Virus cosmici

http _jux-user-files-prod.s3.amazonaws.com_2012_12_29_21_44_38_655_0._Jia_Hao_TWAN_best_night_sky_pictures_2012_comet_australia

Brueghel_trionfodellamorte

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

 

So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace, o, al suo posto, in una buona morte.

Albert Camus, La Peste

Dopo Elenin (2011), nel 2013 potremo vedere ben due comete molto importanti. La seconda potrebbe essere più luminosa della luna piena e visibile di giorno.

http://www.ticinonews.ch/articolo.aspx?id=285341&rubrica=22

[La scoperta di nuove comete è sempre stato considerato un evento raro. Non è più così raro. Solo ad ottobre 2012:

http://remanzacco.blogspot.co.nz/2012_10_01_archive.html]

Settembre 2012: la Food and Drug Administration approva un antibiotico contro la peste

http://www.cbsnews.com/8301-504763_162-57424217-10391704/antibiotic-for-plague-approved-by-the-fda/

Giugno 2012: Il Department of Health and Human Services (HHS) ha assegnato i contratti per la creazione di tre nuovi centri con il compito di rispondere alla minaccia di future pandemie e attacchi biologici. Avranno sede nel Maryland, North Carolina e Texas, e saranno consorzi accademico-industriali il cui ruolo sarà quello di accelerare lo sviluppo e la produzione di vaccini e farmaci in caso di minaccia biologica. […] i centri saranno in grado di produrre il 25% dei vaccini anti-pandemici entro quattro mesi dal manifestarsi di un focolaio. Le infrastrutture saranno realizzate entro il 2014 o il 2015.

http://blogs.nature.com/news/2012/06/us-launches-three-biodefense-centres.html

Aprile 2012: La Food and Drug Administration approva un farmaco percurare e prevenirela peste mentre il governo si affanna ad accumulare  scorte di trattamento per la malattia mortale

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2137172/FDA-approves-Levaquin-treat-plague.html

Quando il clima diventa più umido, la peste può aggravarsi, secondo un nuovo studio che rivela perché la peste si è accanita più nella Cina del nord rispetto a quella del sud. I risultati suggeriscono anche che il cambiamento climatico potrebbe comportare pestilenze più virulente nel nord della Cina e nel Nord America.

http://www.livescience.com/14580-climate-change-worse-plague-black-death.html

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Per Edward Wright, il trasferimento atmosferico di agenti patogeni responsabili delle epidemie è, se non un dato di fatto storicamente documentato storica, almeno una possibilità molto realistica e preoccupante. […]. “I ricercatori hanno scoperto che la biosfera della Terra si estende a quote molto più alte di quanto precedentemente sospettato”, dice Wright, “fino a 100mila metri o più.” Infatti, migliaia di specie microbiche sono state trovate negli strati superiori dell’atmosfera, viaggiando a quote di migliaia di chilometri. Il più studiato “ponte atmosferico” è quello tra il Nord Africa e i Caraibi. Ogni anno, fino a un miliardo di tonnellate di polvere viene sollevato dai venti del Sahara, assieme ad un milione di batteri per grammo di sabbia: enormi quantità di biomassa che si mettono in viaggio […]. Questa sorprendente biosfera potrebbe rappresentare qualcosa di più di una semplice curiosità microbiologica: “L’atmosfera potrebbe servire come sistema di trasporto globale di organismi che causano malattie“, osserva Wright.

http://www.wired.com/wiredscience/2012/05/microbes-at-the-edge-of-space/

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Dopo 10 anni di ricerche in Inghilterra, un archeologo – Barney Sloane – smonta la tesi ufficiale sulla disseminazione della peste attribuita alle pulci ed ai ratti. Anzi, si chiede se fosse davvero peste: “La mortalità continuò a salire per tutto un inverno molto rigido, quando le pulci non avrebbero potuto sopravvivere, e non vi è alcuna prova di un numero sufficiente di ratti” – “nei siti accanto al Tamigi, in cui è stata scaricata la maggior parte dei rifiuti della città i ratti avrebbero dovuto brulicare, e sono luoghi in cui il terreno fradicio conserva eccellentemente i resti organici, invece abbiamo trovato pochi ratti neri” – “Dovremmo poter trovare grandi ammassi di ratti morti, ma non ci sono. E tutte le prove che ho esaminato suggeriscono che la peste si diffuse troppo velocemente rispetto alla spiegazione tradizionale di una trasmissione dai topi e dalle pulci” – “non è affatto certo che tipo di malattia fosse, se era veramente la peste bubbonica

http://www.guardian.co.uk/world/2011/aug/17/black-death-rats-off-hook.

