Un gustoso aneddoto sulla nostra più recente serata alla Bookique.
Un attempato e simpatico signore che aveva letto sul Trentino che alla Bookique si parlava di droni è venuto con la moglie alla serata dicendoci: “mi son de Dro (un paese trentino) e me ‘nteresa i droni”.
Marco Rosi, il gestore, all’apertura del locale, si è trovato lì la moglie del suddetto che aspettava da un po’ di poter entrare e che gli ha chiesto: “è qui che si parla di droni?”
Il nostro pubblico è eterogeneo e sorprendente!
MESSICO
se il Messico perde il controllo della guerra al narcotraffico si ipotizza l’uso dei droni statunitensi nello spazio aereo messicano
BOLZANO
in 3 casi su 4 le forze di polizia britanniche li hanno testati e poi scartati:
già nel marzo 2013 il sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli avviò contatti con il bolzanino Alex Galtarossa dell’azienda ravennate Italdron. Obiettivo: verificare la praticabilità di questi minielicotteri computerizzati dotati di telecamera – ritorna alla carica a dicembre:
“Immaginate città in cui piccoli aerei senza pilota volano silenziosi ad alta quota, impossibili da individuare ad occhio nudo, equipaggiati con video e fotocamere ad alta definizione e capaci anche di penetrare muri grazie a tecnologia ad infrarossi. Sta già succedendo in alcune città americane ed è solo questione di tempo prima che avvenga in tutto il paese e, chissà, anche in Europa”.
tutti i maschi in età da combattimento in area di guerra (mezzo Afghanistan e tutto il nord del Pachistan) sono considerati “nemici combattenti” eliminabili coi droni se il loro comportamento è sospetto
Esiste una differenza morale di qualche rilievo tra giustiziare i “nemici pubblici” gettandoli in mare da un elicottero o un aereo (Pinochet/Videla) e farli saltare in aria a terra con un robot volante (Obama).
STATI UNITI
Per il 2015 i cieli statunitensi saranno solcati da 30mila droni, a spese dei contribuenti (5 miliardi di dollari nel solo 2012).
Eric Holder, Il ministro della Giustizia americano (Attorney General, procuratore generale) rivendica con nonchalance il diritto di assassinare cittadini americani con i droni sul suolo americano (!!!)
OPERAZIONE VENTO STELLARE: attività di monitoraggio e registrazione di ogni comunicazione email e telefonica, di transazioni finanziarie e attività in rete di cittadini americani. Amministrazione Obama la dichiara interrotta. Si viene poi a sapere nel 2012 che prosegue a pieno ritmo
Se un “alto funzionario” (anonimo) decide che un cittadino americano rappresenta una “minaccia” (generica, a sua discrezione) per gli Stati Uniti, una minaccia “imminente”, avendo intrapreso “azioni ostili agli Stati Uniti” e se un “alto funzionario” (può anche essere lo stesso di cui sopra) pensa che potrebbe essere più problematico o rischioso cercare di catturarlo (e quando non lo è?) allora diventa legale ucciderlo preventivamente, senza un processo e senza alcun vaglio delle prove incriminanti.
A questo proposito, THE ONION, periodico satirico:
“A seguito della pubblicazione di una nota confidenziale del dipartimento di giustizia che delinea la giustificazione legale dell’amministrazione Obama per l’uccisione di cittadini degli Stati Uniti, un nuovo sondaggio del Pew Research Center ha rivelato che la maggioranza degli americani è divisa sul diritto del governo di ucciderli ovunque, in qualsiasi momento e senza un giusto processo.
“Da una parte, e questo mi è chiaro, è importante che il governo sia in grado di uccidere me e tutti i miei amici o familiari ogni volta che la cosa torni utile per ragioni di sicurezza nazionale. Ma, d’altra parte, sarebbe anche bello rimanere in vita e avere, diciamo, una prova, un processo e cose del genere”, ha detto, visibilmente combattuta, la trentanovenne Rebecca Sawyer che, come milioni di altri americani, è indecisa sul fatto che agli agenti segreti federali sia consentito individuarla e assassinarla ovunque sul suolo americano. “Non mi dispiacerebbe se i funzionari federali facessero saltare in aria altri cittadini, affermando che è per la mia sicurezza. È solo che quando si tratta di me, credo che preferirei non essere abbattuta dai miei rappresentanti eletti con accuse che non devono essere confermate da una qualsiasi autorità che debba rispondere delle sue decisioni. Questa è una scelta difficile”. Mentre la maggior parte degli americani ha espresso sentimenti contrastanti per quanto riguarda la nota, il sondaggio ha anche rilevato che il 28 per cento dei cittadini è inequivocabilmente a favore dell’essere cancellato dalla faccia della terra, in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo, in un massiccio attacco aereo”.
PSICOLOGIA
Le persone che guidano i droni a distanza, ci informa la rivista Rolling Stone, descrivono le loro vittime come “insetti spiaccicati”, “poiché la visualizzazione dei corpi attraverso uno schermo video verde-granulato dà il senso dello schiacciamento di un insetto”.
Si comincia in Serbia nell’ottobre del 2000. è ormai documentato dagli storici che alcune ONG statunitensi, in particolare Open Society [Soros], Freedom House e il NED, abbiano sostenuto “Otpor!” e le grandi manifestazioni di piazza a ridosso delle elezioni presidenziali, senza attendere il risultato definitivo delle urne, che vedeva i due candidati andare verso un probabile ballottaggio…Dopo l’assalto della folla alla sede del Parlamento e alla tv di Stato, Slobodan Milosevic è costretto a lasciare il potere. In seguito sarà arrestato e consegnato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, dove morirà prima di essere giudicato. Sotto il nuovo governo le truppe americane realizzano la gigantesca base militare di Bondsteel, in Kosovo, e rendono l’ex provincia serba uno stato indipendente nel 2008, in un tripudio di bandiere a stelle e strisce.
In Georgia, nel 2003, si ripete lo stesso schema. L’opposizione guidata dal movimento “Kmara!” denuncia brogli elettorali nelle elezioni legislative. A migliaia scendono in piazza sostenendo che i risultati del voto sono quelli indicati dal ISFED, una società di sondaggi e monitoraggio elettorale vicina a Open Society Georgian Foundation, NED, IRI e NDI. È la cosiddetta “rivoluzione delle rose”, con la quale i manifestanti costringono il presidente Edward Shevarnadze a dimettersi. Il suo successore, Mikhail Saakashvili, apre il paese agli interessi economici americani e si muove in direzione dell’entrata della Georgia nella NATO e nell’UE, mentre raffredda i rapporti con il vicino russo. Cinque anni più tardi, nell’agosto del 2008, Sakashvili bombarda la popolazione dell’Ossezia del Sud. Mosca risponde all’offensiva militare georgiana con l’invio delle forze speciali, arrivando a un passo da un possibile conflitto diretto con Washington.
