Francia: una nazione con la spina dorsale

 

Più di 120 economisti hanno pubblicato oggi un articolo su Le Monde, ripreso da molti siti di informazione, in cui si pronunciano contro il trattato di bilancio dell’Unione europea. Denunciano un trattato “portatore di una logica recessiva che aggrava gli squilibri esistenti” e chiedono a François Hollande di non perseguire le politiche di austerità dei suoi predecessori. Tra i firmatari vi sono economisti molto conosciuti come Frédéric Boccara, Bousseyrol Marc Laurent Cordonnier, Denis Durand, Guillaume Etievant, Flacher David Bernard Friot, Gadrey Jean Jacques Genereux, Guerrien Bernard, Michel Husson, Sabina Issehnane, Florence Jany-Catrice, Esther Jeffers, Paul Jorion, Pierre Khalfa, Dany Lang, Philippe lege, Frédéric Lordon, Christiane Marty, François Morin, André Orlean, Dominique Plihon Ramaux Christophe, Gilles Raveaud, Rigaudiat Jacques Dominique Taddei Stephanie Treillet. [da InvestireOggi.it – traduzione di Carmen Gallus]

CAUSE DELLA CRISI – Dal 2008, l’Unione europea (UE) si trova ad affrontare una crisi economica senza precedenti. Contrariamente a quanto sostenuto dagli economisti liberisti, la crisi non è dovuta al debito pubblico. Spagna e Irlanda ora sono sotto attacco dei mercati finanziari benché questi paesi abbiano sempre rispettato i criteri di Maastricht. L’aumento dei deficit è una conseguenza della caduta delle entrate fiscali dovuta in parte ai regali fatti ai redditi più alti, degli aiuti pubblici alle banche commerciali e del ricorso ai mercati finanziari per finanziare questo debito a tassi di interesse elevati.

La crisi è dovuta anche alla totale mancanza di regolamentazione del credito e dei flussi di capitale a scapito dell’occupazione, dei servizi pubblici e delle attività produttive. E’ alimentata dalla Banca Centrale Europea (BCE) che supporta incondizionatamente le banche private, e invece, quando si tratta di rivestire il ruolo di “prestatore di ultima istanza“, richiede “rigorose condizionalità” di austerità agli Stati.

Essa impone loro politiche di austerità e non è in grado di combattere la speculazione sul debito sovrano, dato che la sua unica particolare missione riconosciuta dai trattati è quella di mantenere la stabilità dei prezzi. Inoltre, questa crisi è aggravata dal dumping fiscale intra-europeo e dal divieto imposto alla BCE di prestare direttamente agli stati per finanziare le loro spese, a differenza delle altre banche centrali di tutto il mondo, come la Federal Reserve degli Stati Uniti. Infine, la crisi è rafforzata dalla debolezza estrema del bilancio dell’Unione europea e dal suo tetto al tasso irrisorio dell’1,24% del PIL, con un orientamento che rende impossibile qualsiasi coordinata e ambiziosa espansione del business in Europa.

Francois Hollande, dopo essersi impegnato durante la campagna elettorale a rinegoziare il trattato europeo, non gli ha realmente apportato alcun cambiamento, e, come ha riconosciuto anche Elisabeth Guigou, ha scelto di proseguire la politica di austerità iniziata dai suoi predecessori. Si tratta di un tragico errore. L’aggiunta di un pseudo-patto sulla crescita, dall’importo effettivamente misero, è accompagnata dall’accettazione della “regola d’oro” del bilancio difesa da A. Merkel e N. Sarkozy. Essa stabilisce che il disavanzo cosiddetto strutturale (al netto delle variazioni dei cicli economici) non deve superare lo 0,5% del PIL, cosa che condannerà qualsiasi logica di spesa pubblica futura e porterà ad attuare un drastico programma di riduzione del campo di applicazione della amministrazione pubblica.

Limitando più che mai la capacità dei paesi di rafforzare le loro economie e imponendo loro l’equilibrio dei conti pubblici, questo trattato comporta una logica recessiva che aggraverà meccanicamente gli squilibri esistenti. I paesi che soffrono il crollo della loro domanda interna dovranno ridurre maggiormente la loro spesa pubblica. Dato che numerosi Stati membri sono già in recessione, questo minaccerà ulteriormente l’attività produttiva e l’occupazione, e quindi le entrate del governo, il che alla fine farà aumentare il deficit. Così, l’OFCE prevede già in Francia 300.000 disoccupati in più a fine 2013, per il solo fatto dell’austerità. Nel medio e lungo termine, questo metterà un’ipoteca sulla transizione sociale ed ecologica che richiede notevoli investimenti.

