Il rinascimento umano – la ricetta dell’UNESCO per restituirci la dignità e garantirci un futuro

Dopo tutto, dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli luoghi, vicini a casa, così vicini e così piccoli che non possono essere visti su alcuna mappa del mondo. Eppure costituiscono il mondo delle singole persone; il quartiere in cui si vive; la scuola o il college che si frequenta; il luogo di lavoro. Sono questi i luoghi dove ogni uomo, donna e bambino cercano un’equa giustizia, pari opportunità e dignità senza discriminazione. Se questi diritti non hanno significato in questi luoghi, hanno poco significato anche altrove. Senza l’azione concertata dei cittadini che li sostengono a casa, vana è la ricerca del progresso nel mondo.

Eleanor Roosevelt, discorso per il decennale dell’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1958

Le Dolomiti, patrimonio dell’Unesco, dice un esponente della Regione sul giornale che sto leggendo, sono un patrimonio che non può essere fruito gratuitamente, insomma bisogna pagare, e molto, per guardare le montagne tra le più belle d’Europa, come si paga per entrare in un museo. Resto colpito da queste affermazioni e penso ache mondo terribile sarebbe quello in cui si dovesse pagare per ammirare un panorama, per osservare un orso, o un ghiacciaio o un lago, cose che non ci appartengono veramente.

Franco Arminio, Terracarne

Queste amicizie profonde, costruite in angoli diversi di questo nostro mondo, descrivono la bellezza e la grazia di essere qui.

Michele Nardelli

Le virtù dell’ospitalità e della convivialità sono al centro delle politiche educative dell’Unesco come sono al centro di questa mia ricerca propositiva. Ad esempio, la Dichiarazione di Oaxaca (1993) riafferma che “il pluralismo culturale, come forma di convivialità, si fonda sulla convinzione che l’umanità abbia un’origine comune e un comune destino”.

Non vale la pena di elencare la lunga lista di interventi qualificati dedicati dall’UNESCO a questo tema. Gli aneddoti, dopo i miti universali, sono forse lo strumento comunicativo più efficace. Ne voglio citare due, apparsi nello stesso numero del Corriere dell’Unesco (febbraio 1990).

Nel suo contributo Georges Lisowski (1990) osserva che chiedere ospitalità in una città equivale a chiedere la carità mentre nelle campagne sembra ancora un gesto più naturale e dignitoso. Nota compiaciuto che il vocabolo polacco per “ospitalità”, goscinnose, significa “desiderio di ricevere degli ospiti” ed indica apertura, curiosità, senso dell’opportunità, piuttosto che tolleranza. Conclude raccontando ai lettori un’esperienza vissuta:

“L’esperienza più toccante di ospitalità che mi è mai capitata è stata a Copenaghen. Sono arrivato un sabato, poco prima di mezzanotte, alla vigilia di una partita di calcio tra Malmö e Copenaghen. Mezza Svezia era arrivata in traghetto e non c’era posto neanche negli sgabuzzini degli alberghi. L’ufficio del turismo era però ancora aperto a mezzanotte e aveva compilato un elenco di indirizzi di famiglie che si erano offerte di ospitare visitatori privi di una sistemazione. Sono finito verso l’una del mattino in casa di persone che si erano alzate dal letto, mi avevano preparato un bagno ed un piccolo pasto, il tutto con grandi gesti di amicizia, poiché non conoscevano nessuna delle lingue in cui avrei potuto buttar lì qualche frase. Rimasi con loro per due giorni e, quando arrivò il momento di andarmene, invitarono alcuni amici a dare una festa in mio onore, continuando a comunicare con il linguaggio dei segni, in quanto anche i loro amici non erano migliori linguisti di loro. Si rifiutarono di farmi pagare per la camera e dovetti tornare all’ufficio turistico e lasciare lì dei soldi. Eppure nessuno parla mai di ospitalità danese. Ora ho cercato di fare ammenda. Quaranta anni dopo ho ripagato il mio debito”.

André Kedros riferisce invece una storia che gli ha raccontato un suo amico francese, in visita sul Taigeto, i monti vicino a Sparta, nel Peloponneso.