Nel 2004 è la volta dell’Ucraina e della rinomata “rivoluzione arancione”. I due sfidanti alle elezioni presidenziali sono Viktor Yanoukovitch (filorusso) e Viktor Iouchenko (con il sostegno degli Stati Uniti e della comunità internazionale). Alla chiusura dei seggi e ai primi risultati sfavorevoli, migliaia di giovani, guidati dal movimento “Pora!”, si raggruppano nella piazza centrale di Kiev indossando indumenti color arancione, per sostenere Viktor Iouchenko. Dopo due settimane di manifestazioni, sotto una forte pressione mediatica e internazionale esercitata da OCSE, NATO, Consiglio d’Europa e Parlamento europeo, il risultato delle elezioni viene annullato e si torna alle urne. Nella nuova votazione vince Iouchenko..Una volta alla guida del paese, il nuovo leader stringe forti rapporti con la Georgia e stipula accordi sulle forniture di gas favorevoli agli Stati Uniti. Nel 2010 viene però clamorosamente eliminato al primo turno delle elezioni da Viktor Yanoukovitch che si prende la rivincita.
Alfredo Macchi, “Rivoluzioni S.p.A.: chi c’è dietro la Primavera Araba”, Alpine studio, 2012 pp. 78-80.
Gli Stati che meritano il più forte sostegno geopolitico americano sono l’Azerbaijan, l’Uzbekistan e l’Ucraina, in quanto tutti e tre sono pilastri geopolitici. Anzi è l’Ucraina lo stato essenziale, in quanto influirà sull’evoluzione futura della Russia. […]. Tra il 2005 e il 2010 l’Ucraina dovrà essere pronta per un confronto serio con la NATO. Dopo il 2010, il principale nucleo della sicurezza in Europa consisterà in Francia, Germania, Polonia e Ucraina.
Zbigniew Brzezinski, “La Grande Scacchiera”
L’obiettivo principale della politica europea brzezinskiana – e quindi obamiana, se i neocon non lo fanno deragliare di nuovo come sulla Siria – è unificare il continente, ma sotto l’egida americana (un’Unione Europea a sovranità limitata, appendice della NATO), sfruttando le rivalità tra le varie potenze europee e i lobbismi a Bruxelles (es. accordo di libero scambio transatlantico).
I principali avversari sono la Francia (per la sua pretesa di voler continuare a essere una nazione guida a livello globale) e la Russia (potenza egemone dell’Eurasia). Queste due nazioni non devono perciò allearsi. Peggio ancora se si forma un asse Parigi-Berlino-Mosca. Germania e Italia sono comunque sotto occupazione militare. L’Italia è la seconda nazione europea per numero di installazioni militari delle forze americane. Siamo al quinto posto del mondo dopo Germania (179 siti militari US), Giappone (103), Afghanistan (100), Corea del Sud (89). Ne abbiamo 59.
Il profilo internazionale della Russia è ormai secondo solo a quello americano, anche grazie agli exploit con Siria e Iran, dove Putin si è guadagnato il rispetto di Romano Prodi, tra gli altri. È parte dei BRICS, la sua economia è solida, è militarmente temibile. Ha una base navale di importanza fondamentale in Crimea (Ucraina), con la quale può dire la sua nel Mediterraneo.
POLITICA UCRAINA
Yanukovych non può permettersi di perdere le prossime elezioni, nel febbraio del 2015. Ha senza dubbio tanti scheletri nell’armadio quanti ne aveva e ne ha la Tymoshenko, che ora è giustamente in cella. Sono entrambi dei delinquenti e chi è al potere cercherà di incarcerare l’altro. L’alternativa sono gli ultranazionalisti con simpatie neonazifasciste. Si vocifera da tempo della possibilità di separare l’Ucraina in due tronconi, uno per la NATO (L’viv, vicino a Polonia e Slovacchia) e uno per la Russia (Kiev)
Insomma, gli ucraini sono messi peggio di noi.
Yanukovych sa che l’accordo con l’Europa (e il famigerato FMI) significa austerità – aumento del prezzo del gas del 40%, tagli al welfare, congelamento dei salari – per un’economia già in sofferenza e la fine dei sussidi russi per il gas, che avrebbe un notevole impatto sulla popolazione. Vuol dire perdere le prossime elezioni; vuol dire, in pratica, l’esilio. Il rifiuto delle avances europee e americane significa invece un’altra “rivoluzione colorata” e maggiori interferenze russe nelle questioni interne ucraine.
Ha scelto di non scegliere o, per meglio dire, di prorogare la decisione a data da destinarsi, per poter mungere entrambe le mucche finché gli è possibile farlo. Non c’è nulla di tirannico in questo, anzi, in un certo senso sta servendo gli interessi del suo paese. Non è però detto che le mucche saranno consenzienti a lungo.
Le proteste sono un segnale: qualcuno ha pagato i trasporti fino alla capitale dei manifestanti ed è intuibile come mai così tanti tra gli intervistati dalle TV straniere parlino americano e non ucraino, pur trovandosi di fronte un intervistatore che parla la loro madrelingua.
Intanto si sprecano i paralleli con Hitler (l’Occidente hitlerizza tutti i suoi avversari)
IL NEONAZISMO
Io li odio i nazisti dell’Illinois.
Jake Blues
Stupratore ed assassino di donne incinte, torturatore, sadico seviziatore. Un vero e proprio mostro che trovò nel nazismo il suo habitat naturale. La difesa della democrazia da ogni arbitrio totalitario è un baluardo contro questi mostri, è un dovere morale ma anche una forma di autodifesa. L’alternativa alla democrazia è una giungla di mostri in libertà, assoldati per fare il lavoro sporco, in virtù di un loro terribile handicap – l’assenza di empatia – che si dimostra particolarmente utile in un sistema che vede nella naturale empatia della maggior parte degli esseri umani un ostacolo e non la promessa di un futuro migliore. Questo è quel che succede quando la democrazia si estingue.
Alfredo Poggi (Giorgio Mezzalira e Carlo Romeo, 2002, p. 65).
Ho trascorso un anno della mia vita a Vancouver e in almeno un paio di occasioni mi sono recato nel quartiere dove risiedeva Michael “Mischa” Seifert, il boia del lager di Bolzano, senza esserne consapevole. A dire il vero, a quel tempo ero convinto che quasi tutti i nazisti in fuga si fossero rifugiati in Sudamerica e negli Stati Uniti. Che uno di loro (forse più di uno?) potesse risiedere anche a Vancouver, a circa sei chilometri da casa mia, non mi aveva mai attraversato l’anticamera del cervello. Seifert è morto nel carcere militare casertano di Santa Maria Capua Vetere, nel 2010, mentre scontava una condanna all’ergastolo per l’uccisione di 11 internati nel campo di transito di Bolzano (Polizeilisches Durchgangslager Bozen), tra il dicembre del 1944 e l’aprile del 1945 quando lui, ucraino, serviva il Reich con la divisa delle SS, prima di rifugiarsi in Canada, dopo la sconfitta.
è che ste cose gli piacciono
I tre partiti dell’opposizione (neoliberisti e nazionalisti) hanno tutti legami con la Germania. Il Partito della Patria di Julia Tymoshenko è vicino alla CDU/CSU di Angela Merkel e alla galassia delle sue fondazioni e think tank. L’Alleanza per la Riforma Democratica dell’Ucraina del campione mondiale di pugilato Vitali Klitschko (che ha terminato la sua carriera in Germania e ricevuto un’onorificenza per aver migliorato le relazioni tra Ucraina e Germania) è anch’essa sponsorizzata dall’istituto Konrad Adenauer ed è esplicitamente pro-NATO.