Nel nome di una cosiddetta “solidarietà europea”, il trattato organizza di fatto una garanzia pubblica per i grandi patrimoni finanziari privati. Incide sulla pietra delle misure automatiche di austerità imposte ai rappresentanti del popolo, ponendo dei vincoli alle loro decisioni di bilancio, vincoli dettati da un’istanza di non eletti. Il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), istituzione anti-democratica per eccellenza, può essere in grado di offrire prestiti a un tasso leggermente inferiore (5% in media). Ma questi prestiti sarebbero subordinati all’attuazione di drastiche misure di austerità imposte al popolo! La garanzia del Governo agli investitori privati incoraggia solo la speculazione, mentre bisognerebbe stroncarla togliendole dalle mani il debito pubblico. L’intero edificio poggia quindi sulla condizionalità anti-sociale imposta a qualsiasi tipo di assistenza o di intervento, nonché sul rifiuto di un intervento diretto da parte della BCE per le nuove spese. La BCE si accontenta di un acquisto limitato di titoli di debito sul mercato secondario, come ha recentemente annunciato Mario Draghi.

Centinaia di economisti di tutto il mondo riuniti intorno a Premi Nobel come Joseph Stiglitz e Paul Krugman, hanno ampiamente criticato l’assurdità della politica economica attualmente in atto in Europa. La conclusione è chiara: l’austerità è nello stesso tempo ingiusta, inefficiente e antidemocratica.

Siamo in grado di fare diversamente. Il futuro dell’Europa merita un dibattito democratico sulle soluzioni alla crisi. Oggi in Europa sarebbe possibile un’espansione coordinata della produzione, dell’occupazione e dei servizi pubblici, in particolare attraverso il finanziamento diretto selettivo e a tassi bassi da parte della BCE alle amministrazioni pubbliche. Perché l’UE possa attuare questa politica, è urgente riformare e democratizzare le sue istituzioni. Un fondo europeo per lo sviluppo sociale ed ecologico, a gestione democratica, potrebbe sostenere questa dinamica. Inoltre, l’UE potrebbe istituire un controllo della finanza, tra cui il divieto di scambio di titoli di Stato sul mercato OTC, limitando severamente la cartolarizzazione e i derivati e tassando i movimenti speculativi di capitali.

Le sfide sociali ed ecologiche di oggi sono immense. E’ urgente cambiare rotta per uscire dalla crisi in positivo. E’ possibile annullare il triste record delle politiche liberiste di una Francia con 5 milioni di disoccupati e 10 milioni di poveri. Per riuscirci, dobbiamo spezzare la morsa dei mercati finanziari e non alimentarli. È per questo che respingiamo la ratifica del Trattato europeo di stabilità, di coordinamento e di governance (TSCG).

Seguono le firme di 120 economisti

Articolo originale: L’austérité aggrave la crise, non au Traité budgétaire européen !

FONTE: http://keynesblog.com/2012/10/04/appello-di-120-economisti-francesi-no-al-fiscal-compact-lausterita-aggrava-la-crisi/#more-2355

Questo progetto politico diventa progressivamente sempre più realistico:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/25/un-progetto-politico-per-un-mondo-nuovo/

Programma di governo di Syriza – Se Tsipras perde, l’eurozona è spacciata e noi con lei

[“Der deutsche Steuerzahler solle sich über die radikale Linke in Griechenland freuen, sagt der Ökonom Yanis Varoufakis im Interview. Das Land sei nicht reformunwillig“].

Se la Spagna, Italia, Portogallo, Irlanda, Francia, Grecia, Germania ecc (ossia paesi con un debito ben superiore al 60% del PIL) fossero costretti a ridurre il loro debito del 5% annuo – come prescritto dal fiscal compact –, ciò significherebbe che tutte queste nazioni dovrebbero passare da una media del 2,8% di deficit primario ad un 6% di avanzo primario. Supponiamo di poterlo fare (cosa che, ovviamente, è impossibile). Se riuscissimo in questo sforzo, il risultato sarebbe una recessione molto profonda, in media almeno pari a -4,5%. In un periodo in cui una crisi bancaria è in pieno svolgimento, la periferia è in caduta libera, la crescita degli Stati Uniti scricchiola, la Cina sta rallentando, ecc. È l’equivalente macroeconomico di un suicidio.