Mattia Bernardo Bagnoli, “Così la grande cometa portò la Morte Nera in tutta Europa” – Tuttoscienze – Inserto de La Stampa (n° 1316 – 12 marzo 2008)

La famigerata epidemia di Peste Nera, che flagellò l’Europa tra il 1347 e il 1352, divorando circa un terzo della popolazione, non sarebbe stata causata dai ratti – o meglio, dalle pulci, che dai topi passarono agli uomini, contagiandoli – bensì da alcuni corpi celesti piovuti sulla Terra. Comete o asteroidi, insomma, che causarono una serie di disastri climatici, segnati da siccità e alluvioni, terremoti e incendi incontrollabili, sbalzi violenti delle  temperature e morie di massa di animali. L’ipotesi cosmica della più celebre pandemia di tutti i tempi è frutto delle approfondite ricerche di Mike Baillie, professore all’università di Belfast, autorità indiscussa nel campo della dendrologia, la scienza che studia le piante e i loro rapporti con l’ambiente. Sono state proprio le informazioni celate negli anelli degli alberi, infatti, a suggerirgli un’inquietante possibilità: molti avvenimenti chiave nella storia umana degli ultimi 10 mila anni potrebbero essere il frutto di cataclismi naturali di origine extraterrestre.

La teoria è illustrata in «Exodus to Arthur: Catastrophic Encounters with Comets» e in «New Light on the Black Death: the Cosmic Connection».

Professore, qual è l’indizio numero uno che l’ha spinta a questo clamoroso cambiamento di prospettiva?

«Mi faccia cominciare da una considerazione. Se c’è un punto su cui gli studiosi sono concordi, è che la caratteristica principale della Morte Nera può essere riassunta in due manifestazioni: un contagio rapidissimo e un indice di mortalità del tutto anormale, tra il 30 e il 50%».

E quindi?

«Fino a oggi gli storici si sono limitati ad applicare modelli di ricerca“tradizionali” per cercare di capire l’origine di quell’epidemia così letale. E hanno proposto la teoria dei topi. Che, però, si scontra con molte delle testimonianze del tempo. Per esempio una sostiene che “l’atmosfera si era d’un tratto corrotta”. Eppure si tratta di indizi del tutto trascurati. Insomma, io sono convinto che i cronisti del tempo non abbiano inventato semplici allegorie per cercare di spiegare il diffondersi del contagio, ma che stessero descrivendo qualcosa di molto reale».

Vale a dire?

«Si tratta degli effetti prodotti dall’incontro ravvicinato, o dallo scontro, con una cometa o un meteorite: furono questi la causa scatenante, sebbene non unica, di quell’ondata micidiale di peste. Quando lei mi chiede l’indizio numero uno, le rispondo che tutto è nato quasi per caso».

Racconti.
«All’inizio il mio team voleva costruire una cronologia che coprisse un arco di 7400 anni attraverso lo studio degli anelli delle querce inglesi e irlandesi.
L’obiettivo era “controllare” le datazioni ottenute con il radiocarbonio. Man mano che le ricerche proseguivano, mi resi conto che gli alberi sembravano rivelare unanimemente lo scatenarsi di una serie di cataclismi naturali, che hanno colpito il pianeta negli ultimi millenni».

Quando?
«Nel 2354, nel 1628, nel 1159, nel 208 prima di Cristo e nel 540 dopo Cristo. Si tratta dell’ultimo anno della guerra gotico-bizantina in Italia e i documenti narrano di un altro flagello di peste, che costò la vita a milioni di persone e che fu il preludio del Medio Evo, l’epoca oscura».

Questa pestilenza e quella del 1347-1352 sono quindi «registrate» dalle querce inglesi e irlandesi che lei ha studiato?

«Esatto, ma non solo. Verso la metà degli Anni 90 la comunità dei dendrologi si accorse che lavoravo a teorie considerate un po’ strane e da tutto il mondo iniziai a ricevere un’immensa quantità di dati. E così scoprii che gli eventi del 540 e del 1348 mostrano una serie sorprendente di riscontri nella cronologia degli alberi della Mongolia, del Sud America, del Nord America, dell’Australia e, naturalmente, dell’Europa. Avvenne “qualcosa” di talmente potente da influenzare il clima del pianeta e sconvolgerlo.

Ed è singolare che due tra le pestilenze più violente mai registrate nella storia dell’uomo siano documentate da diversi elementi oggettivi».

Quali?
«Oltre agli anelli degli alberi, ci sono i campioni di ghiaccio in Groenlandia: è in questi che si sono rilevate dosi massicce di ammoniaca e nitrati e suggeriscono che siamo di fronte a eventi di scala globale. E allora mi misi a controllare i libri di storia per cercare altre conferme. Ma, incredibilmente, non è stata la storia a darmi soddisfazione. E’ stata la mitologia».