Svoboda (Libertà) è il partito “social-nazionale” (sic!) degli ultranazionalisti antisemiti e russofobi, guidati da Oleh Tyahnybok (“lottiamo contro la mafia ebreo-moscovita che governa l’Ucraina”), affiliati all’estrema destra europea e con nostalgie naziste (tra gli Ucraini occidentali molti simpatizzavano per gli occupanti tedeschi). A L’viv hanno preso il 38% dei voti nelle politiche del 2012 e sono arrivati secondi a Kiev: i 37 parlamentari eletti si sono subito distinti per la loro inciviltà, violenza, volgarità.
Sofisticate intelligenti, persuasive e dignitose come sempre.
il giovane Sikorski tra i mujaheddin anti-sovietici in Afghanistan
LA POLONIA
I politici polacchi (Brzezinski è polacco-americano) sono in prima linea negli attacchi al governo ucraino.
Vale la pena di notare il background del ministro degli esteri polacco Radek Sikorski: “Studiò filosofia, politica ed economia presso il Pembroke College dell’Università di Oxford, entrando poi nel Bullingdon Club, l’associazione goliardica degli studenti universitari oxoniense nella quale fece conoscenza con molti futuri esponenti della vita politica britannica, tra cui l’attuale capo del partito conservatore e allora studente universitario David Cameron”.
[L’attuale governo ultraliberista britannico è espressione dell’esclusivo Bullingdon Club].
Dal 2002 al 2005 fu membro del American Enterprise Institute a Washington e direttore della New Atlantic Initiative, un’organizzazione creata per rafforzare i legami fra americani ed europei dopo la fine della Guerra fredda. [rafforzare i legami: consolidare i pilastri dell’impero]
I cittadini europei avranno finalmente la possibilità di votare direttamente per il presidente della Commissione Europea (es. Tsipras, se non fa la fine di JFK). Devono pretendere anche di poter votare su ogni espansione, in qualunque direzione. Finora l’allargamento dell’UE l’ha resa sempre meno democratica e sempre più tecnocratica e sottoposta alle pressioni lobbistiche. Le vergognose vicende dell’eurozona e dell’accordo sul libero scambio transatlantico sono solo alcuni esempi tra i mille possibili.
Washington e Berlino non vogliono un’Ucraina nell’UE, ma un Messico europeo. Gli ucraini e i cittadini dei 28 paesi membri dell’Unione dovrebbero poter votare per decidere se questa cosa abbia senso e sia nell’interesse dei popoli di questo continente.
Luigi Gallo, assessore alla Partecipazione, al Personale e ai Lavori Pubblici del comune di Bolzano, ha saputo centrare il cuore del problema con un tempestivo intervento sull’Alto Adige (25 luglio 2012), in risposta ad una litania di luoghi comuni anti-immigrati contenuta in un paio di lettere inviate al quotidiano locale da alcuni lettori. Un commento che pone in risalto l’insufficienza del paradigma utilitaristico del calcolo costi-benefici in una società che fomenta le guerre tra i poveri per preservare uno status quo spaventosamente iniquo:
“Negli ultimi giorni sono state pubblicate due lettere di cittadini che avevano come tema la crisi, la povertà che avanza e i presunti privilegi degli immigrati. Non sono le prime e ormai non mi scandalizzo più, né giudico: ognuno guarda la realtà con gli strumenti che ha e dal punto di vista delle sue condizioni di vita materiale. Gli anatemi non servono a cambiare la percezione delle persone soprattutto in un’epoca di sofferenza economica. Tuttavia non si possono mai far passare luoghi comuni come verità acquisite. Massimo rispetto quindi per i due lettori in quanto cittadini ma anche massima chiarezza nel ribadire loro che i cittadini immigrati che ormai fanno parte della nostra società non hanno nessun privilegio rispetto ai cittadini italiani, nessuno. Anzi, subiscono ancora trattamenti differenziali e spesso discriminatori. La stragrande maggioranza dei cittadini immigrati è in età lavorativa e lavora realmente, producendo una ricchezza economica che è molto maggiore di quanto non ricevano in prestazioni sociali; detto in altri termini, sono i contributi dei lavoratori immigrati che ci aiutano a pagare le pensioni degli italiani così come sono le prestazioni lavorative degli immigrati che fanno andare avanti ospedali, case di riposo e cantieri. I due lettori hanno sacrosanta ragione a lamentare una drammatica crisi economica che colpisce giovani, pensionati, lavoratori; ma dovrebbero rivolgere i propri strali verso altri bersagli; mentre loro guardano male il carrello della spesa del vicino immigrato o notano con invidia la marca della sua auto di “seconda mano”, qualche decina di speculatori a livello mondiale – con un clic sulla tastiera di un computer – guadagna miliardi di euro con operazioni di Borsa che mandano sul lastrico interi paesi, Italia compresa; le conseguenze sono poi che i governi di quei paesi devono tagliare gli ospedali, le scuole e le pensioni per risparmiare e pagare interessi astronomici sul titoli di stato. Forse i due lettori potrebbero prendersela con queste politiche economiche che tagliano pensioni e diritti del lavoro mentre gli evasori fiscali rimangono salvi. Certo, è più facile guardare il vicino di casa che viene dal Marocco o dal Pakistan e pensare che sia colpa sua, ma non è così. Piaccia o meno, semplicemente non è così. Avete tante ragioni cari signori ma la guerra fra poveri serve solo distruggere la solidarietà fra le persone e a far ridere “quelli in alto, ma molto in alto” che decidono la nostra vita. Sta a voi decidere da che parte stare…” http://ricerca.gelocal.it/altoadige/archivio/altoadige/2012/07/25/NZ_29_04.html
Ti sei mai chiesto cosa sia questa patria, questa nazione? Pure invenzioni di un piccolo gruppo di sciagurati che vogliono governare sui popoli! Quando la Terra venne creata non fu suddivisa in nazioni! …poi vennero gli uomini, con le loro strampalate idee di possedere il territorio, dimenticando, inoltre, che su questa Terra, mentre lei permane, noi veniamo e ce ne andiamo.
Mario Martinelli
Dopo lo spettacolare fallimento della moralità convenzionale (di stampo comunitario) nel corso del secolo scorso, la mansueta, meccanica identificazione dell’individuo ad una collettività, sia essa un’etnia, una patria o una corporazione, è estremamente problematica e va trattata come ogni altra forma di idolatria o tribalismo, ossia con il più lucido scetticismo. L’Heimat è un territorio dell’immaginario, non un’entità naturale. Gli esseri umani fanno già abbastanza fatica a non fuggire da se stessi per paura di essere inadeguati e a non essere prevenuti nei confronti degli sconosciuti per paura di scottarsi l’anima: indurli ad amare una finzione che esalta le differenze verso l’esterno ed annulla l’unicità di ciascuno di noi è irresponsabile.