Si deve fare qualcosa per bloccare questa pazzia. Poteva farlo l’Irlanda votando no all’idiozia del Fiscal Compact, ma non l’ha fatto, perché ricattata con la minaccia dell’interruzione dei finanziamenti. La Grecia è la prossima speranza per la causa della razionalità. Se il 17 giugno i Greci voteranno come hanno votato gli Irlandesi, decreteranno la morte dell’eurozona.

L’Europa, al momento, è governata da persone che non solo stanno dirigendo la nave verso gli scogli ma, nel farlo, stanno forando i salvagente. Considerate ciò che stanno dicendo il popolo greco: la Grecia, per rimanere nell’eurozona, deve,

(a) continuare a chiedere prestiti al 4% (aggravando il suo indebitamento) per pagare la BCE (che ricaverà profitti del 20% da questi pagamenti dato che in precedenza aveva comprato obbligazioni greche scontate dal 20 al 30%);

(b) ridurre la spesa sociale di altri 12 miliardi di euro.

Se il diavolo avesse voluto assicurarsi che la Grecia fosse spinta fuori dall’eurozona, non avrebbe potuto inventarsi nulla di meglio.

Intanto, lo stesso accade alla Spagna, dove il governo è costretto ad indebitarsi ad un tasso del 7% per sostenere banche alle quali la BCE applica un tasso dell’1% per concedere prestiti al governo al 7%. Nemmeno la mente più malata potrebbe venirsene fuori con un’idea del genere [Varoufakis sbaglia: degli psicopatici potrebbero inventarsi un trucco del genere].

Per concludere, i popoli europei stanno marciando verso la catastrofe. Tutti possono vedere che giù in fondo c’è il dirupo, ma hanno troppa paura per cambiare direzione, paura delle bastonate che riceveranno se sbandano, paura di perdersi nei boschi: le classiche paure delle pecore.

Tuttavia, l’unico modo per porre fine a questa orribile marcia è trovare il coraggio di uscirne, mostrando agli altri che ci si può fermare – a beneficio di tutti. Chi lo potrebbe fare? Gli irlandesi hanno avuto la possibilità di farlo ma non se la sono sentita. In due settimane i Greci avranno la loro chance. Votare per Syriza ci offre (e con “ci” intendo tutti gli europei) una possibilità di far fermare tutto questo. Un’occasione per dire: Basta! È ora di cambiare rotta per salvare l’Eurozona, in modo da evitare la Grande Depressione postmoderna.

Dovremmo avere paura dell’estremismo di Syriza? La mia risposta è un enfatico: No!

Vi consiglio di non leggere il loro manifesto. Non vale la carta su cui è scritto. Anche se pieno di buone intenzioni, non entra nei dettagli e fa promesse che non può mantenere (come che l’austerità sarà annullata), un guazzabuglio di politiche che non hanno né capo né coda. Ignoratelo. Syriza è un partito che ha dovuto progredire, in poche settimane, da un agglomerato di frange politiche che lottavano per entrare in Parlamento (superando la soglia del 4%) ad un grande partito che può trovarsi a formare un governo entro poche settimane. Si tratta di un ‘work in progress’, e così il suo Manifesto è poco appetitoso. No, il motivo per cui Syriza è una scommessa vincente è triplice:

In primo luogo, perché è probabilmente l’unico partito che ha capito cosa sta succedendo e cosa bisogna fare, ossia (a) restare nell’eurozona (nonostante gli evidenti difetti di quest’ultima), e (b) che l’Eurozona non sopravvivrà se non si blocca la marcia della morte dell’austerità competitiva. In secondo luogo, perché il piccolo team di economisti politici che negoziano a nome Syriza sono validi. Moderati, con un’adeguata comprensione della dura realtà che la Grecia e l’eurozona si trovano ad affrontare (e, no, io non faccio parte di quella squadra – ma li conosco). In terzo luogo, perché, in ogni caso, un voto per Syriza non significa un governo Syriza. Nessun partito potrà creare un governo monocolore. Quindi, la domanda è se per l’Europa è meglio un governo di Atene che comprende Syriza come perno o uno che è supportato da screditati partiti pro-salvataggio, con Syriza che guida i banchi dell’opposizione. Non ho alcun dubbio che gli interessi europei sono meglio serviti dalla prima opzione.

http://yanisvaroufakis.eu/2012/06/03/why-europe-should-fear-fina-gail-like-reasonableness-much-much-more-than-it-fears-syriza/

Io comunque una sintesi del programma elettorale di Syriza, tratto dal sito web del partito, la riproduco qui di seguito.
C’è gente che è stata uccisa per molto meno di uno dei punti che ho evidenziato. Ma mi fido di Varoufakis e delle sue entrature.

