Uno degli addetti alla comunicazione di #Trump tuitta l’emblematica immagine di destra, che stabilisce un’evidente relazione tra #HillaryClinton, la #lobbysionista (corteggiata dallo stesso Trump) e la corruzione del potere statunitense.
Una possibile allusione a una recente classifica degli #sponsor di Hillary pubblicata da #Forbes.
La fonte originaria è un sito di destra.
Dopo qualche ora si accorgono della gaffe e la sostituiscono con l’immagine di sinistra, tardivamente.
L’aspetto significativo dell’episodio risiede nella sua capacità di puntare l’indice su un gigantesco elefante in salotto di cui non si può parlare ma che è visibile a tutti almeno dai giorni in cui #Obama è stato pubblicamente umiliato dagli scroscianti applausi del Congresso riservati a #Netanyahu (lo stesso leader che se n’è sbattuto della richiesta di #Hollande di non venire a Parigi per la manifestazione pro-#CharlieHebdo).
L’inconcepibile arroganza della leadership israeliana e della lobby filo-israeliana a Washington è la causa primaria non solo delle polemiche scaturite dal suddetto tweet ma anche dei risultati di un sondaggio di qualche mese fa (#Brookings), secondo cui quasi la metà dell’elettorato democratico ritiene che #Israele eserciti un’influenza eccessiva sulla politica statunitense (37% se si includono anche i repubblicani).
Da anni sostengo che Israele sta facendo correre immensi rischi agli ebrei americani ed europei (oltre che ovviamente a quelli israeliani).
#Sanders è l’unico candidato in grado di salvare capra e cavoli, in quanto ebreo amico dei palestinesi.
#HillaryClinton è la peggior maledizione che possa colpire gli ebrei occidentali.
#Trump, come sempre, è un’incognita. Si dichiara imparziale sulla disputa palestinese, ma poi afferma di non voler riconoscere lo stato palestinese. Si dichiara amicone di Israele, ma poi il suo staff ricicla un’immagine che più accusatoria non potrebbe essere.
Quel che è chiaro è che i neocon-sionisti si sono schierati in gran parte con Hillary Clinton e forse è perché temono che Trump sia una serpe in seno.
Chi ha a cuore il fato di ebrei e palestinesi dovrebbe tifare per Bernie (e per l’FBI).
#NorbertHofer, pochi giorni dopo il suo pellegrinaggio in #Israele, rischia di diventare il nuovo presidente austriaco.
Campi di internamento/prigionia, “marchiature”, deportazioni, moltiplicazione di stereotipi del tutto analoghi a quelli riservati agli ebrei il secolo scorso: lussuriosi, barbari, avidi, conquistatori, guerrafondai, terroristi, contagiosi, ecc.
Il nuovo #antisemitismo europeo, quello che le masse impaurite e confuse dalla propaganda delle destre islamofobe e filo-israeliane/sioniste non vedono, non capiscono, non riconoscono, arriva al potere in una nazione europea occidentale.
La prima volta milioni di semiti ci hanno lasciato le penne.
Questa volta non succederà nulla del genere, ma gli austriaci hanno nuovamente dimostrato di essere un popolo che si fa menare per il naso con estrema facilità dai potentati manipolatori (e dalla loro nuova “strategia della tensione”).
Mi spiace, perché nutro affetto per l’#Austria e specialmente per la meravigliosa #Vienna.
A scontrarsi con la polizia provvedono formazioni paramilitari bene addestrate, afferenti agli ultranazionalisti di Svoboda, del Pravy Sektor o di Spilna Sprava, fautori della “Ucraina agli ucraini”, segnati dai miti razziali otto-novecenteschi distillati dai teorici locali dello Stato etnico, profondamente russofobi, polonofobi e antisemiti. Sotto la pelle della piazza s’infiltrano provocatori di regime (titushki) e agenti più o meno collegati ai servizi segreti russi od occidentali, come si conviene nelle aree di crisi particolarmente strategiche.
A questo punto solo un negoziato fra tutte le forze interne ed esterne che partecipano alla battaglia d’Ucraina può impedire una prolungata guerra civile, che cambierebbe comunque il volto della Russia e dell’Europa. È tempo che Washington e Mosca scendano in campo non per sostenere i loro campioni locali, ma per salvare gli ucraini da se stessi e dagli europei che pretendono di salvarli. Obama e Putin hanno dimostrato di sapersi intendere, quando le alternative al compromesso sono disastrose. Il tempo stringe, nella speranza che non sia già tardi.
Lucio Caracciolo, Repubblica, 20 febbraio 2014
Quando è affidabile la fazione filo-occidentale che sta prendendo il controllo di Kiev?
L’accordo prevedeva il disarmo della bande che avevano attaccato i poliziotti. Sono ancora armate. Le elezioni dovevano essere anticipate a dicembre, ma ora si terranno il 25 maggio. Il parlamento ha rimosso dalla presidenza Yanukovich – senza aver raggiunto il quorum per essere legittimati a farlo (328 voti contro i 338 richiesti) -, che aveva appena firmato l’accordo, rendendolo di fatto nullo. Non erano interessati alla riforma costituzionale, a un governo di coalizione o a qualunque compromesso: volevano il potere, ad ogni costo.
Timoshenko era in buoni rapporti con Putin. Anzi, era in carcere per malversazione per aver favorito i russi di Gazprom in un accordo sul costo del gas. Non è insensibile a chi la paga bene. Potrebbe forse riuscire a evitare una guerra civile?
E quali saranno questi costi?
– L’arrivo al potere degli ultranazionalisti, omofobi, antisemiti e russofobi di Svoboda, che in precedenza hanno presentato in Parlamento disegni di legge per l’abolizione dell’aborto, il divieto di adozione di bambini ucraini da parte di coppie straniere, l’introduzione dell’identificazione etnica sui passaporti e certificati di nascita. Tiagnibok ieri, in parlamento, ha chiesto di vietare l’uso del russo in Ucraina. E’ degno di nota che i media se la siano presa con Putin per una legge contro la “propaganda gay” ai minori ma non si dicano preoccupati per l’ascesa di una formazione che ha ben altri piani per gli omosessuali ucraini o per chiunque non la pensi come loro e sia diverso da loro (tra parentesi, com’è che il totalitarismo omofobo, misogino, razzista, militarista e schiavista dei sauditi e dei qatarini non è sulle prime pagine dei nostri giornali?)
– Le regioni meridionali e orientali si stanno preparando a resistere anche con le armi ad un’eventuale cambio di regime palesemente anti-russo: se la Timoshenko non si muoverà con cautela e astuzia, la prospettiva è quella della creazione di un’Ucraina filorussa, più ricca, che rifiuterà l’autorità (in primis quella di tassare) di un’Ucraina filo-occidentale più povera (gli 11 distretti più poveri dell’Ucraina sono nella macroregione nord-occidentale che ha scatenato la rivolta, mentre 7 distretti del sud-est filorusso producono quasi metà del PIL ucraino: la “Padania ucraina” tollererà di essere governata da golpisti occidentali?) , che cercherebbe di assicurarsi il controllo della capitale, Kiev. La nuova capitale orientale sarebbe Kharkov, capitale di tutta l’Ucraina fino al 1936. La nuova Ucraina replicherà alle accuse dei leader occidentali rammentando loro che l’Occidente si è fatto paladino della sacralità dell’autodeterminazione dei popoli;
– L’Occidente dovrà farsi carico, in qualche modo, della parte povera dell’Ucraina, pur non avendo soldi per pagare i propri debiti con le imprese, i servizi pubblici, le pensioni e tantomeno per salvare banche nuovamente sull’orlo del collasso. Ci pensa il Fondo Monetario Internazionale: è già stato richiesto un prestito, che arriverà col suo corollario di austerità, licenziamenti di massa, congelamento dei salari e delle pensioni, crescita delle bollette, svendita dei beni pubblici, ecc.;
– I russi, aggrediti 4 volte in 200 anni da potenze europee (1812, 1914, 1919 e 1941), non staranno a guardare, come non lo farebbero gli Stati Uniti se Russia o Cina cercassero di installare un governo amico in Messico o in Canada. Ma cosa faranno? Resteranno sulla difensiva. L’esplicita volontà di apertura di Siria, Ucraina, Iran e Venezuela nei confronti degli Stati Uniti non è un sintomo di debolezza, ma della consapevolezza che il tempo gioca a loro favore e contro l’Alleanza Atlantica
L’enorme errore commesso dai decisori occidentali è stato quello di credere di poter vincere un’altra volta la Guerra Fredda (o la Guerra Civil Española). La differenza, rispetto agli anni Ottanta, è che le parti sono invertite. È l’economia euroamericana a trovarsi sul bordo del precipizio ed è l’opinione pubblica occidentale a disprezzare e odiare i propri governanti ed oligarchi che, consci di questo, hanno istituito un sistema di sorveglianza e prevenzione di rivolte degno della DDR.