Dunque il valore dell’Heimat/Patria non solo non esercita effetti virtuosi sulla società civile, ma addirittura la danneggia, sia a livello morale sia a livello pratico. Vediamo meglio come e in che misura ciò avvenga nel contesto altoatesino. C’è una significativa testimonianza di Bernhard Pircher che fu intervistato dalla rivista “UnaCittà” quando aveva 19 anni ed era membro della compagnia di Schützen venostana di Glurns/Glorenza (Pircher 1997). Illustrando le ragioni che lo avevano indotto a diventare uno Schütze, Pircher spiega che “Quello che mi affascinò di più era questo essere dalla parte della Heimat, delle tradizioni, della religione e anche del bisogno di coesione, il fatto cioè che ci si raduni per le celebrazioni pubbliche e per marciare insieme. L’ammissione nella compagnia degli Schützen di un nuovo membro deve essere unanime”. Questa scelta fu resa più facile da un evento particolarmente spiacevole, una rissa con degli italiani per futili motivi. Così Pircher confessava di essere stato per lungo tempo anti-italiano: “Adesso però la vedo diversamente. Anche gli italiani sono esseri umani e hanno quindi molto in comune con noi”. Una frase che chiarisce meglio di dozzine di saggi la natura disumana e de-umanizzante, per entrambi i gruppi etnici, della separazione etnica in vigore nella Heimat altoatesina, specialmente per i giovani, inesperti e quindi estremamente influenzabili. E l’Heimat? Cos’era l’Heimat per quel giovane Schütze della Val Venosta? “Heimat è quel luogo in cui ci si sente “a casa”. Qui da noi ci si conosce tutti. Ci si saluta anche se non ci si conosce e si ha fiducia negli altri…Heimat è per me lì dove si sta volentieri. Io nella mia terra posso fare le cose che amo fare…Nella mia Heimat io ho l’aria pura e un ambiente quasi incontaminato, che rispetto”. Per Pircher l’Heimat non è chiusa ai forestieri: “Essa è per tutti, questo lo voglio ben sperare. Anche per quegli italiani che sono nati qui. Io vorrei anche che ognuno si prendesse cura di questa Heimat, anche delle sue tradizioni. Quando ad esempio si preparano i fuochi per il “Sacro Cuore di Gesù”, è bello perché vecchi e giovani si incontrano, salgono insieme sulla montagna e condividono il piacere di queste tradizioni. Si ascoltano storie di tempi passati, e quando poi bruciano i falò, si sente dentro di sé una gioia e un senso di comunione così unico e profondo. Tutti aiutano, tutto il paese si dà da fare affinché queste feste riescano bene. È anche un modo per incontrare persone che altrimenti non si incontrerebbero. È un’alternativa al solito bar, e magari pure alla discoteca in cui i più vecchi in ogni caso non vanno. Anche questi incontri sono Heimat”. O forse no. Forse l’idea di Heimat è una sovrastruttura del tutto superflua. Tant’è che in italiano basta dire – “sentirsi a casa” – senza tanti fronzoli mistici politicamente manipolabili. Heimat non è l’unica risposta, o la migliore, allo spaesamento da globalizzazione. Il paesaggio emotivo tedesco non è poi così diverso da quello latino o slavo. Così in Trentino si possono fare le stesse cose e provare le stesse sensazioni senza che la mente chiami in causa come un automatismo del tipo “stimolo-risposta” la nozione di patria/Heimat. C’è chi si è chiesto come mai una parte del mondo germanico sia così fermamente aggrappata a questa idea di Heimat. Ad esempio Peter Blickle, docente di germanistica presso l’Università del Michigan, ritiene (Blickle 2002) che essa nasca dalla fusione di Romanticismo ed anti-Illuminismo e che il bisogno psicologico derivi in primo luogo dal desiderio di ricavarsi uno spazio idealizzato e protettivo, un’appartenenza di tipo neo-tribale percepita come naturale nella quale perdersi. È una provincia dello spirito che è emanazione di una spiritualità provinciale, locale e che impregna una “individualità collettiva” che “rassicura i germanofoni circa il loro valore, identità e unicità” (Blickle, op. cit., 50). Il sé, come detto, si perde nell’Heimat e diviene un sé diverso da quello descritto da Freud, un sé “preconscio, dipendente dal gruppo e sociale…bisognoso di radici. Un sé sradicato è percepito come sminuito o guastato” (ibidem, 69) che confonde persone e cose, l’errore ontologico del pensiero magico-superstizioso che un tempo si chiamava idolatria pagana.In passato quest’invenzione del pensiero umano è servita a tenere in piedi un sistema di valori, poteri e rapporti umani fortemente lesivo della dignità delle donne e discriminatorio nei confronti dei bambini e delle minoranze.
Inoltre l’aura di innocenza che spira attorno all’Heimat è saldamente legata alla semplice e perniciosa equazione di bello e buono. Se l’Heimat è un idillio di bellezza, innocenza e purezza, allora chi la ama è buono ed irreprensibile per definizione. Anzi, è un eletto. Non è quindi per nulla sorprendente che l’Heimat sudtirolese attiri le personalità narcisistiche. Tutti, anche se in misura diversa, siamo affetti da narcisismo. Il militante etnicista o patriottico va oltre, dando libero sfogo alla sua immaginazione ipertrofica. In talune circostanze la discrepanza tra realtà e immaginazione è tale che questo tipo di narcisista inveterato trova arduo non provare disgusto per ciò che stona, fosse pure una certa classe di esseri umani. Dimostra povertà di spirito e scarsa empatia, tratta gli altri come oggetti utili ad alimentare il proprio bisogno narcisistico, si chiude autisticamente nel suo bozzolo di certezze, nel suo personale universo di riduzionismi che lo deresponsabilizzano e spostano la colpa sui difetti congeniti degli altri. Necessita di ordine e chiarezza e li può trovare nella superstizione del gene onnipotente, della tradizione ordinatrice, dell’identità totalizzante e neo-tribale, cioè nell’idea in quanto tale, immacolata ed omogenea. Il Südtirol o l’Italia come filo a piombo dell’anima (Stecher 2008). Un’idolatria che è anche un terribile auto-inganno e che bolla come minaccia tutto ciò che contamina la purezza dell’idea, arrivando a negare la realtà, come nel risibile “no a un’Italia multi-etnica” di Berlusconi. Se questa minaccia non è opportunamente neutralizzata la condanna è all’alienazione. Un inconscio processo di alienazione è già comunque in atto, perché il narcisista immaginifico è già schiavo delle sue idee fisse. I totalitarismi altro non sono che manifestazioni su vasta scala del medesimo fenomeno, vere e proprie epidemie di narcisismo. Ciò potrà sembrare strano per chi è abituato, erroneamente, a pensare al narcisismo in termini di egocentrismo ed eccessivo amor proprio. In realtà il narcisista, se privato della sua sorgente di conferme e rassicurazioni, si sente vuoto e depresso, inutile, senza scopo, amorfo, ansioso ed insicuro. Soffre di considerevoli oscillazioni nell’autostima e può arrivare a credere che la vita non sia degna di essere vissuta. Per evitare questo tragico epilogo sente l’impulso di aggrapparsi ad una qualche figura o idea dominante che fornisca un sostegno solido. Anela la fama e l’ammirazione, perché queste portano con loro l’universale approvazione. Se non può conseguirla si attacca al culto della celebrità. Molti binomi padrone-servo potrebbero essere tranquillamente invertiti, perché entrambi sono narcisi ed hanno bisogno di quel tipo di rapporto patologico più di quanto necessitino di un certo status. È il vuoto interiore, l’inautenticità, la perdita di senso, l’incertezza del futuro che paventano più di ogni altra cosa. La superficialità non è un problema, il narcisista è in ogni caso antropologicamente pessimista, il suo pensiero non è mai profondo – è arendtianamente banale –, né lo è la sua stima nei confronti degli altri esseri umani, che non sono mai davvero suoi simili e per questo possono essere ordinatamente incasellati in categorie arbitrarie. Il feticismo, l’illusionismo nella sua accezione più ampia è il vizio caratteristico del narcisista. Non potendo contare su una vita ultraterrena, esorcizza lo spettro della morte concentrandosi sull’immagine e sull’idea – la Patria, l’Etnia –, rendendole immortali, e si autoipnotizza, dissipando il suo potenziale. Il suo amor proprio è dunque fragilissimo e la concentrazione su di sé in realtà è molto precaria e può mutarsi molto facilmente in attaccamento fanatico ad un movimento e ad un leader che incarnino le idee fisse che danno senso alla sua esistenza, almeno provvisoriamente. Insomma il narcisista non è autonomo ed indipendente, non ha alcun serio controllo sulla sua esistenza. Al contrario è eterodiretto, e si lascia facilmente assimilare da fazioni, sette, tribù, razze, campanilismi, integralismi e militanze varie, riflessi distorti della realtà. Si intossica di lusinghe, vezzeggiamenti, adulazioni, apprezzamenti di un sé illusorio, falso e privo di valore, che ha bisogno di ripetute conferme e le trova nella grandezza del Gruppo. È una comparsa nella sua vita, non il protagonista, anche se non se ne rende conto e profonde impegno e risorse per rinsaldare ancora di più questo stato di cose.
