Femminicidio

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La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia

Marcela Lagarde, antropologa

“Il termine sembra astratto ma se si legge ognuna di queste vite si capisce come siano diverse e come siano simili i loro assassini”

http://temi.repubblica.it/micromega-online/femminicidio-la-spoon-river-delle-donne/

“Ricordo che ero ragazzina quando mia madre mi spiegò che quel giorno veniva abolito il delitto d’onore, ed era solo il 1981. Ed era ancora come fosse ieri, che mia nonna materna si infilò guanti e cappello, guardò il marito in poltrona e gli comunicò: “Io vado a votare”. Era il 1946 ed era la prima volta che era autorizzata a farlo. Da poco, veramente da pochi anni, noi donne stiamo faticosamente cercando di autodeterminare la nostra vita, sia nel lavoro sia nel privato e questo cambiamento epocale ha alterato in modo irreversibile la relazione tra uomini e donne, portando un comprensibile disorientamento tra chi per anni aveva goduto di un potere di scelta totale all’interno della coppia”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/21/siamo-persone-non-beni-di-proprieta/388866/

Massimo Gramellini, La Stampa del 15/11/2012: Savita è una giovane dentista indiana che abita in Irlanda con il marito Praveen, ingegnere. Aspetta un bambino da quattro mesi quando si presenta in ospedale. Ha dolori atroci alla schiena e la possibilità concreta di perdere, insieme col figlio, la vita. Al termine di una notte di scelte non facili, chiede ai medici di interrompere la gravidanza. Le rispondono che l’Irlanda è un Paese cattolico dove, finché si sente battere il cuore del feto, non è possibile interrompere niente. Savita non è irlandese e non è cattolica, ma deve stare alle regole. Soffrire. Aspettare. Il 23 ottobre il cuore del feto si ferma e i medici lo asportano, ma è troppo tardi. Il 28, a una settimana esatta dal ricovero, Savita muore di setticemia nell’ospedale universitario di Galway: in piena Irlanda, in piena Europa, in pieno ventunesimo secolo.  

Mi ostino a sperare che questa storia sia falsa o almeno incompleta. Che fra il comportamento dei medici cattolici e il decesso della dentista indiana non ci sia il nesso che traspare dalla denuncia dell’Irish Times, confermata dal marito della vittima e ripresa dai principali network del mondo. Ma l’idea che le religioni – associazioni di uomini mosse dal più nobile degli afflati, quello spirituale – possano ispirare comportamenti fanatici, superstiziosi e sostanzialmente ottusi non ha purtroppo bisogno di conferme: è sotto i nostri occhi ogni istante, in ogni angolo del mondo. Mai come oggi abbiamo bisogno di spiritualità. Mai come oggi non abbiamo bisogno di fanatici, questi esseri sfocati che vivono di testa e di viscere, avendo dimenticato che in mezzo c’è un cuore.

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È morta la giovane 23enne vittima di uno stupro di gruppo, che ha suscitato un’ondata di reazioni in tutta l’India: ricoverata in un ospedale di Singapore, le sue condizioni erano disperate. Era stata violentata, picchiata e torturata su un autobus di New Delhi lo scorso 16 dicembre. A causa della violenza subita, aveva riportato un arresto cardiaco, infezioni ai polmoni e all’addome, oltre a un grave trauma cranico. Ieri una ragazza di 17 anni si è tolta la vita, dopo aver subito uno stupro di gruppo il 13 novembre scorsoi genitori sperano che la morte della figlia porterà un futuro migliore per le donne a New Delhi e in tutta l’India

http://www.repubblica.it/esteri/2012/12/28/news/india_in_fin_di_vita_ragazza_stuprata_da_branco-49555220/

Questa povera ragazza non solo è stata brutalmente violentata da 6 uomini. È stata picchiata in testa con una sbarra di ferro e le hanno danneggiato irreparabilmente gli organi interni con la suddetta sbarra. Un abominio, un abominio non ignoto nel “civile” Occidente, dove si sono usate anche bottiglie di vetro rotte.

[In India] è la vittima che deve subire l’onta e l’ostracismo sociale”, ha dichiarato Ranjana Kumari, direttore del Centro di Delhi per la Ricerca Sociale e membro della commissione nazionale per i diritti delle donne. “Non può sposarsi, per esempio. Questo farà in modo che lo stupratore si vergogni [sic!]. Non gli sarà possibile ottenere un posto di lavoro, o un posto dove vivere e sarà tagliato fuori dalla società. Si tratta di un potente deterrente”.

