina né maschio né femmina”.

Anche nei vangeli canonici la riconciliazione degli opposti è implicita nella risposta di Gesù agli apostoli che gli chiedono cosa si debba fare per assicurarsi un posto nel Regno dei Cieli: “Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”. (Matteo 18, 2-4). Come pure negli effetti della gloria: “E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro, e tu in me; acciocché siano perfetti nell’unità” (Giovanni, 17:22-23). Paolo di Tarso esprime una posizione assolutamente conforme: “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3, 28). Che riafferma in una diversa epistola (Colossesi, 3, 8-11): “Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti”.

La contrapposizione tra creazione/entropia, ordine/caos, spirito/materia, coscienza/sonno, forza centrifuga/forza centripeta, libertà/controllo è necessaria e bilanciata. Ibn al-Arabi insegna che l’imperfezione deve esistere perché, se non ci fosse, la perfezione dell’esistenza sarebbe imperfetta; se non ci fosse mancanza, non ci sarebbe creazione. Non c’è luce senza oscurità, non c’è verità senza errore, non c’è bianco senza nero. Un’interdipendenza immortalata dalla mitologia mondiale che parla di due gemelli, uno buono ed uno malvagio– lo si trova tra i cristiani ebioniti, in Lattanzio (il “Cicerone cristiano”), nella Cabala, in Jacob Boehme, tra i nativi americani, nei simboli zodiacali dei pesci e dei gemelli: Baldur e Loki, Osiride e Set, Enki ed Enlil, Apollo e Dioniso e così via.

L’epica dei Fanes, riesumata dalla memoria storica ladina e pubblicata da Brunamaria Dal Lago Veneri, offre ulteriori spunti relativi al motivo della riconciliazione degli opposti. Il giornalista e scrittore Enrico Groppali, nella sua introduzione, sottolinea (p. 6) che “il poema si fonda sul principio-cardine della specularità, se non addirittura della gemellarità…Così la regina partorisce due gemelle: Lujanta, luminosa come la luna, che sprofonderà nel regno sotterraneo delle Marmotte, e Dolasilla, incarnazione araldica del sole, che sarà destinata alla lotta, alla sopraffazione, alla conquista…le forze del bene sono parafrasate in un guerriero che si chiama “Ey de Net” (occhio della notte) perché è in grado di scorgere, attraverso le tenebre, la luce della coscienza”.

La strega Tcicuta, una specie di Circe, avverte l’eroe Duranno (Dal Lago Veneri, 1989, p. 62): “La tua Dolasilla ha avuto già più volte i suoi ammonimenti, ma non pare farci caso. Lei, figlia delle marmotte, si è fatta aquila. Camminerà e inciamperà sulla via del potere, invece di scegliere la via dell’amore. E tu, da principe, ti farai servo. Anche questo era stato detto”. Il campo di papaveri intona allora un mesto canto: “Che guerriero sei tu mai? Diventerai quello che desideri. Solo un portatore di scudo e servirai la tua dea fino alla sua morte”. Duranno è un eroe che sa mettersi al servizio del prossimo, un vero altruista, qualcuno che si sente indebitato, non creditore nei confronti del mondo, qualcuno che sa che il miglior servizio per se stessi è quello di servire gli altri e che se tutti facessero così la violenza si sopirebbe e la pace regnerebbe. Si fa “donna” (umile portascudo), mentre la sua donna si fa “uomo”, glorioso eroe guerriero. Dolasilla sa bene che la sua parabola sarebbe coincisa con quella del Regno dei Fanes: alla sua maggior gloria sarebbe succeduta la rovina e la morte. Se ne duole (p. 78): “sono fra le donne la più sfortunata. Vivo da uomo, questo è il mio destino, vado in guerra da guerriera e porto morte invece di aiuto”. Il re traditore, intossicato dalla brama di possesso insoddisfatta, dalla sua hybris, si sfoga con guerre di conquista, ma scopre che il momento del suo trionfo coincide con quello della sua rovina. Lo aveva previsto la strega Tcicuta. Il Regno dei Fanes era spacciato, il suo imperialismo lo aveva condannato all’oblio. Il suo futuro non era più aperto, era già scritto: i possibili scenari alternativi si erano ridotti ad uno solo, la distruzione.

Tcicuta spiega a Duranno/Ey de Net: “non lasciarti ingannare nobile Duranno, il regno dei Fanes è condannato e tu niente potrai fare per salvarlo. Le parole sono state pronunciate. Il re desidera solo il potere e per lui è troppo tardi”. Infatti, dopo la vittoria, i suoi alleati, nemici dei Fanes, lo irridono: “Re senza trono, falso re, non possiedi più né terre, né corona. Tua figlia splendida eroina, hai mandato a morte con l’inganno”. La sua sorte è quella di essere impietrito, nell’angoscia, ma anche fisicamente: il suo corpo si tramuta in pietra: “Il falso rege, il re straniero, è condannato alla pietrificazione. Pietrificare significa punire per uno sguardo illecito. È la punizione dell’umana incontinenza e dei desideri di potere sul mondo della conoscenza. Il re è punito non solo per aver abbandonato i Fanes, ma soprattutto per aver desiderato l’Aurona”, spiega Dal Lago Veneri (pp. 94-95).