Il mondo si sta già schierando con lo sfidante, contro l’imbolsito campione in carica, che tipicamente sopravvaluta le sue forze e sottovaluta l’avversario
Come nel 1989, ma a parti invertite, è sufficiente che uno dei due contendenti attenda il collasso dell’altro, per poi proclamarsi vincitore. La differenza è che mentre nel 1989 la cosa avvenne con un minimo spargimento di sangue, questa volta gli oligarchi non hanno alcuna intenzione di togliersi di mezzo. Il loro obiettivo è chiaramente quello di reinventarsi gattopardescamente e, se possibile, sfruttare la crisi per realizzare la Perfetta Controrivoluzione, la rivoluzione finale. Sono irriformabili.
La variabile X di cui non hanno tenuto conto è la Natura (e quindi anche la natura umana). Gaia si è dotata di anticorpi e il virus psicopatico ha gli anni contati.
Si comincia in Serbia nell’ottobre del 2000. è ormai documentato dagli storici che alcune ONG statunitensi, in particolare Open Society [Soros], Freedom House e il NED, abbiano sostenuto “Otpor!” e le grandi manifestazioni di piazza a ridosso delle elezioni presidenziali, senza attendere il risultato definitivo delle urne, che vedeva i due candidati andare verso un probabile ballottaggio…Dopo l’assalto della folla alla sede del Parlamento e alla tv di Stato, Slobodan Milosevic è costretto a lasciare il potere. In seguito sarà arrestato e consegnato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, dove morirà prima di essere giudicato. Sotto il nuovo governo le truppe americane realizzano la gigantesca base militare di Bondsteel, in Kosovo, e rendono l’ex provincia serba uno stato indipendente nel 2008, in un tripudio di bandiere a stelle e strisce.
In Georgia, nel 2003, si ripete lo stesso schema. L’opposizione guidata dal movimento “Kmara!” denuncia brogli elettorali nelle elezioni legislative. A migliaia scendono in piazza sostenendo che i risultati del voto sono quelli indicati dal ISFED, una società di sondaggi e monitoraggio elettorale vicina a Open Society Georgian Foundation, NED, IRI e NDI. È la cosiddetta “rivoluzione delle rose”, con la quale i manifestanti costringono il presidente Edward Shevarnadze a dimettersi. Il suo successore, Mikhail Saakashvili, apre il paese agli interessi economici americani e si muove in direzione dell’entrata della Georgia nella NATO e nell’UE, mentre raffredda i rapporti con il vicino russo. Cinque anni più tardi, nell’agosto del 2008, Sakashvili bombarda la popolazione dell’Ossezia del Sud. Mosca risponde all’offensiva militare georgiana con l’invio delle forze speciali, arrivando a un passo da un possibile conflitto diretto con Washington.
Nel 2004 è la volta dell’Ucraina e della rinomata “rivoluzione arancione”. I due sfidanti alle elezioni presidenziali sono Viktor Yanoukovitch (filorusso) e Viktor Iouchenko (con il sostegno degli Stati Uniti e della comunità internazionale). Alla chiusura dei seggi e ai primi risultati sfavorevoli, migliaia di giovani, guidati dal movimento “Pora!”, si raggruppano nella piazza centrale di Kiev indossando indumenti color arancione, per sostenere Viktor Iouchenko. Dopo due settimane di manifestazioni, sotto una forte pressione mediatica e internazionale esercitata da OCSE, NATO, Consiglio d’Europa e Parlamento europeo, il risultato delle elezioni viene annullato e si torna alle urne. Nella nuova votazione vince Iouchenko..Una volta alla guida del paese, il nuovo leader stringe forti rapporti con la Georgia e stipula accordi sulle forniture di gas favorevoli agli Stati Uniti. Nel 2010 viene però clamorosamente eliminato al primo turno delle elezioni da Viktor Yanoukovitch che si prende la rivincita.
Alfredo Macchi, “Rivoluzioni S.p.A.: chi c’è dietro la Primavera Araba”, Alpine studio, 2012 pp. 78-80.
Gli Stati che meritano il più forte sostegno geopolitico americano sono l’Azerbaijan, l’Uzbekistan e l’Ucraina, in quanto tutti e tre sono pilastri geopolitici. Anzi è l’Ucraina lo stato essenziale, in quanto influirà sull’evoluzione futura della Russia. […]. Tra il 2005 e il 2010 l’Ucraina dovrà essere pronta per un confronto serio con la NATO. Dopo il 2010, il principale nucleo della sicurezza in Europa consisterà in Francia, Germania, Polonia e Ucraina.
Zbigniew Brzezinski, “La Grande Scacchiera”
L’obiettivo principale della politica europea brzezinskiana – e quindi obamiana, se i neocon non lo fanno deragliare di nuovo come sulla Siria – è unificare il continente, ma sotto l’egida americana (un’Unione Europea a sovranità limitata, appendice della NATO), sfruttando le rivalità tra le varie potenze europee e i lobbismi a Bruxelles (es. accordo di libero scambio transatlantico).
I principali avversari sono la Francia (per la sua pretesa di voler continuare a essere una nazione guida a livello globale) e la Russia (potenza egemone dell’Eurasia). Queste due nazioni non devono perciò allearsi. Peggio ancora se si forma un asse Parigi-Berlino-Mosca. Germania e Italia sono comunque sotto occupazione militare. L’Italia è la seconda nazione europea per numero di installazioni militari delle forze americane. Siamo al quinto posto del mondo dopo Germania (179 siti militari US), Giappone (103), Afghanistan (100), Corea del Sud (89). Ne abbiamo 59.
Il profilo internazionale della Russia è ormai secondo solo a quello americano, anche grazie agli exploit con Siria e Iran, dove Putin si è guadagnato il rispetto di Romano Prodi, tra gli altri. È parte dei BRICS, la sua economia è solida, è militarmente temibile. Ha una base navale di importanza fondamentale in Crimea (Ucraina), con la quale può dire la sua nel Mediterraneo.
POLITICA UCRAINA
Yanukovych non può permettersi di perdere le prossime elezioni, nel febbraio del 2015. Ha senza dubbio tanti scheletri nell’armadio quanti ne aveva e ne ha la Tymoshenko, che ora è giustamente in cella. Sono entrambi dei delinquenti e chi è al potere cercherà di incarcerare l’altro. L’alternativa sono gli ultranazionalisti con simpatie neonazifasciste. Si vocifera da tempo della possibilità di separare l’Ucraina in due tronconi, uno per la NATO (L’viv, vicino a Polonia e Slovacchia) e uno per la Russia (Kiev)
Insomma, gli ucraini sono messi peggio di noi.
Yanukovych sa che l’accordo con l’Europa (e il famigerato FMI) significa austerità – aumento del prezzo del gas del 40%, tagli al welfare, congelamento dei salari – per un’economia già in sofferenza e la fine dei sussidi russi per il gas, che avrebbe un notevole impatto sulla popolazione. Vuol dire perdere le prossime elezioni; vuol dire, in pratica, l’esilio. Il rifiuto delle avances europee e americane significa invece un’altra “rivoluzione colorata” e maggiori interferenze russe nelle questioni interne ucraine.