1. Realizzare un audit del debito pubblico. Rinegoziare gli interessi e sospendere i pagamenti fino a quando l’economia si sarà ripresa e tornino la crescita e l’occupazione.

2. Esigere dalla Ue un cambiamento nel ruolo della Bce perché finanzi direttamente gli Stati e i programmi di investimento pubblico.

3. Alzare l’imposta sul reddito al 75% per tutti i redditi al di sopra di mezzo milione di euro l’anno.

4. Cambiare la legge elettorale perché la rappresentanza parlamentare sia veramente proporzionale.

5. Aumento delle imposte sulle società per le grandi imprese, almeno fino alla media europea.

6. Adottare una tassa sulle transazioni finanziarie e anche una tassa speciale per i beni di lusso.

7. Proibire i derivati finanziari speculativi quali Swap e Cds.

8. Abolire i privilegi fiscali di cui beneficiano la Chiesa e gli armatori navali.

9. Combattere il segreto bancario e la fuga di capitali all’estero.

10. Tagliare drasticamente la spesa militare.

11. Alzare il salario minimo al livello che aveva prima dei tagli (751 euro lordi al mese).

12. Utilizzare edifici del governo, delle banche e della chiesa per ospitare i senzatetto.

13. Aprire mense nelle scuole pubbliche per offrire gratuitamente la colazione e il pranzo ai bambini.

14. Fornire gratuitamente la sanità pubblica a disoccupati, senza tetto o a chi è senza reddito adeguato.

15. Sovvenzioni fino al 30% del loro reddito per le famiglie che non possono sostenere i mutui.

16. Aumentare i sussidi per i disoccupati. Aumentare la protezione sociale per le famiglie monoparentali, anziani, disabili e famiglie senza reddito.

17. Sgravi fiscali per i beni di prima necessità.

18. Nazionalizzazione delle banche.

19. Nazionalizzare le imprese ex-pubbliche in settori strategici per la crescita del paese (ferrovie, aeroporti, poste, acqua …).

20. Scommettere sulle energie rinnovabili e la tutela ambientale.

21. Parità salariale tra uomini e donne.

22. Limitare il susseguirsi di contratti precari e spingere per contratti a tempo indeterminato.

23. Estendere la protezione del lavoro e dei salari per i lavoratori a tempo parziale.

24. Recuperare i contratti collettivi.

25. Aumentare le ispezioni del lavoro e i requisiti per le imprese che accedano a gare pubbliche.

26. Riformare la costituzione per garantire la separazione tra Chiesa e Stato e la protezione del diritto alla istruzione, alla sanità e all’ambiente.

27. Sottoporre a referendum vincolanti i trattati e altri accordi rilevanti europei.

28. Abolizione di tutti i privilegi dei deputati. Rimuovere la speciale protezione giuridica dei ministri e permettere ai tribunali di perseguire i membri del governo.

29. Smilitarizzare la guardia costiera e sciogliere le forze speciali anti-sommossa. Proibire la presenza di poliziotti con il volto coperti o con armi da fuoco nelle manifestazioni. Cambiare i corsi per poliziotti in modo da mettere in primo piano i temi sociali come l’immigrazione, le droghe o l’inclusione sociale.

30. Garantire i diritti umani nei centri di detenzione per migranti.

31. Facilitare la ricomposizione familiare dei migranti. Permettere che essi, inclusi gli irregolari, abbiano pieno accesso alla sanità e all’educazione.

32. Depenalizzare il consumo di droghe, combattendo solo il traffico. Aumentare i fondi per i centri di disintossicazione.

33. Regolare il diritto all’obiezione di coscienza nel servizio di leva.

34. Aumentare i fondi della sanità pubblica fino ai livelli del resto della Ue (la media europea è del 6% del Pil e la Grecia spende solo il 3).

35. Eliminare i ticket a carico dei cittadini nel servizio sanitario.

36. Nazionalizzare gli ospedali privati. Eliminare ogni partecipazione privata nel sistema pubblico sanitario.

37. Ritiro delle truppe greche dall’Afghanistan e dai Balcani: nessun soldato fuori dalle frontiere della Grecia.

38. Abolire gli accordi di cooperazione militare con Israele. Appoggiare la creazione di uno Stato palestinese nelle frontiere del 1967.

