Il “Principe delle Tenebre” spiega: “Gaza è solo l’aperitivo”

“Non appena insediato, il primo ministro Netanyahu varò la “Nuova strategia di Israele per il 2000”, eloquentemente intitolata Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm[1]. Questa strategia rappresenta il frutto degli sforzi profusi da un gruppo di analisti statunitensi che riuscirono poi ad entrare – da Richard Perle a David Wurmser, da James Colbert a Douglas Faith – a far parte dell’organo dirigenziale del presidente George Bush junior. In base alle direttive contenute in tale documento, Israele intraprese una politica estremamente muscolare incardinata sul concetto di “pace attraverso la forza”, che depennò implicitamente dal novero delle possibilità – pur assai flebili – la restituzione dei territori occupati e la distensione dei rapporti con le autorità palestinesi. La svolta ambita da Netanyahu sarebbe dovuta scaturire dall’avvicinamento simbiotico di Israele agli Stati Uniti, dall’incremento della capacità persuasoria dell’Israel lobby e dall’imposizione di un nuovo “nomos della terra” capace di legittimare eventuali interventi militari israeliani nella regione. L’obiettivo fondamentale rimase però quello, perseguito con ostinazione anche da Yitzhak Rabin e da Shimon Peres, di promuovere la formazione di un’alleanza strategica tra Israele, Turchia, Giordania ed Iraq finalizzata a isolare l’Iran e ad accerchiare la Siria in modo da sottrarre il Libano all’influenza di Damasco.

[…].

“Ad ogni modo, la Siria rappresenta un tassello fondamentale della strategia adottata dal governo israeliano, modellata in base agli imperativi indicati all’interno del Clean Break: rendere sicuro il confine settentrionale di Israele ed instaurare una strategia fondata sulla potenza militare. All’interno di tale documento si legge, infatti, che «La Siria sfida Israele sul suolo libanese. Un approccio efficace, con cui gli americani potrebbero simpatizzare, prevede che Israele acquisisca l’iniziativa strategica lungo i suoi confini settentrionali impegnando Hezbollah, Siria e Iran»[5].

Colpire le infrastrutture del Libano costituisce un aspetto essenziale di questo progetto, così come «Distogliere l’attenzione di Damasco facendo leva su elementi dell’opposizione libanese per intaccare il controllo siriano del Libano»[6].

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=43828

Richard Perle, che si è guadagnato il soprannome di “Principe delle Tenebre”, è uno stretto collaboratore di Michael Ledeen (a sua volta pappa e ciccia con MATTEO RENZI, quello che ha dichiarato: “talvolta Israele eccede nella difesa, e dobbiamo dirlo, ma è tempo che la sinistra pronunci parole inequivocabili sul diritto di Israele di vivere senza minacce“.

Intervistato dal Corriere della Sera, Perle dichiara:

«Israele non poteva continuare a vivere sotto la minaccia dei missili di Hamas, doveva reagire».

«sebbene il peggio debba ancora venire, la crisi si spegnerà a poco a poco, perché nessuno ha interesse a un’escalation, non l’Iran che l’ha propiziata, né l’Egitto che pure è guidato dai Fratelli Musulmani».

«Se l’Iran non rinuncerà all’atomica, Israele attaccherà: amici israeliani mi dicono che Netanyahu si considera investito da Dio nella missione di fermarlo per la salvezza del popolo ebraico».

«Hamas l’ha iniziato con il lancio di missili, una pioggia continua. Uccidendo Ahmed al-Jabari, il capo della sua ala militare [Jabari voleva la fine delle violenze e cercava un accordo, per questo è stato ucciso, NdR], Netanyahu ha indicato che stroncherà questa minaccia a qualsiasi prezzo e che punterà sui bersagli più importanti. Se Israele non avesse commesso lo sbaglio di ritirare le sue truppe da Gaza, Hamas non sarebbe stato in grado di attaccare. Ma le ha ritirate, e l’Iran e altri Paesi ne hanno approfittato per armare Hamas. Israele si è così trovata in una situazione insostenibile, deve fare pulizia a Gaza».

Perciò ritiene inevitabile l’escalation della crisi?

«Esatto. L’intelligence israeliana sa dove si trovano le rampe e i depositi dei missili e chi li comanda, e li eliminerà. Con l’appoggio dell’America, che pure lamenta la perdita di vite umane e chiede a israeliani e palestinesi di cessare le ostilità e di negoziare».

Ma il nuovo Egitto e persino la Turchia, che sta cercando di influire sul Medio Oriente, non sono dalla parte di Hamas?