“Il sole stava tramontando quando la mia auto si è rotta nei pressi di un villaggio sperduto e povero. Imprecando per la mia disgrazia, mi stavo chiedendo dove avrei passato la notte, quando mi sono reso conto che gli abitanti del villaggio che si erano radunati intorno a me stavano discutendo con veemenza su chi dovesse avere l’onore di ricevermi come ospite. Alla fine ho accettato l’offerta di una vecchia contadina che viveva tutta sola in una casetta ai margini del villaggio. Mentre mi sistemavo in una camera piccola ma pulita ed imbiancata di fresco, il sindaco del villaggio ha trainato con un mulo la mia auto fino alla più vicina officina, a 20 chilometri di distanza. Avevo notato che c’erano tre galline che razzolavano per l’aia della donna che mi ospitava e quella sera una di loro è finita nello stufato. Altri abitanti del villaggio mi hanno portato formaggio di capra, fichi, miele, e, naturalmente, dell’ouzo. Ho mangiato di gusto e, nonostante la mia ignoranza della lingua, abbiamo bevuto insieme e fatto festa fino a tarda notte. Il giorno seguente il meccanico mi ha riportato l’auto riparata, come nuova, presentandomi un conto ragionevolissimo e chiedendomi solo di riportarlo all’officina visto che ero di strada. Quando è arrivato il momento per me di dire addio ai miei amici del villaggio, volevo premiare la vecchia per il disturbo che si era presa e per la gallina che aveva sacrificato per me. Ma lei ha rifiutato i soldi che le offrivo e si è anche indignata. Più insistevo, più appariva contrariata”.

Nell’antica Grecia i testi di Omero, Esiodo ed Eschilo fungevano da veri e propri corsi di educazione civica per le nuove generazioni ed esercitarono una notevolissima influenza sul legislatore greco per antonomasia, Solone e sul filosofo occidentale per eccellenza, Socrate. Esiodo e Omero erano i palaioi/arcaioi, gli antichi. Savi di un epoca in cui le muse e demoni (nell’accezione, positiva, pre-cristiana) comunicavano le verità eterne sulle virtù e la giustizia agli esseri umani più ispirati, come Orfeo, Ferecide, Pitagora e, più tardi, Socrate. Non era troppo difficile considerarle tali, viste le evidenti analogie tra l’epica di Gilgamesh e i poemi omerici da un lato e la cosmogonia esiodea, quella ittita e l’Enuma Elish mesopotamico dall’altro (Davies 2003; Curd/Graham 2008). Tra queste virtù, quelle prominenti erano la reciprocità, l’ospitalità, la giustizia, il fecondo equilibrio delle forze antagonistiche, la cura della propria anima/coscienza, la moderazione e la semplicità. L’accoglienza dell’ospite era valorizzata al medesimo livello del rispetto verso i propri genitori e verso gli dèi ed Euripide definiva la xenofobia un crimine nefando ed indicibile, empio ed intollerabile.

Nessuno di noi può indovinare chi, tra i nostri contemporanei, sarà considerato un gigante. Io però una figura di statura morale ed intellettuale di tutto rispetto, che possa fungere da guida verso un Mondo Nuovo, sulla scorta delle virtù di cui sopra, l’ho trovato. Si chiama Federico Mayor Zaragoza, un biochimico già direttore generale dell’UNESCO tra il 1987 ed il 1999, candidato al Nobel per la Pace del 2012 dall’International Peace Bureau, la prima federazione pacifista della storia (1891), premio Nobel per la Pace nel 1910, con sede a Ginevra e comprendente 170 organizzazioni. José Saramago lo ha definito “un amico ed un uomo che voleva che l’UNESCO fosse qualcosa di più che un acronimo o una torre d’avorio”.

Nei suoi discorsi, durante e dopo il suo incarico di direttore generale dell’UNESCO, Mayor ha abbozzato un’idea di Mondo Nuovo (Mayor, 1999) che è forse la migliore speranza per la nostra specie e la nostra civiltà e che, per la verità, mi pare sia proprio la destinazione di chi ha imboccato la strada di un preciso impegno per un rinascimento locale e globale. Come per i riformatori protagonisti dei suddetti capitoli, vorrei riassumere il suo pensiero, al tempo stesso semplice e sofisticato.

Mayor parte dalla premessa che la caratteristica precipua dell’essere umano è la capacità creativa, l’immaginazione, l’inventività. È lì che risiede la nostra speranza di non terminare i nostri giorni come dei “burattini attaccati a delle stringhe”. La creatività dev’essere coadiuvata dall’educazione, lo strumento grazie al quale ciascuno diventa se stesso, cioè sviluppa le sue potenzialità latenti e si può far carico del benessere del suo prossimo, nei termini concordati con lui (regola d’oro). Mayor vede nell’educazione, che è poi la principale missione dell’Unesco, l’opportunità concessa ad ogni essere umano di resistere alla tentazione di “farsi trascinare da idee che provengono da remote piattaforme del potere mediatico”. L’istruzione ci deve insegnare a prenderci il tempo per pensare ed essere noi stessi e per sviluppare quella che lui chiama la “sovranità personale” (cioè l’autodeterminazione, rinominata in modo molto più elegante ed accattivante). In questo processo di individuazione, come l’avrebbe chiamato Carl G. Jung, Mayor spiega che le nuove tecnologiche possono giocare un ruolo decisivo, ma non sono esenti da rischi, come quello di incollarsi allo schermo, di diventare un’appendice del computer, persone che, progressivamente, “fanno solo quello che vedono sullo schermo – lo schermo di Internet, lo schermo del televisore e dei videogiochi”. Persone che “non hanno più tempo per pensare o riflettere, nessuna capacità di discutere o di difendere i loro punti di vista”. Ci scombussoliamo, perdiamo la bussola morale. Qui Mayor adopera un bel gioco di parole in inglese, l’assonanza tra compass (bussola) e compassion (compassione) che non so rendere degnamente in italiano. Ma senza questa bussola della compassione ci si perde e non si può raggiungere quel “mondo incentrato su una condotta morale che è il nostro sogno, il sogno dell’UNESCO”.