39. Negoziare un accordo stabile con la Turchia.

40. Chiudere tutte le basi straniere in Grecia e uscire dalla Nato.

http://www.gadlerner.it/2012/05/24/il-programma-di-syriza.html

Diritto all’informazione e dovere di comunicazione: prospettive divergenti, convergenti o parallele?

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Diritto all’informazione e dovere di comunicazione

prospettive divergenti, convergenti o parallele?

L’incontro vuole costituire occasione di confronto su come nell’epoca di Internet il diritto all’informazione rivendicato dai cittadini trovi corrispondenza nella comunicazione garantita dai mass media e dai suoi principali attori, i giornalisti. Le due componenti non sempre sembrano convergere su prospettive e visioni comuni e anzi, sempre più spesso, si avverte una sorta di distanza fra le aspettative degli uni e le proposte degli altri, cui sembrano porre rimedio canali alternativi di comunicazione autogestita quali i blog o l’uso dei social network.

Cosa si deve intendere allora per diritto all’informazione e per dovere alla comunicazione? In che relazione si pongono queste due diversi livelli d’azione? Quanto il diritto all’informazione è soddisfatto oggi dall’esercizio della comunicazione, o meglio come il mondo della comunicazione interpreta e fa proprio il diritto all’informazione? Cosa significa essere informati e comunicare oggi? Internet e l’uso diffuso dei social network quanto hanno influenzato la percezione di questi due livelli d’azione? I mass media in generale sono ancora in grado di soddisfare la richiesta d’informazione diffusa e di fornire modelli di comunicazione indipendenti o sono anch’essi sempre più ripiegati sulle esigenze poste dalle nuove domande informative e dai nuovi modelli comunicativi imposti dalla rivoluzione telematica? Per chi opera nel mondo della comunicazione che tipo di controllo e selezione viene esercitato sulle notizie e quanto è importante la cross medialità dell’informazione? E infine, l’accesso apparentemente libero ad Internet può essere causa suo malgrado di una limitazione oggettiva del diritto d’informazione?

Sono solo alcune delle domande o suggestioni cui i partecipanti alla tavola rotonda (Stefano Fait, Alberto Faustini, Enrico Franco, Adele Gerardi, Pierangelo Giovanetti e Giampaolo Pedrotti) cercheranno di rispondere nel corso in un dibattito che si preannuncia ricco di spunti interessanti sia per i temi al centro della discussione sia per il profilo professionale dei partecipanti stessi.

La tavola rotonda è organizzata dal Club Unesco di Trento, sorto nel 2011, con la collaborazione della Biblioteca comunale di Trento e dell’Associazione «Francesco Gelmi di Caporiacco».

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foto sfocata a tutela della privacy dei partecipanti
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BOZZA DEL MIO INTERVENTO IN ANTEPRIMA

(critiche ed osservazioni sono benvenute!)

Ma ognuno di noi, in una certa misura, è ormai direttore responsabile di quella microcentrale di news che è se stesso

Michele Serra

Sondaggio dell’Eurobarometro su dati di novembre 2011:

in Italia, in un anno (autunno 2010-autunno 2011), la fiducia nella carta stampata è crollata al 34% (-6%), la sfiducia è al 53% (+2%)

Fiducia in internet al 37% (-3%), sfiducia al 40% (stabile)

TV 40%, sfiducia al 49%

Radio 39% (crollo del 10%), sfiducia 42% (+2%)

Importante, analisi sociodemografica mostra che al crescere del titolo di studio cresce la fiducia in internet

Nel 2010 il 57 percento degli Americani aveva scarsa o nessuna fiducia nella capacità e volontà dei media di fare informazione in modo obiettivo ed accurato, il livello più alto degli ultimi quarant’anni.

Un altro sondaggio riportava addirittura un 63% di sfiducia.

Dal 1998 in poi il numero degli scettici non è mai sceso sotto la soglia del 44% e dal 2006 è nettamente maggioritario.

In un sondaggio mondiale la percentuale sale al 68%. Solo il 2% pensa che i media riescano ad essere obiettivi.

Internet è il mezzo di informazione di cui ci si fida di meno ma, paradossalmente, è simultaneamente quello che si considera più affidabile. In altre parole, tutti sanno che su Internet c’è di tutto, ma molti pensano di essere in grado di trovare informazioni più affidabili che sui media ufficiali. La TV è all’ultimo posto per fiducia.