[…].

All’inizio di questa settimana, Abhijit Mukherjee, un parlamentare figlio del presidente, è stato costretto a chiedere scusa dopo aver definito le manifestanti “donne dipinte” che “hanno pochi legami con la realtà concreta” e non “hanno niente di meglio da fare”. L’incidente ha messo in luce spaccature profonde all’interno della società indiana. Descritte come “provocazioni femminili”, le molestie sessuali è endemico e la colpa dello stupro ricade sistematicamente sulle donne, considerate irresponsabili e inclini ad un comportamento “non-indiano”.

http://www.guardian.co.uk/world/2012/dec/28/india-name-shame-sex-offenders#comment-20281341

Questa è anche la ragione per cui molte donne indiane vittime di stupro “scelgono” di suicidarsi piuttosto che continuare a vivere con lo stigma dell’ “impurità”, dell’essere state “contaminate”, che è parte integrante della mentalità patriarcale che incolpa la vittima in luogo dell’aggressore. È questa mentalità, la mentalità fascista che divide le donne in angeli o puttane, ma comunque sempre strumenti, giocattoli e proprietà dell’uomo. Una mentalità che non sarebbe mai dovuta essere tollerabile, e non solo in India.

Quante prostitute in Italia subiscono violenze perché sono considerate Untermenschen; e non possono difendersi e ben pochi sono pronti a credere che siano state violentate, visto il mestiere che fanno?

Perché la notizia che un noto conduttore televisivo inglese ha violentato 400 bambine e bambini non ha scatenato una furiosa autoanalisi nella società inglese e in tutto l’Occidente?

https://versounmondonuovo.wordpress.com/category/pedofilia-2/

Come si inserisce in questa problematica il noto bestseller “Cinquanta sfumature di grigio” che rende “appetibile” la relazione morbosa tra un “vampiro” sociopatico ed una “crocerossina”?

http://www.diariodipensieripersi.com/2012/07/cinquanta-sfumature-di-nero-quando-la.html

Il marito dell’autrice pubblicherà un’opera analoga, ma per adolescenti (i consumatori vanno allevati)

http://www.joplinglobe.com/enjoy/x1483812486/Lee-Duran-Erotic-literature-fuels-publishing-world

Mi sembra sempre più chiaro che questa società, che si crede così avanzata, emancipata, progressista, illuminata, sia tragicamente retrograda. Non volendo però affrontare il suo degrado, cerca dei comodi capri espiatori. Come il famigerato prete misogino, molto probabilmente una persona che necessita di cure specialistiche, tali sono le ossessioni che affliggono i suoi discorsi, i suoi pensieri, persino le sue interviste giornalistiche.

C’è un problema più vasto: noi uomini facciamo fatica ad accettare la diversità femminile quando non ci torna comoda. Troviamo spiacevole dipendere da una donna, essere considerati inferiori rispetto ad una donna.

Se una donna si candida per una carica importante, non è quasi mai presa davvero sul serio

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/14/donata-borgonovo-re-presidente-del-trentino-nel-2013-la-mia-scelta-per-un-mondo-nuovo/

A meno che non abbia dato prova di essere inflessibile (lady di ferro) come la Thatcher, o una spietata valchiria come la Merkel, o una figura semi-angelica come Aung San Suu Kyi. Il modo in cui l’establishment indiano tratta Arundhati Roy è particolarmente emblematico, ma anche la trasformazione subita da Hillary Clinton, che con gli anni è diventata un superfalco ed ha perso la sua umanità, fino ad arrivare alla salacità psicopatica con cui ha commentato il linciaggio di Gheddafi.

Il fatto è che non c’è un luogo del mondo in cui donne e uomini sono uguali o sono percepiti come tali (figuriamoci i bambini!). Eppure l’umanità, la nostra civiltà, se vuole sopravvivere, ha bisogno di società eque, dove le risorse, le energie, la dignità siano riconosciute equamente a uomini e donne. Più di tutto, dobbiamo costruire società in cui la violenza – psicologica e fisica e non solo verso le donne – sia tenuta sotto controllo, società in cui l’aggressività possa trovare sbocchi costruttivi e creativi (come succede nell’arte o nella ricerca tecnologica e scientifica, se non è pensata per applicazioni belliche) in ogni ambito della vita.

Iside cerca Osiride, come lo yin cerca lo yang. Dovrebbero trovarsi, in equilibrio.