Gli impedimenti sono numerosi e particolarmente gravosi, a partire dalla “crescente contraddizione fra la democrazia a livello nazionale e le oligarchie, o se si preferisce, plutocrazia a livello globale”. Tuttavia, rassicura Mayor, non bisogna disperare, perché il futuro non è ancora stato scritto e a noi tocca il compito di impedire a qualcuno di scriverlo, giacché “appartiene ai nostri figli ed ai loro figli. Il passato è già stato scritto, ma possiamo permettere ai figli di scrivere un futuro diverso”. Questo sarà possibile attraverso una cultura del dialogo, della riconciliazione e della comprensione reciproca che si sostituisca a quella della forza e del mercato. Ma non sarà sufficiente, se non scongiureremo il terribile potenziale di “clonazione spirituale” che domina il nostro tempo, cioè a dire la tendenza all’uniformazione, una spinta diametralmente opposta alla vocazione dell’istruzione, che è quella di fungere da levatrice di esseri umani unici. La cultura, la conoscenza, rappresentano quindi il vero patrimonio dell’umanità. A questo proposito, Mayor ricorda l’incoraggiamento ricevuto dallo scrittore e filosofo Juan Goytisolo a sottolineare il valore di quelle espressioni musicali, letterarie o didattiche che svelano le facoltà distintive della specie umana per quanto riguarda la creatività, la riflessione, l’invenzione, l’immaginazione, l’anticipazione e l’innovazione; dei beni intangibili ma, forse proprio per questo, anche più preziosi di quelli materiali. Sono proprio queste produzioni della coscienza umana ad avvicinarci, a farci sentire fratelli e sorelle, commenta Mayor.

Mayor dice bene. Il fatto concreto non è l’esistenza del mondo fenomenico, ma l’esperienza che ne facciamo. Un essere umano, considerato nella sua vicenda totale, è un flusso di esperienze, di occasioni d’esperienza, o di “occasioni viventi”, come le definiva Alfred North Whitehead, il grande filosofo e matematico britannico. Spesso queste occasioni di esperienza, di presa di coscienza sono salutari ma dolorose, ferite narcisistiche inflitte al nostro poderoso ego. Ma poi ci sono anche le grandi idee e la grande arte. L’arte e le intuizioni eterne penetrano e giungono dove altre impressioni non sanno pervenire; e la loro azione non produce patimenti. Søren Kierkegaard, nel “Don Giovanni, la musica di Mozart e l’eros”, scriveva: “Mozart immortale! A te devo tutto, è per te che ho perso il senno, che il mio spirito è stato colpito da meraviglia ed è stato scosso nelle sue profondità; devo a te se non ho trascorso la vita senza che nulla fosse capace di scuotermi”.

Questo patrimonio comune dell’umanità è anche, sempre secondo Mayor, la migliore garanzia della possibilità concreta di dar forma ad una democrazia globale, “che non significa che vi sia un solo paese. No, no, no…ci sono molti paesi, molte persone, molte culture, ma con un’unica visione di democrazia intesa in senso partecipato, cioè dove i cittadini non vengono solo contati periodicamente, agli appuntamenti elettorali, ma contano”. Questo tipo di democrazia non è mai una conquista definitiva: essa deve essere guadagnata e difesa quotidianamente. Zagrebelsky (2010, p. 40) precisa che “dove c’è consolidamento, assestamento, sicurezza del sistema di potere, lì in realtà c’è oligarchia; anche se, eventualmente, sotto mentite spoglie democratiche. Democrazia è invece conflitto perenne per la democrazia e contro le oligarchie sempre rinascenti nel suo interno”.

Di conseguenza, anche la democrazia è creata e ricreata da una costante attenzione al flusso della vita e degli eventi, all’armonia tra forma e movimento, concetti e sentimenti, ragione e passione, la cosiddetta “palintropos harmonia”. Quest’ultimo principio, rievocato da Mayor in un discorso a Salonicco, equivale alla “coincidentia oppositorum” dei latini, ed è di importanza cardinale. Universalmente noto ai nostri antenati, ora è stato quasi completamente cancellato dalla cultura occidentale – troppo scomodo, esigente, “anti-moderno”; lo incontreremo di nuovo nel corso della mia trattazione.

Come si acquisisce e conserva questa capacità di individuare una posizione di equilibrio e mantenerla?