Che cosa ha scoperto?

«Questi eventi sembrano aver lasciato forti tracce nelle mitologie di diverse epoche e di diversi luoghi e sembrano avere legami con i fenomeni extraterrestri. Un esempio sono le vicende dell’Esodo, quelle delle piaghe dell’Egitto, o il cataclisma del 540 d.C., che – racconta Procopio – trascinò l’Europa in una profonda crisi. Le tracce che ho raccolto nei miti, nei documenti, negli alberi e nei campioni di ghiaccio rivelano che i fatti del 540 e quelli del 1348 sono simili e suggeriscono un’origine ambientale di questi flagelli: cataclismi scatenati, con ogni probabilità, dall’impatto di comete o asteroidi o da un passaggio ravvicinato con la nostra orbita. Solo uno studio multidisciplinare potrà dirci come andarono veramente le cose».

clube_comets
La cosa è tecnicamente possibile, come si spiega qui:

http://www.scribd.com/doc/59893206/Comets-and-Contagion-Evolution-and-Diseases-From-Space.

E, più recentemente, qui:

http://www.amazon.com/Biological-Bang-Panspermia-Origins-Life/dp/0982955227

http://www.space.com/11478-alien-life-bacteria-hypergravity.html

http://www.dailygalaxy.com/my_weblog/2011/07/the-ultimate-space-travelers-microbes-survive-millions-of-years-traveling-in-space.html.

http://www.space.com/13401-cosmic-star-dust-complex-organic-compounds.html.

“Nel 2005, gli scienziati militari dell’Istituto di Patologia di Washington, DC, hanno riesumato il virus del 1918 da corpi che erano stati conservati nel suolo perennemente ghiacciato dell’Alaska. Hanno presto scoperto che un virus completamente nuovo si era combinato con il vecchio virus, scambiando e ricombinando dei geni, creando un ibrido che ha trasformato i ceppi del virus dell’influenza in forme molto più letali e patogene. Hanno anche confermato che il virus dell’influenza spagnola del 1918 è nato in cielo, prima di infettare gli uccelli per poi diffondersi e proliferare tra gli esseri umani”.

http://journalofcosmology.com/Panspermia10.html

L’ipotesi è che abbiano ragione quelli che sostengono che la Morte Nera fosse un virus emorragico (del tipo Ebola, Marburg e delle altre febbri emorragiche) e non un batterio (yersinia pestis), data la tipologia della sua espansione, non legata alla diffusione del Rattus rattus e Rattus norvegicus (assente in Islanda – cf. storico Gunnar Karlson – e raro nella zone rurali inglesi, che furono invece colpite ferocemente), la sua impressionante resistenza al freddo e caldo (le pulci non sopportano le temperature estreme e i climi troppo secchi, come l’inverno scandinavo e l’estate mediterranea, periodi in cui invece la Morte Nera imperversava) il periodo di incubazione molto lungo, la trasmissione rapidissima tra esseri umani e invece lentissima nelle pestilenze moderne imputate con certezza al batterio yersinia pestis (a dispetto dei mezzi di trasporto di massa), la sintomatologia, contagiosità e mortalità (3% contro oltre il 90%) sensibilmente diverse da quelle delle pestilenze moderne (es. Canton) e i risultati delle analisi molecolari compiute su dei campioni raccolti in fosse comuni in Francia, Italia, Inghilterra e Danimarca – dove è assente il batterio della peste, che è invece presente in altre sepolture non associate alla Morte Nera o alla Peste di Giustiniano (inoltre in altre fosse comuni dell’epoca della Morte Nera, in Scozia sono state trovate spore di antrace).

http://www.newscientist.com/article/dn4149-case-reopens-on-black-death-cause.html

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2630035/

http://black-death-revisited.org/

Il profilo genetico della yersinia pestis medievale europea non differisce sostanzialmente da quello orientale moderno.

http://www.nature.com/nature/journal/v478/n7370/full/nature10549.html

Per dar conto delle incongruenze i difensori dell’ipotesi yersinia pestis hanno chiamato in causa un’altra malattia che si è sovrapposta e diffusa parallelamente (mi pare una “spiegazione” po’ troppo conveniente):

http://books.google.it/books?id=yw3HmjRvVQMC&printsec=frontpage&redir_esc=y

“La peste nera non deriva dai topi, ma da un virus contagioso che potrebbe tornare in ogni momento. Lo sostengono nel libro Biologia delle Pesti due ricercatori dell’ Università di Liverpool, Gran Bretagna. Per secoli si era creduto che la peste bubbonica, capace di uccidere in 5 giorni dalla comparsa dei sintomi e che nel Medio Evo ha decimato la popolazione europea, fosse stata trasmessa da una specie di ratti. I due epidemiologi britannici, Susan Scott e Christopher Duncan, hanno invece scoperto che la peste deriva da un virus, che è lontanamente correlato a quello di Ebola che disintegra gli organi e li riduce in poltiglia”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/07/21/la-peste-puo-tornare.html

