I due fuochi, l’uovo di serpente, la lotta per un Mondo Nuovo

Le autonomie europee alla sfida dell’immigrazione. Quali diritti-doveri per i nuovi cittadini glocali?

21 settembre 2012, 18.00

Incontro pubblico

La crisi europea offre una grande opportunità per le autonomie locali come Trentino e Alto Adige, ma anche Catalogna, Baviera, Scozia, Paesi Baschi, Corsica. Queste regioni sono protagoniste di un processo di costruzione di una identità propria sempre più fortemente proiettata sullo scenario internazionale. Tale processo crea tuttavia una fortissima tensione attorno al concetto di cittadinanza: aperta all’inclusione degli immigrati come nuovi cittadini delle autonomie europee, o chiusa su una concezione attenta alla difesa della propria identità storica e delle radici etniche e territoriali?
Ne parliamo con Lorenzo Piccoli, Stefano Fait e Piergiorgio Cattani. Introduce Michele Nardelli.

Organizza: Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani

Luogo: Sala Aurora, c/o Sede Consiglio Provinciale – Trento

http://www.tcic.eu/web/guest/eventi/-/asset_publisher/8ZdO/content/storie-di-immigrazione-appunti-di-cittadinanza?redirect=%2Fweb%2Fguest%2Feventi

LINEE GUIDA DEL MIO INTERVENTO

La crisi dell’eurozona e la crisi globale aprono scenari nuovi per il futuro.

Un cambiamento positivo è quello che consente di diventare più liberi, più consapevoli, più responsabili e più miti (ossia meno prevaricatori).

Un cambiamento negativo è quello in cui la piramide sociale diventa più ripida, la dignità delle persone è mortificata, la libertà è compressa, l’iniquità è diffusa, la fratellanza umana è vilipesa.

Al momento attuale il Trentino-Alto Adige, come il resto del mondo, si trova preso tra due fuochi: quello della destra neoliberista, esportato dal mondo anglo-americano (Wall Street e la City di Londra) – il suo verbo è incapsulato in quel “a me non interessano i poveri” di Mitt Romney – , e quello della destra etnopopulista/etnofederalista, particolarmente forte nell’area che si estende tra i confini settentrionali della Baviera ed il Po e che, localmente, preme per la soppressione della regione Trentino-Alto Adige e vuole che il Trentino sia escluso dalla candidatura alle Olimpiadi Invernali del 2022.

Il rischio che corriamo è quello di un ritorno al passato, addirittura ad un sistema neo-feudale su base etnica-sciovinista che si proponga come rimedio (falso) alle catastrofi prodotte dal neoliberismo (vere); cioè a dire, ad una ridotta alpina (Alpenfestung) in un’Europa unita di stampo “imperiale” (“Fortezza Europa” la chiamano i critici), tenuta insieme solo dalla bramosia di potere e risorse e dalla paura di ciò che sta fuori e di ciò che è sgusciato dentro (milioni di immigrati, molti di loro musulmani).  

Alcune citazioni aiuteranno a delineare meglio i contorni e la natura del problema.

Vergérus, “L’uovo del serpente”, di Ingmar Bergman:

Il mio esperimento è come un abbozzo di ciò che avverrà nei prossimi anni. Tuttavia nitido e preciso: proprio come l’interno dell’uovo di un serpente. Attraverso la sottile membrana esterna, si riesce a discernere il rettile già perfettamente formato.

Lucio Caracciolo (prefazione a “I confini dell’odio”, 1999):

In discussione non è la dimensione geopolitica, economica o demografica della mia, della vostra, o forse della nostra patria di domani. In gioco è il carattere delle sue istituzioni e della sua società civile. Prima di decidere pro o contro l’Europa – l’Europa delle nazioni, l’Europa delle Regioni, lo Stato europeo o l’Europa ineffabile ed esoterica degli europeisti – dobbiamo decidere per o contro la democrazia liberale. Il resto viene dopo.

La decisione, come abbiamo oramai capito, non è purtroppo così scontata.