Ha scelto di non scegliere o, per meglio dire, di prorogare la decisione a data da destinarsi, per poter mungere entrambe le mucche finché gli è possibile farlo. Non c’è nulla di tirannico in questo, anzi, in un certo senso sta servendo gli interessi del suo paese. Non è però detto che le mucche saranno consenzienti a lungo.
Le proteste sono un segnale: qualcuno ha pagato i trasporti fino alla capitale dei manifestanti ed è intuibile come mai così tanti tra gli intervistati dalle TV straniere parlino americano e non ucraino, pur trovandosi di fronte un intervistatore che parla la loro madrelingua.
Intanto si sprecano i paralleli con Hitler (l’Occidente hitlerizza tutti i suoi avversari)
IL NEONAZISMO
Io li odio i nazisti dell’Illinois.
Jake Blues
Stupratore ed assassino di donne incinte, torturatore, sadico seviziatore. Un vero e proprio mostro che trovò nel nazismo il suo habitat naturale. La difesa della democrazia da ogni arbitrio totalitario è un baluardo contro questi mostri, è un dovere morale ma anche una forma di autodifesa. L’alternativa alla democrazia è una giungla di mostri in libertà, assoldati per fare il lavoro sporco, in virtù di un loro terribile handicap – l’assenza di empatia – che si dimostra particolarmente utile in un sistema che vede nella naturale empatia della maggior parte degli esseri umani un ostacolo e non la promessa di un futuro migliore. Questo è quel che succede quando la democrazia si estingue.
Alfredo Poggi (Giorgio Mezzalira e Carlo Romeo, 2002, p. 65).
Ho trascorso un anno della mia vita a Vancouver e in almeno un paio di occasioni mi sono recato nel quartiere dove risiedeva Michael “Mischa” Seifert, il boia del lager di Bolzano, senza esserne consapevole. A dire il vero, a quel tempo ero convinto che quasi tutti i nazisti in fuga si fossero rifugiati in Sudamerica e negli Stati Uniti. Che uno di loro (forse più di uno?) potesse risiedere anche a Vancouver, a circa sei chilometri da casa mia, non mi aveva mai attraversato l’anticamera del cervello. Seifert è morto nel carcere militare casertano di Santa Maria Capua Vetere, nel 2010, mentre scontava una condanna all’ergastolo per l’uccisione di 11 internati nel campo di transito di Bolzano (Polizeilisches Durchgangslager Bozen), tra il dicembre del 1944 e l’aprile del 1945 quando lui, ucraino, serviva il Reich con la divisa delle SS, prima di rifugiarsi in Canada, dopo la sconfitta.
è che ste cose gli piacciono
I tre partiti dell’opposizione (neoliberisti e nazionalisti) hanno tutti legami con la Germania. Il Partito della Patria di Julia Tymoshenko è vicino alla CDU/CSU di Angela Merkel e alla galassia delle sue fondazioni e think tank. L’Alleanza per la Riforma Democratica dell’Ucraina del campione mondiale di pugilato Vitali Klitschko (che ha terminato la sua carriera in Germania e ricevuto un’onorificenza per aver migliorato le relazioni tra Ucraina e Germania) è anch’essa sponsorizzata dall’istituto Konrad Adenauer ed è esplicitamente pro-NATO.
Svoboda (Libertà) è il partito “social-nazionale” (sic!) degli ultranazionalisti antisemiti e russofobi, guidati da Oleh Tyahnybok (“lottiamo contro la mafia ebreo-moscovita che governa l’Ucraina”), affiliati all’estrema destra europea e con nostalgie naziste (tra gli Ucraini occidentali molti simpatizzavano per gli occupanti tedeschi). A L’viv hanno preso il 38% dei voti nelle politiche del 2012 e sono arrivati secondi a Kiev: i 37 parlamentari eletti si sono subito distinti per la loro inciviltà, violenza, volgarità.
Sofisticate intelligenti, persuasive e dignitose come sempre.
il giovane Sikorski tra i mujaheddin anti-sovietici in Afghanistan
LA POLONIA
I politici polacchi (Brzezinski è polacco-americano) sono in prima linea negli attacchi al governo ucraino.
Vale la pena di notare il background del ministro degli esteri polacco Radek Sikorski: “Studiò filosofia, politica ed economia presso il Pembroke College dell’Università di Oxford, entrando poi nel Bullingdon Club, l’associazione goliardica degli studenti universitari oxoniense nella quale fece conoscenza con molti futuri esponenti della vita politica britannica, tra cui l’attuale capo del partito conservatore e allora studente universitario David Cameron”.
[L’attuale governo ultraliberista britannico è espressione dell’esclusivo Bullingdon Club].
Dal 2002 al 2005 fu membro del American Enterprise Institute a Washington e direttore della New Atlantic Initiative, un’organizzazione creata per rafforzare i legami fra americani ed europei dopo la fine della Guerra fredda. [rafforzare i legami: consolidare i pilastri dell’impero]
I cittadini europei avranno finalmente la possibilità di votare direttamente per il presidente della Commissione Europea (es. Tsipras, se non fa la fine di JFK). Devono pretendere anche di poter votare su ogni espansione, in qualunque direzione. Finora l’allargamento dell’UE l’ha resa sempre meno democratica e sempre più tecnocratica e sottoposta alle pressioni lobbistiche. Le vergognose vicende dell’eurozona e dell’accordo sul libero scambio transatlantico sono solo alcuni esempi tra i mille possibili.
Washington e Berlino non vogliono un’Ucraina nell’UE, ma un Messico europeo. Gli ucraini e i cittadini dei 28 paesi membri dell’Unione dovrebbero poter votare per decidere se questa cosa abbia senso e sia nell’interesse dei popoli di questo continente.
La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo.
Albert Camus, da “L’artista e il suo tempo”
Sottoscrivo ogni singolo punto toccato dal commentatore Metul:
In sintesi, la questione è semplice: è lecito il dubbio in una indagine storica?
A cosa si ridurrebbe la Storia senza il dubbio e la volontà di ricerca?
Il problema non è l’esistenza delle camere a gas, ma imporre per Legge che un fatto sia “certezza storica”.
Lo studio della Shoah è un tema delicato.
La stessa “unicità di questo orrore” che lo rende diverso da tutti gli altri stermini è oggetto di discussione tra gli storici.
Introduce surrettiziamente una classifica delle stragi.
Chi scrive condivide in toto l’opinione – prego notare il sostantivo – di Primo Levi. La Shoah rimane – per ora – un unicum.
La Shoah – e questo dimostra che 70 anni da questo orrore sono un istante – è una ferita che non si rimarginerà più. Ed è stata ferita – attraverso il dolore indicibile degli ebrei – l’umanità intera.
E’ un dato di fatto, però, che chiunque tenti un approccio storiografico non conforme all’ortodossia – che non significa negazionismo – viene immediatamente infangato.
Per quanto riguarda la tesi che le nostre conoscenze storiche siano mediate da film e letteratura, ricordo che in Italia sino al 1979 – anno in cui venne trasmesse la mini serie Tv Olocausto – la maggior parte della popolazione ignorava l’esistenza del dramma o ne aveva una idea vaga. La miniserie ebbe il merito di allargare la platea, prima ristretta all’ambito storiografico. Il risultato è che l’indagine storica sulla Shoah deve per forza essere anche emotiva (comprensibile per i milioni di persone che ne vennero travolte) bandendo il dubbio.
Credo che la Shoah sia ancora magma della nostra cronaca recente che ancora deve cristallizzarsi in Storia.
Spiace che persone come Riotta oppure Augias abbiano frainteso. E mi si permetta: uno con un tweet, l’altro con un sms. Dimostrando con lo strumento usato quanto tempo abbiano deciso di dedicare a un tema enorme.