Ce lo spiega un documento del 2011 che illustra le linee guida dell’azione dell’agenzia per le Politiche culturali ed il dialogo interculturale dell’UNESCO (“A new cultural policy agenda for development and mutual understanding”, gennaio 2011). Vi si raccomanda di “identificare e promuovere le forme di diversità culturale che promuovono l’auto-riflessione, la capacità di essere “conviviale” e l’impeto creativo per cambiare orizzonti culturali esistenti in risposta al cambiamento”. Per incoraggiare questo genere di condotta interpersonale, gli estensori (tra i quali il grande antropologo statunitense di origine indiana Arjun Appadurai) consigliano di puntare sul riconoscimento che ci sono tantissimi altri modi legittimi di vedere il mondo oltre a quello caro a ciascuno di noi, anche perché il mondo di oggi è un mondo di migranti, turisti, ospiti, viaggiatori, rifugiati, forestieri e l’imposizione di conformismi culturali in una condizione di associazione temporanea è pericolosa. La convivialità diventa allora la capacità di far interagire e sovrapporre i nostri rispettivi mondi, tra vicini, colleghi, concittadini, ospiti temporanei di questo pianeta. Non è uno strumento di coercizione, di soggiogamento, di conversione, ma una forma di coabitazione rispettosa e curiosa che sa individuare una causa comune e fare, perciò, comunità (cf. Unitas in pluralitate, uno dei motti dell’Unione Europea).

Questa è l’impostazione mentale, morale e spirituale che ha portato alla redazione ed approvazione della Carta delle Terra, sottoscritta da 4800 tra organizzazioni, governi ed organismi internazionali, una “dichiarazione di principi etici fondamentali per la costruzione di una società globale giusta, sostenibile e pacifica nel 21° secolo”. Questa carta, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, comprende norme di indirizzo (non vincolanti) che dovrebbero ispirare la legislazione nazionale ed internazionale e chiede alle genti di comprendere la loro relazione di interdipendenza e la necessità di uno sviluppo sostenibile e di una sempre maggiore equità tra individui e nazioni, nonché quella di assumersi una responsabilità condivisa per il benessere di quella che chiama “la famiglia umana”, dell’ecosistema e delle generazioni future. Gli imperativi cardine di questa dichiarazione sono i seguenti:

1. Rispettare la Terra e la vita, in tutta la sua diversità: Riconoscere che tutti gli esseri viventi sono interdipendenti e che ogni forma di vita ha valore, indipendentemente dalla sua utilità per gli esseri umani. Affermare la fede nell’intrinseca dignità di tutti gli esseri umani e nel potenziale intellettuale, artistico, etico e spirituale dell’umanità.

2. Prendersi cura della comunità vivente con comprensione, compassione e amore: Accettare che al diritto di possedere, gestire e utilizzare le risorse naturali si accompagna il dovere di prevenire danni all’ambiente e di tutelare i diritti dei popoli. Affermare che con l’aumento della libertà, della conoscenza e del potere cresce anche la responsabilità di promuovere il bene comune.

3. Costruire società democratiche che siano giuste, partecipative, sostenibili e pacifiche: Assicurare che le comunità a ogni livello garantiscano i diritti umani e le libertà fondamentali e forniscano a tutti l’opportunità di realizzare appieno il proprio potenziale. Promuovere la giustizia sociale ed economica, per permettere a tutti di raggiungere uno standard di vita sicuro e dignitoso, che sia ecologicamente responsabile.

4. Tutelare i doni e la bellezza della Terra per le generazioni presenti e future: Riconoscere che la libertà di azione di ciascuna generazione è condizionata dalle esigenze delle generazioni future. Trasmettere alle generazioni future valori, tradizioni e istituzioni capaci di sostenere la prosperità a lungo termine delle comunità umane ed ecologiche della Terra.

Da questi imperativi ne derivano altri:

5. Proteggere e ripristinare l’integrità dei sistemi ecologici terrestri, con speciale riguardo alla diversità biologica e ai processi naturali che sostentano la vita.

6. Prevenire i danni come misura più efficace di protezione ambientale, e agire con cautela quando le conoscenze sono limitate.

7. Adottare sistemi di produzione, consumo e riproduzione che salvaguardino la capacità rigenerativa della Terra, i diritti umani e il benessere delle comunità.

8. Sviluppare lo studio della sostenibilità ecologica e promuovere il libero scambio e l’applicazione diffusa delle conoscenze acquisite.

9. Eliminare la povertà come imperativo etico, sociale e ambientale.

10. Garantire che le attività economiche e le istituzioni a tutti i livelli promuovano lo sviluppo umano in modo equo e sostenibile.

11. Affermare l’uguaglianza e le pari opportunità fra i sessi come prerequisiti per lo sviluppo sostenibile, e garantire l’accesso universale all’istruzione, all’assistenza sanitaria, e alle opportunità economiche.

12. Sostenere senza alcuna discriminazione i diritti di tutti a un ambiente naturale e sociale capace di sostenere la dignità umana, la salute fisica e il benessere spirituale, con speciale riguardo per i diritti dei popoli indigeni e delle minoranze.