Scrive il sociologo Marco Deriu, sul Manifesto (“La tv e l’uomo che non c’è“, 7 marzo 2012): “Insistere sulla vittima, lasciando sullo sfondo l’autore, permette infatti di “demonizzare” o “disumanizzare” l’uomo violento. “Chi picchia una donna non è un uomo”, taglia corto una pubblicità sociale. Sospetto che per molti sia meno problematico mantenere un’immagine disumana o bestiale di questi individui piuttosto che prendere atto della profonda ambivalenza presente in molti uomini, compagni o padri nei quali possono convivere e alternarsi affetto e risentimento, protezione e minaccia, fragilità e violenza, bisogno e negazione dell’alterità.

Nei pochi casi in cui nella comunicazione sociale sul problema della violenza ci si rivolge apparentemente (anche) agli uomini, spesso lo si fa riattivando stereotipi e contribuendo a rendere più difficili le cose. “Gli uomini picchiano le donne” sentenziava senza tanti distinguo un manifesto politico qualche tempo fa. Un’altra pubblicità mostrava “Mario e Anna” un bambino e una bambina di pochi anni, nudi, con ai piedi la didascalia “Carnefice” e “Vittima”, come se fossero già predestinati a diventare persecutori e prede. Si tratta di generalizzazioni che rischiano paradossalmente di “naturalizzare” la violenza maschile e di impedire invece di domandarsi in profondità perché alcuni (molti) uomini sono violenti e (molti) altri no. D’altra parte affermare, come fanno molte campagne, “I veri uomini non stuprano”, “I veri uomini non picchiano” ecc… non rischia di riconfermare l’idea di virilità unica e assiomatica anziché aiutare gli uomini a rivendicare la loro soggettività e la loro responsabilità aprendo un confronto tra forme di maschilità differenti?

E ancora, molte campagne insistono sulla violenza compiuta, sugli effetti fisici e psicologici più evidenti, mettendo in primo piano lividi, tumefazioni, ossa rotte, umiliazioni. Che effetto dovrebbero avere simili campagne sugli uomini? Siamo sicuri di riuscire a stabilire una comunicazione in questo modo? O non creiamo l’effetto inverso di presa di distanza e di allontanamento?

Occorre immaginare una forma di comunicazione che abbia il coraggio di assumere gli uomini come interlocutori reali, nel bene e nel male. Perché senza un loro impegno non è possibile affrontare il problema della violenza maschile sulle donne”.

http://maschileplurale.it/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=533:mar-2012-qla-tv-e-luomo-che-non-ceq-di-mderiu&catid=16:25-novembre&Itemid=18

Prossima mossa neoliberista: chi non paga abbastanza tasse perde il diritto di voto (George Monbiot sul Guardian)

Ogni volta che sul Fatto Quotidiano o su qualunque altro quotidiano o rivista leggerete un articolo di supporto agli studi dell’Istituto Bruno Leoni – che è un covo di neoliberisti assatanati ed orgogliosi di esserlo – ricordatevi della seguente analisi di George Monbiot, uno dei giornalisti britannici più quotati ed uno dei pochi che si può ancora permettere di criticare l’establishment.

“Sovvertire significa rovesciare dal basso. Abbiamo bisogno di una nuova parola, che significhi rovesciare dall’alto. La principale minaccia per lo Stato democratico e le sue funzioni non è il governo della masse o un’insurrezione di sinistra, ma è costituita dai più ricchi e dalle multinazionali sotto il loro controllo.
Queste forze hanno affinato la loro strategia di assalto alla gestione democratica della società. Non c’è più bisogno – come invece facevano Sir James Goldsmith, John Aspinall, Lord Lucan e altri negli anni Settanta – di discutere la possibilità di lanciare un colpo di stato militare contro il governo britannico: i plutocrati hanno altri mezzi di sovvertirlo.

Nel corso degli ultimi anni ho cercato di capire meglio in che modo le esigenze delle grandi imprese e dei più ricchi vengano implementate nelle politiche statali, e sono arrivato a capire il ruolo centrale dei think tank neoliberisti in questo processo. Questi sono gruppi che pretendono di difendere il libero mercato, ma le cui proposte spesso appaiono come raccomandazioni per un più ampio potere delle imprese.

David Frum, ex membro di uno di questi think tank – l’American Enterprise Institute – sostiene che “funzionano sempre più come agenzie di pubbliche relazioni”. Ma in questo caso, non sappiamo chi siano i clienti. Come il lobbista Jeff Judson ribadisce entusiasticamente, sono “virtualmente immuni da qualsiasi punizione … l’identità dei finanziatori dei think tank è protetta dall’anonimato”. Un consulente che ha lavorato per i miliardari fratelli Koch [i responsabili della creazione del movimento Tea Party, quello di Oscar Giannino] sostiene che vedono il finanziamento dei think tank “come un modo per ottenere quello che vogliono senza sporcarsi le mani”.

Questo mi era già chiaro, ma negli ultimi giorni ho imparato molto di più. In Think Tank: la storia dell’Adam Smith Institute [Think Tank: the story of the Adam Smith Institute], il fondatore dell’Istituto, Madsen Pirie, fornisce una guida, involontaria ma inestimabile, su come opera realmente  il potere in Gran Bretagna.

Poco dopo la sua fondazione (nel 1977), l’istituto si avvicinò a “tutte le principali aziende”. Circa 20 di loro risposero con l’invio di assegni. Il suo sostenitore più entusiasta fu James Goldsmith, uno degli aspiranti golpisti, una degli speculatori più spietati del suo tempo. Prima di fare una delle sue donazioni, scrive Pirie, “ascoltò con attenzione la descrizione del nostro progetto, i suoi occhi brillavano per la sua audacia e la sua scala. Poi ci fece consegnare dalla sua segretaria un assegno di 12mila sterline [sterline degli anni Settanta!]”.

Fin dall’inizio, giornalisti veterani del Telegraph, Times e Daily Mail offrirono volontariamente i loro servigi. Ogni sabato, in una vineria chiamata “the Cork and Bottle”, i ricercatori di Margaret Thatcher e gli editorialisti e giornalisti del Times e Telegraph incontravano il personale dell’Adam Smith Institute e dell’Institute of Economic Affairs. Durante il pranzo, “pianificavano la strategia per la settimana successiva”. Queste riunioni “coordinavano le nostre attività per massimizzare la nostra efficacia collettiva”. I giornalisti poi si incaricavano di tradurre in editoriali le proposte dell’istituto mentre i ricercatori s’incollavano ai ministri ombra.

Molto presto, riferisce Pirie, il Mail iniziò a pubblicare articoli di sostegno volta che l’Adam Smith Institute pubblicava qualcosa. L’allora direttore del giornale, David English, curava in prima persona la loro stesura ed aiutava l’istituto a migliorare le sue argomentazioni.

[…]

Pirie si prende, tutto o in parte (e fornisce un mucchio di prove a sostegno) il merito della privatizzazione delle ferrovie e di altre industrie, dell’appalto di servizi pubblici a società private, dell’imposta procapite (indipendente dal reddito e quindi favorevole ai ricchi), della vendita di case popolari, delle liberalizzazioni nel campo dell’istruzione e della sanità, della creazione di penitenziari privati e, successivamente, delle politiche fiscali dell’attuale governo Cameron [neoliberista].

Pirie, restando anonimo, scrisse anche il manifesto dell’ala neoliberista del governo Thatcher, “No Turning Back”.

[…]

Successivamente Monbiot stabilisce un parallelo con il think tank neoliberista “Free Enterprise Group”, che ha raccolto il testimone.

“Ancora una volta la stampa ha risposto alla chiamata. Il Telegraph ha commissionato una serie di articoli che promuovono lo stesso desolante programma a base di meno tasse per i ricchi, meno assistenza ai poveri e meno regolamentazione delle attività delle imprese. Un altro articolo sullo stesso giornale, pubblicato una quindicina di giorni fa dal responsabile delle questioni finanziarie dell’istituto Ian Cowie, propone che non sia prevista alcun rappresentanza per chi non paga le tasse. In pratica chi non paga abbastanza tasse sul reddito perderebbe il diritto al voto.

Considero queste persone come gli avanguardisti della destra, mobilitati per sfasciare prima e assumere il controllo poi di un sistema politico che è stato concepito per appartenere a tutti noi. Come sovversivi marxisti, parlano spesso di rompere le cose, di “distruzione creativa”, di spezzare le catene e togliere il guinzaglio. Ma pare che stiano più che altro tentando di liberare i ricchi dai vincoli della democrazia. E al momento stanno vincendo.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/oct/01/rightwing-insurrection-usurps-democracy

Qui un’altra traduzione in italiano, con il testo completo:

http://znetitaly.altervista.org/art/7947

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Sul potere e le “profezie” dei think tank

http://www.informarexresistere.fr/2012/10/12/la-perniciosa-influenza-planetaria-delle-fondazioni-e-think-tank-degli-stati-uniti/#axzz29HXJDac0

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/15/il-futuro-visto-da-un-think-tank-della-rockefeller-foundation/

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