Ho parlato di due fuochi.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012, pp. 89-90) descrive il primo fuoco:

Noi non sappiamo se la crisi attuale sia una di quelle cicliche che investono il mondo capitalistico, oppure se sia qualcosa di completamente nuovo, come nuove saranno le uscite. In ogni caso, ne constatiamo già gli effetti, più o meno evidenti, nella vita delle nazioni, i cui governi, da rappresentanti delle istanze popolari, decadono a strumenti amministrativi dell’ordine dell’economia finanziaria mondiale. Alla cementificazione del pensiero, all’espulsione delle alternative dal campo delle possibilità, all’omologazione delle aspirazioni, alla diffusione di modelli pervasivi di comportamento, di stili di vita e di status e sex symbol nelle società del nostro tempo, lavorano centri di ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie, think-tanks, uffici di marketing politico e commerciale, in cui vivono e operano intellettuali e opinionisti che sono in realtà consulenti e propagandisti, consapevoli o inconsapevoli, ai quali la visibilità e il successo sono assicurati in misura proporzionale alla consonanza ideologica. La loro influenza sul pubblico è poi garantita dall’accesso a strumenti di diffusione capillari e altamente omologanti. Non è forse lì che, prima di tutto, si stabiliscono i confini simbolici del legittimo e dell’illegittimo, del pensabile e dell’impensabile, del desiderabile e del detestabile, del ragionevole e dell’irragionevole, del dicibile e dell’indicibile, del vivibile e dell’invivibile? Da qui provengono le forze simboliche potenti che, fino a ora, cercano di tenere insieme le nostre società….come in una religione, per di più monoteista.

Bruno Luverà (“Il razzismo del rispetto”, Una Città, 1999) descrive il secondo fuoco:

Nel nuovo regionalismo europeo ci sono due correnti: il regionalismo autonomista della Svp in Alto Adige o di Pujol in Catalogna, che hanno come idea-guida quella dell’autonomia dinamica, con l’acquisizione di sempre maggiori competenze per arrivare a forme forti di autogoverno, senza però che si arrivi a mettere in discussione la lealtà rispetto allo Stato nazionale, se non in una prospettiva lontana (per esempio, il diritto di autodeterminazione viene posto come valore, ma non se ne chiede l’esercizio immediato). L’altra corrente è quella, invece, micronazionalista, secondo la quale la regione diventa sinonimo di nazione, di piccola nazione, di piccola patria, e il richiamo alla regione serve per creare dei meccanismi di esclusione, serve per innalzare dei muri attorno a un luogo molto facile da controllare, potenzialmente più sicuro, in cui il criterio fondante la cittadinanza è quello dell’omogeneità etnica… La Baviera ha giocato fino in fondo la carta dell’Europa a due velocità perché questa poteva aprire scenari geopolitici interessanti. I quali, guarda caso, sarebbero andati nella direzione dell’Europa delle Regioni; l’Europa delle due velocità era uno scenario che poteva rimettere in discussione i confini.

Lucio Caracciolo, in un dibattito con Enrico Letta (Caracciolo/Letta, 2010, p. 22), illustra il punto di contatto tra i due fuochi: la distruzione del progetto europeo pluralista, democratico e liberal-socialista e degli stessi stati-nazione che lo compongono, attraverso la creazione di un’Europa a due velocità:

L’attuale crisi economica, che è sempre più una crisi sociale, rischia poi di mettere in questione il senso concreto degli Stati nazionali, a cominciare dal nostro. Quando i tedeschi riscoprono l’Euronucleo come insieme riservato ai Paesi connessi all’economia e alla cultura monetaria germanica, constatiamo che ne risulta rafforzata la tesi «padana» per cui il Nord Italia pertiene a questo spazio, il Sud niente affatto. […]. Se davvero si costituisse un Euronucleo paracarolingio, forse ne saremmo esclusi. In tal caso metteremmo a rischio l’unità nazionale. Perché se il criterio di quel nucleo è l’appartenenza alla sfera economica tedesca, fino a Verona ci siamo, più a sud molto meno. Bossi avrebbe buon gioco a rispolverare i suoi argomenti secessionisti. Per la Lega l’Euronucleo tornerebbe a rivelarsi la leva per dividere l’Italia, non per unire l’Europa.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia dagli anni Settanta, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale, ha espresso la sua approvazione per questo genere di sviluppo, che si integra perfettamente nelle strategie della NATO (Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012):

Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera.