Se fraintendono loro, non c’è speranza per gli altri.
Da ieri, il Prof. Odifreddi è un negazionista. Punto. Lo abbiamo classificato senza appello con un tweet. Nessun dubbio.
In questo il Dott. Augias ha torto: non ci dovrebbe essere un limite alla decenza, ma all’indecenza.
La prima categoria serviva per avvertire che in caso di ibernazione solare saremmo andati incontro ad una probabile glaciazione. L’ibernazione si sta verificando e tra pochi anni ne affronteremo le conseguenze (essendo completamente impreparati).
La questione siriana ha dimostrato che gli Stati Uniti non seguiranno Israele nelle sue “avventure” mediorientali e prima di qualche anno Israele e gli ebrei nel mondo ne affronteranno le conseguenze (essendo completamente impreparati).
I suddetti tabù stanno spingendo Israele sull’orlo del baratro. È un semplice meccanismo psicologico collettivo. La dissonanza cognitiva tra realtà e rappresentazione della realtà produce uno stress emotivo che prima o poi deve trovare uno sfogo e un capro espiatorio.
Io non voglio che gli ebrei (e con loro i palestinesi) accettino passivamente il loro ruolo di capri espiatori, come se fosse un destino biblico ineluttabile, ma è quello che sta succedendo. Non sarò complice di questa mostruosità, neppure indirettamente. Se le città israeliane saranno un giorno vetrificate, io soffrirò moltissimo, ma non voglio essere tra quelli che sono stati zitti per paura dei giudizi e malignità altrui.
Non lo faccio in nome dei miei antenati marrani, lo faccio in nome della mia coscienza.
A differenza di moltissime altre persone, ho cercato di vagliare il dibattito sull’olocausto ( = giudeocidio rituale), tra i negazionisti, i revisionisti e i loro critici.
Quest’analisi ha messo in discussione alcune delle mie più granitiche convinzioni. [Lo stesso è accaduto sulla faccenda del cambiamento climatico: ero un serrista]
Ora ritengo di avere solide ragioni per affermare che:
– ad Auschwitz e negli altri campi sono morti più gentili che ebrei;
– 6 milioni è una cifra inventata di sana pianta (oltre 4 milioni è più verosimile);
– è probabile che la maggior parte dei morti sia stata causata dagli stenti, dalle malattie, dalla consunzione, dalle sperimentazioni di massa, dalle marce della morte e dalle esecuzioni sommarie in giro per l’Europa (Einsatzgruppen).
– sulle camere a gas non mi sono mai espresso perché esistono delle incongruenze relative a questa questione che non so spiegare. Non posso dare ragione ai negazionisti, perché il caso non è chiuso, anche se loro sono convinti che lo sia. Ma al tempo stesso non posso, in tutta onestà, dire che il problema non esiste. Sull’uso del gas nell'”eutanasia” (es. Hartheim) accetto la posizione ufficiale, perché la ritengo assodata. Su altri aspetti della questione sono costretto a sospendere il giudizio, pur provando ribrezzo per le motivazioni retrostanti a certi revisionismi storici (ma non per quelle di ebrei, comunisti ed antifascisti che esprimono dubbi su certi elementi chiave della faccenda). Ad ogni buon conto, se anche un giorno si scoprisse che le incongruenze sono reali e siamo stati tutti vittime di un gigantesco abbaglio, come è già successo in passato (o nel presente: si pensi a tutte le persone straconvinte che sia sempre più caldo, anche se le temperature globali sono stabili da 15-17 anni a seconda delle misurazioni, e pronte ad attaccare chiunque faccia loro notare che si sbagliano), sarebbe ridicolo accusare gli ebrei anche di questo. Non è mai esistito un complotto ebraico di alcun genere. Se di mistificazione si deve parlare, allora questa è nata già negli ambienti nazisti e polacchi non ebraici e tendenzialmente antisemiti intorno al 1942, ed è stata poi sfruttata da certi ambienti sionisti e sovietici (per minimizzare gli orrori di Katyn), ai danni degli ebrei.
Se, e ribadisco SE, il revisionismo dovesse un giorno trionfare, gli ebrei non dovranno diventare nuovamente un capro espiatorio. Loro, come tutti, sono stati manipolati da ingegni psicopatici intenti a perseguire il proprio interesse ad ogni costo, senza alcuno scrupolo.
“Eleva marcatamente il livello qualitativo delle tesi negazioniste” (Robert Jan van Pelt, accademico di riferimento tra i critici dei revisionismi/negazionismi dell’Olocausto)
Prefazione e intervista a Simon Crowell, accademico, strenuamente anti-nazista e anti-razzista, revisionista:
L’ossessione per il gas è comunque morbosa e inquietante e riaffiora nella disputa sull’uso del sarin in Siria, da parte del regime o dei ribelli, come una maledizione, come se fosse il discrimine finale in una guerra civile tra 4 o 5 fazioni che si massacrano a vicenda.
La potenza simbolico-evocativa del gas, in una società in cui i bambini vengono allevati nella paura dell’annientamento e in uno stato di assedio permanente
Il culto dell’Olocausto e la fissazione per le camere a gas – degli uni e degli altri – è un culto di morte e può solo condannare a morte chi lo officia ritualmente, senza discernimento. All’umanità serve il culto dei giusti tra le nazioni, il culto della vita e di chi la preserva: http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/i-giusti-tra-le-nazioni-salvare.html
Ai miei occhi, non c’è che differenza tra ammazzare la gente nelle camere a gas o farla morire di stenti. Che siano 3-4-6-9 milioni gli ebrei ammazzati, non dovrebbe fare alcuna differenza sul giudizio di condanna assoluta. La Shoah/Olocausto è stata un evento unico nella storia.
Se i nazisti avessero vinto la guerra l’Olocausto sarebbe stato completato. Il fatto che intendessero sopprimere anche 20-30 milioni di slavi non ebrei a guerra conclusa non toglie nulla alla validità del criterio di genocidio applicato all’Olocausto e all’unicità dell’evento.
C’è ancora molto da capire di quell’evento, ma per qualche ragione si vuole occultare invece di disvelare, si accusa di negazionismo chiunque cerchi di andare più a fondo. Qualcuno [non solo sionista] preferisce che la verità resti celata.
Perciò trovo intollerabile che si voglia introdurre un reato che può solo far nascere sospetti che si stia cercando di nascondere qualcosa e che questo qualcuno che censura sia l’Eterno Ebreo, animatore ultimo della congiura plutocratica giudaico-massonica.
Netanyahu, le sue manie demografico-razziali e il suo profilo psicologico https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/22/cosa-spinge-netanyahu-a-fare-quello-che-fa-il-rapporto-con-un-padre-molto-particolare/
causeranno verosimilmente un olocausto di ebrei, arabi, persiani (ecc.) e non riesco a darmi pace di questo: è come vedere un tuo amico (non certo Netanyahu) che si sta autodistruggendo e non sai come fermarlo, lo avvisi, litighi e alla fine ti senti impotente e sai che comunque proverai un forte senso di colpa, anche se le hai tentate tutte.
Un fenomeno analogo sta accadendo in Germania, dove Angela Merkel sta usando la Shoah/Olocausto per ammaestrare/addomesticare milioni di tedeschi che non possono essere ritenuti colpevoli per le infamie commesse da altri tedeschi diverse generazioni fa (la teutonofobia non è un razzismo più ammissibile degli altri) https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/02/05/no-angela-hai-torto-come-sempre/
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P.S. Mi rivolgo a chi può aver sospettato che “non ho le palle di dire quel che penso riguardo alle camere a gas” (è successo).
Se fosse così non avrei sollevato la questione. Non esprimo un giudizio “definitivo” sulla questione perché sono incerto e sono incerto perché ho studiato questa questione abbastanza da dover concludere che sono ignorante in materia (so di non sapere), ma non a sufficienza da poter dire “hanno ragione questi”, oppure “hanno ragione quelli”.