«Penso che il governo egiziano faccia la voce grossa soprattutto a fini interni, per la sua base islamica, e che l’influenza della Turchia sul Medio Oriente sia modesta. L’Egitto di Morsi non si atteggerà a mediatore in pubblico, a differenza dell’Egitto di Mubarak, ma forse si adopererà per un accordo dietro le quinte. Quanto alla Turchia perché dovrebbe crearsi altri problemi? Ha già il suo daffare in Siria, una spina nel fianco dei Paesi arabi, che non hanno un buon ricordo dello Impero Ottomano».

E l’America?

«Non sta premendo molto su Israele, ma penso che Obama stia promuovendo negoziati che coinvolgano l’Autorità palestinese. Credo che a breve Netanyahu sarebbe disposto ad aprirli e l’Egitto ad accettarli. Certo, non ci si arriverà facilmente, l’emarginazione di Hamas è contraria alla politica dei Paesi islamici. Ma potrebbe essere questione di tempo, il Medio Oriente ha bisogno di stabilità dopo le scosse della primavera araba».

Non crede che il conflitto possa estendersi al Libano?

«Hezbollah è gestita dall’Iran. Teheran sa che se fa una mossa sbagliata Israele avrebbe una giustificazione per un attacco immediato. Mira a tenere Israele impegnata a Gaza il più a lungo possibile, dividendo l’Autorità palestinese e Hamas. Non mira a una guerra regionale che finirebbe per ritorcersi a suo danno».

Pensa che Israele una volta raggiunti i suoi obiettivi a Gaza tornerà a concentrarsi sull’Iran?

«Netanyahu intende porre fine prima o poi ai progetti nucleari iraniani. Ho visitato Israele di recente e gente a lui vicina mi ha detto che è convinto che Dio lo abbia scelto per liberare il Paese dall’incubo dell’atomica di Teheran. In un certo senso è come Bush Jr. che era persuaso di essere stato incaricato da Dio di liberare il mondo da Saddam Hussein. Con una differenza: che Saddam non era mai stato prossimo a procurarsi la bomba. Temo che il conto alla rovescia possa incominciare presto».

Intervista di Ennio Caretto, Corriere della Sera, 18 novembre 2012

NOTA BENE: con Stalin e Mao il deterrente nucleare funzionava e con l’Iran non dovrebbe funzionare? Per quale assurdo motivo uno dovrebbe credere ad una tale idiozia? Anche Hitler diceva di essere guidato dalla Provvidenza.

Ex direttore del Mossad: gli Iraniani devono temere un attacco entro le prossime 12 settimane

 

Un ex direttore del Mossad contrario all’attacco preventivo di Israele all’Iran avverte gli Iraniani: devono temere un attacco entro le prossime 12 settimane (ossia prima delle elezioni presidenziali negli Usa). Tutto questo mentre Panetta cerca di convincere Netanyahu dell’efficacia delle sanzioni. Bibi il Mitomane insiste: se gli Stati Uniti non intervengono Israele agirà comunque da solo. Romney promette di appoggiare Israele se dovesse vincere le elezioni.

In una intervista al New York Times, Efraim Halevy ha detto che «siccome gli israeliani sono notoriamente contrari ad attacchi d’inverno e che l’attuale situazione siriana non consentirà ad Hezbollah e ad Assad di dare manforte agli alleati iraniani, se c’è un momento buono per attaccare è proprio questo».

“Se fossi iraniano, sarei molto preoccupato dalle affermazioni di Israele su un possibile attacco, perché a mio avviso le minacce di Israele suonano come serie e credibili“. È l’opinione dell’ex direttore del Mossad, Ephraim Halevy, intervistato da Israel Radio, secondo cui le prossime 12 settimane saranno “veramente cruciali” per la decisione dello Stato ebraico di attaccare o meno. “Continuando a fare i loro giochetti” nei colloqui internazionali sul nucleare, ha aggiunto Halevy, gli iraniani sottovalutano la risolutezza israeliana. “Hanno sbagliato i calcoli se pensano di avere un’immunità illimitata” in questi colloqui, ha proseguito. L’Iran sostiene che il suo programma nucleare sia pacifico e mirato a produrre energia, mentre Israele afferma che quella di Teheran sia una minaccia alla sua sopravvivenza e ritiene che la repubblica islamica voglia assemblare armi nucleari.

http://www.lapresse.it/mondo/asia/ex-capo-mossad-se-fossi-iraniano-minacce-israele-mi-preoccuperebbero-1.198052

Giusto per venire incontro alle esigenze israeliane, è appena stata resa pubblica la notizia che i servizi segreti israeliani, americani, francesi, tedeschi ed inglesi, in precedenza piuttosto cauti se non apertamente scettici, ora concordano nell’affermare che il programma atomico iraniano sta facendo passi da gigante:

http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/new-intelligence-reveals-iranian-military-nuclear-program-advancing-faster-than-previously-thought.premium-1.456426

COME SI È ARRIVATI A QUESTO PUNTO?