Questo è un progetto che piace molto alle fondazioni e think tank neoliberisti e che potenzierebbe a dismisura le spinte secessioniste nei paesi relegati in “serie B”. Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Alto Adige e “Padania” difficilmente tollererebbero l’esclusione.

In un’intervista per il Corriere della Sera (“Ispiratevi alle città del Rinascimento”, 14 luglio 2012), Marcia Christoff Kurapovna, sfegatata paladina del neoliberismo residente a Vienna, ha perciò esortato la Grecia e l’Italia a seguire l’esempio jugoslavo, smembrandosi in piccoli staterelli sul modello dell’Alto Adige/Sudtirolo. Ha sorvolato però sul dettaglio che tali micro-entità sarebbero istantaneamente e completamente alla mercé dei mercati, delle oligarchie finanziarie, delle multinazionali.

Esaminiamo dunque questo progetto di uno Stato Libero del Sudtirolo.

Il politologo Günther Pallaver, intervistato nel febbraio del 2009 da Gabriele Di Luca, in vista di un dibattito pubblico sul tema “Stato libero: una visione” ha dichiarato, in modo piuttosto perentorio:

Chi rivendica il diritto all’autodeterminazione sottolinea in continuazione che gli italiani – in uno Stato autonomo o nell’ambito dello Stato austriaco – sarebbero tutelati come lo sono i tedeschi in Italia. Ciò significa che la tutela attuale non può essere poi così male. Ma se penso a come l’Austria tutela le sue minoranze, allora il mio scetticismo si acuisce. Basta dare uno sguardo alla Carinzia, dove vive la minoranza slovena. Confesso che in uno Stato sovrano avrei paura del nazionalismo tedesco, dei suoi impulsi vendicativi. Solo fino a pochi anni fa gli Schützen dichiaravano che gli italiani sono solo ospiti in questa terra, un’assurdità che contrasta con i diritti fondamentali dell’uomo, poiché ogni cittadino dell’Unione Europea ha il diritto di residenza in tutti i suoi Stati membri. Preferisco dunque le certezze di oggi: garanzie costituzionali e internazionali e una cultura politica europea di democrazia e tolleranza. Alle promesse di un radioso futuro preferisco le sicurezze del presente.

I Freiheitlichen hanno commissionato la stesura della bozza di una possibile costituzione per lo Stato Libero del Sudtirolo. Tale bozza corrobora i timori di Pallaver, stabilendo che lo strumento referendario consentirebbe di emendare la costituzione: il che introduce la prospettiva di una tirannia della maggioranza che stravolga quegli articoli che tutelano i diritti civili di chiunque risieda in Alto Adige – in primis gli immigrati, che non sono particolarmente ben visti –, lasciando intatti quelli più problematici, come quello che consente ai ladini veneti di chiedere l’annessione al nuovo stato, generando ulteriori tensioni con l’Italia e quello che sancisce il diritto per ogni gruppo etnolinguistico di difendere la propria identità, aprendo la strada ad ogni possibile interpretazione. Infatti, molti si ricorderanno della famosa vicenda della rana verde che stringe un boccale di birra ed un uovo tra le zampe, autoritratto dell’artista Martin Kippenberger, torturato dall’alcolismo, la sua croce. Fu esposta al Museion di Bolzano e scatenò la furia di una parte della popolazione locale. Il presidente del Consiglio Regionale, Franz Pahl, arrivò a dire che “la Rana è un oltraggio alla nostra cultura. Se continueremo di questo passo arriveremo alla totale anarchia”. Ora, al di là del fatto che la stessa destra che mandava gli Schützen a presidiare l’accesso al Museion ora bolla come primitivi i musulmani che si sentono ingiuriati da una pellicola trash che ritrae Maometto come un pedofilo-stupratore-pappone-sterminatore, questa è una dichiarazione che esplicita la bizzarra credenza che non insegnare ai bambini la (presunta) verità di una particolare religione equivalga ad educarli al nichilismo. Bizzarra perché c’è da augurarsi che molti concordino nel dire che la fonte più affidabile per una condotta autenticamente morale è imparare a metterci nei panni degli altri – pur tenendo conto dei loro gusti. Chiunque dovrebbe essere in grado di farlo, ma sono proprio le militanze ed identificazioni forti (incluso l’ateismo) ad essere di grave ostacolo. Pichler-Rolle, il presidente del partito di governo in Alto Adige, l’SVP, chiese la rimozione dell’opera perché “troppi sudtirolesi si sono sentiti feriti nei loro sentimenti religiosi”.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012,  p. 45) ci ragguaglia rispetto al potere dei simboli ed alla necessità di democratizzarli:

“Il simbolo che non è di tutti, ma è solo di qualcuno, cessa di essere simbolo e diventa diabolo. Viene meno ai suoi compiti d’unificazione, di diffusione di sicurezza e di promozione di speranza…Se qualcuno se ne impadronisce, governandone i contenuti, inculcandoli come propaganda o come pubblicità nella testa degli altri, facendone così strumento di governo e di dominio delle coscienze, il simbolo cambia natura…Il simbolo-diabolo può diventare il diapason del potere totalitario.

Chi controlla certi simboli controlla le coscienze attratte da tali simboli; può così dominare intere nazioni (pensiamo ad Hitler, alla swastika, all’Ariano) e magari perfino interi pianeti.

Quel che vogliono i Freiheitlichen è, molto semplicemente, una piccola fortezza, una ridotta alpina, all’interno della Fortezza Europa.

Proprio sul tema delle fortezze in Alto Adige e della loro vacuità, la celebre scrittrice indiana Arundhati Roy ha qualcosa da dire (da “The Briefing”, Manifesta 7, 2008):

Cosa custodivano qui, care compagne e compagni? Cosa difendevano? Armi. Oro. La civiltà stessa. Questo è ciò che dice la guida…Quando le ossa di pietra di questo leone di pietra saranno interrate nella terra inquinata, quando la Fortezza-che-non-è-mai-stata-attaccata sarà ridotta in macerie e la polvere delle macerie avrà formato dei cumuli, chissà che non nevichi di nuovo.

Per concludere, un intervento (Alto Adige, 25 luglio 2012) di Luigi Gallo, assessore alla Partecipazione, al Personale e ai Lavori Pubblici del comune di Bolzano, che va dritto al cuore del problema. Rispondendo a due lettori impregnati di luoghi comuni xenofobici, mostra il nesso tra i due fuochi, l’immigrazione e l’unica, concreta, attuabile soluzione ai nostri problemi, un autentico viatico verso un Mondo Nuovo:

I due lettori hanno sacrosanta ragione a lamentare una drammatica crisi economica che colpisce giovani, pensionati, lavoratori; ma dovrebbero rivolgere i propri strali verso altri bersagli; mentre loro guardano male il carrello della spesa del vicino immigrato o notano con invidia la marca della sua auto di “seconda mano”, qualche decina di speculatori a livello mondiale – con un clic sulla tastiera di un computer – guadagna miliardi di euro con operazioni di Borsa che mandano sul lastrico interi paesi, Italia compresa; le conseguenze sono poi che i governi di quei paesi devono tagliare gli ospedali, le scuole e le pensioni per risparmiare e pagare interessi astronomici sui titoli di stato. Forse i due lettori potrebbero prendersela con queste politiche economiche che tagliano pensioni e diritti del lavoro mentre gli evasori fiscali rimangono salvi. Certo, è più facile guardare il vicino di casa che viene dal Marocco o dal Pakistan e pensare che sia colpa sua, ma non è così. Piaccia o meno, semplicemente non è così. Avete tante ragioni cari signori ma la guerra fra poveri serve solo a distruggere la solidarietà fra le persone e a far ridere “quelli in alto, ma molto in alto” che decidono la nostra vita. Sta a voi decidere da che parte stare