“…due ricercatori dell’ università di Liverpool, Susan Scott e Christopher Duncan, autori del saggio Biology of Plagues pubblicato dalla Cambridge University Press. La loro tesi è che la peste del 1347-48, quella descritta dal Boccaccio nel Decamerone, e le pesti successive, fino a quella del 1630-31 descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi, non furono pesti vere, cioè malattie epidemico-contagiose dovute – come fin qui s’è creduto – al bacillo denominato Yersinia pestis in onore del suo scopritore, il medico svizzero Alexandre Yersin che ne dimostrò la presenza nel materiale infetto durante l’epidemia di Hong-Kong del 1894. Le tesi, rivoluzionaria, è fondata su criteri clinici e su rilievi di epidemiologia, biologia molecolare e modellistica informatica. Essa colloca «il quadro delle pesti europee in una nuova cornice». Anzitutto ricordiamo che, com’è noto, la peste arrivò in Europa dall’Asia per la via del mare: entrò da Sud, dalla Sicilia, recata da navi genovesi importanti grano dalle terre bagnate dal Mar Nero, e dall’ Italia dilagò a macchia d’ olio nel continente fino all’ Inghilterra e ai Paesi scandinavi. Fu un’immane moria, che stroncò le vite di 30 milioni di europei (su una popolazione complessiva di 100 milioni). Clinicamente la malattia fu caratterizzata da febbre alta, fetore corporeo, sbocchi di sangue, macchie emorragiche sulla pelle, tumefazioni ghiandolari (bubboni): un quadro, affermano Scott e Duncan, che non è affatto specifico della peste da bacillo di Yersin, ma è proprio di altre malattie, del passato e del presente, che ebbero o hanno caratteristiche analoghe e analogo decorso iperacuto con esordio improvviso. Si tratta di malattie vecchie e nuove come l’ influenza «spagnola» del 1918, l’ Aids prima maniera, la malattia da virus Ebola: malattie, come si vede, non bacillari, ma virali. La peste che esordì in Europa nel basso Medioevo fu dunque dovuta a un virus? Di quella peste il Boccaccio e i testimoni coevi – medici e cronisti – descrivono l’andamento repentino, i decessi fulminei, i contagi immediati (cioè i contatti apparentemente da uomo a uomo). Non si parla né di topi (ospiti di prima scelta del bacillo di Yersin) né di pulci (vettrici del bacillo); si pensò che tale omissione fosse dovuta al fatto che pulci e topi erano una presenza quasi fisiologica in una società, come quella medievale, a corto d’igiene individuale e collettiva. Ma, rilevano i due attenti ricercatori di Liverpool, il topo marrone fece la sua comparsa in Europa mezzo secolo dopo la scomparsa spontanea della peste (che essi datano intorno al 1670). E d’altra parte il rapidissimo propagarsi dell’ epidemia come avrebbe potuto essere compatibile con un contagio murino, mediato da topi certamente ostacolati nei loro percorsi dalle barriere naturali dei fiumi, dei monti, dei mari? Il contagio, si afferma, non poté che essere interumano, trasmesso dall’ uomo all’ uomo attraverso le vie di comunicazione transfluviali, transmarine, transalpine….

Giorgio Cosmacini

http://archiviostorico.corriere.it/2002/agosto/28/Boccaccio_Manzoni_Non_vera_peste_co_0_0208285619.shtml