13. Rafforzare le istituzioni democratiche a tutti i livelli e garantire trasparenza e responsabilità nella governance, partecipazione allargata nei processi decisionali, e accesso alla giustizia.

14. Integrare nell’istruzione formale e nella formazione permanente le conoscenze, i valori e le capacità necessarie per un modo di vivere sostenibile.

15. Trattare ogni essere vivente con rispetto e considerazione.

16. Promuovere una cultura della tolleranza, della non violenza e della pace.

E se l’Iran avesse già l’atomica? Osservazioni sconvenienti sull’Armageddon che verrà

di Stefano Fait

L’azione di alcuni dei sionisti di casa nostra finirà per inimicare tutti contro quello che stanno cercando di realizzare. Temo molto che gli ebrei siano come tutti i perdenti: quando la forza è dalla loro parte sono altrettanto intolleranti e crudeli di quanto lo era prima la gente nei loro confronti. Mi dispiace davvero tanto questa situazione perché hanno sempre goduto delle mie simpatie.

Harry Truman, lettera a Eleanor Roosevelt, 23 agosto 1947 [rispecchia in pieno il mio pensiero]

L’esito finale di questa deriva sarà probabilmente un conflitto con l’Iran e con gran parte del mondo islamico. Uno scenario plausibile di uno scontro militare con l’Iran presuppone il fallimento [del governo] iracheno nell’adempiere ai requisiti [stabiliti dall’amministrazione statunitense], con il seguito di accuse all’Iran di essere responsabile del fallimento, e poi, una qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico negli Stati Uniti che sarà attribuito all’Iran, [il tutto] culminante in un’azione militare “difensiva” degli Stati Uniti contro l’Iran.

Zbigniew Brzezinski, grande vecchio della politica estera statunitense, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale, testimonianza resa di fronte ad una commissione del Senato americano, 1 febbraio 2007

Noi non abbiamo bisogno di una nuova guerra. E dobbiamo chiarirlo ai nostri amici israeliani. Se gli Israeliani vogliono cominciare un conflitto armato contro l’Iran, , devono sapere che noi non lo sosterremo mai. Se lo fanno, dovranno farlo da soli. Devono assumersi tutta la responsabilità perché in caso di una guerra si dovrà pagare un prezzo altissimo e le conseguenze di un intervento militare saranno disastrose soprattutto per gli Stati Uniti, in Afghanistan e Iraq, nel settore energetico ed anche per la stabilità in Medio Oriente. […]. La mia impressione è che al momento gli Israeliani stiano essenzialmente spingendoci a dettare agli Iraniani una soluzione formulata in termini che troveranno inaccettabili. E poi, prima delle elezioni, saranno tentati di colpire l’Iran. Obama è stato umiliato l’ultima volta che Netanyahu è venuto a Washington e il presidente degli Stati uniti non dovrebbe lasciarsi umiliare. Rappresenta gli interessi americani e deve esporli all’interlocutore in termini inequivocabili. Obama deve dire a Israele che gli iraniani reagiranno bersagliando per primi i nostri obiettivi. Saremo noi a pagare un prezzo salatissimo. Questo è inaccettabile. Però dobbiamo anche ricordare che la maggior parte degli israeliani, incluso il Mossad, lo Shin Bet, l’esercito non appoggiano la guerra. È della stessa posizione anche quasi tutta la comunità ebraica in America.

Zbigniew Brzezinski, intervistato da Fareed Zakaria, 26 febbraio 2012

Una domanda che non ha ricevuto risposta. Perché l’Iran continua a far sapere a tutti i progressi del suo programma nucleare? Non sembra esserci alcun motivo per far sapere al mondo esattamente a che punto sono e dove stanno facendo quel che fanno. A meno che non sia un’esca per l’Occidente e per Israele. Questi annunci sono dunque delle provocazioni? Vogliono che l’Occidente faccia la prima mossa? Ci piacerebbe credere che siano davvero stupidi nel rivelare al mondo che cosa stanno facendo, ma non siamo così ingenui. Dove c’è un’esca c’è sempre una trappola, o un amo. C’è qualcuno al di sopra di loro che sta tirando le cordicelle e sta usando l’Iran come un’esca, un richiamo?

Lettore di Haaretz

Un comitato di scienziati ha stimato che 3 milioni di persone morirebbero entro poche settimane a causa della nube radioattiva se i reattori iraniani fossero bombardati. A sua volta l’Iran bombarderebbe la centrale atomica di Dimona, trasformando gran parte di Israele in un paesaggio à la Chernobyl per millenni.