Scozzesi, baschi, catalani e sudtirolesi alle prese con il Nuovo Ordine Europeo

a cura di Stefano Fait

 

 

La seconda grande lezione della guerra del Kosovo è che non ci sono più scontri ineluttabili di culture, etnie e civiltà, se non nelle interpretazioni dei loro fautori. Le motivazioni e i comportamenti reali dei protagonisti di questi scontri sono molto distanti da quelli attribuiti loro dalla politica, dalla diplomazia e dal circuito dell’informazione internazionali. Il Kosovo non è una provincia di odi etnici secolari e di fanatismo religioso. E il resto dei Balcani non è diverso.

Pino Arlacchi, prefazione a “La Torre dei Crani. Kosovo 2000-2004”, di Antonio Evangelista

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5597

Anche se la maggior parte delle persone continua a credere che la facciata della realtà sia tutta la realtà, le cose stanno diversamente:

http://fanuessays.blogspot.com/2012/01/ferruccio-pinotti-sui-poteri-occulti.html

Pensiamo solo alla candidatura della Clinton alla direzione della Banca Mondiale:

http://www.reuters.com/article/2011/06/09/us-obama-clinton-worldbank-idUSTRE7586P720110609

Cosa ci dice sull’equanimità, indipendenza e democraticità delle istituzioni globali, quelle che decidono delle sorti di popoli e nazioni?  Cos’è la Banca Mondiale, un istituto finanziario o un’appendice politica globale dell’impero anglo-americano?

E cosa ci dice la spietatezza con la quale sono stati trattati milioni di Greci, come se fossero collettivamente colpevoli, o la virulenza della germanofobia che si diffonde attraverso il continente?

Il bullismo delle istituzioni europee è ormai sfrenato. Ora se la prendono con la Spagna perché il nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy ha ritardato l’implementazione delle misure di austerità a dopo le imminenti elezioni regionali perché, comprensibilmente, non è entusiasta all’idea di danneggiare i candidati del suo partito. Le sanzioni contro la Spagna sono assai probabili e potranno ammontare ad una quota pari a fino allo 0,1% del suo PIL:

http://www.euronews.net/business-newswires/1386450-eu-to-punish-spain-for-deficits-inaction/

Non è ancora chiaro se l’obiettivo sia quello di far vedere chi comanda o, il che è più probabile nel caso della Grecia, arrivare alla sua espulsione facendo ricadere la colpa interamente su di essa – strategia dell’agnello sacrificale. In Giappone i media spiegano ai cittadini giapponesi che se non accetteranno l’austerità finiranno come gli Italiani, in Italia ci spiegano che se non accetteremo l’austerità faremo la figura dei Greci. Ai Greci hanno spiegato che se non avessero accettato un severissimo regime di austerità sarebbero finiti male. Onestamente non vedo come possano finire peggio di così, salvo un’eventuale occupazione da parte di un esercito invasore o l’instaurazione di una dittatura militare.

Difficile che l’Unione Europea voglia fare a meno della Spagna, che è un boccone molto grosso. Dunque l’intento degli eurocrati potrebbe essere quello di intimidire gli Spagnoli. È l’ultima fase della strategia iniziata con un flusso di capitali in eccedenza (nazionali e bancari) diretto verso i PI(I)GS che garantisse il loro ingresso in Europa per poi poterli spennare, con la complicità dei politici locali, e simultaneamente spennare i contribuenti delle nazioni ricche:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