Alcuni biologi dell’Università di Liverpool, nel Regno Unito, hanno pubblicato un nuovo studio dal quale risulta che, se il dieci per cento degli europei è immune al virus dell’Hiv, ciò è dovuto alle epidemie che si diffusero nel continente in epoche passate. Gli scienziati sanno da tempo che queste persone sono portatrici di una mutazione genetica (del gene chiamato Ccr5) che impedisce al virus dell’Hiv di penetrare nel loro sistema immunitario. A sconcertarli è stato il fatto che l’Hiv è comparso solo di recente e quindi non può aver fatto aumentare la frequenza della mutazione fino ai livelli elevati che si riscontrano oggi in alcune parti d’Europa. Tuttavia, un nuovo studio condotto da Christopher Duncan e Susan Scott attribuisce la grande diffusione della mutazione al fatto che essa previene il contagio anche da un’altra malattia virale mortale che ha devastato l’Europa in passato. Secondo il professor Duncan, “Il fatto che la […] mutazione sia limitata all’Europa sta ad indicare che le epidemie del Medio Evo hanno svolto un ruolo fondamentale nell’aumento della frequenza della mutazione. Anche queste epidemie rimasero confinate all’Europa, si protrassero per oltre 300 anni ed ebbero un tasso di mortalità del 100 per cento”. Mentre alcuni storici hanno cercato di sostenere che le varie epidemie che si diffusero in Europa nelle epoche passate erano focolai di peste bubbonica, che è una malattia batterica, il professor Duncan e la dottoressa Scott hanno dimostrato che in realtà si trattava di epidemie di una febbre emorragica virale e letale che utilizzava il gene Ccr5 per penetrare nel sistema immunitario. Avvalendosi di modelli computerizzati, i due ricercatori hanno dimostrato come il manifestarsi di questa malattia nel corso della storia abbia fornito la pressione selettiva necessaria – offrendo semplicemente protezione da una morte altrimenti certa – a fare aumentare la frequenza di questa mutazione genetica da 1 caso su 20.000 all’epoca della “morte nera”, nel 1347, ai valori odierni di 1 caso su 10. “L’epidemia emorragica non scomparve dopo la grande peste di Londra del 1665-66, ma continuò a dilagare in Svezia, a Copenaghen, in Russia, in Polonia e in Ungheria fino al 1800”, ha concluso il professor Duncan. “Il perdurare dell’epidemia emorragica ha determinato il protrarsi della pressione selettiva sulla [mutazione genetica] ed è per questo che oggi essa si riscontra con la massima frequenza in Scandinavia e in Russia”.

http://www.marketpress.info/StoNotiziario_det.php?art=19301&pag=3&g=20050314

Se le cose stanno così, i governi che approvano ed acquistano antibiotici e vaccini inutili starebbero facendo l’ennesimo favore alle case farmaceutiche, a spese dei contribuenti:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/12/terrorismo-sanitario-e-vaccinazioni-di.html

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/12/vaccini-vaccinazioni-vaccate-il-dibattito-e-aperto/

Alimentazione per un Mondo Nuovo

http://www.evoluzioneculturale.it/2012/10/21/le-conseguenze-impreviste-della-nascita-dellagricoltura-tra-paleodieta-salute-mentale-e-benessere-sociale-1-parte/

http://www.canedo.it/ordini/asss.html

“Nel 1999, Sally Fallon ha pubblicato un classico, Nourishing Traditions. Era stato così sottotitolato “Il Libro di Ricette che Sfida l’Alimentazione Politicamente Corretta ed i Dittocratici della Dieta”; una frase di certo curiosa, non solo perché il libro è molto di più di un libro di ricette, ma perché promette di sfidare “l’alimentazione politicamente corretta”. Che cosa potrà mai voler dire alimentazione politicamente corretta?

Se guardiamo al termine correttezza politica vediamo che connota l’idea di fare uno sforzo, attraverso il linguaggio o un’azione tale da non offendere nessuno. Purtroppo, quello che di solito si arriva a fare è il prevedere quello che potrebbe offendere gli altri, auto-censurandosi; solitamente nel modo più sgraziato ed ovvio in modo da attirare l’attenzione verso lo sforzo compiuto, contribuendo ad aumentare il disagio per tutti. Cosa potrebbe esserci di più disagevole di avere messo a nudo ciò che un’altra persona pensa ti possa offendere, spesso senza alcuna conoscenza di cosa siete come individuo, andando ad agire piuttosto su stereotipi semplicistici – e anche in quel caso mancare completamente il bersaglio?

L’alimentazione politicamente corretta può essere considerata allo stesso modo. Si tratta di mangiare in un modo che è progettato per non offendere nessuno, in particolare quelli che si conformano alla prospettiva tradizionale e convenzionale di ciò che costituisce una sana alimentazione. È innegabile che almeno una parte delle risposte alla stragrande maggioranza dei problemi di salute cronici che attualmente affliggono la nostra popolazione è quella di cambiare radicalmente e migliorare la propria alimentazione, ma quali modifiche da apportare è in genere argomento di accesi dibattiti. La risposta politicamente corretta si riassume in quello che ci è stato detto da oltre mezzo secolo – mangiare meno, fare più esercizio fisico, ridurre il consumo di grassi, evitare il colesterolo e, sempre più, mangiare meno carne.