Lettore di Haaretz

Gli unici che potrebbero beneficiare di questo sarebbero Israele e i Sauditi…Israele e Arabia Saudita sono nemici molto più pericolosi degli Iraniani. Il congresso è maniacalmente fissato con la guerra con l’Iran … Ascoltate il senatore Graham, il senatore McCain e Joe Lieberman … sono controllati dagli Israeliani… i Sauditi sono molto influenti e perciò quando osservate questo tipo di cose vi dovete sempre chiedere chi trarrebbe vantaggio dalla guerra? Ad Israeliani e Sauditi piacerebbe vedere i nostri soldi e i nostri giovani uomini e donne essere uccisi combattendo contro i loro nemici in Iran.

Michael Scheuer, ex agente della CIA ed ora storico alla Georgetown University, intervistato da Fox News nell’ottobre del 2011

 

IRAN

Come sa chi legge i miei post, una delle cose che non ho mai capito è perché i leader iraniani si comportano con così tanta strafottenza. Perché si permettono di minacciare direttamente gli USA e la Turchia (ossia la NATO), promettendo “grandi sorprese”, come i peggiori fanfaroni? Perché Ahmadinejad è così convinto che il regime sionista scomparirà dalla storia? Perché un generale delle guardie rivoluzionarie riferisce che: “uno dei nostri più grandi desideri è che il regime sionista attacchi, per poterlo gettare nella discarica della storia”:

http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/iran-threatens-to-bung-israel-into-the-trash-bin-of-history-if-attacked-1.396837

È come se non rischiassero seriamente la sconfitta e la distruzione. Sono davvero dei folli o sono dei millantatori, che è poi lo stesso, in queste circostanze? Obama sostiene che sono razionali, ossia che sanno il fatto loro. Probabilmente è così. Forse anche il governo israeliano è razionale. Il problema è che gli uni e gli altri vedono solo quel che vogliono vedere ed escludono dall’ordine delle possibilità le ripercussioni più spiacevoli. È degno di nota il fatto che questo sia proprio il tallone di Achille degli psicopatici (forse il loro unico punto debole, ma che punto debole!).

Torniamo agli interrogativi iniziali.

Perché l’Iran dovrebbe reclamizzare al mondo ogni fase del suo programma atomico, se non fosse già da tempo in attesa dell’attacco israeliano e lo sollecitasse, nella certezza che ciò lo favorirà? Forse il suo arsenale è stato prodigiosamente rafforzato? Forse i siti nucleari sono uno specchietto per le allodole e già possiede armi nucleari, oppure ha le spalle coperte da chi ne ha?

Se fossi una nazione che sta costruendo una bomba nucleare non lo farei sapere a tutti e invece disseminerei disinformazione. Il primo test lo farei solo dopo aver già costruito o acquistato diversi ordigni. È possibile che l’Iran abbia fatto precisamente questo. È possibile che l’opposizione interna ad un attacco statunitense all’Iran nel 2005 o nel 2008, che era nei piani dell’amministrazione Bush, sia stata motivata da questa consapevolezza.

Non è per nulla implausibile che l’Iran si sia già procurato sul mercato nero alcune testate atomiche, dalla Corea del Nord, dalla Russia o dal Pachistan, come garanzia per poter completare il suo programma nucleare indipendente. La sua dotazione di sommergibili gli consentirebbe di lanciare un devastante contrattacco anche se la madrepatria fosse in fiamme.

Alcune conferme arrivano da fonti inattese. Nel 2002, il capo di stato maggiore russo Yuri Baluyevsky, nel corso di un summit tra Bush e Putin a Mosca, in risposta alla domanda se l’Iran costituisca una minaccia per Israele, la Russia o gli Stati Uniti, ha affermato: “Ora, per quel che riguarda la possibilità che l’Iran abbia compiuto dei test missilistici, l’Iran possiede già armi nucleari. Naturalmente sono armi non-strategiche. Intendo dire che non sono missili con una gittata di oltre 5500 chilometri”.

Alcuni quotidiani dell’area di lingua tedesca hanno riportato la notizia che due test atomici nord-coreani segreti del 2010 potrebbero essere stati effettuati su commissione iraniana:

http://www.welt.de/politik/ausland/article13901079/Iran-soll-Atombombe-in-Nordkorea-getestet-haben.html

Se fosse vero, l’Iran sarebbe già in possesso di alcune bombe atomiche e l’ultima cosa da fare sarebbe attaccarlo.

Per la verità, sarebbe in ogni caso un’idea stupida, visto che l’unico risultato sarebbe quello di ritardare il programma di uno, due anni e di persuadere la leadership iraniana e la popolazione a dotarsi dell’arma atomica per difendersi dal sionismo.

In ogni caso l’Iran è già una potenza nucleare – non servono le bombe atomiche per distruggere una nazione, sono sufficienti quelle “sporche” (radiologiche)  – e perché chi sa inviare satelliti militari nello spazio ha già tutto quel che serve per sviluppare missili che possano colpire gli Stati Uniti.

L’Iran è dotato di un sistema satellitare di guida, un sistema di propulsione di missili ed abbastanza materiale radioattivo per un ordigno nucleare improvvisato o una bomba sporca. Siamo già sulla soglia di uno scenario apocalittico.