Davvero non lo so e proprio per questo vorrei che certi nodi venissero affrontati.
Ripeto, non per pignoleria e non per sminuire la gravità dell’evento, ma perché il nostro futuro (non solo quello di Israele, della Palestina e degli ebrei nel loro complesso) dipende dalla nostra corretta comprensione del passato e dal nostro coraggio di affrontarne lo studio senza porre dei tabù.
…l’ultima decisione del governo nazionalpopulista ed euroscettico ungherese del premier-autocrate Viktor Orbàn: il conferimento di tre importanti premi ufficiali per la cultura a tre ‘intellettuali’ notoriamente razzisti, antisemiti e vicini all’estrema destra…Ferenc Szanizslò, commentatore alla televisione Echo TV, ritenuto vicinissimo alla Fidesz, cioè al partito di Orbàn, e noto per le tesi apertamente razziste che espone in pubblico. Come quando nel 2011 paragonò i rom a “scimmie”…Kornel Bakay, che ha ricevuto per decisione del governo l’Ordine al merito. Bakay è un archeologo noto per il suo aperto, radicale antisemitismo. Tra l’altro aveva fatto scandalo a livello mondiale asserendo in pubblico che sarebbero stati gli ebrei a organizzare la tratta degli schiavi dal medioevo all’abolizionismo…Il terzo caso riguarda Janos Petras, cantante della rock band ‘Karpatia’. È in sostanza un gruppo nazirock, vicinissimo ai neonazisti antisemiti di Jobbik che amano ascoltare la loro musica nelle adunate. Petras ha ricevuto la croce d’oro al merito. Tra i motivi più noti cantati da lui e dal suo gruppo ce ne sono alcuni che inneggiano alla revisione delle frontiere europee con la ricostituzione della ‘Grande Ungheria’, cioè riprendendosi territori oggi slovacchi, ucraini, serbi e romeni. Il gruppo Karpatia ha anche partecipato a marce della Magyar Gàrda (Guardia magiara), il gruppo paramilitare di Jobbik con le uniformi nere e simboli fascistoidi, ufficialmente fuorilegge ma che continua a farsi vedere tranquillamente.
[…]. Il governo ha di fatto riabilitato l’ammiraglio Miklòs Horthy, cioè il dittatore antisemita che fu il più efficiente e zelante alleato di Hitler in Europa e grande complice dell’Olocausto e dell’aggressione all’Urss. A Horthy vengono erette statue e dedicate vie e piazze. A Budapest vengono invece smantellati i monumenti di grandi nomi della cultura democratica, dal ‘conte rossò Karoly Mihàly che divenne socialista e affrancò i suoi contadini, al poeta Attila Jòzsef, amico di Thomas Mann.
L’Ungheria ha scelto la via separatista. La via della secessione dal mondo. L’Unione Europea, che aveva fatto fuoco e fiamme contro Haider, arrivando alle sanzioni, si limita ad esprimere indignazione – a riprova del fatto che i dirigenti europei sono solo dei mediocri burattini installati dai governi nazionali europei –, mentre i neoliberisti europei si profondono in effusioni all’indirizzo di Viktor Orban, il leader autoritario ed austerista magiaro protagonista di una svolta confessionale ed ultranazionalista, e la sinistra eurofoba lo innalza a suo paladino (classico esempio di rossobrunismo). Le sofferenze degli ungheresi, che lo hanno eletto solo in segno di protesta contro un precedente governo impregnato di corruzione e non gli avevano dato alcun mandato “rivoluzionario”, non sono al centro di un qualche dibattito internazionale o anche solo europeo. Angela Merkel, che potrebbe fare la voce grossa, latita. Nicolas Sarkozy, figlio di un aristocratico ungherese naturalizzato francese – Pál István Ernő Sárközy de Nagy-Bócsa –e non privo di pulsioni autoritarie, è apparso quasi ben disposto, oppure è stato molto bravo a mascherare il suo sdegno.
Orban ha promulgato una nuova costituzione in cui è stato soppresso il riferimento alla Repubblica, ha elevato l’embrione umano allo status di persona, ha limitato i poteri della corte costituzionale e di vari organismi indipendenti, ha iniettato nelle istituzioni un carattere etnico-nazionalistico – il ritorno della retorica della Grande Ungheria, che si alleò con Mussolini e Hitler – incompatibile con il diritto europeo ed internazionale. I media sono gradualmente passati sotto il controllo del governo, le privatizzazioni si sono rivelate essere dei doni ad oligarchi amici del governo, i dirigenti delle maggiori istituzioni culturali magiare sono stati epurati se non erano in linea con il nuovo ordine ungherese, gli ebrei ungheresi sono stati accusati di slealtà.
Se la destra italiana avesse fatto anche solo una minima parte di quel che ha fatto Fidesz, il partito al potere, sarebbe scoppiato il finimondo: l’opinione pubblica internazionale avrebbe chiesto immediatamente sanzioni, condanne, ingerenze di vario genere.
Invece, incredibile a dirsi, Orban rimane ilvicepresidente del Partito popolare europeo (Ppe). Tale è il livello di degrado raggiunto dai conservatori europei.
Fidesz ha portato a termine la sua missione: creare un sistema elettorale che renderà estremamente difficile destituirla. Questo sistema garantisce che l’équipe dirigente, anche nel caso in cui dovesse rimanere al potere, potrà continuare la sua assurda avventura con la minor legittimità democratica possibile…se vi dovesse essere alternanza le strutture politiche renderanno il paese ingovernabile per i nuovi dirigenti.
“Non tacere, non scendere a patti”: il direttore del Teatro nazionale ungherese spiega in prima pagina sul Magyar Narancs che continuerà a prendere posizione nella diatriba che sta dividendo l’Ungheria. Róbert Alföldi, il cui mandato scade nel 2013, sarà sostituito da Attila Vidnyánszky, uomo vicino al governo di Viktor Orbán, che rimprovera ad Alföldi di non rappresentare abbastanza i valori nazionali. Da diversi mesi, inoltre, l’estrema destra critica la mancanza di patriottismo del direttore del teatro, e lo accusa di essere omosessuale.
L’11 marzo il parlamento ungherese ha adottato una nuova modifica della costituzione che priva delle sue competenze essenziali la Corte costituzionale.
Grazie alla maggioranza dei due terzi in parlamento di cui gode il suo partito, l’11 marzo il primo ministro Viktor Orbán ha fatto votarela quarta modifica alla costituzione redatta nel 2011.
In Ungheria si dice che chi cambia paese cambia anima. Il problema è che nel corso degli ultimi due anni e mezzo 500mila ungheresi hanno lasciato il paese, cioè più del doppio rispetto al periodo corrispondente all’ondata di repressione che seguì la rivolta del 1956. Un numero consistente per un paese che conta appena dieci milioni di abitanti.
Com’è che la gente continua a farsi fregare dai nazionalisti, i quali ogni volta dimostrano di essere i peggiori nemici della nazione, dato che con loro trionfano ignoranza, paura, divisioni identitarie laddove non ce n’erano o erano latenti, oligarchismo, pregiudizi misogini, omofobi e razzisti, miti, illusioni, autoinganni, megalomania, hybris, autoritarismo, clericalismo, impoverimento culturale, morale, spirituale ed economico, diretta conseguenza del bullismo e dell’autarchia?
“A tutti quelli che vorrebbero proibire le armi dico solo che se gli ebrei europei avesse avuto il diritto di portare armi prima dell’Olocausto i nazisti e i loro collaboratori avrebbero avuto un bel daffare nell’attuare la “Soluzione Finale”. (Questo tipo di situazione era precisamente il motivo per l’introduzione del 2° emendamento – serviva ad eliminare il monopolio di Stato sulla violenza, armando la popolazione). Questo è il problema fondamentale che riguarda il controllo delle armi in America. Senza un’arma da fuoco si è in balia del linciaggio, la vostra sicurezza dipende dalla buona volontà degli altri cittadini. Se improvvisamente questi se la prendono con te perché sei ebreo, musulmano, nero, gay, o qualsiasi altra cosa, allora tanti saluti. Per questo esiste un’associazione ebraica in favore del secondo emendamento come baluardo contro l’antisemitismo e per la stessa ragione il movimento delle Pantere Nere (Black Panther) lottò strenuamente contro il divieto di portare armi. Un’arma da fuoco dà alle minoranze una serie di diritti che non potrebbero altrimenti essere protetti, in particolare la garanzia di protezione dalla tirannia”.