U’ulteriore manifestazione della tensione tra gli opposti è esemplificata dai nomi dei tre figli del re di Contrin, chiamati rispettivamente il Bello, il Grande e il Forte, anche se sono pigri, vigliacchi e libertini. Incapaci di difendere il regno, gli assalitori Trusani non ne lasciano pietra su pietra.

Un figlio adottivo del re di Contrin, Lidsanel, l’eletto che dovrà restaurare la grandezza dei Fanes, finisce per sgozzare l’altro figlio adottivo, petulante ed invidioso, e viene esiliato. Da principe si riduce alla condizione massimamente infima di brigante (p. 119): “La grandezza degli Arimanni s’è perduta: dal coraggio si è passati alla sfrontatezza. E gli Arimanni antichi sono occhi chiamati Latrones. Sulle vette oscure, nel buio le lingue di fiamma danzano ancora la danza della morte. Questi sono i gloriosi campi bagnati dal sangue della nostra gente. Tutto, tutto è ormai perduto”. L’ex principe viene ribattezzato Cafusc, Capo Fosco e si crede una sorta di Robin Hood: “Cafusc, Cafusc, così nero eppure bianco come l’onore appena nato. Cafusc disperde i nemici come il falco gli armenti, Cafusc uccide il re e dà da mangiare alle genti”. Ma diventa un incrocio tra Don Chisciotte, l’Orlando Furioso e un volgare vandalo. Preso da un insano furore, improvvisa duelli e tenzoni con gli alberi e gli animali del bosco: “Chi vi ha concesso, stolti, di sfidarmi nel mio stesso territorio”, grida furiosamente agli alberi. Poi insegue i cervi urlando: “voi barbari, nudi, rivestiti solo del vostro pelo, non sapete che sono un re difeso da mille guerrieri?”. Gli animali fuggono e Cafusc gli grida dietro: “che razza di principi siete se non conoscete che la fuga. Ognuno di voi mi dia un pegno – tu la mano, tu il piede”. Con queste terribili parole cavalca nei boschi, mutila animali e piante, istiga un suo immaginario seguito alla battaglia e alla vendetta: “Dietro di me, miei prodi, avanti nella battaglia, uccidiamo tutti”. Da salvatore designato dei Fanes a mostro psicopatico e dissennato.

Proprio la sua follia, però, lo riscatta. Salva un guerriero, Tarlui, dai suoi assalitori, convinti che sia davvero alla testa di un manipolo di seguaci. Il guerriero lo riconosce, si ricorda del suo destino e dice ai suoi pastori: “Abbiate fiducia in questo uomo. Anche se è stato bandito diverrà pastore, perché così è scritto” (p. 124). L’antica runa recitava: “Lidsanel Lidsanel da re ti sei fatto bandito e poi pastore di pecore cosa ancora riserverà il tuo destino?”.

Dal Lago Veneri descrive il guerriero Tarlui om Tyr: “signore delle battaglie, è nume tutelare della giusta vittoria. Non è il signore dello scontro sanguinario, della violenza esasperata, dell’efferatezza bellica, ma il protettore della guerra intesa come soluzione estrema della contesa fra due parti. Dio della guerra, dunque, ma anche dio del diritto” (p. 150). Tarlui, “amante più della falce che della spada”, è un guerriero di professione, ma diventa il fondatore di una comunità di pace e di giustizia. L’ennesima dimostrazione del fatto che “tutto il poema è un connubio tra sacralità e violenza, come presupposto della rotazione universale. […]. Il tempo ciclico viene rappresentato, nel racconto, dalla ritualità: l’anno vecchio e l’anno nuovo, l’estate e l’inverno, la pioggia e la siccità, i re e le regine, il bene e il male, si scontrano in battaglie che simboleggiano il loro avvicendarsi” (p. 154).