L’Iran sa di godere dell’appoggio della Russia, della Cina, dei Libanesi, dei Palestinesi e del governo siriano, che sta riprendendo il controllo del paese.

Stiamo assistendo ad un esplicito allineamento della Russia al fianco dell’Iran che non promette nulla di buono per Israele. La Russia può ridurre Israele ad un cratere vetrificato con relativa facilità.

La Siria è la chiave del Medio Oriente. È  già circondata da nazioni filo-occidentali (Israele, Turchia, Giordania e Iraq). È il trait d’union con l’Iran e l’Iran è il collegamento tra Russia e Cina.

Per questo un’unità militare russa specializzata in operazioni anti-terrorismo è arrivata nel porto siriano di Tartus. Il ministro della Difesa Anatoly Serdyukov ha precisato che non ci sono forze speciali russe che operano nel paese, ma che ci sono tecnici e consiglieri militari. La portavoce del Dipartimento di Stato americano non ha rilasciato alcun commento in merito:

http://abcnews.go.com/Blotter/russian-anti-terror-troops-arrive-syria/story?id=15954363#.T2efd46UzhG

La Russia ha anche potenziato le difese radar iraniane:

Si sta svolgendo un gioco di potere molto pericoloso ed è sempre più evidente che la cosa rischia di risolversi in una tempesta di fuoco, un vero e proprio Armageddon. I proclami, ammonimenti, avvertimenti, teoremi, minacce, accuse sono quasi identici a quelli che hanno preceduto l’attacco all’Iraq, in violazione del diritto internazionale e sulla base di menzogne spudorate. Si potrebbe quasi dire che l’unica differenza è la lettera finale: una “n” invece della “q”. Ieri come oggi, si sostiene che bombardare migliaia di civili garantisce la pace, la sicurezza e la stabilità del mondo.

ISRAELE

Gli analisti del Jerusalem Post hanno battezzato il 2012 “l’anno che deciderà il futuro dello Stato ebraico”:

http://www.jpost.com/PromoContent/Article.aspx?id=250203

Molta gente, in Europa e negli Stati Uniti, non crede che il governo israeliano faccia sul serio. Eppure perché dovrebbe costringere la popolazione a fare esercitazioni specifiche per una rappresaglia iraniana e inviare l’aviazione a Gibilterra e in Romania per addestrare i piloti ad operare in Iran? Perché dovrebbe aver sospeso l’attività della centrale atomica di Dimona? Solo per dimostrare che fa sul serio? Israele ha già attaccato siti nucleari in Iraq (1981) e in Siria (2007). Sembra inequivocabile che non sia assolutamente intenzionato a consentire che altre nazioni islamiche (oltre al Pachistan) si dotino dell’arma atomica. Israele si sente assediato e la situazione sta progressivamente assumendo la forma di una rievocazione delle Idi di Marzo o della morte catastrofica di Sansone:

http://www.nytimes.com/2011/09/11/world/middleeast/11israel.html?hp

La paura di un secondo olocausto è la ragione per cui si sta cacciando sempre più in un vicolo cieco, verso la distruzione:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/27/auschwitz-in-israele-un-suicidio-collettivo/#axzz1pkJAZiL8

Per evitare un conflitto nucleare rischia di scatenarlo. È dai tempi di Begin che Israele ha adottato la politica dell’attacco preventivo per la salvaguardia di Israele, quindi non c’è alcun motivo di credere che questa volta le cose andranno diversamente. Sarà l’esito ad essere differente, dato che Israele non ce la può fare e soccomberebbe anche se godesse dell’aiuto americano: un fazzoletto di terra così ristretto non può permettersi di essere colpito da una arma di distruzione di massa. Per questo l’idea stessa di creare lo stato di Israele è un regalo postumo a Hitler & co. Chi si è trasferito lì ha dimostrato scarsissima lucidità.

La verità è che non ci sono più alternative: se Israele attacca ora sarà uno scenario da incubo subito e se attende senza fare nulla sarà uno scenario da incubo entro qualche mese. C’è una bomba ad orologeria, nel Medio Oriente, che nessuno può fermare. È sorprendente – o forse non lo è – che i politici italiani, irresponsabilmente, continuino a far finta di niente, troppo impegnati a smantellare lo stato sociale e i diritti dei lavoratori per preoccuparsi dell’Armageddon.

Il pericolo è che Israele risponda agli attacchi missilistici di Iran, Hamas e Hezbollah usando il suo deterrente nucleare, ossia l’Opzione Sansone:

Lo farà quasi certamente se i missili saranno armati con agenti chimici e biologici (pensiamo alle conseguenze sull’area metropolitana di Tel Aviv, con i suoi 2 milioni di abitanti, e tanto odiata dagli Ebrei ortodossi per la sua insufficiente ebraicità). Questo significherà l’annichilimento di una regione che contiene il 40% del petrolio mondiale, e quindi dell’economia globale. La vedo male per tutte le basi americane che circondano l’Iran. Se fossi un soldato statunitense in servizio in quell’area me la farei sotto.