Ora, scatenata la crisi, banche ed istituzioni europee sono legittimate a maramaldeggiare ed interferire con gli affari interni dei vari paesi nel mirino, facendosi passare per le vittime che pretendono a buon diritto dei risarcimenti, quando invece sono degli usurai/pusher che sapevano molto bene fin dall’inizio che stavano facendo cadere in trappola le loro prede. Questa conclusione non ha un puro valore teorico: la correttezza di questo ragionamento comporta che siamo di fronte a persone (sociopatici? psicopatici? schizoidi? narcisisti?) che si sono macchiate di vari crimini contro l’umanità per via della loro sconfinata avidità e carenza di coscienza/empatia. Ci sono dunque evidenti implicazioni giuridiche e morali di cui i futuri partigiani/resistenti/rivoluzionari e storiografi dovranno tener in conto. A ciò si dovrebbero aggiungere i capi di imputazione che si sono guadagnati nei rapporti con i paesi in via di sviluppo e che i cittadini delle nazioni “evolute” hanno convenientemente trascurato (qualche miliardo di umani in surplus).

Ad ogni buon conto, sebbene l’attuale configurazione istituzionale dell’Unione Europea sia ben lontana da quella statunitense, Bruxelles si comporta già come Washington, un atteggiamento che fino a pochi anni fa sarebbe stato giudicato intollerabile. La paura della crisi ha ammansito gli Europei. Per ora, solo i Greci hanno cominciato a dire no. È auspicabile che non siano gli unici, che non siano lasciati da soli. Se ho imparato a conoscerli bene, non penso che gli Spagnoli si asterranno dalla lotta. Così, mentre la sfera egemonica anglo-americana (e non solo) spinge centripetamente nella direzione di un governo mondiale, parallelamente prendono forma forze centrifughe che sono istantaneamente demonizzate, bollate come “etnopopulismi reazionari” anche quando hanno un carattere autenticamente progressista, democratico ed umanista/umanitario nel senso più vero del termine.

Come non tutto il separatismo sudtirolese è xenofobico e regressivo, così i movimenti catalani, baschi, galiziani, scozzesi, corsi e sudtirolesi/altoatesini per l’autodeterminazione non possono essere tutti, o nella loro interezza, designati come anti-moderni ed anti-europeisti. Quel che è certo è che non si lasceranno sottomettere facilmente. Non ho idea di quali potranno essere le conseguenze, ad esempio in Alto Adige, ma ho l’impressione che le perduranti conflittualità tra maggioranze e minoranze saranno sfruttate nel nome del divide et impera ed occorrerà fare di tutto per evitarlo, apprendendo le lezioni della storia:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/si-puo-evitare-una-terza-guerra-civile.html

Sia come sia, la Scozia ambisce a tentare la strada della devoluzione integrale, se possibile tra il 2014 ed il 2016:

http://www.guardian.co.uk/uk/scotland

I politici inglese sono estremamente preoccupati riguardo a questo sviluppo non perché temano la secessione (non ci sarà, gli Scozzesi preferiscono una piena devoluzione alla problematica creazione di uno stato nazionale) ma perché sanno che il partito nazionalista scozzese (Scottish National Party) è progressista ed anti-neoliberista, ossia è la bestia nera delle politiche in voga nell’eurozona e che sono invece guardate come il fumo negli occhi nei paesi nordici, dall’Islanda alla Finlandia. Addirittura il leader dei nazionalisti scozzesi, Alex Salmond, ha dichiarato di voler servire da esempio per tutte le forze progressiste del Regno Unito e oltre. Insomma, Salmond vuole portare all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale tutti quegli argomenti che le oligarchie autoritarie dell’eurozona e della City di Londra cercano di mantenere lontano dai riflettori. Odiano il pluralismo, specialmente nei media. Odiano l’idea che qualcuno possa decidere di proporre sul serio – e non nella certezza che non si farà mai (cf. Merkel e Sarkozy) – l’introduzione di forme di tassazione delle transazioni finanziarie, o di contrastare l’evasione fiscale delle élite e le iniziative militari del Regno Unito e della NATO in giro per il mondo. Un esempio del genere sarebbe devastante per il loro monopolio della percezione pubblica della realtà. Nascerebbe un’autentica alternativa, non si potrebbe più dire che esiste un unico modo di affrontare la crisi e lasciarsela alle spalle. Il neoliberismo troverebbe un avversario in grado di sconfiggerlo, in Scozia, in Galles, nell’Irlanda del Nord, nella stessa Inghilterra e in Irlanda, qualcuno che sventoli la bandiera della giustizia sociale e dell’autodeterminazioni degli individui.