Malgrado le aperture iniziali da parte della Casa Bianca, a Baghdad è apparso evidente che le richieste americane non coincidevano con le posizioni iraniane: Washington ha chiesto non solo lo stop dell’arricchimento al 20%, e il trasferimento all’estero dell’uranio al 20% fin qui prodotto, ma anche la chiusura definitiva dell’impianto fortificato sotterraneo di Fordow, vicino a Qom; ed in cambio ha offerto solo barre di uranio al 20% (difficilmente utilizzabili a scopo bellico) per il reattore di ricerca di Teheran, e pezzi di ricambio per l’aviazione civile iraniana, ma nessun alleggerimento delle sanzioni attuali e nessun rinvio di quelle programmate.

Per comprendere fino a che punto una simile proposta fosse inaccettabile per Teheran è sufficiente sottolineare che, in cambio della rinuncia alla sua carta di maggior valore (la possibilità di arricchire l’uranio al 20%), l’Iran avrebbe dovuto accettare la prospettiva di continuare a veder strangolata la propria economia (dalle sanzioni già in atto, e da quelle ancor più dure che entreranno in vigore a breve).

Chiudere l’impianto di Fordow, inoltre, per Teheran significherebbe rinunciare all’unica installazione che attualmente è fuori dalla portata delle bombe israeliane (ma non delle più potenti bombe americane), con la prospettiva di rendere realmente efficace un eventuale attacco militare unilaterale da parte israeliana (che è stato più volte minacciato da Tel Aviv).

In altre parole, a Teheran è stato chiesto di cedere “diamanti in cambio di noccioline”come ha affermato l’ex negoziatore iraniano Hossein Mousavian.

[…].

Ciò che più colpisce è il contrasto esistente fra le valutazioni della maggior parte dei funzionari dell’intelligence occidentale, che parlano di una minaccia nucleare iraniana “non imminente”, e l’acceso dibattito in Israele e negli USA sulla possibilità di un attacco militare all’Iran.

I servizi segreti occidentali in gran parte concordano sul fatto che l’Iran non abbia ancora deciso di costruire un ordigno nucleare, e che avrebbe bisogno di alcuni anni per costruire realmente una testata atomica qualora decidesse di farlo.

L’americana “National Intelligence Estimate” del 2007, in gran parte confermata dalla versione aggiornata del 2010 e dal rapporto AIEA della fine del 2011, afferma che, in base a tutte le prove a disposizione, il programma nucleare iraniano a scopo bellico è stato interrotto nell’autunno del 2003.

In altre parole, generalmente si ritiene che l’Iran non intenda entrare in possesso di una bomba atomica, ma solo acquisire le conoscenze necessarie per costruirne rapidamente una all’occorrenza (intenda cioè raggiungere la cosiddetta “breakout capacity”).

Nel febbraio 2011 il direttore del National Intelligence, James Clapper, dichiarò al Congresso americano che “l’Iran sta mantenendo aperta la possibilità di sviluppare armi nucleari, in parte sviluppando differenti capacità nucleari che lo pongano in una posizione migliore per produrre simili armi, qualora decidesse di farlo”.

Allo stato attuale, gli esperti ritengono generalmente che, se davvero l’Iran volesse costruire un ordigno, avrebbe bisogno di almeno un anno, e di altri 1-2 anni per posizionarlo all’interno di un missile.

Alla luce di ciò, e del fatto che appare altamente improbabile che l’Iran possieda altre installazioni segrete oltre a quelle di Natanz e Fordow scoperte negli anni passati (affermazione, questa, che si basa sull’elevata qualità dei dati di intelligence di cui gli esperti americani ritengono di essere in possesso), la tesi israeliana secondo cui il programma nucleare iraniano starebbe per entrare in una “zona di immunità”, che lo metterebbe al sicuro da qualsiasi attacco militare, appare un po’ come gridare “al lupo, al lupo”.

[…]

Le paure di Teheran non sono immotivate. Fin da quando ha assunto il proprio incarico alla Casa Bianca, Barack Obama – mentre esortava la Repubblica islamica a “schiudere il proprio pugno” e a dialogare – non solo ha proseguito, ma ha rafforzato la “guerra segreta” contro l’Iran avviata dal predecessore Bush – come ha recentemente rivelato il New York Times.