Anonimo
Questo è il punto di vista di molti difensori del secondo emendamento negli Stati Uniti. Non lo condivido – come ho già scritto qui – ma chiunque può capire che ci può essere molta gente pronta a morire per questo ideale. Molta gente che non può essere dichiarata malvagia o fanatica. Ha le sue ragioni, magari non condivisibili, ma la vicenda dell’assedio di Waco e di quel che vari governi americani hanno fatto ai cittadini nativi americani, giapponesi, musulmani e neri (uccisi, internati, torturati, incarcerati a milioni) e ai civili non-americani nel mondo (ora si usano i droni) – oltre all’esame di quel che le recenti leggi autorizzano il governo a fare – non può essere trascurata nel nostro giudizio complessivo.
È evidente che l’America sarebbe un posto molto più sicuro se ci fossero meno armi in circolazione, ma questo lo sanno anche i cittadini americani che vogliono tenersi le loro armi.
È l’individualismo che li spinge a concepire l’idea che un certo numero di morti innocenti sia tollerabile per potersi sentire meno passivi e meno vulnerabili, per poter (pensare di) avere un certo livello di controllo personale sulla propria sicurezza. Il loro interesse principale non è la sicurezza della società ma la sicurezza della propria famiglia. Una logica della corsa agli armamenti devastante per la società perché più sono le armi in circolazione, meno ha senso essere tra quelli che si faranno trovare disarmati nell’affrontare dei loro potenziali aggressori. È come essere in piena Guerra Fredda.
È possibile che la popolazione possa essere disposta a disfarsi delle armi semiautomatiche, ma solo a patto che il governo federale sia considerato in grado di bandirle totalmente. Ma i cittadini che si sono armati l’hanno fatto proprio perché non si fidano né dell’efficienza né della buona fede del governo federale.
Negli Stati Uniti si è superato il punto di non ritorno, ma la maggior parte dei cittadini americani non vuole affrontare la tragica realtà dei fatti.
Ad un’escalation proibizionista corrisponderà un’escalation del risentimento, della paura, dell’aggressività.
Questa è la ragione per cui, nel futuro dell’America, ci sono centinaia, forse migliaia di Ruby Ridge e Waco.
E migliaia di Timothy McVeigh si stanno preparando alla guerra contro il governo federale
Se consideriamo l’incapacità dimostrata dall’esercito americano di sconfiggere ribelli muniti di armi leggere in diversi paesi asiatici, non è chiaro come l’amministrazione Obama possa pensare di far applicare una legge che vieta le armi d’assalto senza far piombare la nazione nel caos per diversi anni, con migliaia di morti. Quanti soldati americani diserteranno e si schiereranno con i loro concittadini? Non svegliare il can (la guerriglia) che dorme, si dice. Sarà interessante osservare l’arrampicata sugli specchi di chi proverà a dimostrare le “evidenti” differenze tra le azioni di Gheddafi/Assad/Netanyahu e quelle del Nobel per la Pace B.H. Obama.
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Scrive George Monbiot sul Guardian: “Le mere parole non sono all’altezza della profondità del vostro dolore, né possono guarire i vostri cuori feriti … Queste tragedie devono finire. E per porvi fine, dobbiamo cambiare”. Ogni genitore può identificarsi con il discorso del presidente Barack Obama sulla morte di 20 bambini a Newtown, Connecticut. Non ci può quasi essere una persona sulla terra con accesso ai mezzi di comunicazione che non sia toccata dal dolore della gente di quella città.
Ne consegue necessariamente che ciò che vale per i bambini uccisi da un giovane squilibrato vale anche per i bambini uccisi in Pakistan da un fosco presidente americano. Questi bambini sono altrettanto importanti, altrettanto reali, altrettanto degni della sollecitudine del mondo. Eppure non ci sono discorsi presidenziali o lacrime presidenziali per loro, nessuna foto sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, non ci sono interviste con i parenti in lutto, non c’è alcuna analisi minuto per minuto di quello che è successo e del perché sia successo.
Se le vittime degli attacchi dei droni di Obama sono citati dallo Stato è per discuterne in termini che suggeriscono la loro sub-umanità. Le persone che operano i droni, ci informa la rivista Rolling Stone, descrivono le loro vittime come “insetti spiaccicati”, “poiché la visualizzazione dei corpi attraverso uno schermo video verde-granulato dà il senso dello schiacciamento di un insetto”. Oppure sono ridotti alla categoria di vegetazione: per giustificare la guerra dei droni, il consigliere sull’antiterrorismo di Obama, Bruce Riedel, ha spiegato che “si deve continuare a rasare il prato. Se smetti di tagliarla, l’erba ricresce”.
Come il governo di George Bush in Iraq, l’amministrazione Obama non documenta né riconosce le vittime civili degli attacchi di droni della CIA nel Pakistan nord-occidentale. […]. Obama non uccide i bambini deliberatamente. Ma le loro morti sono una conseguenza inevitabile del modo in cui sono impiegati i suoi droni.
[…].
La maggior parte dei media di tutto il mondo, che ha giustamente commemorato i figli di Newtown, ignora gli omicidi di Obama o accetta la versione ufficiale che tutte le persone uccise sono “militanti”. I figli del nord-ovest del Pakistan, a quanto pare, non sono come i nostri figli. Non hanno nomi, nessuna foto, nessun memoriale di candele e fiori e orsacchiotti. Appartengono agli altri: al mondo non-umano di insetti, di erba e di tessuti organici.
Obama ha chiesto, domenica, “siamo pronti a dire che la violenza che colpisce i nostri bambini anno dopo anno è in qualche modo il prezzo da pagare per la nostra libertà?”. È una buona domanda. Potrebbe porsela anche riguardo ai bambini del Pakistan”.
Premessa: la mia valutazione della faccenda è che Israele non si arrischierà ad attaccare senza essersi garantito un intervento americano. Tale garanzia potrebbe essere un nuovo 11 settembre, negli USA ma anche in qualche capitale europea:
Tra l’altro mancano pochi giorni all’undicesimo anniversario.
Sarà un errore fatale, perché la versione ufficiale dell’11 settembre è già contestata da una maggioranza di persone nel mondo e metterà in pessima luce Israele e gli Ebrei:
Milioni di persone (non centinaia, come congettura il decisore israeliano) moriranno prima in Iran e poi in Israele (rappresaglia – altissimi livelli di radioattività si espandono in tutto il Medio Oriente e fino in India). La guerra sarà tutt’altro che breve e vedrà l’uso di armi atomiche in Medio Oriente (e forse non solo lì). Una nazione dopo l’altra sarà coinvolta nel conflitto, con un effetto domino paragonabile a quello susseguente allo scoppio della Grande Guerra. Molte tra queste nazioni saranno dilaniate da guerre civili (es. Turchia, Israele, Libano; forse il Pachistan?) e rivolte/rivoluzioni (Europa e Stati Uniti).
Gli Ebrei diventeranno un’altra volta il capro espiatorio della furia popolare globale (= pogrom):
Chi lucra sulla vendita di armi e sui derivati legati ai conflitti non potrà che compiacersi della sua lungimiranza.
Un “decisore” israeliano: “Non possiamo aspettare un anno per vedere chi ha ragione”
di Alfatau
Pubblicato il 12 Agosto 2012
“Un anonimo “decisore” israeliano, accreditato come altissimo funzionario, figura-chiave dell’establishment della sicurezza dello Stato ebraico, ha rilasciato al giornalista del quotidiano Haarez Ari Shavit, un’intervista che riteniamo esplosiva poiché espressamente manifesta la volontà israeliana di colpire l’Iran prima della primavera del 2013, senza attendere oltre le decisioni Usa.