Perché Israele si comporta così dissennatamente? E, ancora una volta, perché dovrebbe informare il mondo di ogni sua intenzione e mossa?

L’unica risposta che mi appare convincente è che l’Iran sia un diversivo (alla faccia del diversivo!): l’obiettivo di Israele è Eretz Yisrael, ossia la pulizia etnica dei Palestinesi. E ciò spiega perché i toni si siano incendiati proprio dopo l’iniziativa palestinese per il riconoscimento all’UNESCO ed all’ONU.

Il governo israeliano ha bisogno di un conflitto medio-orientale per giustificare i crimini che ha intenzione di perpetrare in Palestina (su scala molto maggiore di quel che già succede), con il pretesto che Hamas e Hezbollah sono alleati dell’Iran. L’effetto sarà quello di coinvolgere tutti gli Ebrei del mondo, volenti o nolenti, in una guerra sionista e di far infuriare gli Americani.

CHE COSA SUCCEDERÀ?

Le vite di 200 milioni di arabi, ebrei, persiani, turchi – tanto per cominciare – sono a rischio di essere soppresse in un nuovo, definitivo olocausto biochimico e radioattivo. Molti si vogliono convincere che un evento così mostruoso non possa aver luogo, che alla fine tutto si sistemerà. Probabilmente lo pensavano anche moltissimi Ebrei europei prima dell’Olocausto e lo pensano anche molti Ebrei americani, inconsapevoli del forte rischio di pogrom ai loro danni, a causa delle trame sioniste:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/22/il-new-york-times-prepara-il-terreno-per-il-prossimo-11-settembre-dove-sono-kennedy-e-kruscev-quando-ne-hai-bisogno/

Certe cose sono troppo terribili, pur essendo concepibili, e si fa fatica a prenderle sul serio. Eppure sono reali.

Dopo che la guerra sarà arrivata e Israele, solo contro tutti, avrà avuto la peggio, ci saranno molti suicidi/omicidi, nelle alte sfere, tra chi si è schierato dalla parte sbagliata. E questo non solo negli Stati Uniti. Tra squali non c’è posto per la pietà e per il perdono. Anche il mondo dell’informazione, in diversi paesi, non sarà immune da purghe.

Ma lo sviluppo più importante non sarà l’estinzione del sionismo, la distruzione di Israele e della Palestina, o la persecuzione di sionisti ed Ebrei nel Nord America da parte di integralisti di ogni risma, particolarmente gli evangelici, convinti che secondo le Sacre Scritture gli Ebrei non convertiti saranno sterminati (sic!). Ci saranno veri e propri pogrom antisemiti/antigiudei se i fondamentalisti cristiani saranno indotti a credere che tutti i mali del mondo siano da addebitare ad Israele. L’amore si può convertire in odio in un istante dopo un evento di rottura, per sanare un’intollerabile dissonanza cognitiva.

Se fossi un nuovo Hitler e volessi sterminare gli Ebrei farei quanto segue:

  1. Ne concentrerei un gran numero in un luogo ristretto: farei affluire quanti più Ebrei è possibile, anche gente non particolarmente raccomandabile, gente disposta a tutto, anche a rendersi responsabile di atrocità a nome di Israele e di tutti gli Ebrei;
  2. Manipolerei certi media, creando un tabù del politicamente corretto contro il pensare o il parlare male di Israele: “fanno solo cose buone, sono sempre vittime”;
  3. Tirerei la corda con l’opinione pubblica internazionale, generando una pressione psicologica sempre crescente, in modo tale da impedire un dibattito spassionato e ragionevole su quel che avviene in Palestina;
  4. Il bacino si riempie, le saracinesche sono chiuse, la diga fatica a contenere la pressione dell’acqua. Infine, quando la tensione è irrefrenabile, mollerei la corda con un bel voltafaccia, affibbiando l’intera colpa al capro espiatorio giudeo, quando la posizione israeliana sarà indifendibile (molto presto, grazie a Netanyahu & co.). Saranno rimasti in pochi a protestare se succederà qualcosa ad Israele ed agli Ebrei in giro per il mondo;

Chi userei per porre fine al sionismo: Russia o Stati Uniti?

Nonostante tutto, però, lo sviluppo più importante per il resto del mondo sarà invece la Rivoluzione Globale. La guerra, nelle intenzioni di chi la vuole, dovrebbe stroncare sul nascere i fermenti di rivolta e mantenere in vita il dollaro. Servirà invece a far infuriare una volta per tutta le masse, stanche di essere prese per i fondelli ed usate come carne da cannone e come vacche da mungere fiscalmente. Questo conflitto potrebbe essere la scintilla che farà esplodere tutto.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: