Dreyfus 2013, ovvero Dzhokhar Tsarnaev, il miracolato

https://twitter.com/stefanofait

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Mentre la rivista Rolling Stones si premura di trasformare Tsarnaev in una celebrità di culto ed un oggetto di emulazione, una foto fatta circolare incautamente da un sergente che si era indignato per la suddetta copertina e che è già stato sospeso dal servizio, rivela che il famoso squarcio alla gola era l’ennesima menzogna delle forze dell’ordine

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“Ferito alla gola, il giovane comunica con gli inquirenti per iscritto” (Repubblica)

“Il giovane ha riportato ferite di arma da fuoco alla gola e a una gamba e ha perso molto sangue prima di essere catturato dagli agenti” (Adnkronos)

“Una ferita alla gola, che si era procurato forse nel tentativo di suicidarsi” (Il Post).

“Rimasto gravemente ferito, non può parlare a causa di una ferita da arma da fuoco alla gola(Adnkronos)

“Tsarnaev è grave ma stabile” (governatore del Massachusetts, Deval Patrick)

Constatiamo che l’ENORME ferita al collo di Dzhokhar non c’era al momento dell’arresto, quindi è stata inflitta successivamente mentre era in custodia. L’imputato, che in teoria era in fin di vita, è uscito dalla barca sulle sue gambe e senza essere coperto di sangue, per poi consegnarsi alla polizia.

Stando alla versione ufficiale, il più giovane dei Tsarnaev ha confessato di essere responsabile dell’attentato usando una penna trovata nella barca scrivendo mentre crivellavano di colpi la suddetta barca in una sparatoria (con una mano spara, con l’altra scrive?).
Il commissario di polizia di Boston aveva prima parlato di sparatoria, poi aveva informato i media che il fuggitivo era disarmato, DOPO che un’audioregistrazione di un vicino dimostrava che solo la polizia aveva sparato!).

Dopo di che un componente degli SWAT aveva riferito che quello alla gola sembrava “più un taglio che una ferita da arma da fuoco”.

Pinocchio e Goebbels erano dei dilettanti!

L’americano di origini cecene era in condizioni critiche, tanto che all’inizio circolava la voce che non sarebbe più riuscito a parlare perché le sue corde vocali erano state compromesse.

Aveva però lasciato un biglietto all’interno della barca “confessando tutto”, come aveva precedentemente fatto con un ostaggio che però si è volatilizzato dopo essere stato lasciato libero e incolume dai due “terroristi”, ma non prima di aver riferito a qualcuno della confessione (un’auto-incriminazione totalmente immotivata e senza senso da parte dei due fuggitivi).

Poi al processo Dzhokhar si è proclamato innocente. In genere gli jihadisti sono più che orgogliosi di prendersi la responsabilità per un “lavoro ben fatto”. Ma il nostro, che nel frattempo ha acquistato un accento russo che i suoi amici e compagni di scuola negano che avesse prima del giorno dell’attentato

http://it.notizie.yahoo.com/maratona-boston-imputato-dzhokhar-tsarnaev-aula-non-sono-201647907.html

è l’unico superstite dell’operazione terroristica, dopo che un altro sospettato, che aveva cominciato a scrivere una confessione, è morto sotto i colpi degli agenti in Florida

http://www.guardian.co.uk/world/2013/may/22/fbi-man-shot-florida-tsarnaev-brothers#comment-23804874

l’altro fratello, Tamerlan, teoricamente schiacciato e ucciso dal fratellino in fuga su un SUV dopo che si era arreso (!) è stato convenientemente ricollegato a un triplo omicidio di ebrei avvenuto, tra tutte le date possibili, l’11 settembre del 2011

http://rt.com/usa/tsarnaev-suspected-2011-murder-978/

Questa processo farà sembrare l’affare Dreyfus una cerimonia di consegna del premio Nobel.

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Questi eventi, come quelli che circondano il nodo “Snowden+scandalo LIBOR+imperialismo americano” (sintesi di Max Keiser qui), vanno letti alla luce della probabile crisi internazionale legata all’inabilità di controllare le transazioni finanziarie (sp. derivati) sia da un punto di vista legale
http://www.valori.it/finanza/finanza-fuori-controllo-fino-75-transazioni-4218.html
sia da un punto di vista tecnico (istantaneità per aumentare profitti è ingestibile: i computer operano autonomamente, una specie di skynet finanziaria):
http://www.wired.com/business/2012/08/ff_wallstreet_trading/all/

e della reale situazione degli Stati Uniti d’America, la più grande economia mondiale:

http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_bank_failures_in_the_United_States_%282008%E2%80%93present%29

http://www.wallstreetitalia.com/article/1505883/alert/bomba-derivati-banche-americane-grandi-piu-dell-intero-pil-usa.aspx

Il debito nazionale americano è ora più grande del PIL annuo. L’unico modo che hanno gli USA per cavarsela è…non rimborsarlo. Un attacco terroristico + guerra [Oceania/NATO, Eurasia/Russia ed Estasia/Cina – cf. Orwell]

http://it.wikipedia.org/wiki/1984_%28romanzo%29

e un po’ di caos interno “controllato” sarebbero la situazione ideale per farlo.

Farebbe comodo anche alla Germania, la cui maggior banca non è meno “morta vivente” delle sue consorelle americane:

http://www.rischiocalcolato.it/2013/04/zh-deutsche-bank-prima-banca-al-mondo-per-esposizone-in-derivati-55-605-miliardi-di-euro.html

http://www.wallstreetitalia.com/article/1556990/finanza/ecco-a-voi-la-banca-esposta-ai-derivati-per-73-trilioni.aspx

http://www.repubblica.it/economia/finanza/2013/07/11/news/nubi_scure_sulla_contabilit_di_deutsche_bank_miliardi_di_prestiti_opachi_da_mps_al_brasile-62786625/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/01/derivati-antitrust-ue-contro-13-banche-dinvestimento-tra-cui-goldman-e-duetsche/642594/

http://www.ilgiornale.it/news/economia/deutsche-bank-nella-tempestaa-bundesbank-avvia-unindagine-902680.html

Quando le maggiori banche anglo-tedesco-americane termineranno i loro giorni – ed è solo una questione di tempo, ma non prima della vittoria elettorale di Angela Merkel – tutto il castello di carte che hanno eretto per prenderci per i fondelli dagli anni Settanta in poi crollerà.

E nel contempo faremo la fame (cambiamento climatico = crisi alimentare/inflazionistica)
http://www.guardian.co.uk/business/2013/jul/21/tesco-boss-cheap-food-over

il che significa rivolte in tutto il mondo, come avevo “profetizzato” qui:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/24/nostradamus-revolution-previsioni-per-il-2013-e-2014/

Gli americani se la passeranno peggio di tutti, perché si sono lasciati trasformare in pupazzetti inebetiti dai media e dall’industria alimentare:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/20/informazioni-sui-presunti-bombaroli-di-boston-che-non-troverete-sul-corriere-della-sera/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/22/stati-uniti-di-polizia-la-fase-finale-della-guerra-al-terrore-e-cominciata/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/25/boston-toronto-solo-un-aperitivo/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/05/01/sei-un-terrorista-si-tu/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/23/reichstag-o-golfo-del-tonchino-tutti-e-due-un-ripassino-sul-futuro-delloccidente/

Il paradiso fiscale cipriota e le basi inglesi sull’isola

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«Non siamo venuti fin qui ad infliggervi discorsi moralistici. No, queste argomentazioni funzionano solo quando si è su un piano di parità; se c’è disparità di forze come in questo caso, i più forti esigono e i più deboli abbozzano; ora siamo qui ad offrirvi un patto che garantisca i nostri interessi, e la salvezza vostra».

Al ché gli isolani obiettarono: «E come potrebbe convenire a noi esser dominati mentre voi dominate?»

Dialogo tra gli Ateniesi e i Meli (Tucidide)

Tutto molto melodrammatico, però i ciprioti non sono i meli e i tedeschi non sono gli ateniesi. I tedeschi non sono neanche nazisti, i russi non sono mafiosi e l’Unione Europea non ha suggerito nulla di diverso da quel che propone il governo neozelandese per salvare una banca locale. I Ciprioti sono relativamente ricchi, per gli standard della regione, solo grazie al fatto che sono diventati un paradiso fiscale. Se perdesse quello status, l’isola andrebbe in rovina. Perché gli elettori non hanno detto nulla quando i loro governi cedevano il controllo della loro economia alle banche ed agli investitori/speculatori internazionali? (e perché non l’hanno fatto gli inglesi, che pur con la sterlina svalutata di quasi un terzo registrano un calo nelle esportazioni, avendo un’economia completamente finanziarizzata?)

Le nazioni dell’eurozona e l’FMI erano disposti ad accettare che i piccoli risparmiatori fossero esentati dalla tassa straordinaria, che avrebbe colpito solo i depositi oltre i 100mila euro. Era una misura abbastanza ragionevole (N.B. l’unica soluzione seria sarebbe una sospensione del pagamento dei debiti, una verifica dei conti, l’introduzione di una Tobin Tax all’1% e la proibizione dei credit default swaps) che colpiva i ricchi e gli elusori stranieri. Invece i parlamentari hanno votato contro, esaudendo il desiderio del governatore della banca centrale cipriota:

La proposta di maggiore tutela per i piccoli risparmiatori – sostenuta dall’Eurogruppo – è rifiutata da Anastasiades, che teme il fuggi fuggi dei correntisti stranieri, soprattutto degli oligarchi russi che hanno scelto Cipro come loro rifugio fiscale. E non trova il sostegno di Panicos Demetriades, il governatore della Banca Centrale.

E’ prevedibile che alla riapertura dei conti ci sarà comunque una fuga di capitali dall’isola, ormai “insicura”: il danno è fatto, ma era solo una questione di tempo. Così anche questa volta i furbi se la cavano senza pagare dazio e sarà pantalone a pagare per tutti. Saranno i soliti dipendenti pubblici a pagare al posto dei ricchi, che troveranno un altro paradiso fiscale europeo in cui depositare i loro fondi. C’è poco da esultare, ma gli eurofobi tripudiano!

Questo non significa che tedeschi, austriaci e finlandesi siano innocenti: hanno scelto la strada del cappio al collo che li sta spingendo in recessione, quando dei compromessi sull’entità del debito e le modalità di pagamento avrebbero garantito la crescita dei paesi dell’eurozona e quindi l’arricchimento dei paesi del nord. E’ chiaro che la Merkel non ha l’interesse tedesco al centro dei suoi pensieri. Per chi lavora?

Sarebbe anche interessante capire come mai il governo Cameron sia dovuto intervenire direttamente per pagare i salari dei soldati inglesi di stanza a Cipro. Cosa ci fanno così tante truppe inglesi a Cipro? Non è già finita la Guerra Fredda? (risposta: Cipro non è ancora ufficialmente un avamposto NATO, ultimo tassello per il controllo del Mediterraneo, ma…)

A chi interessano il gas cipriota e le basi navali dell’isola? Solo ai Russi ed all’Unione Europea?
http://www.eilmensile.it/2012/05/21/cipro-20mila-soldati-israeliani-per-proteggere-il-gas/

Finché la gente non comincerà ad informarsi e a votare dei galantuomini pronti a discutere dello stato di salute delle banche nazionali e della loro regolamentazione, se la continuerà a prendere in quel posto e sarà co-responsabile di ciò che le accadrà (es. quanto stupida è stata la decisione di abolire le imposte di successione, l’unico modo in cui si possono recuperare e ridistribuire i soldi dei ricchi, che in qualche modo devono pur trasmetterli agli eredi? Invece ciascuno ha pensato ai suoi risparmi e ha favorito i Berlusconi del mondo).

*****

Anche questa volta nessuna grande banca sarà punita.

Non le ha punite Obama, non le ha punite Cameron, non le ha punite Monti, non le ha punite la Merkel, non le ha mai punite il governo di Cipro.

Citibank e HSBC hanno riciclato denaro sporco per narcotrafficanti e terroristi e lo hanno fatto per anni, infischiandosene delle vibrate proteste del governo americano:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-07-21/ragnatela-hsbc-narcos-terroristi-081118.shtml?uuid=AbJvPGBG

Qualcuno è stato punito?

Hanno imboccato la retta via, pentiti delle loro malefatte?

Citibank nel 2001

http://www.wallstreetitalia.com/article/19222/usa-denaro-sporco-abbonda-nelle-banche.aspx

Citigroup nel 2013, assieme a Deutsche Bank e agli altri allegri compagni della banda del buco e dei titoli tossici da rifilare a stati ed amministrazioni locali (c’è anche il Vaticano, naturalmente):

Buchi di bilancio, bilanci forse truccati, polizze inesigibili e altre frodi. “Deutsche Bank inghiotte carichi da $4 miliardi per ripulirsi”, titola Reuters. Credit Agricole idem, e perde anche di più, le megabanche inglesi nella bufera, collezionano scandali uno dopo l’altro. Le americane continuano a patteggiare. Indagini e cause dilagano. Multe e risarcimenti pure. Ma poi…?

http://www.lastampa.it/2013/02/03/blogs/underblog/banche-deutsche-bank-e-dintorni-un-fiorire-di-indagini-frodi-multe-e-perdite-GOphmTyNr19GVrhF1am76K/pagina.html

E CIPRO, IN TUTTO QUESTO?

La Germania aveva detto: nessun bail out per le banche cipriote, perché i soldi finirebbero nelle tasche di magnati russi ed inglesi.

Hanno ragione da vendere. È però interessante notare la disparità di trattamento riservata dai tedeschi ai ciprioti rispetto ad altri paradisi fiscali e centrali di riciclaggio europee come Svizzera, Guernsey, Lussemburgo, Lituania, ecc.

In quanto al riciclaggio, la stessa Germania è messa  peggio di Cipro in relazione a normative, trasparenza, corruzione e stato di diritto:

http://index.baselgovernance.org/Index.html#ranking

Si dovrebbe aggiungere che le banche di Cipro hanno agito in collaborazione con altre banche europee intoccabili. Le autorità russe hanno fatto sapere di esserne al corrente nel 2009, quelle cipriote nel 2008. Le autorità bancarie europee lo dovevano sapere da molti anni. Nulla è stato fatto. Non mi risulta che ci sia stato alcun movimento cipriota contro la trasformazione del proprio paese in un paradiso fiscale. Ora le cose vanno male? Fatti vostri. Pagate!

Lo stesso vale per l’Irlanda: ora la sua economia è interamente dipendente dalla disponibilità delle multinazionali di mantenere lì le loro sedi. Quanti Irlandesi hanno protestato per questo stato di cose?

La Lettonia, il fiore all’occhiello dell’economia neoliberista, in pieno crollo demografico e migratorio, ma invasa dai capitali mafiosi e dei magnati elusori, senza che la cosa sollevi delle preoccupazione nell’Unione Europea. Proteste di massa dei lettoni? Nessuna.

A Cipro, in Irlanda, in Lettonia nessuno ha visto niente, nessuno ha sentito niente, nessuno ha detto niente.

*****

Vi è un debito privato elevatissimo: il debito delle famiglie cipriote è pari al 170,9% del reddito disponibile lordo, a fronte di una media del 99,8% per l’area-euro nel suo insieme; il debito delle imprese non finanziarie è pari al 156% del PIL, a fronte del 103,8% della media dell’area-euro. Questa condizione di elevatissimo debito privato, in una fase in cui l’economia decelera, per cui il PIL nazionale è in costante diminuzione da giugno 2011 ad oggi, e nel 2012 ha accusato un calo, in termini reali, del 3,3%, è una vera e propria bomba ad orologeria per il sistema bancario dell’isola, perché, non generandosi risorse aggiuntive per ripagare il debito, l’elevatissima esposizione di famiglie ed imprese rischia di tradursi in una catena di insolvenze tale da mettere in ginocchio l’intero sistema….Per un Paese che deve il suo benessere economico agli ingenti flussi di denaro che entrano nel suo circuito bancario…una misura come quella del prelievo forzoso sui depositi bancari è semplicemente la fine. Senza contare che gli aiuti dell’ESM contribuiranno a far salire fino al 107% del PIL un debito pubblico che finora era dell’84,4%, creando le basi per un successivo attacco speculativo sui titoli del debito pubblico nazionale, il cui conseguente calo nelle quotazioni danneggerà ulteriormente l’attivo patrimoniale delle banche cipriote che li detengono…La soluzione avrebbe dovuto essere quella di disincentivare i flussi di capitale in entrata puramente finanziari, incentivandone un utilizzo produttivo…Infine, un serio controllo internazionale sull’effettiva applicazione delle normative di trasparenza bancaria e di antiriciclaggio solo formalmente condivise da Cipro, e severe sanzioni, ad esempio nei trasferimenti finanziari di varia natura che la Ue eroga per tale Paese, servirebbe per contribuire ad eliminare l’anomalia cipriota, senza distruggerne l’economiaIl sospetto è che dietro a tale manovra non vi siano interessi economici, ma eminentemente politici e strategici…Ma ciò che colpisce negativamente, in questa vicenda per certi versi esemplare, è la totale assenza di una qualsiasi capacità, da parte della Trojka, di condurre politiche economiche che siano effettivamente mirate non alla distruzione, ma alla ricostruzione su basi più robuste della pericolante economia europea e del suo fragile sistema creditizio. Non è su queste basi che sarà possibile uscire dalla crisi con un’Europa più unita e coesa. Non sono queste le politiche che possono costruire un percorso di unificazione politica europea condiviso e accompagnato dai popoli, e non disegnato a tavolino da una élite.

http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2013/03/cipro-ed-il-prelievo-forzosoquestioni.html

Abbiamo esaurito le scorte di papi?

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Solo il Signore può licenziare da Papa.
Ratzinger a Porta a Porta

È come se Benedetto XVI avesse cercato di emancipare il papato e la Chiesa cattolica dall’ipoteca di una specie di Seconda Repubblica vaticana; e ne fosse rimasto, invece, vittima…. si parla del contenuto «sconvolgente» del rapporto segreto che tre cardinali anziani hanno consegnato nei mesi scorsi a proposito di Vatileaks … Si fa notare che da oltre otto mesi lo Ior, l’Istituto per le opere di religione considerato «la banca del Papa», è senza presidente dopo la sfiducia a Ettore Gotti Tedeschi… E continuano a spuntare «buchi» di bilancio a carico di istituti cattolici, dopo la presunta truffa milionaria a danno dei Salesiani: un episodio imbarazzante per il quale il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha inutilmente cercato la solidarietà e la comprensione della magistratura italiana….Bertone ha chiesto di incontrare per una decina di minuti il capo dello Stato Giorgio Napolitano prima della festa in ambasciata di oggi pomeriggio.

Massimo Franco, Corriere della Sera, 12 febbraio 2013

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1S5CDG

A indicare la data fatidica del 2012 è stato il gesuita René Thibautg nel libro “La misterieuse prophétie des Papes”, del 1951. Thibautg cita un professore di Oxford, Sanders, che già nel 1571 aveva fissato al 2012 la distruzione di Romae il giudizio finale. Sanders a sua volta fa riferimento all’ ultima delle 112 profezie del monaco irlandese Malachia relativa all’ ultimo papa, che sarà eletto dopo Benedetto XVI come Pietro II. Stavolta però i conti non tornano: non solo perché Ratzinger gode ottima salute, ma anche perché la profezia di Malachia dovrebbe avverarsi nel 2026, l’ anno indicato pure da Michel Nostradamus per l’ avvento dell’ Anticristo e la distruzione di Roma. È quindi probabile che certi profeti da quia tre anni saranno smentiti; accanto alle loro, però, hanno preso consistenza altre profezie. La Vergine a La Salette nel 1846 annuncia ai pastorelli Massimino e Melaina: «Roma sparirà e il fuoco cadrà dal cielo». Nel 1886, il sensitivo Blanchard racconta la distruzione di San Pietro; don Bosco nel 1870 profetizza a Pio IX quattro sventure di Roma: «Nella prima saranno percosse le terre e gli abitanti (forse la caduta di Roma papale). Nella seconda la strage e lo sterminio sarà sulle tue mura (forse la Seconda guerra mondiale). La terza volta al comando del Santo Padre subentrerà il regno del terrore, dello spavento, della desolazione. La quarta volta il tuo sangue e quello dei tuoi figli laveranno le macchie che tu fai alla legge di Dio». E anche suor Imelda nel 1872 vede in un futuro imprecisato Roma «coperta di macerie».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/22/nostradamus-malachia-tanti-profeti-della-distruzione-di.html

L’elezione unanime da parte del Sacro Collegio di un semplice monaco eremita, completamente privo di esperienza di governo e totalmente estraneo alle problematiche della Santa Sede, può forse essere spiegato dal proposito attendista di tacitare l’opinione pubblica e le monarchie più potenti d’Europa, vista l’impossibilità di eleggere un porporato su cui tutti fossero d’accordo…il monaco, forse anche intimorito dalla potenza della carica, inizialmente oppose un netto rifiuto che, successivamente, si trasformò in un’accettazione alquanto riluttante, avanzata certamente soltanto per dovere d’obbedienzaIl 28 aprile 2009 Benedetto XVI, visitando la basilica duramente colpita dal terremoto di qualche giorno prima, pose sull’urna (una teca di cristallo) di Celestino V il suo pallio pontificio in ricordo della visita.

http://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Celestino_V

Un papa che non informa neppure le persone a lui più vicine delle sue intenzioni e si dimette nella più banale e perciò imprevedibile delle occasioni, che cosa ci dice sulla situazione in Vaticano?

Come bisogna leggere questa notizia se non come un’evasione?

Non voleva essere papa e sa benissimo cosa sta per succedere. Lo scandalo finanziario che sta per colpire il Vaticano (e che coinvolgerà anche molti risparmiatori) sarà epico e darà la stura a molti altri scandali. Il prossimo papa regnerà sulle rovine metaforiche del potere pontificio. Ci saranno omicidi e suicidi eccellenti, la lotta di potere esploderà ancora più virulenta.
Non c’è nulla di originale o sconvolgente in questa tesi. In pochi minuti di ricerche in rete lo arriva a capire chiunque. Il processo è inevitabile e si tratta solo di aspettare.

È arrivato il momento in cui il Vaticano imploderà sotto il peso di tre scandali:

1. riciclaggio del denaro sporco e mafierie varie;

2. omicidi/suicidi eccellenti;

3. pedofilia.

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Cadono 2 fulmini (!!!) sulla cupola di San Pietro proprio il giorno delle dimissioni. Un presagio?

RICICLAGGIO E REATI FINANZIARI ASSORTITI

“Prima la fuga di documenti di monsignor Caiola che consentirono a Nuzzi di scrivere il suo libro e che ha rivelato la prosecuzione dello Ior parallelo, che si credeva finito già anni prima. Poi a raffica gli scandali Fiorani, Anemone, Roveraro e riciclaggi vari. Poi l’inchiesta della Procura romana sui movimenti dello Ior presso la Jp Morgan e le pressioni della finanza mondiale perché lo Ior regolarizzasse la sua posizione giuridica (formalmente esso non è una banca e non è soggetto ai controlli internazionali del sistema bancario).

Conseguentemente, Benedetto XVI, dopo aver imposto Gotti Tedeschi (uomo dell’Opus Dei) a capo dello Ior (sino a quel punto più vicino all’ala massonica del “sacro collegio”), decise,  a fine 2010, di aderire alla convenzione monetaria Ue, accettando l’applicazione delle norme antiriciclaggio. Quel che non servì ad evitare nuovi scandali su sospetti movimenti di capitali. A proposito: nella stranissima vicenda dei falsi titoli di Stato americani, che girano dal 2009, il nome dello Ior spunta in 6 casi su 11. Forse solo un caso.

Poi continuò implacabile la fuga di documenti per tutto il 2011-12 dietro la quale non era difficile intravedere lo scontro fra gli uomini dell’Opus e quelli della “Loggia” vaticana. Al punto che, nel maggio dell’anno scorso, Gotti Tedeschi rassegnava le dimissioni, dando il via ad un aperto scontro in seno alla commissione cardinalizia presieduta dal cardinal Bertone, segretario di Stato. Da allora lo Ior non ha un presidente effettivo.

Il prossimo 23 febbraio occorrerà riformare la commissione cardinalizia, con l’uscita dei cardinali Attilio Nicora e Laois Tauran (grande amico di Gotti Tedeschi) entrambi assai polemici con Bertone. In queste stesse settimane il nome dello Ior è tornato all’onore (si fa per dire: onore!) delle cronache per l’acquisizione di Anton Veneta da parte del Monte dei Paschi di Siena e tutto fa pensare che altro verrà fuori, nonostante la scontata smentita vaticana”.

http://www.aldogiannuli.it/2013/02/dimissioni-papa/

“La Consob americana e tedesca alle costole, per speculazioni con mutui, tassi d’interesse e derivati. La Bundespolizei negli uffici, per sospetto di frodi fiscali e riciclaggio. Infine, un buco gigante di quasi 3 miliardi di dollari (2,2 miliardi di euro) in perdite appurate, solo nell’ultimo trimestre del 2012.

Se le rivelazioni alla Sec (l’autorità di controllo sulle società del governo americano) di tre dipendenti silurati si dimostrassero vere, potrebbe essere la punta dell’iceberg di un rosso abissale mascherato negli anni, pari a oltre 12 miliardi di dollari.

La Deutsche Bank, il maggiore gruppo bancario dell’Unione europea, resta un monolite della finanza in Germania. Ma è sempre meno difendibile e intoccabile, anche dagli inquirenti di Berlino. E non solo per il maxi-derivato Santorini da 1,5 miliardi di euro, disegnato su misura nel 2008 per il Monte dei Paschi di Siena, così da coprire – speculandoci sopra – i bond in pancia all’istituto toscano.

[…]

A Roma, Bankitalia vigila anche su un sospetto flusso di riciclaggio in Vaticano, attraverso pagamenti elettronici su bancomat e conti del gruppo tedesco. In Germania, incalzato da Bruxelles e dall’Eba (l’Autorità bancaria di vigilanza), il governo studia come risanare il sistema bancario. Spesso infarcito – come la storia di Deutsche Bank dimostra – di titoli tossici e conti truccati, attraverso una mole di «operazioni collaterali».

Citando tutte le inchieste, lo Spiegel ha chiamato questo castello di carta (e di miliardi volatilizzati) «il lato oscuro della Deutsche Bank». Che la misura, anche per la prima banca d’Europa, sia colma?”

http://www.lettera43.it/economia/finanza/la-voragine-nei-conti-di-deutsche-bank_4367582062.htm

Mussolini paga il Vaticano per il riconoscimento ufficiale del regime da parte della Chiesa (1929), la Chiesa investe bene quei soldi, anche offshore, e ora il capitale iniziale si è moltiplicato fino a raggiungere la soglia del mezzo miliardo di sterline ed un notevole impero immobiliare paneuropeo
http://www.guardian.co.uk/world/2013/jan/21/vatican-secret-property-empire-mussolini

OMICIDI/SUICIDI ECCELLENTI

“…Il “fumo di Satana” di cui parlava Paolo VI sembra diventato invadente. Anche quando ci fu lo scandalo dei preti pedofili una diplomazia nota per la sua esperienza si lasciò andare a dichiarazioni discordanti e scomposte. Altrettanto sconcertanti i documenti che escono oggi. Lettere anonime contro il primo ministro Bertone, il trasferimento-allontanamento di un prelato che aveva denunciato scandali e ruberie, la diceria di un attentato al Papa. Padre Lombardi, portavoce, si ostina a dire che quest’ultima è solo una sciocchezza. Credo anch’io che lo sia. Il punto però non è nella credibilità della voce ma nel fatto in sé che la voce circoli, e che esca dalle “sacre mura”. Lì è il segno dello sconquasso. Una volta non era così. Quando si seppellì in una veneranda basilica il gangster De Pedis nessuno seppe, e ancora oggi nessuno sa, perché. Quando si consumò (4 maggio 1998) il triplice omicidio del comandante delle guardie svizzere, di sua moglie e del povero caporale Cédric Tornay, la versione data a caldo, chiaramente falsa, non ebbe smentita tanto che ancora oggi è la sola versione ufficiale di un crimine rimasto irrisolto e impunito. Quando si hanno precedenti di tale gravità non ci si può stupire se, degradandosi ulteriormente il tono generale, succeda quello che sta accadendo in questi giorni”.

Corrado Augias, la Repubblica, 17 febbraio 2012

Occhi puntati su gesuiti ed Opus Dei e Cl.

PEDOFILIA

Charles J. Scicluna era il funzionario della Santa Sede che perseguiva i preti pedofili. E lo ha fatto – a differenza di altri – con determinazione, denunciando anche la cultura del silenzio italiana. Ieri è stato rimosso, senza spiegazioni, e spedito a Malta come funzionario di basso rango. Una mossa che sconcerta.

http://www.linkiesta.it/preti-pedofili#ixzz2KbCWTNhj

http://www.linkiesta.it/blogs/papale-papale/come-ti-normalizzo-un-pontificato

http://www.lettera43.it/cronaca/pedofilia-in-vaticano-404-nuove-denunce_4367562684.htm

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Cronache_e_politica/Pedofilia-Vaticano-600-denunce-anno/05-02-2013/1-A_004749341.shtml

“Nel 1990, Savile ricevette un Ordine Cavalleresco dell’Impero Britannico (OBE) dalla regina Elisabetta II in persona, anche se già correva voce che avesse abusato della sua posizione di star in due programmi popolari della BBC, “Top of the pops” e “La vita secondo Jim”, per aver molestato sessualmente delle ragazzine minorenni. Il suo impegno in opere di carità per gli orfani e gli adolescenti mentalmente disturbati lo ha portato ad una relazione stretta con il principe Carlo, non estraneo a sua volta a scandali sessuali. Lo stesso anno del premio dell’Ordine Cavalleresco Savile ricevette anche un Ordine papale, l’Ordine Pontificio Equestre di san Gregorio il Grande, da papa Giovanni Paolo II. Furono messi sotto pressione sia Buckingham Palace che il Vaticano affinché i premi fossero postumamente tolti, ma entrambe le istituzioni rifiutarono di farlo e continuano a mantenere comunque i premi, scaduti con la morte di Savile”.

Wayne Madsen

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/20/barbablu-vive/

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12.02.13: Steve Bell on the Pope's resignation

Questi scandali saranno seguiti da rivelazioni sulla reale natura del “cristianesimo” predicato dal Vaticano (un culto anticristiano di natura mitraica)

http://it.wikipedia.org/wiki/Cristianesimo_e_Mitraismo

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/27/gesu-il-grande-inquisitore-economia-esoterica/

Succederà tutto entro due anni al massimo, con una rapidità che prenderà tutti di sorpresa, anche quelli che già sospettavano.

Vatileaks era solo un piccolo assaggio.

Si dimette il 28 febbraio, anniversario dell’abolizione della democrazia in Germania, con la Verordnung des Reichspräsidenten zum Schutz von Volk und Staat (1933)

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“Fa sembrare piccoli tutti i maggiori scandali finanziari nella storia”

the-economist

Il tribunale di Milano ha condannato 4 banche accusate di una truffa sui derivati ai danni del Comune di Milano. Il giudice Oscar Magi ha condannato a una pena pecuniaria di un milione di euro ciascuno Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa Bank. La sentenza ha anche disposto la confisca di 88 milioni di euro ai quattro istituti di credito. I fatti contestati risalgono al 2005. Magi ha condannato 9 imputati tra manager o ex a pene comprese tra i sei mesi e gli otto mesi e 15 giorni, e ne ha assolti quattro, come richiesto dall’accusa.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/19/milano-giudice-condanna-4-banche-truffa-sui-derivati-ai-danni-del-comune/450825/

Libor ed Euribor: “scandalo” o sistema?

di G. Colonna 17 Dicembre 2012 – da Clarissa.it

“Per ordine di grandezza fa sembrare piccoli tutti i maggiori scandali finanziari nella storia”, ha detto Andrew Lo, docente di finanza al Massachusetts Institute of Technology, parlando dello scandalo del Libor e dell’Euribor, sul quale giungono in questi giorni le notizie, assai poco pubblicizzate, dei primi arresti e insieme dei primi accordi extra-giudiziali che i maggiori istituti bancari del mondo stanno concordando con le autorità di controllo per evitare più gravi condanne.
Le dimensioni della vicenda sono effettivamente gigantesche: basti dire che si stima che sul Libor siano basati il 90 per cento dei Finanziamenti commerciali e dei mutui negli Stati Uniti, per cifre stimate intorno ai 10 miliardi di dollari, per quanto riguarda il credito al consumatore (carte di credito, finanziamenti per acquisto di auto, crediti di studio e mutui a tasso variabile), e tra i 350.000 e gli 800.000 miliardi di dollari, vale a dire da circa sei a oltre dodici volte l’intero prodotto lordo mondiale, per quanto riguarda i ben noti derivati.
Come sa chiunque abbia contratto un mutuo per acquistare la casa, il Libor, così come l’Euribor, sul quale sono del pari in corso inchieste a livello europeo, sono i tassi di riferimento per i prestiti interbancari, vale a dire i tassi sulla base dei quali le banche di maggiore importanza sono disponibili a prestare denaro ad altri istituti: in quanto tali, sono la base per il calcolo del costo del denaro che viene prestato ai clienti finali, come nel caso, appunto, di una famiglia che accende un mutuo per comperare la propria casa.

Chi calcola e rende noto il Libor?

Assai meno noto è come funziona il meccanismo con cui viene fissato il Libor, un sistema gestito tutto dall’interno della City londinese. Ogni anno, infatti, il Foreign Exchange and Money Markets Committee, un comitato della privatissima British Bankers’ Association (BAA) seleziona le panel banks, vale a dire le banche autorizzate a definire il Libor. Tali istituti sono prescelti sulla base del volume di attività, del valore del credito erogato e della esperienza nella gestione del mercato delle divise internazionali. A questo ristretto gruppo di operatori finanziari mondiali, viene richiesto di indicare a quale tasso di interesse presterebbero denaro, in base al tipo di valuta adottata e in base al periodo di tempo stabilito.
Tra le 5 e le 5:10 antimeridiane di ogni giorno, queste banche, chiamate anche contributor banks (banche contributrici), comunicano il tasso di interesse da loro individuato al cosiddetto calculating agent, la società Thomas Reuters, che le ha precedentemente fornite di un apposito software a questo scopo. Thomas Reuters confronta quindi i diversi tassi indicati dalle banche prescelte, ne elimina il 25% più alto e il 25% più basso, e calcola la media del restante 50%, che viene a determinare il Libor (più precisamente bbalibor). Per esempio, se vengono scelte 18 banche, vengono eliminati gli interessi delle quattro banche che si sono tenute più alte e le quattro banche più basse e il Libor corrisponderà alla media dei ratei indicati dalle dieci banche restanti.
A dimostrazione della singolare integrazione a livello globale fra alta finanza internazionale e informazione mondiale, è appena il caso di ricordare che Thomson Reuters non è propriamente una sconosciuta: risultante della fusione, avvenuta nel 2008, fra la storica agenzia di stampa anglosassone Reuters e la multinazionale informatica Thomson, la società oggi opera in 90 Paesi, con oltre 50.000 dipendenti ed un reddito annuo (2011) di 13,3 milioni di dollari Usa. È oggi la maggiore agenzia di stampa a livello mondiale, con uno staff editoriale di 2.500 giornalisti e fotografi, che operano in 197 sedi nel mondo: si tratta in sostanza della maggiore “fabbrica di notizie” al mondo. Ad essa è stata quindi affidata dalla BAA anche l’elaborazione di un’informazione finanziaria così essenziale come il Libor.
Intorno alle 12 di ogni giorno, ora di Londra, finalmente, il tasso Libor risultante dall’elaborazione di Thomson Reuters può essere reso noto alle società che sono a questo autorizzate, tramite licenza da parte della stessa British Bankers’ Association.
A seconda della valuta cui si riferisce il Libor (dollaro americano, australiano, canadese e neozelandese, sterlina, la corona danese e svedese, euro, yen e franco svizzero), le contributor banks variano da un minimo di 6 ad un massimo di 18, come nel caso del dollaro americano, in cui ovviamente compare il top del sistema bancario mondiale: Bank of America; Bank of Tokyo-Mitsubishi; Barclays Bank; BNP Paribas; Citibank; Credit Agricole; Credit Suisse; Deutsche Bank; HSBC; JP Morgan Chase; Lloyds Banking Group; Rabobank; Royal Bank of Canada; Société Générale; Sumitomo Mitsui Banking Corporation; Norinchukin Bank; Royal Bank of Scotland.

Lo “scandalo” Libor

Lo scandalo finanziario, che, solo negli Usa, sarebbe costato a privati ed enti pubblici oltre 10 miliardi di di dollari, parte in realtà da molto lontano in quanto fin dai primi mesi dello scoppio della crisi finanziaria (allora chiamata “crisi dei mutui”) erano emerse informazioni attendibili sull’uso spericolato che le contributor banks avevano fatto e continuavano a fare del Libor.
Nel maggio del 2008 infatti uno studio pubblicato dal Wall Street Journal aveva avanzato dubbi sulla correttezza delle operazioni di fissazione del Libor, immediatamente smentito dalle maggiori autorità di controllo mondiali (le stesse, per inciso, che ora stanno concordando gli accordi con le banche): nell’ottobre 2008, era sceso addirittura in campo lo stesso Fondo Monetario Internazionale (IMF), affermando che “benché la correttezza del processo di definizione del Libor sul dollaro Usa sia stata messa in discussione da organismi finanziari e dalla stampa, risulta che il Libor sul dollaro Usa rimane una misura accurata del costo marginale del prestito a termine non garantito in dollari Usa da parte di una tipica banca di credito”.
Una volta di più, la condizione di controllo dei mercati da parte di un ristretto numero di giganti finanziari vanifica l’idea stessa del “libero mercato” meccanicamente ribadita da politici, economisti e giornalisti: la possibilità di fissare e concordare in anticipo Libor ed Euribor ha permesso alle banche, tramite i propri operatori sul campo, di realizzare guadagni illeciti potendo aumentare a piacimento i tassi al cliente finale, nel caso del credito al consumo e degli strumenti di contro-assicurazioni sul debito pubblico; oppure di far risultare posizioni debitorie meno pesanti di quelle effettivamente in essere, manipolando riduzioni momentanee degli stessi tassi, sempre tramite Libor ed Euribor.
In entrambe i casi, le grandi banche hanno recato incalcolabili danni a consumatori, famiglie ed enti locali, come sta emergendo dalle azioni legali collettive intraprese soprattutto negli Stati Uniti, dove, ad esempio, be centomila querelanti, che avrebbero perso ognuno migliaia di dollari in interessi illecitamente percepiti, hanno avviato lo scorso ottobre un’azione legale contro 12 delle maggiori banche nordamericane ed europee. Sono numeri che non devono sorprendere, basti pensare, che solo negli Usa, ben 900.000 mutui sulle abitazioni sono legati al Libor, con 275 miliardi di dollari di rate non pagate in totale ad ottobre 2012, secondo i dati ufficiali delle autorità bancarie Usa.

Scandalo o questione strutturale?

Il fatto che grandi banche vengano multate, come avvenuto lo scorso luglio per Barclays, che ha dovuto pagare 362 milioni di euro; oppure che si accordino anticipatamente con le autorità di controllo americane e britanniche, come nel caso del gruppo bancario elvetico UBS, che verserà 1 miliardo di dollari – non significa molto dal punto di vista sostanziale.
Soluzioni transattive come queste, oltre a evitare la pubblicità di processi molto imbarazzanti, permettono di continuare a presentare fenomeni speculativi sempre più vasti come “scandali finanziari”: quando vengono coinvolte almeno 20 delle maggiori banche mondiali, quando si aprono inchieste in 7 diversi paesi, quando è documentata la piena consapevolezza da anni delle stesse autorità preposte al controllo (basti per tutte il caso della Federal Reserve di NY, il cui governatore, Tim Geithner è divenuto poi Segretario al Tesoro americano con il presidente Obama), non si può ridurre tutto al semplice comportamento spregiudicato di trader o di funzionari, sia pure di altissimo livello, come nel caso di Marcus Agius, presidente di Barclays, o di Bob Diamond, amministratore delegato, dimissionati lo scorso luglio dalla loro banca.
Questi fenomeni sono elementi strutturali del sistema finanziario mondializzato e sono riconducibili al fatto che le banche mondiali dispongono di un controllo assoluto sulle monete, un controllo grazie al quale condizionano, attraverso la creazione e la gestione del debito di famiglie, imprese, enti locali e Stati, l’economia mondiale, arrivando a poter influire, come nel caso della Grecia ma anche dell’Italia, sugli stessi assetti politico-sociali di interi Paesi.
È quindi piuttosto ironica, posto che venga poi effettivamente attuata, la soluzione di porre sotto il controllo della BCE europea l’Euribor, per la cui gestione sono in corso indagini altrettanto esplosive di quelle sul Libor: la BCE, infatti, nonostante il continuo sforzo di presentarla come una “terza parte” fra banche e governi, è, esattamente come la Fed americana, nient’altro che una banca posseduta da banche, le quali sono di norma, è vero, le banche centrali dei singoli Stati componenti. Ma queste ultime, è ben ricordare, sono a loro volta possedute da banche private, molte delle quali rientrano nell’elenco delle diciotto contributor banks che hanno operato in condizioni di cartello, vale a dire di monopolio, nella fissazione di Libor ed Euribor, potendo così manipolare questi tassi a proprio piacimento.
Ancora una volta torniamo quindi al punto nodale di questa componente della crisi economica mondiale – quella di chi stampa e controlla la moneta, che dovrebbe rappresentare semplicemente il valore del prodotto del lavoro dei popoli e non essere un’arma per condizionarne l’esistenza. Una questione che non è veramente più eludibile.

http://www.clarissa.it/editoriale_n1871/Libor-ed-Euribor-scandalo-o-sistema

Complottismo for dummies (le trame finanziarie spiegate al bruco del mio basilico)

I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo più ampio, niente meno che la creazione di un sistema globale di controllo finanziario in mani private in grado di dominare il sistema politico di ciascuna nazione e l’economia mondiale nel suo complesso. Questo sistema andava controllato in stile feudale dalle banche centrali di tutto il mondo, agendo di concerto, per mezzo di accordi segreti raggiunti in frequenti incontri privati e conferenze. Al culmine della piramide ci doveva essere l’elvetica Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che a loro volta erano imprese private…non bisogna immaginare che questi dirigenti della principali banche centrali del mondo fossero loro stessi dei ragguardevoli potenti nel mondo della finanza. Non lo erano. Erano piuttosto dei tecnici e gli agenti dei massimi banchieri commerciali delle loro rispettive nazioni, che li avevano allevati ed erano perfettamente capaci di liberarsene…e che rimanevano in gran parte dietro le quinte…Questi costituivano un sistema di cooperazione internazionale e di egemonia nazionale più privato, più potente e più segreto di quello dei loro agenti nelle banche centrali. Il dominio dei banchieri commerciali era fondato sul controllo dei flussi di credito e dei fondi di investimento nelle loro nazioni e nel mondo….potevano dominare i governi attraverso il controllo dei debiti nazionali e dei cambi. Quasi tutto questo potere era esercitato dall’influenza personale e dal prestigio di uomini che in passato avevano dimostrato la capacità di portare a compimento con successo dei golpe finanziari, di mantenere la parola data, di mantenere la mente fredda nelle crisi e di condividere le loro opportunità più vantaggiose con i loro associati.

Carroll Quigley, docente di storia, scienze politiche e geopolitica a Princeton, Harvard e Georgetown e mentore del giovane Bill Clinton, da “Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time” (New York: Macmillan, 1966).

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«In effetti, meno dell’1 per cento delle società risulta in grado di controllare il 40 per cento dell’intero intreccio», sostiene Glattfelder. La maggior parte è costituita da istituti finanziari. La Top 20 comprende: Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co, nonché il Goldman Sachs Group. Le prime 50 fra le 147 società superconnesse: 1. Barclays plc 2. Capital Group Companies Inc 3. FMR Corporation 4. AXA 5. State Street Corporation 6. JP Morgan Chase & Co 7. Legal & General Group plc 8. Vanguard Group Inc 9. UBS AG 10. Merrill Lynch & Co Inc 11. Wellington Management Co LLP 12. Deutsche Bank AG 13. Franklin Resources Inc 14. Credit Suisse Group 15. Walton Enterprises LLC 16. Bank of New York Mellon Corp 17. Natixis 18. Goldman Sachs Group Inc 19. T Rowe Price Group Inc 20. Legg Mason Inc 21. Morgan Stanley 22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc 23. Northern Trust Corporation 24. Société Générale 25. Bank of America Corporation 26. Lloyds TSB Group plc 27. Invesco plc 28. Allianz SE 29. TIAA 30. Old Mutual Public Limited Company 31. Aviva plc 32. Schroders plc 33. Dodge & Cox 34. Lehman Brothers Holdings Inc* 35. Sun Life Financial Inc 36. Standard Life plc 37. CNCE 38. Nomura Holdings Inc 39. The Depository Trust Company 40. Massachusetts Mutual Life Insurance 41. ING Groep NV 42. Brandes Investment Partners LP 43. Unicredito Italiano SPA 44. Deposit Insurance Corporation of Japan 45. Vereniging Aegon 46. BNP Paribas 47. Affiliated Managers Group Inc 48. Resona Holdings Inc 49. Capital Group International Inc 50. China Petrochemical Group Company”

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/i-147-padroni-del-pianeta-terra.html

L’incredibile omissione è quella della vera SPECTRE della finanza mondiale, la BlackRock, che molto probabilmente ha in mano i vostri fondi pensione: “Oggi la società di gestione patrimoniale statunitense è divenuta, ad esempio, la principale azionista della borsa tedesca (che di recente si è fusa proprio con quella di New York) e controlla quote azionarie delle principali aziende della Germania: Adidas, Allianza, Basf, Deutsche Bank, le industrie farmaceutiche Merck, il produttore di materiali edili HeidelbergCement, solo per fare qualche nome. Lo stesso è avvenuto anche altrove, come in Italia, a seguito di una delle più importanti operazioni sviluppate da BlackRock, la fusione con Barclays Global Investor, rilevata da BlackRock nell’estate 2009 per 13,5 miliardi di dollari. Questa operazione, alla quale hanno partecipato con 2,8 miliardi di dollari anche i fondi sovrani, si noti, di Cina (Cic) e Kuwait (Kia), il super gestore Usa ha ora in portafoglio fra l’altro il 2,7% di Eni, il 3,8% di Unicredit (dal 2,2% della sola Barclays), il 3% di Enel, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Ubi (rispetto a quote Barclays pari al 2%), il 2,9% di Generali (dal 2%) e di Fonsai, il 2,8% di Telecom e di Bulgari, il 5,8% di Mediaset (prima era sotto il 5% e diventa così il secondo socio dopo Fininvest), il 2,7% di Fiat, il 2,2% di Atlantia e di Finmeccanica, il 3,5% di Banco Popolare (dal 2%), il 2% di Terna (2).

Al 31 marzo 2011, BlackRock dichiara nei suoi documenti ufficiali pubblici di gestire 3.648 miliardi di dollari di patrimoni amministrati: una cifra incredibile, pari all’intero Prodotto Interno Lordo della Germania [verificate voi stessi], superiore anche a quello italiano che oltrepassa i 2.000 miliardi di dollari. Si tratta probabilmente della più grande azienda finanziaria della storia che, in virtù dei collegamenti con i maggiori investitori privati e istituzionali del mondo, dispone ovviamente di un potere senza equivalenti.

In una recente occasione (3), abbiamo già visto infatti che BlackRock detiene quote azionarie anche delle maggiori agenzie di rating, come Moody’s e Standard&Poor’s, agenzie che hanno acquisito il potere, da una parte, di valutare l’affidabilità di banche e Stati, ma, dall’altra, anche degli stessi prodotti che BlackRock controlla e offre ai suoi clienti, senza che questo abbia dato finora luogo a nessun tipo di reazione politica”.

www.clarissa.it/editoriale301/Padroni-dell-universo-e-sovranita-dei-popoli-il-caso-BlackRock

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La giornalista Emma Alberici (ABC) intervista alcuni funzionari bancari ed operatori finanziari pentiti (diversamente da quel che molti credono, è una vita abbastanza spiacevole, per chi ha una coscienza)

JONATHAN SUGARMAN: Ci sono reparti ospedalieri e scuole che chiudono, servizi pubblici tagliati perché non ci sono soldi. I soldi sono andati alle banche. I vostri soldi, i miei soldi – i soldi di tutti sono finiti nelle banche. Ciò di cui abbiamo bisogno è che le normative esistenti siano fatte rispettare.

ALBERICI: Finora Jonathan Sugarman non ha mai parlato pubblicamente delle sue esperienze. Nel 2007 è diventato un dirigente di alto livello di UniCredit, la più grande banca d’Italia – una delle prime cinque banche in Europa. È stato il responsabile della gestione del rischio in Irlanda.

JONATHAN SUGARMAN: In banca abbiamo una licenza per operare come una banca che è molto simile ad una patente di guida. Spiega che questa è la velocità a cui si può andare, questo è quello che si può fare e che si deve operare all’interno di questi limiti e il mio compito era fare in modo che ciò avvenisse ogni giorno.

ALBERICI: Jonathan Sugarman sorvegliava i responsabili del controllo delle operazioni e gli operatori finanziari. Ben presto si rese conto che i conti non tornavano. Sospettava che la sua banca violasse le rigide regole sulla quantità di denaro e beni che è obbligatorio mantenere come riserva.

JONATHAN SUGARMAN: Ed ho insistito che si informasse immediatamente il responsabile dell’osservanza di queste regole, che è esattamente ciò che è prescritto dai termini della nostra licenza e dalle norme del diritto irlandese.

ALBERICI: Quanto è sicuro che UniCredit abbia infranto la legge mentre lei lavorava lì?

JONATHAN SUGARMAN: Sicuro al 100% ed è per questo che ho chiamato questa società informatica londinese che aveva una buona reputazione a Dublino e il risultato è stato abbastanza orribile, perché, mentre la violazione che avevo segnalato al regolatore costituisce una violazione del venti per cento, mentre la deviazione ammissibile era dell’uno per cento, mi telefonarono una sera poco dopo che si erano collegati ai nostri sistemi per dirmi che in realtà la violazione era del quaranta per cento.

ALBERICI: Quando ha avvertito il suo direttore generale, la risposta è stata sprezzante. Era un errore di sistema. Gli è stato chiesto di continuare ad approvare i contratti. Jonathan Sugarman era nel bel mezzo di una cultura bancaria spericolata che era in rotta di collisione con un disastro.

JONATHAN SUGARMAN: Beh, nei giorni in cui il sistema ha vomitato queste cifre che mi dicevano fossero errate dovevamo firmare e dire: “Oh, questo è un errore di sistema e siamo sicuri che è tutto a posto” e andare avanti come se niente fosse. Non abbiamo mai notificato nessuno. Tenete presente che, quando Nick Leeson ha fatto crollare la Barings Bank, si trattava di una questione di ottocento milioni di sterline, io stavo sottoscrivendo più di cinque miliardi al giorno che non possedevamo.

NICK LEESON: Stando alla definizione del vocabolario ed al fatto che ho trascorso quattro anni e mezzo in carcere io sono un criminale. Ho sempre saputo che quel che stava facendo era sbagliato e credevo di essere un criminale fin dall’inizio? Assolutamente no.

ALBERICI: Sono passati sedici anni da quando Nick Leeson, da solo, ha fatto fallire la più vecchia banca della Gran Bretagna, Barings. È un caso spettacolare, audace e scandaloso di imbrogli finanziari e Hollywood ne ha ricavato un film.

NICK LEESON: Il successo è stata la cosa che ho sempre voluto e viceversa la mia più grande paura era quella di sentirmi un fallito; la paura del fallimento è stata probabilmente quel che mi ha impedito di ammettere che avevo commesso un errore e questo errore aveva portato ad altri errori peggiorando il problema: era l’unica cosa che non mi sentivo di fare.

ALBERICI: La banca esisteva da 233 anni. Era sopravvissuta a guerre ed alla Grande Depressione, ma è bastato un operatore di future di 25 anni per mandarla gambe all’aria.

NICK LEESON: In primo luogo non sapevo che la banca stesse per crollare. Non sapevo quale fosse la base di capitale della banca e non ero realmente interessato alla cosa fino a quando i soldi continuavano ad arrivare; capivo che l’effetto delle mie azioni sarebbe stato drammatico, ma non mi ero reso conto di quanto sarebbe stato catastrofico.

ALBERICI:  Prima che Leeson diventasse un operatore di Barings a Singapore, era un contabile a Londra. Sapeva come funziona il sistema, come nascondere le perdite in un fondo segreto. Era così bravo a coprire le sue tracce che Barings pensava che rendesse milioni e gli mandava sempre più soldi con cui giocare. Ci sono voluti tre anni perché la banca si accorgesse di cosa stava succedendo, ma a quel punto era troppo tardi.

NICK LEESON: Non me la stavo godendo. C’era sempre il timore che quello che stava accadendo sarebbe diventato di dominio pubblico, e quella è sempre stata la mia più grande paura, perché avrebbe rivelato a tutti la mia incompetenza, negligenza ed incapacità e quella era l’unica cosa che non volevo che accadesse.

ALBERICI: Ti sei mai fermato a pensare che stavi perdendo i soldi di qualcuno?

NICK LEESON: mmmh, no, non penso che uno stia a pensare a quello.

ALBERICI: Nick Leeson è stato condannato per frode e ha trascorso quattro anni in un carcere di Singapore. È stato rilasciato nel 1999 ed è tornato in Irlanda per rifarsi una vita.

[Sette anni di carcere a Kweku Adoboli, l’ex trader di Ubs colpevole della maxi truffa costata 1,8 miliardi di euro]

OLIVER METZNER: Non penso che ci siano operatori disonesti in banche oneste. Le truffe avvengono perché le banche le autorizzano.

ALBERICI: Nonostante i progressi tecnologici dai tempi di Nick Leeson a Singapore, sofisticati sistemi di monitoraggio degli operatori e dichiarazioni delle banche che stanno in guardia, si sostiene che Kweku Adoboli abbia agito a loro insaputa. Le sue attività criminali sono iniziate nel 2008, al culmine della crisi finanziaria globale, e nello stesso periodo il contribuente svizzero è stato costretto a sborsare sei miliardi di dollari per salvare UBS dal baratro del fallimento.

OLIVER METZNER: La crisi del 2007-2008 ha portato a conferenze e dibattiti in cui abbiamo detto che avremmo fatto questo e quello, e nulla è stato fatto … nulla è stato fatto.

ALBERICI: Oliver Metzner è uno dei più ricercati avvocati penalisti del mondo in questo genere di casi. Il suo cliente, Jerome Kerviel, ha impugnato la sentenza di condanna per una frode alla banca francese Société Générale. Ha detto di aver perso sei miliardi e mezzo di dollari – la perdita più grande nella storia dei mercati finanziari. Proprio come nello scandalo UBS, Kerviel ha inventato acquirenti, venditori ed offerte fantasma per nascondere le sue perdite.

OLIVER METZNER: è normale che i padroni delle banche responsabili di aver portato alla rovina le proprie banche non vengano puniti per questo? Ci sono problemi reali ed in effetti è difficile per l’uomo della strada capire perché ci si concentri su un Jerome Kerviel o un Nick Leeson e non sulle banche stesse.

JEROME KERVIEL: Mi assumo la mia parte di responsabilità, ma vorrei che lo facessero anche gli altri. Tutti hanno approfittato di questo sistema e non voglio essere io a restare col cerino in mano. Tutto è stato monitorato dal sistema informatico della Société Générale.

[…].

JOHN COATES: Penso che il più grande bonus di cui abbia sentito parlare nel mondo bancario sia stato di circa 200 milioni [di dollari].

ALBERICI: Per un anno di lavoro?

JOHN COATES: sì.

ALBERICI: C’è davvero poca scienza rigorosa nelle azioni degli operatori del mercato finanziario, ma la scienza può aiutare a spiegare come si comportano.

JOHN COATES: “Durante la bolla di internet ho notato che il comportamento degli operatori aveva subito un cambiamento notevole. Di solito sono prudenti, yuppies con famiglia a carico, ma durante la bolla del dot com molti di loro divennero euforici, deliranti…I loro pensieri si rincorrevano, sentivano meno il bisogno di dormire. Stavano prendendo molti più rischi rispetto al passato. Il rischio era davvero eccessivo rispetto ai vantaggi possibili e sembravano anche più arrapati del solito data la quantità di pornografia sullo schermo dei loro computer. È stato solo più tardi che ho scoperto che si trattava dei sintomi clinici delle manie.

ALBERICI: John Coates ha trascorso dodici anni a Wall Street, lavorando per Goldman Sachs e Deutsche Bank. Ha mollato tutto per prendere un dottorato di ricerca a Cambridge. La sua specialità? Neuro-economia

JOHN COATES: L’altra cosa che avevo notato era che le donne erano relativamente immuni al comportamento che vedevo nei trader. Ho pensato che ci fosse una causa chimica ed è così che ho iniziato a fare ricerche su testosterone

[…].

SIR JOHN VICKERS: Se c’è una situazione in cui la gente crede che una banca non fallirà mai perché il governo la salverà con i soldi dei contribuenti, questa è una cosa che incoraggia … è quasi una licenza a rischiare indisciplinatamente…Se vogliono tentare cose sofisticate, complicate, internazionali, va bene, affari loro, ma abbiamo bisogno di una struttura che garantisca che il contribuente non sia chiamato a tappare i buchi quando le cose vanno male.

ALBERICI: gole profonde come Jonathan Sugarman non hanno molta fiducia nelle autorità di regolamentazione e nelle loro regole. Cosa hanno fatto finora?

JONATHAN SUGARMAN: In effetti niente, niente di niente. È come entrare in una centrale di polizia con un coltello insanguinato e dire “ho appena ucciso qualcuno” ed aspettarsi che la polizia chieda “dove sta il corpo, che cosa hai fatto?”. E invece ti dicono: “bene, basta che non lo fai di nuovo”. Il che mi ha lasciato interdetto….Mi ci è voluto un po’ per rialzarmi e poi quando ho iniziato a cercare altre posizioni come risk manager, ho trovato un sacco di porte chiuse e ho constatato che dire la verità non paga.

http://www.abc.net.au/foreign/content/2011/s3367080.htm

Perché la Cina prevarrà e la Germania crollerà rovinosamente

La Germania sarebbe già alla canna del gas senza l’aiuto del resto dell’Europa:

“Nessuno ha raccontato ai tedeschi che molte delle misure adottate sinora non servivano per salvare i “fannulloni” greci o spagnoli ma per salvare i sistemi bancari tedesco e francese (che detenevano molti titoli di questi paesi, ndr). Molti dei finanziamenti alla Grecia non sono mai arrivati ad Atene, hanno semplicemente fatto un giro da Francoforte a Francoforte“.

Giovanni Dosi, economista della Scuola Superiore Sant’Anna e collaboratore del premio Nobel Joseph Stiglitz alla Columbia University, 28 luglio 2012

“Nei milioni di parole scritte sulla crisi del debito in Europa, la Germania è in genere presentata come l’adulto responsabile e la Grecia come il figliol prodigo. La prudente Germania, dice la storia, è riluttante a salvare la Grecia scroccona, che ha preso in prestito più di quanto poteva permettersi e ora deve subire le conseguenze. Vi sorprenderebbe sapere che in Europa i contribuenti hanno fornito alla Germania lo stesso sostegno finanziario offerto alla Grecia? Lo suggerisce un esame dei flussi monetari Europei e dei bilanci delle banche centrali”.

“Hey, Germany: You Got a Bailout, Too”, Bloomberg, 24 maggio 2012.

Richard Koo, capo-economista dell’Istituto di Ricerca Nomura, la più grande agenzia di consulenza giapponese nel settore IT, spiega che la crisi dell’eurozona è nata nel 2000 con un grande bailout da parte della Banca Centrale Europea a beneficio della Germania, che rischiava di essere affossata dall’esplosione della bolla della New Economy.

http://www.businessinsider.com/richard-koo-the-entire-crisis-in-europe-started-with-a-big-ecb-bailout-of-germany-2012-6

Il capitale di Deutsche Bank ammonta a poco meno del 2,5% rispetto agli assets della banca. Che è come dire che perdite del 3% sul totale del portafoglio della banca sarebbero più che sufficienti ad azzerare il capitale della banca. Ossia a farla fallire. Né più né meno di quanto è successo a Lehman Brothers, la banca d’affari americana fallita nel 2008.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/09/la-morte-delle-cicale-che-si-spacciavano-per-formiche-deutsche-bank-agonizzante/

LA GERMANIA NON E’ MAI STATA LA LOCOMOTIVA DELL’EUROPA, MA IL RIMORCHIO

di Piero Valerio

L’affermazione che la Germania sia la locomotiva dell’eurozona è uno dei luoghi comuni più superficiali e falsi che viene ancora sostenuto con forza dai politici, economisti e giornalisti di regime (sia di destra che di sinistra), che cercano di convincere e illudere i propri adepti e lettori a seguire i passi del miracolo tedesco per ottenere una pronta ripresa dell’economia italiana. L’attenta analisi dei dati e delle variabili economiche dice invece una verità ben diversa: la Germania è stata il rimorchio dell’eurozona, perché senza il traino e le massicce importazioni di prodotti tedeschi da parte dei paesi della periferia il miracolo tedesco non sarebbe mai avvenuto.
Questo articolo prende spunto dalle interessanti e condivisibili analisi del professore di economia Alberto Bagnai espresse sul suo ottimo blog Goofynomics, in cui il professore non senza ironia prende in giro tutti coloro che ancora si ostinano a non volere capire cosa è accaduto nei 17 paesi dell’eurozona negli ultimi 10 anni. Tralascerò volutamente alcuni dettagli tecnici (che possono essere ritrovati sui vari post di Bagnai dedicati all’argomento, che fra l’altro consiglio a tutti di leggere perché spassosissimi e pieni di citazioni dotte e letterarie) e mi concentrerò invece su quello che mi preme di più evidenziare: la logica ferrea delle argomentazioni messe in campo, che partendo da precisi eventi storici hanno poi trovato conferma nei dati dell’economia. Ovviamente le considerazioni del professore Bagnai sono soltanto un fondamentale punto di partenza, mentre tutto il resto è farina del mio sacco.
Dopo aver visto in un precedente articolo il sistema di regolamento e compensazione dei pagamenti TARGET2, che è lo strumento che ha consentito nella pratica quotidiana la nascita e la proliferazione di squilibri macroeconomici nell’area dell’eurozona, mi sembrava opportuno comprendere il motivo per cui questi sbilanciamenti dei saldi commerciali hanno potuto avvantaggiare soltanto una parte dell’eurozona (la Germania), a danno di tutti gli altri paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna): i dati di oggi confermano che la Germania ha reso molto più efficiente la sua macchina bellica industriale, ma analizzando bene la storia vedremo che in qualche maniera i tedeschi hanno giocato sporco nei confronti dei loro stessi alleati europei, puntando in anticipo rispetto a tutti gli altri su una politica di bassa inflazione e liberalizzazione sfrenata del mercato del lavoro (la Germania è stata la vera Cina dell’eurozona, ma al contrario della Cina non ha consentito ai paesi limitrofi di sviluppare le loro economie locali). Ma andiamo per passi e cerchiamo di ricostruire gli eventi, ritornando al momento in cui tutto ebbe inizio.
Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino e il potente cancelliere tedesco Helmut Kohl si trova ad affrontare un difficile e costoso processo di riunificazione fra la più moderna Germania Federale e l’arretrata Germania Democratica. Gli squilibri fra questi due paesi sono enormi: basta citare un solo dato per avere un’idea, la disoccupazione nella DDR è al 20% e la sua industria è praticamente ferma in termini di sviluppo e innovazione ai primi anni del dopoguerra. Ci sono città intere da ricostruire da zero come la stessa Berlino Est, Dresda, Lipsia. Secondo alcune stime recenti i costi totali della riunificazione tedesca sono stati circa 1.500 miliardi di euro. Un’enormità.
La Germania Federale può contare su un ottimo tessuto industriale, basato sulla chimica, l’industria pesante, l’automotive, ma malgrado l’indubbia caratteristica di affidabilità e resistenza i prodotti tedeschi risultano ancora molto costosi rispetto ad analoghi prodotti delle industrie italiane, francesi, spagnole, che potendo appoggiare le vendite su una moneta più debole del marco, sono sicuramente più avvantaggiate nelle esportazioni. Italia e Spagna soprattutto, considerati dai tedeschi dei veri e propri stati canaglia per la loro aggressività competitiva, hanno ancora una loro piena sovranità monetaria e possono agire liberamente (tramite il supporto tecnico della propria banca centrale di emissione) sulla leva delle svalutazioni competitive esterne della moneta nei confronti del marco per migliorare il livello delle esportazioni e riequilibrare eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti.
Per fare un po’ di cassa al cancelliere Kohl non resta che puntare tutto sul processo di unificazione economica e monetaria della comunità europea, già avviato per altri motivi in quegli stessi anni dalla Francia del presidente Francois Mitterand e del primo commissario europeo Jacques Delors, a cui era stato affidato il compito di studiare un programma e un piano di progressiva unificazione delle monete nazionali in un’unica moneta: l’euro. Dopo un’iniziale accoglienza tiepida di questo progetto, la Germania di Kohl diventa improvvisamente un fautore entusiasta della nascente Unione Monetaria Europea (che a quel tempo contava solo 11 stati rispetto ai 17 attuali: Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Olanda, Irlanda, Finlandia, Portogallo, Austria e Lussemburgo).
Il cancelliere Kohl stringe un patto di ferro con il presidente francese Mitterand e il processo di unificazione monetaria europea subisce un’accelerazione impressionante: già nel 1992 vengono firmati a Maastricht i Trattati di Funzionamento dell’Unione Europea. Il proposito del cancelliere Kohl è abbastanza chiaro a chiunque tranne che ai governanti dei paesi coinvolti nell’accordo (per l’Italia in particolare Prodi, Monti, Padoa Schioppa, Draghi, Amato, Ciampi, Dini, tutti uomini appoggiati con ambigua convinzione politica dalla sinistra, ma che in realtà erano ex-banchieri o ex-membri del vecchio regime socialista e democristiano): spalmare gli enormi costi dell’unificazione tedesca sui paesi della periferia dell’Europa, che a causa delle loro beghe interne politiche (ingovernabilità, corruzione) e di bilancio (elevati debiti pubblici) o per paura di rimanere isolati sono costretti loro malgrado o per interessi particolari ad aderire al progetto franco-tedesco di unificazione monetaria. Paesi più stabili economicamente e pliticamente come Gran Bretagna, Svezia e Norvegia non pensano neanche per un attimo ad unirsi a questa grande ammucchiata, in cui era molto prevedibile che prima o dopo la grande Germania avrebbe fatto un massacro.
Nel 1998 vengono fissati rigidamente i tassi di cambio fra le monete degli 11 paesi: la lira italiana viene ancorata al marco tedesco con un rapporto di cambio di 990 lire per un marco, in previsione del successivo e definitivo ingresso dell’euro. E’ un tasso di cambio ancora favorevole per le imprese italiane e infatti le esportazioni verso la Germania sono abbastanza sostenute. Intanto, nello stesso anno, in Germania il cancelliere Kohl viene sostituito dal socialdemocratico Gerhard Schroeder, che nonostante sia un oppositore politico, continua pedissequamente il progetto del predecessore: bisogna mettere la Germania in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti europei (non alleati, beninteso, perché i tedeschi non hanno mai ragionato in questi termini) così non appena verrà introdotta la moneta unica e nessun paese dell’eurozona potrà più agevolarsi di svalutazioni competitive sul tasso di cambio, la grande Germania potrà accumulare enormi surplus di ricchezza con le sue esportazioni.
Dato che non si potranno più utilizzare svalutazioni esterne, bisogna agire sui metodi di svalutazione competitiva interna del lavoro e della produzione per rendere più apprezzabili e convenienti i prodotti tedeschi e la Germania fa proprio questo. Dal 1997 al 2009 il governo Schroeder abbassa progressivamente l’aliquota massima d’imposta per i privati cittadini dal 53% al 42%, mentre per le imprese viene quasi dimezzata arrivando al 29,4%: i margini di profitto delle aziende tedesche possono quindi essere rimodulati su prezzi inferiori. Ma non solo, sfruttando gli alti livelli di disoccupazione (8%-10%) e la minaccia di licenziamenti e delocalizzazione delle imprese, il governo mette a punto un piano di liberalizzazione sfrenata dei contratti di lavoro e riduzione delle tutele sindacali: dal 2003 al 2009 i salari reali dei lavoratori tedeschi corretti all’andamento dell’inflazione e al costo medio della vita scendono del -6% (guarda grafico sotto, dove i salari italiani rimangano stabili mentre quelli tedeschi scendono proprio in concomitanza con l’introduzione dell’euro nel 2002).
Nel 1998 viene inaugurata la Banca Centrale Europea BCE che, su indicazione della banca centrale tedesca Bundesbank che è il maggiore azionista, avrà come scopo principale il controllo dell’inflazione: l’obiettivo della BCE è quello di mantenere l’inflazione annua intorno al 2% per tutti i paesi dell’eurozona, ignorando tutte le differenze produttive, economiche e di spesa che esistono già fra i vari stati. I paesi dell’eurozona si adeguano, tutti tranne la Germania che dal 2000 al 2007 mantiene un’inflazione media più bassa dell’obiettivo della BCE (1,6%), senza che quest’ultima faccia mai notare ai proprietari tedeschi che avere un’inflazione più bassa del target fissato in un contesto di unificazione monetaria può creare scompensi macroeconomici immensi e risulta un comportamento scorretto nei confronti dei paesi alleati. Nello stesso periodo infatti l’inflazione media dell’Irlanda (3,4%), Grecia (3,2%), Spagna (3,1%), Portogallo (2,9%) risulta più alta. L’Italia (2,1%) si mantiene invece abbastanza aderente al vincolo europeo, ma questa costante divaricazione dell’andamento dei prezzi al consumo fra la Germania e i paesi PIIGS sarà fondamentale per la nascita di quegli squilibri macroeconomici che stanno portando al collasso l’intero sistema dell’eurozona.
Nel 2002 viene introdotto l’euro e la Germania entra a piedi uniti nel mercato unico, avendo già attuato in pratica una politica di svalutazione competitiva interna sui prezzi e sul lavoro (precarizzazione del lavoro, riduzione dei salari, minaccia di disoccupazione, aumento delle disuguaglianze sociali) che la mette in una posizione di netto vantaggio rispetto agli altri paesi (alla faccia dei sani principi comunitari di sussidiarietà e collaborazione). La forbice dei prezzi continua ad aumentare e questo rende più agevoli e convenienti le esportazioni tedesche nei paesi PIIGS, ma allo stesso tempo rende più complicato esportare in Germania per i paesi della periferia perché i prezzi dei loro prodotti risultano abbastanza alti e impraticabili per i consumatori tedeschi. Come si vede nel grafico sotto i paesi che hanno un differenziale dei prezzi maggiore con la Germania sono anche gli stessi che tendono ad indebitarsi più velocemente, perché importano molto dalla Germania ed esportano poco ai tedeschi.

Le banche tedesche che hanno accumulato un surplus di riserve, tramite le esportazioni del settore imprenditoriale, investono nei paesi e nelle banche dei PIIGS per sostenere i consumi e accelerare i processi di indebitamento privato. A differenza di quello che molti continuano ancora a ripetere il problema del debito non riguarda tanto la parte pubblica e il contenimento delle spese governative (ricordiamo per esempio che la Spagna è stata per molto tempo l’unico paese che rientrava nei parametri del Patto di Stabilità europeo del 3% del deficit/PIL e del 60% del debito pubblico/PIL), ma l’indebitamento privato, perché un sistema illogico dei pagamenti fra i paesi dell’eurozona come TARGET2 non metteva praticamente limiti all’indebitamento dei residenti dei vari stati dell’unione e alla possibilità delle banche locali di concedere prestiti, anzi questi venivano incentivati tramite l’afflusso di nuovi capitali dalla Germania e dal regime sorprendentemente basso e indifferenziato dei tassi di interesse. Nel grafico sotto, vediamo appunto che fra il 2000 e il 2007 l’incremento di indebitamento è soprattutto nel settore privato e non pubblico (anzi paesi come Irlanda, Italia e Spagna hanno addirittura ridotto i margini di debito pubblico accumulato).

La storia dei “paesi spendaccioni” quindi è falsa e infondata, perché i dati dicono esattamente un’altra cosa: quasi tutti gli stati PIIGS hanno adottato politiche di spesa pubblica virtuosa, mentre il vero problema è stato il credito privato gonfiato artificialmente dalle banche locali sostenute da lontano dai colossi tedeschi della finanza (Deutsche Bank e Commerzbank). Il sistema macroeconomico sbilanciato dell’eurozona è stato quindi corrotto sia in modo strutturale che finanziario dall’atteggiamento competitivo e aggressivo della Germania e ora la stessa Germania chiede agli stati di fare quei sacrifici di austerità che in verità sono già stati fatti durante questi lunghi 10 anni: mentre niente dice la Germania sul vero dilemma dell’eurozona, costituito dagli squilibri commerciali degli scambi, dai differenziali del regime dei prezzi, dalla diversa competitività produttiva, perché questo metterebbe in discussione proprio il modo in cui si sono formati gli alti volumi delle esportazioni tedesche.
Ovviamente esistono anche casi limite, come quello del governo greco che nel 2009 truccò i dati del bilancio pubblico per rientrare nei parametri richiesti dall’Unione Europea, ma questo stratagemma fu applicato grazie al supporto di uno dei grandi creditori internazionali del debito pubblico greco come Goldman Sachs, con la tacita approvazione a distanza sia della BCE che delle istituzioni europee, che pur sapendo bene quello che stava accadendo in Grecia, non avevano alcuna intenzione di interrompere il carosello impazzito dei flussi finanziari e commerciali nell’eurozona, tanto cari alla Germania. Tutti hanno cercato di nascondere sotto il tappeto la polvere, convinti che quella stessa polvere non sarebbe mai uscita allo scoperto. Anche perché, quando il marcio ritorna a galla, la soluzione viene sempre trovata rapidamente dai tecnocrati e dagli operatori finanziari che sono stati i veri artefici del disastro: scaricare a valle sul popolo tutti gli errori e le inefficienze che sono state create a monte del sistema. La colpa è del popolo spendaccione e non del banchiere o governante che ha consentito ai cittadini di indebitarsi oltre i limiti della decenza e della logica. E il popolo intero deve ripagare centesimo dopo centesimo, con tasse e tagli allo stato sociale, i debiti contratti da una parte minima dei suoi stessi concittadini.
Ma torniamo di nuovo ai dati, ai fatti, che erano noti da tempo e sotto gli occhi di tutti. Se indichiamo con il termine produttività totale dei fattori il rapporto tra il valore di mercato di ciò che si produce e il valore di mercato dei fattori produttivi impiegati, ossia capitale umano, capitale fisico (ammortamenti e nuovi investimenti), energia, materie prime e intermedie, importazioni, vediamo ancora una volta che i differenziali di prezzi e salari prima descritti hanno creato uno squilibrio sempre più marcato fra paesi della periferia come Spagna e Italia e i paesi del centro come la Francia e la Germania (guarda grafico sotto, dove la forbice inizia come sempre ad allargarsi dopo il 1997), senza che nessuno nelle varie commissioni o vertici europei abbia mai alzato un dito o detto una parola per ripristinare un contesto più equilibrato delle efficienze produttive e delle condizioni di lavoro nei vari stati dell’eurozona. Perché esisteva il veto proprio di Germania e Francia su qualsiasi proposta di modifica dei trattati europei, che potesse rendere minimamente più credibile e omogenea l’impalcatura fragile dell’unificazione monetaria, che senza una precedente unificazione delle politiche economiche e fiscali dell’intera eurozona sarebbe stato sempre un processo incompleto e difettoso. Ai tedeschi e francesi andava bene così e fosse stato per loro il gioco poteva andare avanti all’infinito.
Ma un’altra stupidaggine che viene spesso ripetuta da politici ed economisti di regime (ribadiamo sia di destra che di sinistra che di centro, per par conditio) è che la Germania ha potuto creare questi enormi surplus delle esportazioni perché è riuscita a penetrare nei mercati dei paesi emergenti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e in Cina in particolare. Ma se esaminiamo la tabella sotto vediamo che la situazione è ben diversa da ciò che ci raccontano: dal 1999 al 2007 il maggiore incremento delle esportazioni di beni è avvenuto verso i paesi europei (66%, di cui il 32% solo nei paesi PIIGS), mentre il saldo fra esportazioni e importazioni nei paesi BRICS è diminuito del -2% (di cui il -8% per la Cina, che esporta in Germania più di quello che importa). 
Nel grafico sotto vediamo ancora meglio e in modo immediato come la crescita dei saldi commerciali netti (esportazioni meno importazioni di beni) della Germania sia sempre stata superiore nei paesi dell’eurozona rispetto a tutti gli altri paesi del mondo (BRICS, Unione Europea non euro, Stati Uniti e altro). Ciò significa evidentemente che i saldi commerciali tedeschi verso i paesi dell’eurozona negli ultimi 10 anni sono stati sempre maggiori del 50% rispetto al totale.
Nello specifico, il confronto bilaterale fra i bilanci commerciali di Germania e Cina vede sempre i tedeschi in deficit rispetto ai cinesi, perché se è vero che i volumi di esportazioni sono aumentati nel tempo, è anche vero che le importazioni dalla Cina hanno avuto un tasso di crescita maggiore: come ripete spesso il professore Bagnai, in una verifica seria i flussi della bilancia dei pagamenti vanno visti sempre esaminando i dati nel complesso e non prendendo soltanto un valore di flusso come riferimento (ovvero dire che le esportazioni tedesche verso la Cina sono cresciute non significa niente, se non guardiamo pure nello stesso periodo cosa è accaduto alle importazioni di prodotti cinesi in Germania, perchè è dal saldo finanziario fra entrate e uscite monetarie che si può capire la reale efficacia e convenienza di una certa scelta commerciale o strategia economica).
Se entriamo ancora di più nel dettaglio (vedi tabella sotto), notiamo che anno dopo anno il saldo commerciale della Germania verso i paesi dell’area euro è stato superiore rispetto al resto del mondo (non euro area), per un semplice motivo: la Germania esportava molto nei paesi PIIGS ma importava poco i loro prodotti (per la già citata forbice dei prezzi, che rendeva poco appetibili e molto costosi per i consumatori tedeschi i prodotti di paesi in cui l’inflazione era considerevolmente più alta). Se esaminiamo soltanto la colonna delle esportazioni, vedremo che verso il resto del mondo le esportazioni tedesche sono state sempre maggiori in valori assoluti rispetto alle esportazioni nell’eurozona, ma se verifichiamo la colonna delle importazioni vedremo nei dati quello che sappiamo già nei fatti: la Germania importava dal resto del mondo molto di più in proporzione di quello che importava dai paesi dell’eurozona, quindi la parte maggiore del suo surplus commerciale si formava sempre a danno degli altri stati dell’area euro.

A questo punto risulta abbastanza chiaro il motivo per cui la Germania non è mai stato la locomotiva dell’eurozona, ma si è sempre configurata come un pesante rimorchio per tutti i paesi PIIGS, dato che è riuscita ad espandere la sua economia soprattutto grazie ai surplus accumulati in Europa, mentre nel resto del mondo i suoi dati di performance sono stati molto modesti. A differenza invece della Cina, che è una vera locomotiva per la sua area perché risulta quasi sempre in deficit commerciale con i paesi limitrofi e accumula i suoi enormi surplus con il resto del mondo, facendo da volano per un intero continente: quindi paragonare la Germania alla Cina è fuorviante e sbagliato, perchè la Cina consente lo sviluppo delle economie dei paesi confinanti e non li soffoca o li indebita come ha fatto la Germania in tutti questi anni con i paesi della periferia europea.

Dopo questa analisi, unita alla descrizione del meccanismo di funzionamento del sistema di regolamento dei pagamenti TARGET2, diventa ancora più evidente il modo in cui la Germania è riuscita ad imporre il suo disegno e a perseguire i suoi interessi a danno di tutti gli altri presunti alleati europei: vantaggio competitivo sleale sui prezzi e i salari, banca centrale BCE compiacente, istituzioni europee assenti, subdolo incoraggiamento ad utilizzare lo strumento del debito illimitato per acquistare prodotti tedeschi. E ora che questo sistema perverso è andato in frantumi, la Germania reclama l’austerità e il rigore nella gestione dei bilanci pubblici (vedi assurda imposizione dell’accordo intergovernativo Fiscal Compact) come unica via di uscita dal disastro, deviando l’attenzione dal vero nocciolo duro della questione europea che come invece abbiamo già visto è lo squilibrio e lo sbilanciamento macroeconomico. Ma come? Verrebbe da chiedersi, prima i tedeschi consentono a italiani, portoghesi, irlandesi, spagnoli e greci di indebitarsi, invitandoli palesemente a sfruttare la convenienza del regime dei bassi interessi che regnava nell’area dell’eurozona, e ora chiedono a quegli stessi popoli di svenarsi per ripagare un debito che è stato contratto in modo illecito e truffaldino? Questo sarebbe un atteggiamento corretto e solidale da parte di un paese alleato? Questa sarebbe l’Europa della libertà e della democrazia che qualcuno ha cercato di venderci?
In conclusione, è utile ricordare come promemoria per comprendere ancora meglio come funziona il meccanismo contorto dell’economia europea, cioè che è accaduto lo scorso anno durante gli accordi di salvataggio della Grecia: la Germania e la Francia hanno imposto alla Grecia di acquistare armamenti tedeschi e francesi per centinaia di milioni di euro nonostante i greci siano costretti – sempre dagli stessi – a imporre feroci tagli di spesa su salari, pensioni, sanità. Berlino e Parigi hanno preteso l’acquisto di armamenti (carri armati, sottomarini, cannoni) come condizione per approvare il primo piano di salvataggio della Grecia da 110 miliardi di euro. Il governo greco ha provato a negoziare ma alla fine, nel 2011, ha dovuto tirare fuori 1,3 miliardi di euro per due sommergibili tedeschi (inizialmente erano addirittura 4), 403 milioni di euro per i carri armati Leopard, mentre la Francia ha imposto l’acquisto di 6 fregate, 15 elicotteri e motovedette francesi per una spesa di 4,4 miliardi di euro. Questa insomma sarebbe l’Europa della collaborazione, della cooperazione e della fraterna amicizia fra paesi alleati.

Con il suo incredibile rapporto fra spese militari e PIL nazionale del 7%, la Grecia si piazza al 5° posto nel mondo fra i paesi più guerrafondai che investono maggiori fondi pubblici per l’acquisto di armamenti militari: ma come mai? Contro chi dovrà muovere guerra la Grecia con tutti questi armamenti? Quali nemici al confine costituiscono una minaccia così incombente per Atene? Vuoi vedere che alla fine i greci insorgeranno contro i loro stessi dittatori europei che sono arroccati a Berlino, Bruxelles, Francoforte? Chissà. Per adesso non ci rimane che inviare un caloroso invito a resistere e a combattere ai fratelli greci, consapevoli che fra poco arriverà anche il turno degli italiani di scegliere se lasciarsi spolpare vivi sulla gogna degli aguzzini o scendere nell’arena della resistenza comune europea. La guerra è appena iniziata e il nemico purtroppo non fa prigionieri.

tempesta-perfetta.blogspot.it/2012/02/la-germania-non-e-mai-stata-la.html

La morte delle cicale che si spacciavano per formiche (Deutsche Bank agonizzante?)

di Vladimiro Giacché

 Mentre le istituzioni europee e i governi nazionali sembrano ipnotizzati dal problema del debito pubblico, è probabile che la prossima crisi in Europa sarà una crisi bancaria. La cosa, visti i soldi già spesi dai governi per salvare le banche in Europa (all’incirca 4mila miliardi di euro), può sembrare parecchio strana. Ma la cosa più strana è un’altra: probabilmente questa crisi avrà il suo epicentro non nei cosiddetti “paesi periferici” ma nel centro dell’Europa. Ossia in Francia e – soprattutto – in Germania.

In Francia, a dire il vero, una crisi bancaria è già in corso: una banca specializzata (guarda un po’) in mutui immobiliari, il Crédit Immobilier de France, è prossima al fallimento. Quasi certamente non riuscirà a ripagare un’obbligazione da 1,75 miliardi di euro in scadenza questo mese, e dovrà provvedere lo Stato francese. Ma si stima che complessivamente le garanzie pubbliche che dovranno essere messe in campo a sostegno di questa banca saranno dell’ordine di 20 miliardi di euro. Come dire, due terzi della manovra di Hollande. Non c’è male.

Ma il fronte più caldo, almeno potenzialmente, è un altro, e riguarda la banche più grandi del paese: il valore delle attività di trading di BNP, Société Générale, Crédit Agricole e Natixis ammonta attualmente a qualcosa come 2.050 miliardi di euro, una cifra non molto inferiore all’intero prodotto interno lordo della Francia. Le attività di trading in azioni, obbligazioni e derivati sono cresciute del 21% in un anno e per quanto riguarda BNP e Société Générale superano ormai il 30% del totale delle attività di queste banche. Ma se prendiamo il trading in derivati la crescita è ancora maggiore: +48% per BNP, +38% per Société Générale.

Queste cifre significano due cose: che i rischi di mercato assunti da queste banche crescono, e – viste le cifre in gioco – che si può parlare di rischio sistemico. Ma in confronto a quello che accade in Germania i problemi delle maggiori banche francesi impallidiscono. La Germania ha tuttora uno dei sistemi bancari meno concentrati e meno efficienti dell’intera Europa (circa 1200 banche).

Basti pensare alle numerose Sparkassen (tradizionalmente vicine alla CDU), alle Landesbanken (fu una di esse la prima banca a fallire nel 2007, e molte sono tuttora in cattive acque) e alle Volksbanken. Ma il governo tedesco, che mesi fa poneva come condizione per ulteriori interventi europei a sostegno delle banche spagnole la realizzazione di un’unione bancaria europea, non appena questa unione bancaria ha assunto la forma di una concreta proposta di accentrare la sorveglianza bancaria in Europa presso la Bce, ha cominciato a frenare: con il ministro delle finanze tedesco Schäuble che è subito intervenuto chiedendo che questa sorveglianza valesse soltanto per pochissime grandi banche.

È stato fin troppo facile rispondergli che non sono soltanto le grandi banche a esprimere rischi sistemici: basti pensare a quello che è successo dopo il fallimento (con salvataggio governativo in extremis) di Northern Rock nel Regno Unito. E del resto è la stessa situazione spagnola a mostrarci che effetti possono avere i fallimenti di tante banche piccole e medie.

È corretto però affermare che oggi i maggiori rischi del sistema bancario tedesco non vengono dalle banche piccole e medie, ma da quella più grande: la Deutsche Bank. Con un bilancio pari all’80% circa dell’intero prodotto interno lordo della Germania, Deutsche Bank è una delle maggiori banche mondiali. Ma è anche una delle più sottocapitalizzate. Secondo i dati forniti da Bloomberg, il 30 giugno scorso di quest’anno era al quintultimo posto tra le 24 maggiori banche europee quanto a patrimonio (il cosiddetto “Tier 1 capital ratio”).

In apparenza sembrerebbe non passarsela troppo male, con un Tier 1 al 10,1% (le banche italiane, ad esempio, stanno peggio). Il problema però è che questo dato è ottenuto utilizzando “risk-weighted assets”, ossia una ponderazione di rischio diversa a seconda delle attività. Questo tipo di misurazione è apparentemente corretta, perché i rischi di perdita sono effettivamente diversi a seconda delle attività della banca. Ma è anche alquanto arbitraria: basti pensare che sino a non molto tempo fa i titoli di Stato e dell’Eurozona erano considerati tutti indistintamente a rischio zero.

Il modo più corretto per valutare l’adeguatezza del capitale di una banca è quindi un altro: misurare la “leva” (leverage ratio), cioè mettere a confronto il bilancio complessivo della banca con la sua dotazione di capitale. Bene, recentemente Simon Johnson, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale e oggi al Peterson Institute, ha fatto questo esercizio. E il risultato è questo: le attività di Deutsche Bank ammontano a 2.241 miliardi di euro, a fronte di un capitale di 55,75 miliardi di euro. In altre parole, il capitale di Deutsche Bank ammonta a poco meno del 2,5% rispetto agli assets della banca. Che è come dire che perdite del 3% sul totale del portafoglio della banca sarebbero più che sufficienti ad azzerare il capitale della banca. Ossia a farla fallire. Né più né meno di quanto è successo a Lehman Brothers, la banca d’affari americana fallita nel 2008, la quale del resto aveva una leva di appena 24 volte il capitale, a fronte del 40 medio delle banche tedesche.

Ma nonostante questo i nuovi coamministratori delegati della Deutsche Bank, Anshu Jain e Jürgen Fitschen, così come il loro predecessore Josef Ackermann, continuano a ritenere che la priorità non sia il rafforzamento del capitale, ma il suo rendimento: e hanno fissato un obiettivo di rendimento annuo del 12,5% dopo le tasse. Questo significa necessariamente continuare ad assumere rischi molto rilevanti.

Al momento il tutto è reso più semplice, tanto per Deutsche Bank, quanto per le altre banche tedesche, dal fatto che il basso rendimento dei titoli di Stato tedeschi (di fatto negativo, ossia inferiore al tasso di inflazione) si riflette positivamente anche sul costo di raccolta delle banche: in concreto, oggi una banca tedesca ha un costo del capitale inferiore del 2-3% a quello di una banca italiana.

Ma è una situazione che non può durare all’infinito. Un peggioramento della situazione economica europea è tutt’altro che una remota possibilità. È ormai molto probabile che l’approfondirsi della recessione in Europa coinvolga anche la Germania (già ora le previsioni di crescita per il 2013 sono prossime allo zero). Ma più in generale l’economia mondiale è in vistoso rallentamento, e alla luce di quanto sta accadendo in Medio Oriente anche uno shock sul prezzo delle materie prime energetiche non può affatto essere escluso.

Per evitare che tutto questo si traduca in una crisi bancaria, bisognerebbe fare anche in Germania (e in Francia) quello che è stato fatto in Svizzera: dove UBS e Crédit Suisse sono state costrette a fare ingenti aumenti di capitale.