Oggi, in Alto Adige come in gran parte dell’Europa, la logica etnarchica, – essenzialmente narcisistica – che antepone il particolare all’universale sacrificando il motto Liberté, Égalité, Fraternité sull’altare della Cultura e dell’Identità, è sopravvissuta alla sconfitta del nazismo e del comunismo. Si è tornati a parlare di identità naturali, anche se nessuno ha saputo ancora spiegare cosa ci sia di naturale e di univoco in queste identità. D’altronde quello identitario non è un appello alla ragione, ma alle emozioni, ai sensi di colpa ed alla paura di chi, sentendosi in dovere di appartenere “anima e core” ad un insieme più ampio, non si sente di poter affrontare il giudizio altrui e l’ostracismo degli altri membri del gruppo. La moda etnarchica non va però affrontata in modo sbrigativo. Non è un atavismo incontrollabile ma piuttosto un nobile stimolo umano primordiale (quello al raggruppamento ed alla condivisione di sforzi ed aneliti) che può essere male indirizzato, nel qual caso trova pretesti e razionalizzazioni eminentemente moderne quando il modello universalista segna il passo, cioè ad ogni seria crisi internazionale o sotto la spinta dell’immigrazione di massa.
Essa rimane una strategia fallimentare sotto ogni punto di vista. A livello etico perché non rispetta la dignità intrinseca e l’autonomia delle persone e dissimula la loro unica, comprovabile appartenenza, quella alla specie umana. A livello pratico perché non esiste alcun modo per tenere sotto controllo le forze centrifughe ed atomizzanti messe in moto da una politica della differenziazione identitaria. Ci sarà sempre una minoranza che pretenderà il pieno autogoverno se non riceverà un’adeguata compensazione. Pensiamo a quel che sta avvenendo in Bosnia, dove la Republika Srpska a forte maggioranza serba sta già meditando di seguire l’esempio del Montenegro e Kosovo, distruggendo quindi ogni sforzo pacificatore ed unitario della comunità internazionale in Bosnia. Oppure pensiamo alla contrapposizione tra Scozia ed Inghilterra, tra Catalogna ed Andalusia, tra Fiandre e Vallonia, tra Padania e Meridione. In caso di separazione, il paradigma etnico che la giustifica sarebbe nel contempo il maggiore ostacolo alla realizzazione di una società equa, giusta, e solidale. La maggioranza etnica sarebbe autorizzata a decidere in funzione dell’interesse primario della conservazione della sua egemonia. E non è precisamente quel che avviene in Alto Adige – e in Italia –, con la ben remunerata connivenza di quasi tutti i partiti? Cosa succederebbe in Alto Adige se si arrivasse al distacco dall’Italia? Cosa farebbe la maggioranza italofona di Bolzano e dell’Oltradige-Bassa Atesina? E come si può evitare che degli standard etici locali logorino la coesione dell’Unione Europea attorno ai principi universalistici ereditati dall’ecumenismo cristiano, dall’Umanesimo e dall’Illuminismo? Il separatismo localistico ed il differenzialismo identitario non sono né assennati né moralmente giustificabili. Non possono costituire una risposta ai problemi dell’autogestione territoriale né possono mitigare l’impatto della globalizzazione a livello socio-economico, se non altro perché i movimenti etnopopulistici europei sono sempre ed invariabilmente libertari (di destra), in quanto il loro bacino elettorale si concentra soprattutto nella piccola e media impresa, cioè tra elettori che troppo spesso sono più propensi a pretendere tutele per sé stessi, anche se a discapito del resto della popolazione e degli immigrati che pure loro stessi assumono in gran numero (Tamás 2000). Quel che è scandaloso è che una parte della sinistra, in nome dell’anti-imperialismo, si sia sentita in dovere di combattere la destra su un campo come quello delle identità collettive, che è il terreno naturale della destra stessa.
Stefano Fait/Mauro Fattor CONTRO I MITI ETNICI Alla ricerca di un Alto Adige diverso
Osservandolo dall’esterno, l’Alto Adige appare una realtà molto particolare. Nel mezzo dello spettacolare scenario delle Dolomiti, due, anzi tre culture condividono un piccolo fazzoletto di terra, parlano tre lingue diverse e costituiscono un ponte tra nord e sud. Un’immagine che purtroppo, per ragioni storiche, non rispecchia la realtà. Stefano Fait e Mauro Fattor ritraggono l’Alto Adige da una prospettiva esterna e, (pur essendo) consapevoli del contesto storico mostrano che la “Matrix sudtirolese” si basa su principi troppo chiusi e rigidi, spesso interpretati erroneamente. Volk/popolo, Heimat/patria, Kultur/cultura sono concetti da ridefinire per il futuro di questa regione. Secondo gli autori, il presupposto per una pacifica convivenza è andare oltre il culturalismo.
Un’analisi corrosiva e spietata degli idoli e dei miti etnici che frenano la società sudtirolese e non solo. Dall’ideologia del Bergbauer/contadino al dispotismo degli idoli identitari, il libro è il tentativo di mettere a nudo la retorica della patria e del “tempo degli eroi” attraverso il filtro di un’analisi rigorosa che tocca sociologia, antropologia, politica, storia, filosofia.