La Scozia potrebbe ambire anche all’indipendenza visto che produce più ricchezza della media britannica e invia a Londra più imposte dei trasferimenti statali che riceve in cambio, si emanciperebbe da politiche che favoriscono invariabilmente Londra ed il Sud-Est e che aggravano le disparità sociali, privatizzando le risose e servizi pubblici, non dovrebbe partecipare a guerre alle quali si oppone, si denuclearizzerebbe, si potrebbe opporre al continuo afflusso di scorie nucleari sul suo territorio, potrebbe diventare energeticamente autonoma, grazie allo sfruttamento delle rinnovabili, del petrolio e del carbone, avrebbe un seggio all’ONU e nell’Unione Europea. Le esportazioni di whisky scozzese rappresentano il 25% delle esportazioni alimentari britanniche. La Scozia potrebbe aspirare a raggiungere i paesi nordici in termini di sviluppo umano e qualità della vita.

La Catalogna vorrebbe l’autodeterminazione per il 2014, a trecento anni dalla perdita della sua indipendenza. Ci sono ostacoli ma si insiste, prendendo a modello la Scozia:

http://www.europapress.es/catalunya/noticia-carod-defiende-referendum-independencia-2014-si-era-viable-20120112111211.html

I separatisti sudtirolesi si ispirano ai separatisti catalani:

http://www.gruene.bz.it/index.php?option=com_content&view=article&id=287:lautodeterminazione-lalto-adige-non-e-la-catalogna-selbstbestimmungsuedtirol-ist-nicht-katalonien-&catid=35:landtag-consiglio-provinciale&Itemid=64&lang=it

http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2011/04/12/news/klotz-l-esempio-della-catalogna-3930391

Qui un sommario confronto tra le due esperienze:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/separatismo-sudtirolese-separatismo.html

La situazione altoatesina è particolarmente delicata:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/quel-che-i-politici-altoatesini-non.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/auspici-per-il-2012ed-il-2013ed-il-2014.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/giustizia-e-riconciliazione-in-alto.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/10/alex-langer-twin-peaks.html

In inglese:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/gemutlich-segregation-multiculturalism.html

L’inevitabile, grave recessione infiammerà gli animi. Lo si intuisce esaminando le tendenze di voto per il partito nazionalista scozzese:

1929 3,000
1931 21,000
1935 30,000
1945 27,000
1951 7,000
1955 12,000
1959 21,000
1964 64,000 – 1963: scoperti giacimenti petroliferi nel Mare del Nord
1966 128,000
1970 307,000 – 1969-1970: scoperta di due enormi giacimenti petroliferi al largo della costa scozzese

1974 633.000 – [la prima di due elezioni]
1974 839,000 – 1973-1974: crisi petrolifera, crisi economica, austerità

1979 504,000
1983 497,000
1987 416,000
1992 629,000 – sfarinamento dell’Unione Sovietica in varie repubbliche indipendenti e Guerra del Golfo

1997 621,000 – Hong Kong torna alla Cina
2001 464,000
2005 412,000
2010 491,000 – crisi economica

Così proprio l’arma che doveva servire a sottomettere i popoli potrebbe ritorcersi contro gli aguzzini. Tutto dipende da come la gente impiegherà Internet, se per informarsi e poi rifiutarsi di cooperare, o per prendere per buone le versioni ufficiali delle autorità e servirle. Per il momento non sembra probabile che l’Internet possa essere soppressa a breve e in misura significativa. Dunque c’è la speranza che sempre più gente si renda conto, tra le altre cose, che altri paesi, prima della Grecia, hanno fatto default senza finire all’inferno, anzi – es. Russia, Brasile, Argentina, Ecuador, Messico – e si renda conto che non c’è alcuna ragione di credere che solo i Greci siano stati condotti al massacro dai propri politici.

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