Sembra che il consenso attorno alle diete più raccomandate sia che il consumo di carne sia una brutta abitudine e che diminuire, se non eliminare del tutto il consumo di carne, sia la cosa migliore da fare per la propria salute. Le carni si stanno lentamente facendo strada verso lo stretto apice della piramide alimentare, istituita dal governo a raccomandare un minor numero di porzioni al giorno. Sono finiti i giorni dei 4 gruppi alimentari di base, quando le carni avevano tanto valore quanto frutta e verdura. Se si sta consumando una dieta politicamente corretta, si dovrebbe essere per lo meno vegetariani, idealmente vegan. Il mantra di Michael Polan, caro ai media e attuale re dei critici gastronomici eruditi, è un ottimo esempio del mantra della nutrizione politicamente corretta: “Mangiate cibo. Non troppo. Per lo più piante.”

Sempre più frequentemente il ‘cibo salutare’ è associato con il vegetarianismo. Spesso, nuovi intrugli vegetariani trattati si allineano sugli scaffali dei negozi di alimenti naturali, mentre le carni sane, semmai presenti, sono relegate alla sezione congelatore, sul retro. La figura del sano macellaio organico, che prepara carne priva di prodotti chimici, senza ormoni e antibiotici aggiunti, sembra estranea a questa cultura dell’alimento salutare. Anche tra gli appassionati salutisti consapevoli che ne sanno abbastanza da evitare alimenti trasformati, il cibo crudo vegano è l’impostazione predefinita, e non un omnivorismo cosciente.

Ma la domanda che bisogna porsi è se questa mossa verso una dieta vegetariana è nel nostro interesse dal punto di vista della salute. Ci sono molti argomenti per il vegetarianismo, ma quanti di loro sopravvivono ad un’inchiesta?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare indietro nella storia. Nonostante le affermazioni che si debba, attraverso la scienza e la tecnologia, diventare una popolazione più sana, l’effetto contrario è evidente a chiunque – anche coloro che promuovono le diete ‘politically correct’. È vero che i decessi derivanti da malattie infettive sono diminuiti in modo significativo dopo la fine del secolo scorso; (Quando è stata l’ultima volta che avete sentito parlare di qualcuno che muore di colera o di tifo?), quasi al punto in cui tali decessi sono sconosciuti ad oggi. Tuttavia, la malattia cronica è rimasta in costante ascesa nel medesimo periodo di tempo. La durata della vita umana può avere avuto un aumento post-industrializzazione (“può” perché questo fatto è discutibile se si considerano le statistiche sulla mortalità infantile), ma queste vite più lunghe, francamente, sono piene di malattie croniche. Cancro, malattie cardiovascolari, diabete, artrite, osteoporosi – queste sono le piaghe dei tempi moderni e, se non possono ucciderci rapidamente, rendono sicuramente la nostra nuova vite piena di molta più sofferenza.

Così, al fine di affrontare adeguatamente il problema delle malattie croniche, sembra più logico cercare indietro, al tempo in cui queste malattie croniche non erano presenti o per lo meno erano considerate un’anomalia invece che la norma. È qui che l’opera di Weston A. Price diventa inestimabile. Weston R. Price, un dentista e nutrizionista, nel 1939 ha viaggiato per il mondo ed ebbe l’unica fortuna di aver studiato la dieta di numerose società native, quando queste non erano ancora state raggiunte dalla piaga della moderna e trattata dieta occidentale. In più, è stato in grado di confrontare direttamente quelli del pool dello stesso gene che si alimentavano con una dieta tradizionale o con una moderna di cibi trattati (spesso studiando i membri della stessa famiglia o anche gemelli, mettendo a confronto un membro della famiglia che avevano soggiornato nel villaggio mangiando la loro dieta tradizionale, ad un altro che si era trasferito nella grande città, e che prese a seguire una dieta moderna).

Quello in cui Price si era imbattuto è stato a dir poco straordinario. Ha scoperto in primo luogo che ovunque i nativi si avvicinassero ai moderni alimenti trasformati come lo zucchero e la farina bianca – i principali prodotti della vita occidentale – si verificavano casi di malattie degenerative. Price trovò che piaghe della civiltà moderna come l’affaticamento muscolare, il mal di testa, carie dentaria, bocca stretta, con molari e l’affollamento dei denti, allergie, asma e molte delle malattie degenerative del giorno compresa la tubercolosi, le malattie cardiovascolari e cancro, erano semplicemente assenti in popolazioni che avevano continuato a sostentarsi con le loro diete indigene. Tuttavia, con lo spostamento verso prodotti alimentari occidentali, all’interno di una sola generazione queste stesse culture hanno sperimentato tutti i disturbi sopraelencati ed oltre.

Ma a parte questo notevole risultato, Price non aveva trovato società o tribù sane tra quelle vegetariane. Sebbene venne in contatto con alcune tribù vegetariane, inevitabilmente poi ne trovava di sane nelle vicinanze e che consumavano alcuni prodotti animali. L’antropologia culturale ha dimostrato che mangiare carne all’interno di una società è generalmente dettato dalla sua disponibilità, non da credenze o religioni. Società tradizionali sane mangiavano carne e non vi era dunque alcuna ragione per una tale società di adottare il vegetarianismo, soprattutto per motivi di salute.