“Se Fattor e Fait sono due utopisti, sono anche sufficientemente realisti da sapere che la distruzione del paradigma etnico è solo un lato della medaglia. Per questo non si limitano alla demolizione del mito etnico, ma anche a smontare la falsa consapevolezza che deriva dal rendere reale una costruzione sociale.” Günther Pallaver
“È a questa Europa di minoranze in cammino e di identità mutabili che dovremmo affidare il futuro della nostra bella terra. Orgogliosi dell’autogoverno ma al tempo stesso responsabili nel costruire.” Michele Nardelli
Eco della stampa
In Sudtirolo si scrive molto di Sudtirolo. Monografie e saggi di carattere politico e storico, talvolta assai ben documentati, non mancano. Con un piccolo, significativo, difetto. Una riflessione su questa terra pensata e redatta in lingua italiana stenta a decollare, oppure è consegnata alla fugacità di interventi giornalistici che non consentono il necessario approfondimento. Contrastando in modo programmatico questa tendenza, il volume “Contro i miti etnici”, uscito per l’attivissima casa editrice “Raetia” di Bolzano, colma questa lacuna e propone un punto di vista critico sul “modello Südtirol” con il quale è senz’altro utile confrontarsi. Il saggio, utilizzando un linguaggio accessibile a tutti e risultando con ciò comprensibile anche a chi non sia particolarmente esperto di problematiche locali, lancia la sua provocazione e vuol far discutere: decostruire le mitologie che innervano e condizionano un discorso pubblico tuttora impostato sulla prevalenza dei gruppi, proponendo – in opposizione – il senso di una progettualità più vicina alle esigenze degli individui. Corriere dell’Alto Adige
Il volume di Fait e Fattor è un atto di accusa contro il “doping identitario” della politica locale. (…) Il libro è tanto un saggio quanto un pamphlet. Alto Adige
Il libro è molto interessante e merita di essere letto con attenzione. Corriere dell’Alto Adige, Gabriele di Luca
Stefano Fait und Mauro Fattor analysieren die ethnischen Mythen und versuchen die Mechanismen und Beweggründe hinter der patriotischen Rhetorik freizulegen. Der Brixner
Quello di Fait e Fattor è un coraggioso tentativo di rendere fruibile ad un pubblico di non addetti ai lavori, quello che nasce come uno studio di natura sociale ed antropologica della società altoatesina. dislivelli, Daniela Zecca
Un libro fondamentale, assolutamente da leggere, forse il testo più “vero” e doloroso mai scritto sull’Alto Adige. Reinhard Christanell, franzmagazine
INTRODUZIONE
“Vi hanno detto che senza le radici non si costruisce il futuro, che senza un’identità collettiva la vita non ha senso, che l’atto di togliere il crocifisso dai luoghi pubblici è un’offesa a ciascuno di voi, prima ancora che a Dio, che ognuno dovrebbe essere orgoglioso della propria patria/Heimat ed è tenuto ad amare la propria lingua. Tutto questo lo si deve fare a prescindere. Un po’ come le Tavole della Legge donate da Geova a Mosè sul Sinai: “Io sono il Signore, tuo Dio… Non avere altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine… Non ti prostrerai davanti a quelle cose…ecc.” I Comandamenti sono stati debitamente aggiornati e la loro osservanza è dovuta. È curioso che l’unico animale terrestre nato per essere libero abbia trascorso la sua storia escogitando ogni possibile mezzo e metodo per ingabbiarsi. Eppure, per noi umani, non esiste a questo mondo nulla di inevitabile, tranne la morte. Geni, ambienti familiari, culture, lingue, estrazione sociale, ecc. non programmano la nostra esistenza. È estremamente facile provarlo…” CONTINUA QUI
Oetzi circolava per le valli tirolesi circa 5300 anni fa.
Recentemente è stata completata la mappatura del suo DNA.
L’esame dello smalto dei denti e del polline indicano le origini di Oetzi: “Ciascuno di noi, fin dalla prima infanzia, accumula nel proprio smalto dentario isotopi di stronzio, piombo ed ossigeno. Raffrontando la loro concentrazione con quella di campioni di suolo ed acqua, si può risalire con una certa precisione al luogo in cui una persona è vissuta. E per Ötzi questo luogo è l’Alto Adige. Egli trascorse la sua prima infanzia in Val d’Isarco e solo più tardi si spostò in Val Venosta”
Il giorno della sua morte era ben equipaggiato per il clima alpino (pelli di pecora, capra e vacca ad indicare che era un contadino allevatore) ed era armato. Forse era diventato un brigante o era in fuga da una banda di inseguitori dopo uno scontro [tracce di sangue di altre quattro persone sul suo corpo]. Fu ucciso da una freccia nella schiena:
Aveva gli occhi marroni, i capelli castani, soffriva di intolleranza al lattosio, di una predisposizione alle cardiopatie, artriti, arteriosclerosi e borreliosi (malattia di Lyme, trasmessa dalle zecche) e i suoi polmoni erano anneriti dal fumo della fonderia:
I resti alimentari del suo stomaco (chimo) appartengono a tre pasti a base di cereali (orzo e farro), carne di stambecco e cervo (avariata, con vermi), radici, frutta e semi:
La modalità di consumo e danneggiamento dei denti e l’analisi isotopica mostrano che la sua dieta, pur essendo variata, era tendenzialmente vegetariana [i cacciatori-raccoglitori sono quasi esenti da carie per via del ridotto consumo di carboidrati, che sono zuccheri],
“La sua dentatura rivela una carie incipiente, una paradentosi e superfici di masticazione molto usurate dalle impurità presenti nei cereali macinati a pietra”.
ma consumava latticini, pur essendo intollerante, e così si ritrovò a soffrire di calcoli biliari. L’intolleranza al lattosio era piuttosto diffusa a quel tempo:
“I cereali erano un alimento base nella dieta di allora, che veniva completata con vegetali come il prugnolo, le mele selvatiche, i funghi, le bacche e i legumi”.
È morto a 45 anni. Era magro e di corpo robusto. Alto 1 metro e 65, ossia nella media dei popoli che consumano pochi latticini o non ne consumano affatto.
Come abbiamo visto, non era l’immagine della salute: “le articolazioni mostrano segni di usura, i suoi vasi sanguigni erano calcificati, i denti consumati e l’intestino era infestato da tricocefali. Un’unghia delle dita rinvenuta negli scavi successivi dimostra che soffriva di una patologia cronica e i profondi solchi trasversali indicano inoltre che il suo sistema immunitario era stato esposto a forti stati di stress circa 8, 13 e 16 settimane prima di morire. Si è anche potuto dimostrare che aveva subito una frattura multipla delle costole, peraltro perfettamente sanata, ed una rottura del setto nasale”.
I tatuaggi avevano finalità terapeutiche, non decorative: “Su tutto il corpo Ötzi ha circa 60 tatuaggi, realizzati tramite sottili incisioni e non, come oggi, con degli aghi. Questi segni si trovano in corrispondenza delle articolazioni più usurate, che probabilmente causavano ad Ötzi forti dolori: nella zona lombare, al ginocchio destro, ai polpacci e alle articolazioni del piede. I tatuaggi servivano a recidere piccoli fasci di fibre nervose, e questo portava ad un’attenuazione del dolore. Essi erano quindi presumibilmente una terapia antidolorifica e non un ornamento per il corpo”.
Oetzi era affetto da tutti i problemi della transizione all’agricoltura e quindi da una dieta a base di carne e piante selvatiche ad una a base di cereali:
Tra i vari problemi: bassa statura, carie, deformità, sedentarietà, maggiore diffusione di parassiti, batteri e virus che richiesero molte generazioni per generare una risposta adattiva [Cohen, Mark N, and Gillian M. M. Crane-Kramer. Ancient Health: Skeletal Indicators of Agricultural and Economic Intensification. Gainesville: University Press of Florida, 2007
Ancora oggi, una dieta macrobiotica causa gravi carenze minerali, vitaminiche e proteiche con conseguenze serie e durevoli anche per lo sviluppo cognitivo di bambini ed adolescenti:
A questo punto c’è da capire perché questo non sia riconosciuto come il problema centrale della società contemporanea. Diete sbagliate a base di zuccheri ed antinutrienti rimbambiscono letteralmente la gente e salassano i contribuenti con i costi dell’assistenza ospedaliera:
Forse le case farmaceutiche hanno interesse a non far sapere come curarsi con una dieta sana e non con mille farmaci?