Internet è di gran lunga la più importante fonte di approvvigionamento di informazioni: 49% su scala globale. E l’11% si informa attraverso i social network. 19% in Africa. Un quarto circa degli Europei si affida alla stampa ed un altro quarto alla TV.

Dato importante, quasi ovunque i giornali locali godono di una reputazione molto migliore di quelli nazionali.

L’informazione nazionale negli Stati Uniti è controllata da 6 megaimprese: Time Warner, Walt Disney, Viacom, Rupert Murdoch’s News Corp., CBS Corporation and NBC Universal. Fino a trent’anni fa ce n’erano decine: tutte assimilate dalle ultime rimaste.

Italia al 61° posto al mondo per la libertà di stampa, dietro la Nuova Guinea

Nel suo brillante “The return of the public” (2010), Dan Hind, giornalista di fama internazionale, ha proposto una visione semplice e rivoluzionaria al tempo stesso del giornalismo del futuro. I cittadini dovrebbero poter commissionare inchieste ed articoli a giornalisti indipendenti che sarebbero pagati con un canone e che risponderebbero del loro operato direttamente ai cittadini e non più ai tycoon dell’informazione. In questo modo la stampa locale e nazionale sarebbe sottoposta a pressioni competitive virtuose, mentre ci sarebbero dei giornalisti freelance specializzati in certi campi, disposti ad approfondire tematiche che i quotidiani sono impossibilitati a seguire per un lungo periodo di tempo e globalmente (perché non è questo il loro compito). In questo modello di giornalismo civile (o civico, o pubblico che dir si voglia), chiunque avesse una certa esperienza di giornalismo potrebbe presentare delle proposte per ricevere dei fondi da impiegare in inchieste specifiche in un settore di sua competenza. Questi giornalisti civici sarebbero tenuti a presentare il loro progetto alla cittadinanza prima e dopo l’inchiesta. La loro reputazione sarebbe legata non alla testata per cui scrivono, ma alla qualità del servizio che garantiscono in prima persona ed alla loro disponibilità ad impegnarsi su temi che interessano alla gente ma sono trattati solo occasionalmente dai media ordinari.

I vantaggi sarebbero molteplici: si riconquisterebbero all’informazione quei cittadini che non leggono più i quotidiani e si sperimenterebbero nuove forme di associazionismo e partecipazione civile. La gente si dovrebbe assumere la responsabilità di formarsi una visione più obiettiva della realtà invece di limitarsi ad accusare i giornalisti di incompetenza, pressapochismo e corruzione. Questo stesso modello, se si dimostrasse efficace, potrebbe essere esteso a ricercatori scientifici ed operatori museali. La valutazione delle proposte e delle attività sarebbe affidata ad assemblee di cittadini.

Partecipando all’indagine nella selezione dei suoi ricercatori, le persone comincerebbero ad interessarsi all’informazione ed alla scienza, ossia alla conoscenza nel suo complesso, che è l’architrave di una democrazia sana, di una società civile vitale. Si abituerebbero ad interrogarsi ed informarsi invece di abbandonarsi ad una certa passività. Nascerebbero nuove questioni, nuove controversie, nuove ricerche. Politici e cittadini commetterebbero meno errori, risparmiando risorse, grazie ad una maggiore attenzione alla realtà ed una percezione più obiettiva dei fatti.

Non bisogna aver paura di ciò che è vero mentre ciò che è falso va messo in discussione. Si è liberi solo se si fa uno sforzo per restarlo elaborando le circostanze in cui ci si trova a vivere, altrimenti la libertà diventa una finzione

Alan Rusbridger, direttore del quotidiano britannico “Guardian”, si muove in questa direzione ed ha elencato le dieci regole dell’open journalism (The future of open journalism”, Guardian, 25 marzo 2012):

  1. incoraggia la partecipazione;
  2. non è un rapporto tra “noi” e “loro”;
  3. stimola il dibattito;
  4. favorisce la nascita di comunità intorno a interessi condivisi;
  5. è aperto al web;
  6. aggrega e seleziona il lavoro degli altri;
  7. ammette che i giornalisti non sono le uniche voci autorevoli e interessanti;
  8. promuove la diversità ma anche i valori comuni;
  9. riconosce che il giornale può essere l’inizio e non la fine del lavoro giornalistico;
  10. è trasparente e aperto alle osservazioni, comprese le correzioni, le spiegazioni e le aggiunte.


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