Anche per questo sarebbe importante arrivare quanto prima a una sorveglianza bancaria europea. Ma le mosse più recenti proprio del governo tedesco, dalle schermaglie sulle banche di minori dimensioni per le quali dovrebbero restare competenti organi di vigilanza nazionali, alla richiesta – di pochi giorni fa – di estendere anche ai paesi europei che non fanno parte dell’euro la possibilità di decidere sulla configurazione della sorveglianza bancaria europea, sembrano avere un unico obiettivo: ritardare questo processo per proteggere ancora una volta le proprie grandi banche.

http://pubblicogiornale.it/economia-2/le-banche-tedesche-una-bomba-a-orologeria/

Mercati, Mercatini e Monti bis (+ un complotto)

I tiranni più saccheggiano e più esigono, più distruggono e più ottengono mano libera, più li si serve e più diventano potenti, forti e disposti a distruggere tutto; ma se non si cede al loro volere, se non si presta loro obbedienza allora, senza alcuna lotta, senza colpo ferire, rimangono nudi e impotenti, ridotti a un niente proprio come un albero che non ricevendo più la linfa vitale dalle radici subito rinsecchisce e muore.
Étienne de La Boétie

Le popolazioni più vulnerabili sono danneggiate dai salvataggi, mentre i ben pagati professionisti della finanza che in primo luogo hanno finanziato il disavanzo greco e spagnolo, continuano a trarre un profitto non indifferente. “Imporre i sacrifici ai Greci è … un prezzo di sangue per i ripetuti salvataggi i cui i beneficiari effettivi si dice che sono i Greci, ma in realtà sono i banchieri francesi e tedeschi”, ha dichiarato Galbraith.
Huffington Post, “A Thousand Cuts”

Gli anticomplottisti godono del tacito appoggio della massa, spinta a farlo dai naturali meccanismi di difesa della psiche (nessuno vuole immaginare che ci sia qualcuno che ce l’ha con lui e che sia molto più potente di lui – meglio classificare il tutto come “paranoia”). Gli anticomplottisti sono, volenti o nolenti, i migliori puntelli dello status quo.
http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/complottisti-ed-anticomplottisti-sono.html

I cosiddetti “mercati finanziari” si sono costruiti, in anni recenti, la fama di autorevoli giudici delle politiche economiche dei vari Paesi. Si dice “bocciato dai mercati” o “promosso dai mercati” come se un superiore e magistrale vaglio tecnico intervenisse a decretare la sapienza o l’insipienza di ogni mossa politico-economica. Poi però accade che “i mercati” commentino con un certo vigore (per esempio facendo cadere gli indici di Borsa) non una legge finanziaria, o una  manovra economica, ma un esito elettorale, come è accaduto in Francia  con la vittoria di Hollande e in Germania con il crollo della Merkel.  Si capisce, allora, che i mercati non sono giudici imparziali, ma attori  politici tanto quanto i governi che tremano al loro cospetto. Non rappresentano interessi collettivi più di quanto possa rappresentarli un qualunque partito politico: rappresentano interessi di parte (di una parte, per giunta, ristretta della società) tanto quanto qualunque  partito politico. Questo, ovviamente, non nega il loro peso, e neppure leva loro la dignità che spetta a una rilevante parte in causa nel gioco economico e politico. Ma dovrebbe suggerire alla politica un poco di indipendenza e di coraggio in più: quando arriva “il giudizio dei mercati” non è Dio che ha parlato, e dunque non è strettamente necessario stare in ginocchio.

Michele Serra, La Repubblica, 15 maggio 2012.

Si legge che il voto greco “non basta ai mercati” e ci si ingegna di capire che cosa basti, ai mercati: la consegna immediata  di tutte le ragazze vergini? La testa del Battista su un  piatto d’argento? La donazione di ogni bene pubblico e privato al circolo ricreativo dei banchieri? L’uso obbligatorio del papillon? Ma poi, soprattutto:chi diavolo sono, questi misteriosi “mercati”? Hanno fisionomia giuridica, un portavoce, un responsabile, un legale rappresentante, qualche nome o cognome al quale, all’occorrenza, presentare reclamo? Qualcuno ha  mai votato per loro? Se sbagliano, si dimettono? Quando e dove è stato deciso che il loro giudizio (il famoso “giudizio dei mercati”) conta più del giudizio dell’intera classe politica mondiale? Perfino i più esecrabili dittatori ci mettono la propria faccia, e a  volte finiscono la carriera appesi a un lampione. Perché i mercati  no? Se contano tanto (tanto da affamare i popoli, volendo, e tanto da salvarli, sempre volendo) perché sono l’unico potere, in tutto l’Occidente, che non si espone mai, non parla nei telegiornali,  non viene intervistato, fotografato, incalzato? Perché siamo tutti ai piedi di un’entità metafisica che per giunta non dispensa alcun genere di risarcimento spirituale, anche scadente?

Michele Serra, La Repubblica, 19 giugno 2012.

C’è davvero una “incompatibilità tra le regole dominanti dell’economia e le regole, ad essa sottomesse, della democrazia”, come si chiedeva ieri su questo giornale Gad Lerner riflettendo sulla situazione greca? Guardate che la domanda, specie se a porla non è un giovane rivoluzionario ma un maturo socialdemocratico come Lerner (e come me), è di quelle che fanno tremare le vene ai polsi. Perché se è vero, che le regole di questa economia sono monocratiche e sopraffattrici, prima o poi si tratterà di sovvertirle — o almeno correggerle radicalmente — prima che la democrazia ne esca definitivamente commissariata. E non sono le frange radicali, è la sinistra di massa, quella oramai incanutita nel quasi placido tran tran del parlamentarismo, delle elezioni, di un’alternanza che di alternativo ha davvero pochino, che si gioca il futuro se non sarà in grado di scuotersi. Il socialismo europeo, scrive ancora Lerner, rischia l’irrilevanza se si rassegna a considerare velleitaria una riforma democratica dell’architettura dell’Unione. Dato (quasi) per scontato che i socialisti non credono più nel socialismo, possiamo sperare che credano almeno nel primato della democrazia, e nella possibilità di sottomettere i famosi “mercati” ad essa, e non essa ai “mercati”? Vendola sappiamo già quello che pensa. Ma Bersani? Qui non serve la cavalleria. Serve la fanteria.

Michele Serra, La Repubblica, 21 giugno 2012.

Finché siamo noi della sinistra incanutita, a borbottare contro la dittatura dei mercati finanziari, possiamo anche credere di star ripetendo le solite vecchie solfe, come ufficiali in congedo nel loro circolo polveroso. Ma quando è la signora Merkel a dire che i mercati finanziari «non sono al servizio del popolo perché negli ultimi cinque anni hanno consentito a poca gente di arricchirsi a spese della maggioranza”, aggiungendo che “non bisogna consentire ai mercati di distruggere i frutti del lavoro della gente”, beh, ci sentiamo un poco rinfrancati. Forse alcune delle fole novecentesche attorno alle quali ci siamo formati — per esempio che il lavoro degli esseri umani deve avere più valore della speculazione, per il semplice fatto che vale di più — andrebbero rivalutate, visto che seducono anche una valorosa scampata al comunismo della Ddr, nemicissima dell’economia pianificata e statalizzata, leader autorevole del liberismo applicato.

Non per tartufismo, ma per evidente comodità tattica, di qui in poi potremmo sempre aggiungere ad ogni critica ai mercati finanziari una postilla invincibile: “Credete che l’abbia detto Nichi Vendola? Macché! L’ha detto la Merkel”.

Michele Serra, La Repubblica, 4 settembre 2012.

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La “cupola” dello spread tra teoria del complotto e attacco finale all’eurozona.

di Federico Rampini, La Repubblica, 25 luglio 2012

NEW YORK — IL TAM TAM CI AVVISA DA SETTIMANE: L’ATTACCO (FINALE?) ALL’EUROZONA È FISSATO PER AGOSTO.

Le voci s’infittiscono a Wall Street, le ha riprese ieri il New York Times in prima pagina: «L’estate sarà al cardiopalmo». La previsione di un’ondata speculativa contro gli anelli deboli dell’eurozona è razionale: agosto è un mese di attività ridotta sui mercati, i volumi degli scambi sono sottili, dunque è il periodo ideale per chi voglia ottenere il massimo effetto con le sue “puntate”. Ma il tam tam rischia anche di alimentare le teorie del complotto: dietro previsioni così insistenti esiste una regìa, un’azione concertata che prende di mira Grecia, Spagna, Italia? I patiti della dietrologia hanno qualche elemento a cui appoggiarsi. Oltre ai complotti immaginari, che usiamo per dare un volto e un nome alle forze impersonali dei mercati, qualche volta esistono le congiure autentiche.

NELLA CRONACA RECENTE, ALCUNI CASI SPECIFICI EVOCANO MANOVRE CONCERTATE CONTRO L’EUROZONA.

La prima data è l’8 febbraio 2010: i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Greenlight, Sac Capital) concordano un attacco simultaneo all’euro in una cena segreta a Wall Street. Goldman Sachs e Barclays partecipano. L’accusa è contenuta in una dettagliata inchiesta del Dipartimento di Giustizia Usa.

Un episodio successivo è datato 12 dicembre 2010. Quel giorno il New York Times rivela le «cene del terzo mercoledì di ogni mese»: riuniscono 9 membri di una élite di banchieri a Midtown Manhattan che rappresentano Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Morgan Stanley, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs e Credit Suisse. In quella “cupola” si concordano operazioni sui derivati. Fonte dell’accusa è nientemeno che Gary Gensler, capo della Commodity Futures Trading Commission cioè proprio l’authority di vigilanza sui derivati.

Il primo settembre 2011 è il Wall Street Journal a rivelare che lo stratega di Goldman Sachs Alan Brazil, in un rapporto confidenziale di 54 pagine, consiglia ad alcune centinaia di grossi clienti della banca delle operazioni di speculazione ribassista contro l’euro, con l’uso dei credit default swaps per lucrare dai fallimenti delle banche europee, spagnole in testa. In conflitto d’interessi, perché al tempo stesso Goldman Sachs è consulente del governo di Madrid.

Infine è del 10 novembre 2011 il “giallo” mai chiarito della falsa notizia su un imminente downgrading della Francia: l’indiscrezione esce dalla Standard & Poor’s, suscitando violente oscillazioni sui mercati. Viene seguita da una smentita, ma intanto il danno è fatto: l’indagine della magistratura francese è tuttora in corso.

http://www.modena.legacoop.it/rassegna/2012/07/pressline20120725_339983.pdf

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WALL STREET FA IL TIFO PER IL MONTI-BIS

Dopo Goldman Sachs anche Morgan Stanley e Citigroup auspicano che l’Italia non abbandoni la linea del premier che dovrebbe restare al governo alla guida di una grande coalizione o in alternativa salire al Colle.

Il messaggio è chiaro, Wall Street punta su un Monti-bis, o comunque su un governo che non esca dal solco tracciato dall’attuale presidente del Consiglio. Goldman Sachs pochi giorni fa, in un lungo report dedicato alle prospettive politiche italiane, aveva spezzato una lancia per il Pd, motivando però l’implicito endorsement con la constatazione che la vittoria di una coalizione di Centrosinistra guidata dal partito di Pierluigi Bersani avrebbe sostanzialmente proseguito la politica di rigore del governo Monti.

Ora è la volta di Citigroup e Morgan Stanley, che hanno appena pubblicato due studi aggiornati (tengono conto anche della crisi politica nella Regione Lazio) ed entrambe finiscono per auspicare che le prossime elezioni conducano ad una grande coalizione che riporti Monti a Palazzo Chigi, o anche al Quirinale. Una soluzione del genere, scrivono gli analisti di Citi, sarebbe la migliore per «mettere l’Italia sulla strada della ripresa». Di Monti, è scritto ancora nel report, si può dire che «ha fatto un eccellente lavoro nel ristabilire la credibilità dell’Italia all’estero», non ha avuto altrettanto successo però nel tagliare il debito o cambiare mentalità e abitudini degli italiani.

Ciononostante è emerso come un leader notevole (anche se si aggiunge che lo stesso non si può dire di alcuni ministri). Tracciando diversi scenari per il futuro Citi arriva quindi ad auspicare un prossimo governo, sostenuto da una grande coalizione e basato su una formula ibrida tecnico-politica, che sarebbe nella migliore posizione per chiedere «un programma tipo Troika con condizioni lievi, che consenta alla Bce di iniziare a comprare titoli di Stato italiani». Uno scenario, insomma, che avrebbe come completamento l’elezione di Monti al Quirinale, con «un ruolo che probabilmente sarebbe molto più importante di quello di premier per preservare i futuri rapporti dell’Italia con i suoi partner europei»

Altre soluzioni, per Citi, sarebbero molto più pericolose, e con un chiaro riferimento al ritorno in campo di Silvio Berlusconi, gli analisti si chiedono: «Compreremmo titoli di Stato di un Paese il cui premier possa proporre un altro ponte sullo Stretto?».

Anche Morgan Stanley auspica che l’Italia non abbandoni il Montismo. Del resto, scrivono gli analisti della banca d’affari: «Il rischio è che in vista delle elezioni, la volontà e la capacità di implementare le riforma venga meno». MS crede che «una situazione politica non risolta», che veda «nessun partito in grado di ottenere una maggioranza assoluta, e la crescente importanza dei partiti marginali, potrebbe trasformarsi in un canale di contagio».
«Se tutti i pezzi del puzzle politico andranno a posto», concludono gli analisti di Citigroup, che pure mantengono negativo l’outlook a breve, «crediamo che l’azionario italiano, che scambia circa il 60% al di sotto dei livelli del 2007 e con il minor P/E 2013 di qualsiasi altro Paese europeo, offra un potenziale per ritorni notevoli dopo anni di sottoperformance»”.

Antonio Satta

Fonte: www.milanofinanza.it

26.09.2012

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