Gli altri primati, purtroppo per loro, sono soprattutto vegetariani (mangiano anche un po’ di insetti e piccoli vertebrati) ed è assai probabile che proprio la dieta umana basata essenzialmente sulla carne abbia offerto la spinta evolutiva necessaria a farci diventare quel che siamo (nel bene e nel male):
* la carne ha permesso di sviluppare un cervello più voluminoso:
* invece l’introduzione dei cereali è stata disastrosa sotto ogni punto di vista: muscolare, dentale, osseo, cardiovascolare e cerebrale: (a) Gli esseri umani che vivono in società industriali sono gli unici mammiferi a soffrire di ipertensione e sono gli unici primati non in cattività a diventare obesi; (b) L’introduzione di mais, frumento, riso ed altri cereali nella dieta umana è coincisa con una sensibile riduzione della statura e della capacità cranica (-11% dal tardo paleolitico), l’aumento delle malattie orali (carie: prima <5%, poi >24%), la diminuzione della densità delle ossa e dell’indice pelvico del 22% (!!!), e svariati altri problemi; (c) gli indigeni americani hanno cominciato a consumare il mais in modo continuativo solo a partire dall’800 d.C., periodo che coincide con il declino della civiltà maya; (d) la mortalità infantile non è cambiata nella transizione da caccia e raccolta ad agricoltura (non c’è stato neppure quel vantaggio); (e) lo status delle donne si è degradato; (f) abbiamo mangiato tuberi (cotti) per almeno 1 milione e mezzo di anni, quindi siamo perfettamente adattati a quel tipo di cibo; (g) la dieta umana è sempre stata scarsa in fibre, quella degli altri primati molta ricca in fibre; (h) homo sapiens ha sempre mangiato tanta carne.
“L’origine della produzione alimentare africana è dunque controversa e spesso c’è una certa discrepanza fra le prove linguistiche, che in genere suggeriscono origini antiche per l’agricoltura e l’allevamento, e la ricerca archeologica, da cui si ricavano solitamente datazioni posteriori. Né è chiaro il motivo per il quale si sarebbe iniziato a produrre cibo. La teoria secondo cui la produzione alimentare ebbe origine nel Vicino Oriente, diffondendosi poi in tutta l’Africa, dove venne adottata con entusiasmo da cacciatori-raccoglitori affamati, non è infatti sostenibile. Lo studio sugli odierni cacciatori-raccoglitori dimostra che alcuni di essi possono procacciarsi una maggiore quantità di cibo con meno fatica e più libertà di quanto non facciano quasi tutti i popoli di allevatori e agricoltori. I resti scheletrici rinvenuti nel Sudan nilotico provano che una delle conseguenze della produzione alimentare fu la malnutrizione, insieme forse al diffondersi delle malattie, giacché è probabile che molte malattie infettive dell’uomo venissero contratte anche dagli animali domestici. Il dissodamento della terra per renderla adatta alla coltivazione favorì la diffusione della malaria…”.
J. Iliffe, “Popoli dell’Africa: storia di un continente”, Bruno Mondadori, 2010, p. 15 (Ringrazio Beniamino Franceschini).
Dunque i dati paleoantropologici e clinici ci riportano qui:
L’idea dell’essere umano come animale stanziale, un animale che, come altri, ha il suo territorio e lo difende dalle intromissioni, deve essere un’idea del profondo…[l’aiuola] l’abbiamo divisa in tante parti e ce ne siamo impossessati, popolo per popolo, come cosa nostra, e ci pare normale, naturale, l’idea di straniero, di colui che passa o tenta di passare da un’aiuola all’altra turbando le sicurezze che riponiamo “in casa nostra”. Quante volte abbiamo sentito ripetere anche da noi, come se fosse ovvia e innocente, questa espressione! […] Basta porre qualche domanda per rendersi conto di quale turbamento può provocare la prospettiva della scomparsa dello straniero, cui corrisponderebbe il pauroso riconoscimento d’essere tutti, paradossalmente, “ospiti” (nel doppio senso di ospitanti e ospitati) in quella ch’è stata un tempo la “casa propria”. […]. La società multiculturale tiene al suo interno le diverse culture, ma l’una di fronte all’altra come sistemi di valori e visioni del mondo chiusi, ciascuno in sé sufficiente a fornire il quadro etico completo e bastante all’esistenza dei suoi membri. Onde, potrebbe dirsi che il pluralismo tende ad un orizzonte comune di senso, per quanto composito; mentre il multiculturalismo no, si ferma a una giustapposizione delle diverse culture, nella migliore delle ipotesi estranee l’una all’altra; nella peggiore, conflittuali…Il primo schema è la separazione, cioè la co-esistenza senza convivenza. Il pregiudizio del separatismo è che le culture siano e debbano essere identità spirituali chiuse e che le relazioni interculturali nascondano di per sé pericoli di contaminazione o contagio, per la purezza, in primo luogo, della comunità di arrivo, ma anche di quelle in arrivo. Il punto di partenza è, dunque, la paura unita all’insicurezza…La separazione tra le popolazioni è l’unico modo di evitare lo scontro tra realtà inconciliabili, lo “scontro di civiltà”. Noi non cerchiamo contatti con loro e loro non cerchino contatti con noi. L’optimum sarebbe renderci invisibili gli uni agli altri, vivere come se fossimo soli…In America, questa posizione aveva trovato espressione nel motto “separati ma uguali” che per quasi cento anni ha regolato i rapporti tra bianchi e neri negli Stati Uniti.
Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”, 2011, pp.
Premetto che NON sono dottrinalmente contrario al progetto di uno stato sudtirolese. Resto invece contrario ai miti etnici che lo satureranno e prevedo che, finché gli eurocrati non saranno riusciti a demolire l’eurozona – ma sono già a buon punto –, il Freistaat Südtirol resterà il sogno di una minoranza di Altoatesini/Sudtirolesi:
Detto questo, personalmente, in alternativa all’istituzione di un governo federale degli Stati Uniti d’Europa, che mi troverà invariabilmente ostile, preferisco l’avvento di un’Europa delle Regioni che superi l’idea stessa di stato-nazione, rispetto ad una federazione di staterelli liberi / Heimaten sul modello che hanno in mente i Freiheitlichen:
La costituzione proposta per un futuro Freistaat Südtirol è condivisibile, ma lo era anche quella dell’Unione Sovietica, forse la più illuminata del suo tempo. Poi, nei fatti, i principi che la ispiravano furono sistematicamente disattesi. La mia impressione è che, quasi certamente, lo stesso accadrebbe in un futuro Alto Adige indipendente, se fosse governato dai Freiheitlichen.
È un’impressione che nasce dalla constatazione del notevole divario tra la forma e la sostanza e da certe reazioni ad un mio precedente post che continuano tutt’oggi, anche se quel blog è chiuso e non pubblico più i commenti, a dimostrazione del fatto che dietro la maschera ci sono sentimenti rabbiosi e violenti, aggrappati ad idee particolarmente sinistre: http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/io-e-jorg-haider.html
Chi sono i Freiheitlichen? Chi è Ulli Mair?