Alla luce di questa constatazione, l’adozione del vegetarianesimo in tempi moderni ha bisogno di essere guardata per quello che è – una decisione morale. Non è, contrariamente a quanto ritenuto politicamente corretto, una decisione per la tutela della salute. Se Price aveva trovato società che prosperassero con una dieta vegetariana e aveva un senso per quelle società rinunciare a prodotti di origine animale, al fine di migliorare la loro salute, l’argomento avrebbe potuto cambiare direzione. Ma non fu così. Trovò il contrario.

[…].

Le raccomandazioni di Price erano quelle di mangiare carni organiche, latte crudo e burro, brodo di ossa e gli alimenti vegetali coltivati in terreni fertili. Da nessuna parte si consiglia di tagliare il consumo di carne a favore di verdure o versandovi olio vegetale.

[…].

Tra il 1909 e il 1999 il consumo di grassi animali è diminuito in modo significativo nelle nazioni occidentali, parallelamente alla crescente prevalenza di malattie degenerative – l’esatto opposto di quanto ci si aspetterebbe se l’ipotesi lipidica fosse a tenuta stagna. Il consumo di burro è sceso del 72,2%, mentre il consumo di margarina (senza colesterolo) è aumentato dell’800%. Il consumo di lardo e sego è sceso del 50% mentre il consumo di grassi vegetali è aumentato del 275% e per l’olio da insalata e da cucina il consumo è aumentato del 1.450%. Nel frattempo, il consumo di frutta è aumentato del 29%, il consumo di verdure è aumentato del 15,6% e il consumo di legumi e noci è aumentato del 37,5%. Ad essere onesti, il consumo di carni bovine e di pollo è salito di molto (22% e un folle 278%, rispettivamente), ma il consumo di uova è sceso del 13,5% e il consumo di carne di maiale è sceso del 19%. La tendenza generale è stata una forte diminuzione dei grassi animali con un aumento massiccio nei grassi vegetali da margarina e grassi idrogenati, come oli vegetali e di cottura. Mentre l’epidemiologia non può mai essere presa come una prova efficace, si devono valutare con attenzione certe prove – le malattie cardiovascolari sono aumentate, mentre il consumo di grassi animali è stato sostituito dagli oli vegetali – idrogenati e non. (Nota: il consumo di zucchero raffinato è aumentato del 74,7% nello stesso periodo di tempo, e di circa il 1.600% dal 1809. Questo, ancora, non prova nulla, ma un’ipotesi imparziale direbbe che anche questo è uno dei protagonisti chiave tra le malattie della modernità).

[…].

Molti animali, insetti, uccelli, microbi e, ovviamente, le piante stesse, devono dare la loro vita per servire all’uomo i suoi vegetali. L’espansione in tutto il mondo dell’agricoltura ha distrutto molti ecosistemi, ha devastato le zone umide e causato l’estinzioni di molti. La morte è parte integrante di ogni boccone di cibo che ci sostiene.

È comprensibile che allo spiritualmente inclinato non mi piace questo fatto. Nessuna persona ragionevole in possesso di una coscienza vuole fare del male ad un altro essere vivente. Noi non siamo portati a pensare a questo quando ci sediamo a consumare i nostri pasti, perché il pensiero ci mette a disagio. Questa potrebbe essere la radice di uno dei problemi nella nostra catena alimentare. Il nostro evitare di riconoscere che è davvero la vita che è stata data al fine di alimentarci che può essere il fattore che ci ha portato fare questo agli animali, (e anche le piante, si potrebbe argomentare), cioè l’essere trattati in modo deplorevole all’interno di fabbriche agricole, con pratiche che sono di fatto terribili. Abbiamo ceduto ad un volere cieco, girando le spalle alla catena alimentare, una politica del ‘non chiedere’ e ‘non dire’ che ci nasconde verità scomode sul nostro sostentamento. Mentre una gran quantità di sofferenza viene consumata dietro le quinte, ci troviamo di fronte sottili pacchettini di polistirolo – privi de segni di quella vita che un tempo scorreva attraverso muscoli che sono diventati cibo.

Non possiamo giustificare i flagranti abusi di rispetto e di dignità che avvengono negli allevamenti intensivi prevalenti in Occidente. Non c’è dubbio che il sistema di produzione della carne in Occidente sia assolutamente deplorevole. Mangiare ciò che può essere chiamato un animale ‘allevato commercialmente’, di quelli cresciti con antibiotici, steroidi e con mangimi gravati da veleni tossici, da muffe e funghi e altri additivi, non può semplicemente essere giustificato. Né può l’indicibile tortura che gli animali in allevamenti intensivi sono costretti a sopportare per tutta la vita venir considerata accettabile in alcun modo.