Questa guerra segreta ha incluso una campagna di attacchi informatici che, per ammissione di alcuni funzionari dell’intelligence americana, è ben più ampia dei due virus Stuxnet e Flame saliti alla ribalta delle cronache, e serve a “preparare il campo di battaglia per un altro tipo di azioni sotto copertura”.

A fianco della campagna di attacchi informatici, la CIA ha condotto una vasta operazione di sorveglianza del territorio iraniano tramite droni (un’operazione clamorosamente svelata lo scorso dicembre quando uno di questi aerei senza pilota cadde in mani iraniane).

Nel frattempo una spietata campagna di omicidi mirati è stata condotta ai danni degli scienziati iraniani ritenuti coinvolti nel programma nucleare. Molti analisti avevano attribuito simili operazioni ad Israele. Poi, a febbraio di quest’anno, alcune rivelazioni shock hanno lasciato intendere che per compiere questi omicidi Tel Aviv si sarebbe servita dei Mojahedin-e Khalq (MEK), un’organizzazione marxista e islamista iraniana storicamente nemica del regime di Teheran, che negli Stati Uniti è inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Ma i colpi di scena erano destinati a continuare, visto che un reportage del giornalista investigativo americano Seymour Hersh, apparso ad aprile sul New Yorker, rivelava che membri del MEK sarebbero stati segretamente addestrati dalle forze speciali americane nel deserto del Nevada.

Nel frattempo è in atto, sempre negli Stati Uniti, una multimilionaria campagna di lobbying finalizzata a cancellare il MEK dalla lista delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato. Decine di ex funzionari americani sono stati pagati da membri del MEK perché promuovessero la loro causa.

http://www.medarabnews.com/2012/06/27/dopo-il-fallimento-dei-negoziati-con-l%E2%80%99iran-minacciose-nubi-si-addensano-sul-medio-oriente/

Qui le informazioni sulle finestre per un attacco israeliano e/o americano

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/12/guardatevi-dalle-idi-di-marzo-come-prevedere-la-data-dinizio-della-terza-guerra-mondiale/#ixzz1jFLR0xWK

Le bombe per distruggere gli impianti sotterranei sono pronte

http://www.articolotre.com/2012/07/100861/100861

Le conseguenze: un comitato di scienziati ha stimato che 3 milioni di persone morirebbero entro poche settimane a causa della nube radioattiva se i reattori iraniani fossero bombardati. A sua volta l’Iran bombarderebbe la centrale atomica di Dimona, trasformando gran parte di Israele in un paesaggio à la Chernobyl per millenni.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/24/e-se-liran-avesse-gia-latomica-osservazioni-sconvenienti-sullarmageddon-che-verra/

LA POSIZIONE DELLA CINA

L’idea che il regime di Damasco possa essere il primo a cadere in un “effetto domino” che abbia come ultimo obiettivo l’Iran, del resto, non è coltivata solo da alcuni a Washington e in Israele, e non è solo temuta dal regime di Teheran, ma è considerata come una “minaccia credibile” anche da altri.

Il China Daily – quotidiano in lingua inglese spesso considerato portavoce del governo di Pechino – in un recente articolo insolitamente duro e apertamente critico nei confronti degli Stati Uniti, accusa Washington di essere il principale responsabile dell’inasprimento della crisi iraniana.

Il giornale afferma che l’obiettivo americano sarebbe quello di impedire ad un paese “nemico” di diventare una potenza nucleare, ed allo stesso tempo di rafforzare la dipendenza militare di altri paesi mediorientali dagli Stati Uniti.

L’articolo sostiene che non bisogna temere un attacco militare israeliano o americano all’Iran prima che la crisi siriana sia giunta a conclusione, perché “gli Stati Uniti ed i loro alleati arabi vogliono che la Siria sia la prima ‘tessera del domino’ a cadere”.

In quella che potrebbe apparire come una velata minaccia, il giornale conclude affermando che Washington non oserà implementare contro la Cina le sanzioni legate alla Banca centrale iraniana, e che gli Stati Uniti – che lo vogliano o meno – devono cercare la cooperazione piuttosto che il confronto con Pechino, per risolvere le questioni internazionali.

http://www.medarabnews.com/2012/06/27/dopo-il-fallimento-dei-negoziati-con-l%E2%80%99iran-minacciose-nubi-si-addensano-sul-medio-oriente/

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