Il misterioso personaggio, facilmente identificabile per chi abbia seguito le vicende dei protagonisti della sicurezza israeliana, ribadisce dapprima concetti ben noti sul pericolo rappresentato da un Iran nucleare, enumerando le principali ragioni che spiegano questa visione: un Iran nucleare innescherebbe una corsa all’atomica in tutta la regione; il pericolo che armi atomiche iraniane giungano in mano a gruppi terroristici; la minaccia agli Emirati Arabi, paragonata all’occupazione della Renania da parte della Germania nel 1936; “l’immunità politica” che un Iran dotato di armi atomiche acquisirebbe anche nei confronti delle opposizioni interne, con un conseguente indebolimento di tutte le forze “moderate” in Medio Oriente.
Sono gli argomenti ormai ben noti dei “falchi” israeliani, per cui è molto più interessante e probabilmente fondamentale, invece, l’analisi della divergenza (gap) tra l’attuale posizione statunitense e quella del governo israeliano. “Per gli Americani – afferma “il decisore”, gli Iraniani non si stanno ancora avvicinando alla zona di immunità [il momento nel quale i loro impianti nucleari non sono più vulnerabili ad un attacco, N.d.T.], perché gli Americani dispongono di bombardieri e bombe più potenti e della capacità di reiterare l’attacco per un numero indefinito di volte. Per noi, l’Iran potrebbe entrare prima nella zona di immunità. E quando questo avviene, significa consegnare nelle mani degli Usa una questione vitale per la nostra sopravvivenza. Non si può porre la responsabilità per la propria sicurezza nelle mani nemmeno del proprio migliore e più leale amico. (…) Dal punto di vista del presidente americano, il momento non è ancora venuto. Gli Usa saranno in grado di agire anche l’anno prossimo. Per questo gli Americani ci stanno dicendo che sarebbe un grosso errore agire adesso. Dopo tutto, sono in grado di colpire gli Iraniani mettendoli a tappeto, mentre tutti pensano che noi possiamo al massimo fargli un occhio nero. Per questo sembrerebbe meglio anche per noi, secondo loro, che siano i soli ad agire, non noi. Ma come Stato sovrano, gli stiamo dicendo, su questioni vitali per la nostra sicurezza non possiamo mettere in mani altrui il nostro destino. (…) Cinque anni fa, gli iraniani avevano 800 kg di uranio arricchito e oggi ne hanno oltre sei tonnellate e mezzo. Se aspettiamo fino alla prossima primavera, avranno sufficiente uranio arricchito al 20 per cento per fare una prima bomba. Più andranno avanti, più saranno tentati di superare la soglia, di superarla di nascosto. Questo è un pericolo reale per noi, che presto non saremo più in grado di fermare. Il problema resterà serio per il mondo e per noi, ma solo il mondo sarà in grado di occuparsene. Non saremo più un attore, a quel punto. Per noi la questione si sposterà dall’ambito dei decisori a quello degli analisti e degli storici. Non possiamo permettere che ciò accada. Quindi c’è un effettivo gap [una divergenza] fra gli Americani e noi.”
A questo punto, il misterioso personaggio sviluppa un’interpretazione della visione iraniana che è importante riportare in quanto evidenzia come, diversamente da quello che spesso si dice in Occidente, gli uomini dell’establishment israeliano non considerano affatto l’estremismo di Ahmadinejad il fattore di rischio decisivo del nucleare iraniano. Al contrario.
“Mi riferisco ad un discorso che l’ex-presidente iraniano Akbar Rafsanjani tenne una decina di anni fa. Rafsanjani è percepito in occidente come un iraniano moderato. Ma chi legge le parole di questo iraniano, perderà qualsiasi illusione. Vedrà che quello che noi stiamo fronteggiando è un unico ragionamento che potrebbe portare ad un’apocalisse. Perché, cosa ha detto Rafsanjani? Dice che tra Musulmani e Israele non c’è compromesso possibile e quindi non ci sarà nemmeno un equilibrio fondato sulla deterrenza. Dice che Israele non è una superpotenza con un territorio di dimensioni continentali. Non è nemmeno il Giappone che ha assorbito Hiroshima e Nagasaki e in 15 anni è diventato un potenza mondiale. Israele è uno Stato da una bomba sola. Dopo una sola bomba atomica, non sarà più quello che era o che riteneva di essere. Una sola bomba è sufficiente a porre fine alla storia del Sionismo. Invece, dice Rafsanjani, il mondo musulmano ha un miliardo e mezzo di persone e dozzine di Paesi. Anche se Israele colpisce duramente il paese che lancia la bomba, l’Islam rimarrebbe intatto. Una guerra nucleare non farebbe scomparire il mondo musulmano ma danneggerebbe in modo irreparabile Israele“.
Di fronte all’obiezione di Ari Shavit sugli enormi costi che un attacco israeliano all’Iran potrebbe avere, l’anonimo interlocutore sviluppa la sua analisi:
“La sua domanda è quale sia l’obiettivo dell’operazione. Non prendiamoci in giro. Il nostro obiettivo non è di annientare il programma nucleare iraniano. Ma bisogna rendersi conto del fatto che la questione è il collegamento tra la nuclearizzazione dell’Iran e la caduta del regime degli ayatollah in Iran. Se abbiamo successo nel ritardare il programma nucleare di sei, otto o dieci anni ci sono buone possibilità che il regime non sopravviva fino al momento critico. Così il nostro obiettivo è ritardare.”
Anche sul piano delle conseguenze per Israele, “il decisore” risulta estremamente determinato:
“Israele è una nazione forte. Abbiamo buone capacità. Il numero di vittime che ci possiamo aspettare sul fronte interno in caso di guerra con l’Iran, Hezbollah e Hamas è inferiore al numero delle perdite del Quarto Battaglione della Brigata Harel nel 1948*. Ma nel 1948 era chiaro a tutti che non c’erano alternative. Questo ci ha dato a livello nazionale forza e determinazione. Se comprendiamo che anche ora non c’è scelta, avremo bisogno lo stesso di tutta la nostra forza a livello nazionale. Ricordo che da ogni punto di vista, compreso quella di preservare vite umane, occuparsi di un Iran nucleare tra pochi anni sarà molto più complesso che prevenirlo adesso. Non dobbiamo ascoltare coloro che in ogni situazione preferiscono l’inazione all’azione.”
La domanda che viene spontanea è a chi sia in realtà rivolta un’intervista di così forte impatto, proposta in un momento in cui la gran parte dell’opinione pubblica è distratta ma gli addetti ai lavori sono in grado di decifrare perfettamente l’importanza del messaggio: gli Iraniani sono perfettamente in condizione di sapere chi è “il decisore”, idem gli Statunitensi.E forse proprio a questi ultimi è quindi rivolto l’avviso più forte: non ci si faccia illusioni che Israele preferisca attendere l’esito delle elezioni, non è un obbligo, per lo Stato ebraico. In cambio, Israele farà chiaramente capire, quando colpirà, che lo sta facendo da solo e per proprio conto.
“Non dovremmo assolutamente trascinare deliberatamente gli Stati Uniti in guerra. Se decidiamo di intraprendere questa operazione, deve essere un atto indipendente che si giustifica da solo, senza attivare nessuna reazione a catena. Un Paese non va in guerra nella speranza o nell’attesa che un altro Paese si unisca al conflitto. Un atto del genere sarebbe una scommessa irresponsabile“.
Ma in questo modo, in realtà, il legame fra l’azione israeliana e i tempi della transizione elettorale americana diviene più forte che mai, dimostrando che il continuo, crescente, inarrestabile collegamento fra le strategie israeliane e gli Usa sta ormai condizionando irrefrenabilmente la politica nord-americana, come bene ha dimostrato Gaetano Colonna in Medio Oriente senza pace.