Non è quello con cui i nostri antenati del Paleolitico si sono evoluti mangiando. Questo certamente non ci ha regalato un più grande cervello. Al contrario, dovremmo ritenerci fortunati se riuscissimo a scamparla avventurandoci in dieta come questa senza subire danni al cervello. Questo è l’esatto contrario di quello che Weston A. Price ha assistito tra culture tradizionali fiorenti nelle loro comunità isolate. Mangiare animali allevati in modo così innaturale e nutriti con una dieta completamente innaturale non può che condurre ad una popolazione malata come gli animali di cui si nutre. Questo può tranquillamente chiamare cibo anti-spirituale. Gravato da tossicità, di sofferenza e di carico karmico, mangiare in questo modo è come percorrere un sentiero di entropia e di morte.

Ma qui è dove l’argomento del movimento vegetariano spesso svela il suo errore più fondamentale – quello di equiparare tutti gli onnivorismi con una partecipazione nella catena alimentare priva di coscienza. C’è una via di mezzo tra il veganismo etico e pratiche assassine dell’allevamento industriale, e questa terra di mezzo è quello che il pensare e il sentire degli uomini spirituali fatica a trovare nell’ambiente alimentare odierno.

C’è un modo di mangiare carne come parte della dieta quotidiana, senza dover limitare il consumo di ogni altro giorno o solo nei fine settimana come Graham Hill, fondatore della treehugger.com, raccomanda. L’agricoltura, quando fatta in un modo che vede tutta l’azienda come un unico organismo – ogni parte, comprese le piante, gli animali e anche l’agricoltore, sono tutti componenti vitali che simbioticamente assistono reciprocamente ad uno sviluppo – non devono causare danni all’ambiente o alle persone che traggono sostentamento dall’azienda stessa.

Gli animali non mangiano naturalmente cereali e soia, non dovrebbero far parte della loro alimentazione. Le mucche devono mangiare erba dai pascoli e quindi restituire gli elementi nutritivi sotto forma di concime per rinvigorire il terreno. A differenza dei problemi inerenti alle operazioni di stoccaggio a terra dove vengono pompatae enormi quantità di rifiuti provenienti da animali malati nell’ambiente circostante causando problemi di inquinamento, i rifiuti di origine animale sani provenienti da una fattoria equilibrata sono invece un mezzo per nutrire il terreno. La salute del suolo è il modo migliore per misurare la salute della fattoria, tra cui piante e animali.

L’agricoltura presa come una pratica spirituale, intrisa di una conoscenza oggettiva, che riconosce la complessa interrelazione di tutta la vita e di come i cicli di una specie sono intimamente legati a quelli di tutti gli altri in favore dell’ambiente, è l’agricoltura del futuro. Questa è l’essenza dell’agricoltura biodinamica, ed è l’unica speranza per salvare il pianeta. Eliminando gli animali da questo delicato equilibrio sarebbe assimilabile ad eliminare un organo dal corpo”.

http://conosci-te-stesso.blogspot.it/2011/02/seppellire-lipotesi-vegetariana.html

Libro di Weston A. Price

http://journeytoforever.org/farm_library/price/pricetoc.html

Sul dibattito paleodieta-veganismo/vegetarianismo

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/la-celebre-paleodieta-grande-richiesta.html

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/13/cosa-sta-succedendo-ai-clinton/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/29/quali-celebrita-seguono-la-paleodieta/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/24/oetzi-il-paleouomo-che-non-faceva-la-paleodieta-e-si-vede/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/24/oetzi-il-paleouomo-che-non-faceva-la-paleodieta-e-si-vede/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/20/le-singolari-scelte-pubblicitarie-della-peta-animalisti/

Qui c’è un’utile scheda di ricapitolazione che spiega cosa fare per disattivare il più possibile gli antinutrienti (fattori antinutrizionali):
http://amaltea.vete.unimi.it/docenti/cheli/FAN.pdf
Il calore è utile (fino a un certo punto) per rendere meno tossici certi alimenti, altri richiedono un altro tipo di intervento.

Consiglio il prezioso blog di questo biochimico e neurologo che è una miniera di informazioni e di dati clinici/sperimentali; nel relativo forum si svolgono dibattiti molto istruttivi (in inglese!):
http://wholehealthsource.blogspot.it/
(come si vede dalle foto, si dedica all’orticoltura, quindi non ha escluso la verdura dalla sua dieta – sarebbe una sciocchezza – ma la consuma intelligentemente)

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