“È più facile dire cosa «non» sono i Freiheitlichen. Non sono una minaccia per lo Stato (il Freistaat di Ulli non uscirà dallo Sheraton) ma lo sono per la Svp. Hanno iniziato col 2%, nel 2008 avevano il 14% dei voti, ora i sondaggi li danno al 21. Non sono più i fratelli di Haider. Sono i nipoti, sono un’altra generazione. Sono più vicini alle aree di espansione terziaria nei paesi del fondovalle che ai sagrati delle parrocchie. Non sono solo nazionalisti. Lo sono anche. Ma perchè sanno che porta voti mostrare di esserlo. Ulli Mair è passata dalla trincea antisemita all’integrazione multietnica con un volteggio. Sono un partito leggero. Nel senso che non è appesantito da dichiarazioni fondative troppo rigide. Sono mimetici. Pius Leitner parla con gli italiani come faceva con i ferrovieri comandati in val d’Isarco in gioventù. E parla coi tedeschi come quando suonava nella banda degli Schützen. Non sembrano pericolosi perchè non sono al potere. L’unica cosa che sicuramente sono, è che si tratta di un partito di destra. Per questo i suoi leader sono usciti dalla Svp. Leitner, come la Klotz, stavano nella Stella Alpina. Ma anche per Leitner la Svp era troppo morbida. Voleva starsene in Italia mentre loro chiedevano di strappare. In realtà la Svp stava (sta) in Italia per la semplice ragione che voleva (vuole) stare in Europa. E se non stai in Italia non stai in Europa. La Svp l’ha capito subito. I Freiheitlichen fanno finta di non capirlo. E solo per rubare voti alla Svp. C’è un’altra cosa che i Freiheitlichen non sono: non sono un partito inclusivo. La Svp cerca di tenere tutto insieme. Religione e progresso, modernità e tradizione, destra e sinistra, sindacati e imprenditori, Roma e Bruxelles, industria e contadini, cultura alta e bassa, università e artigianato. Sta dentro una società in evoluzione ma fondamentalmente tradizionalista. Non è infatti un caso che i partiti sudtirolesi oggi in Consiglio provinciale siano usciti «a destra» dalla destra della Svp. Nessuno è uscito a sinistra. Forse perchè per la società sudtirolese la Svp è fin troppo di sinistra. Non lo è nella cultura ma sicuramente nella visione dello stato sociale, nell’assistenza, nella cooperazione. In una visione fondamentalmente cristiano-sociale del mondo.
Ha voglia Leitner di mostrare il sorriso rassicurante: Ulli Mair è la destra delle nuove generazioni sudtirolesi al potere. Una destra non in braghe di cuoio (come quelle che porta Sven Knoll che infatti è con la Klotz in Südtirol Freiheit). Ma forse più pericolosa. Perchè guarda avanti e non indietro. Ha legami internazionali con le destre più disinibite d’Europa, quelle che combattono l’immigrazione. Sono una Lega più acuminata e geometrica. Hanno il vantaggio di intercettare un’area che vede lontana la Klotz e che cerca comunque di forzare il «sistema Südtirol» di marca Svp. Gente non diversa da quella della Volkspartei ma che, diversamente, non è riuscita ad accedere alla spartizione delle risorse. Una società di valle dinamica ma esclusa dal potere. Ed è questo, per ora, il vero vantaggio dei Freihetlichen: possono stare all’opposizione. Possono mostrarsi più puliti e integri. Ma forse per la semplice ragione che non hanno le mani in cassa.
Amministrano qualcosa in periferia ma nulla al centro. Come la Lega che, infatti, una volta arrivata al potere si sta mostrando inquinabile come gli altri partiti. Ha l’altro vantaggio di una Svp a metà del guado: non ha più la purezza ideologica dell’era Magnago ma non ancora un dinamismo possibile al di fuori della personalità di Durnwalder.
In sintesi. Ulli Mair non deve far paura perchè chiede lo stato libero del Sudtirolo. Ma perchè, anche se non libero, lo farebbe più esclusivo, protetto e culturalmente più chiuso di quello autonomo di oggi.
È il suo essere di destra che fa paura, non il suo voler essere solo sudtirolese”.
Paolo Campostrini, “I Freiheitlichen e le unghie di Ulli”, Alto Adige, 19 marzo 2012
“Dobbiamo finirla con la colpevolizzazione del passato, dove solo gli Ebrei venivano visti come vittime. Ogni uomo europeo oggigiorno è consapevole che gli atti compiuti da un’altra generazione, in parte azioni sbagliate, erano a loro volta in parte necessarie per la propria sopravvivenza”.
“Il cammino che questo partito [Freiheitlichen] ha compiuto in circa venti anni, passando dal 6 % dei consensi ottenuti nel 1993 (cioè al debutto sui banchi del Consiglio provinciale) all’attuale 19-21%, almeno secondo quanto asseriscono le ultime rilevazioni demoscopiche. […]. Da qui al prossimo appuntamento elettorale (tra appena un anno) potrebbero emergere linee di frattura in grado di mutare in profondità il volto del Sudtirolo così come l’abbiamo finora conosciuto”.
Gabriele Di Luca, Corriere dell’Alto Adige, 17 marzo 2012
Dagli incartamenti della Fondazione Laurin sequestrati in casa di Peter Kienesberger in Germania emergono tracce precise dell’invio di importanti somme di denaro in Alto Adige….centinaia di migliaia di euro nell’arco di dieci anni che potrebbero anche essere finiti in mani poco rassicuranti, negli ambienti dell’oltranzismo sudtirolese. […] Complessivamente il numero delle persone indagate per l’attività in Alto Adige della Fondazione Laurin sale dunque a 7. I due sudtirolesi vanno ad aggiungersi a Peter Kienesberger, (ex terrorista stragista degli anni Sessanta in Alto Adige), Erhard Hartung, Otto Scrinzi, (austriaco molto noto negli ambienti della destra radicale e contatti stabili con ex neonazisti), Helga Christian, (figlia nonchè erede di un ricchissimo imprenditore austriaco) e Andreas Ermacora, consigliere legale dell’associazione.
È morto a 93 anni Otto Scrinzi, ex politico nazionalista austriaco. Era indagato dalla Procura di Bolzano nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Laurin da lui presieduta. Scrinzi in passato fu vice presidente del partito di destra austriaco Fpö ed è considerato il «padre politico» di Jörg Haider.Gli Schützen altoatesini hanno espresso rammarico per la sua scomparsa. Da alcuni mesi la Procura di Bolzano di Bolzano, ipotizzando la violazione della legge Anselmi contro le associazioni segrete, si sta occupando della Fondazione Laurin, che avrebbe finanziato elementi dell’estrema destra sudtirolese. I 40 milioni di euro che costituiscono il capitale della Fondazione potrebbero infatti provenire anche dalla «arianizzazione» di un’azienda originariamente di proprietà di ebrei austriaci espropriati dai nazisti. La Fondazione Laurin, che da anni finanzia non solo contadini e artigiani sudtirolesi ma anche esponenti dei movimenti irredentisti, è guidata tra l’altro da Peter Kienesberger ed Erhard Hartung, entrambi ispiratori dei circoli neonazisti tedeschi e condannati all’ergastolo in Italia per attività legate al terrorismo separatista.
Social forecaster, horizon scanner
entrepreneur
Arts and Culture reporter for "Trentino" & "Alto Adige"
social media & community manager
professional translator
editor-in-chief of futurables.com
peer reviewer and contributor for Routledge, Palgrave Macmillan, University of British Columbia Press, IGI Global, Infobase Publishing, M.E. Sharpe, Congressional Quarterly Press, Greenwood Press.
Laurea in Political Science – University of Bologna (2000). Ph.D. in Social Anthropology – University of St. Andrews (2004).
Co-author of “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” (2010)
https://medium.com/@stefano_fait