Con ogni probabilità, il messaggio è quindi indirizzato anche a quei settori israeliani che esitano a colpire da soli e che vorrebbero ricavare, come dividendo proprio della politica appena ricordata, un intervento americano che sia risolutivo, senza esporre lo Stato ebraico ad un confronto diretto con l’Iran. Anche su questo “il decisore” conclude con un invito senza mezzi termini alla chiarezza.
“Se Israele perde l’occasione di agire e diventa chiaro che non ha più il potere di agire, la probabilità di un’azione americana diminuirà. Perciò non possiamo attendere un anno per scoprire chi ha ragione: chi dice che la probabilità di un’azione americana è alta, chi dice sia bassa. Non possiamo aspettare, per scoprire poi una bella mattina che noi contavamo sugli americani ma ci siamo ingannati perché gli americani alla fine non agiranno. Dobbiamo guardare in faccia la realtà con assoluta chiarezza. Perfino una realtà crudele deve essere vista con totale chiarezza. Israele è forte, Israele è responsabile, Israele farà quello che deve fare”.
* Secondo fonti ufficiali israeliane, l’intera Brigata Harel perse 313 uomini nel conflitto del 1948.
Non conosco personalmente Martha Stocker, consigliera provinciale per l’SVP nella Provincia di Bolzano, ma per quel che ho potuto capire si tratta di un’ottima persona. È però anche la vicepresidentessa dell’Unione federalista dei gruppi etnici europei (Fuev). Sono spesso le persone migliori a diventare il bersaglio di organizzazioni che cercano di sfruttarne le qualità per fini diversi da quelli esplicitati. Mi auguro sia il caso di Martha Stocker (una persona in buona fede può ravvedersi).
Alessandra Zendron, “La Regione e la Fuev”, QuestoTrentino, 21 aprile 2001.
La Regione e la Fuev. 70 milioni di denaro pubblico ad una associazione dalle indubbie nostalgie razziste?
Nonostante la ferma opposizione di chi scrive e le argomentazioni anche scritte contrarie a questa decisione, la giunta regionale continua a finanziare la Föderalistische Union Europäischer Volksgruppen, la FUEV, con 70 milioni l’anno: molti, visto che non si sa esattamente come vengano spesi (ufficialmente per la normale attività) e che non si capisce quali vantaggi comportino per la comunità regionale (che paga). La Regione paga una quota attraverso la quale diventa socio dell’Union. La Provincia di Bolzano paga circa 20 milioni e ha in cambio una vicepresidenza; la Regione si associa senza avere un suo esponente nel direttivo.
L’associazione è stata negli anni scorsi ripulita dalle relazioni personali e finanziarie pericolose, che l’hanno caratterizzata per decenni, in parte per esaurimento generazionale e in parte per l’intervento delle autorità che han dovuto cedere alle pressioni esercitate nel Parlamento tedesco e dalla stampa che ha svolto una funzione di controllo attenta e approfondita.
Tuttavia manca ancora una chiara dichiarazione di discontinuità con un passato pieno di ombre. Il Manuale dei gruppi etnici, un testo razzista scritto dall’allora Presidente della FUEV insieme ad un secondo autore, è stato diffuso dall’associazione almeno per tutto il 1996, risultandone acquisti e vendite in bilancio, ben oltre dunque la affannate dichiarazioni di presa di distanza degli ultimi tempi. Chi ha detto che si tratta di “cose vecchie di almeno 50 anni” durante un dibattito in Consiglio regionale ha sbagliato i tempi! Ma si tratta del vicepresidente della Regione, che in questi giorni si vanta in numerose interviste dell’impegno di ingenti risorse della Regione “a favore delle minoranze tedesche nell’Europa orientale”, mentre la legge regionale parla di minoranze in generale, non solo di quelle di lingua tedesca. La mancanza di discontinuità è confermata dalle spiegazioni evasive o addirittura non corrispondenti alla verità fornite dalla FUEV alla Regione in un carteggio dell’anno scorso. Dunque è grandemente inopportuno che la Regione spenda denaro pubblico in questa direzione.
Quali sono le caratteristiche organizzative della FUEV? L’assessore provinciale alla cultura di lingua tedesca, che è anche vicepresidente della FUEV, afferma che ne fanno parte i rappresentanti di 75 gruppi etnici. Fu, qualche anno fa, un ex-presidente della FUEV che mise in dubbio l’effettività della rappresentanza, in un’intervista al Dolomiten, dove si parla anche di “molti scheletri negli armadi”.
Alla richiesta di spiegazioni sul fatto che l’associazione ancora diffondeva il vergognoso libro “Handbuch der Minderheiten“, il manuale razzista sulle minoranze europee, il presidente della FUEV rispose: “Considero estremamente riprovevole e deplorevole che sotto l’egida della FUEV possano essere state rese pubbliche certe teorie della razza in un manuale pubblicato negli anni ‘70″.Questa non è una presa di distanza, perché il manuale non fu solo pubblicato sotto l’egida della FUEV, ma fu scritto dal suo presidente di allora!
Diretta è la continuità della rivista della FUEV, Europa Ethnica con Nation und Staat, la rivista antisemita del Terzo Reich. Per chi non lo conosca, il numero 1 della rivista, del 1958, ha due editoriali. Il primo è redazionale e porta il titolo “Da Nation und Staat a Europa Ethnica. Europa Ethnica continua sugli obiettivi ideali di Nation und Staat”. Un’affermazione che smentisce di per sé ogni tentativo di negare la continuità. Ma se ci fossero dubbi, il resto del giornale è occupato interamente dal secondo editoriale, ove si dichiara la linea di politica culturale della rivista. Lungo tre pagine, è scritto dal segretario della FUEV, e parla, fin dal titolo, degli obiettivi della FUEV. Il contenuto è un’esaltazione dell’attività dei Congressi dei popoli, tenuti fra le due guerre, quindi in periodo nazionalsocialista, a favore delle minoranze tedesche all’estero.
Anche un’altra affermazione della difesa, secondo cui fra Europa Ethnica e FUEV non vi sia mai stato alcun rapporto (salvo, affermò il nuovo presidente, durante la presidenza di Christoph Pan, il quale tuttavia smentì di essere stato lui l’iniziatore) è dunque falsa.
Negli ultimi anni l’attività si è concentrata nei nuovi paesi dell’Est europeo, dove manca purtroppo un sistema di mass media sufficientemente agguerriti per poter giudicare quanto accade.
Dunque esistono ragioni forti di opportunità per tenere lontana un’istituzione democratica dalla partecipazione come socia a un’associazione che meno di altre può contribuire a uno sviluppo democratico dell’Europa. L’Unione europea ha fra i suoi obiettivi uno sviluppo federale e un’attenzione verso le minoranze. Affinché lo sviluppo sia democratico queste ultime devono tuttavia diventare protagoniste del loro destino, attraverso forme di rappresentanza reale e diretta, che prevedano il diritto di parola e azione (per questo vedi anche le difficoltà incontrate dai Ladini delle Dolomiti, solo di recente ammessi a far parte della FUEV, dopo che a lungo la loro partecipazione è stata osteggiata) e non tanto attraverso un’associazione che è nata a suo tempo con scopi del tutto diversi e che ancor oggi, al di là delle generiche dichiarazioni statutarie, non si sa bene quali obiettivi concreti porti avanti.
Social forecaster, horizon scanner
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Arts and Culture reporter for "Trentino" & "Alto Adige"
social media & community manager
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editor-in-chief of futurables.com
peer reviewer and contributor for Routledge, Palgrave Macmillan, University of British Columbia Press, IGI Global, Infobase Publishing, M.E. Sharpe, Congressional Quarterly Press, Greenwood Press.
Laurea in Political Science – University of Bologna (2000). Ph.D. in Social Anthropology – University of St. Andrews (2004).
Co-author of “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” (2010)
https://medium.com/@stefano_fait