Esiste una diffusione planetaria e trans-temporale di riti e miti riguardanti la ricomposizione unitaria della coppia binaria, indice del riconoscimento universale dell’importanza del principio della coincidenza degli opposti. Apprendiamo che le parti sono in equilibrio, si incontrano e fondono agli estremi, due metà di un cerchio. Nel punto di congiunzione dei semicerchi si crea un perfetto equilibrio. Senza una metà non c’è l’altra, senza oscurità non c’è luce, in un grande ciclo naturale, che è pure pedagogico. Apprendiamo che l’equilibrio è naturale. Una parte della creazione procede verso lo squilibrio (che considera equilibrio) e l’altra verso l’equilibrio: assieme generano un equilibrio dinamico. Le forze opposte nella natura si incontrano ed il risultato può essere una polarizzazione in un senso o nell’altro, oppure si può raggiungere un equilibrio simmetrico, o un equilibrio parziale su un versante o sull’altro. Ogni potenziale si realizza nei punti di intersezione. Tutto è parte dell’equilibrio che compone ciò che chiamiamo Universo, o Creazione.

Non è che il bene e il male non esistono. Il Male è dolore e timore insensati, brutali, crudeli, futili perché irredimibili, lo spreco di vita, l’ingiustizia titanica, la rabbia sorda e violenta. Il punto è che sono interdipendenti. Ciò che è oggettivamente buono è la realtà nella sua interezza e ciò che è oggettivamente cattivo è la sua frammentazione. Ciò che alla mente ordinaria appare come opposizione, contrasto e contraddizione è un’unità trascendente, la riconciliazione dei contrari interconnessi, chiamata coincidentia oppositorum. Pace e giustizia discendono da tale comprensione. La vita è una relazione misteriosa ed intima tra forze opposte e la legge dovrebbe essere ciò che preserva questa relazione e, nel farlo, il dinamismo della vita. La Caduta è l’illusione che i contrari si escludono a vicenda.

Gli integralismi, i fanatismi diffondono l’idea che ci sia una parte della natura umana che deve essere distrutta, senza che sia possibile ricostituire l’unità fondamentale dell’essere. Questo male nasce proprio dalla scelta umana di escludere le forze del “male” dalla nostra vita e dalla nostra mente consapevole. Quando questo male viene isolato, cresce fino a distruggere un bene che, innaturalmente separato, è indifeso. Da qui scaturiscono il razzismo, il segregazionismo, la guerra sterminatrice, la pulizia etnica, il genocidio e tutto l’orrore di cui siamo capaci.

La pace non è dunque un qualcosa di passivo, non è assenza di conflitto, ma una forza che armonizza le azioni e gli impulsi della vita umana in tutte le loro molteplicità e contrasti. La forza che chiamiamo pace è, nell’universo e nell’individuo, una qualità della mente, un’energia cosciente. La pace fa da ponte tra due forze contrapposte. Il male è la forza che ostacola fatalmente l’azione della forza riconciliativa, la discesa della colomba, lo Spirito Santo, nella vita umana (Needleman, 2003). Satana deriva dall’ebraico satan che significa l’avversario. Il diavolo viene dal greco diabolos, “colui che divide” e significa l’accusatore, il diffamatore, il mentitore. Nella sua prima forma il demonio è uno strumento divino e serve delle sacre finalità. Per questo Gesù chiama Pietro “Satana” ma gli ordine di mettersi dietro di lui come discepolo – “va dietro a me, Satana”, in luogo di quella che è stata per lungo tempo l’errata traduzione “Lungi da me, satana!” (Matteo 16:23) –, quando Pietro dimostra di non aver capito il senso del suo messaggio. Che la Chiesa abbia scelto proprio “Satana” come suo fondatore è estremamente significativo.

Il gotha della letteratura, della filosofia e della religione mondiale – Blake, Jung, Goethe, Jacob Boehme, Meister Eckhart, Gesù, Paolo di Tarso, Socrate, Pitagora, Friedrich Schlegel, Shakespeare, Empedocle, taoismo, buddhismo, cabala, Honoré de Balzac, Ursula Le Guin, Victor Hugo, Heine, Emerson e molti altri – abbracciò questa cosmologia in cui il male è un tono discordante, una nota dissonante che arricchisce la sinfonia universale, in quanto il Grande Compositore sa come risolvere ogni dissonanza in una consonanza, ogni malevolenza e malefatta in armonia, per ispessire e conferire pregio alla trama dell’esistente. Nell’ambito terreno, personale, il senso di tutto questo è una filosofia dell’esistenza e della politica che non vuole costringere le persone a comportarsi in un dato modo, ma persuaderle gentilmente a migliorarsi con l’apprendimento, con la coltivazione delle facoltà intellettuali e spirituali per una partecipazione consapevole e critica alla vita propria e della comunità, smascherando menzogne e facendo evaporare illusioni. È la filosofia della libertà, non del rigore, e sta alla base della maieutica socratica, della predicazione di Gesù ma anche dell’idea di America (la maggior parte dei fondatori erano iniziati alla massoneria o, come è il caso di Jefferson, in stretti rapporti con massoni) e delle democrazie europee uscite dalla terribile esperienza del nazi-fascismo.

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