http://www.canedo.it/ordini/asss.html
“Nel 1999, Sally Fallon ha pubblicato un classico, Nourishing Traditions. Era stato così sottotitolato “Il Libro di Ricette che Sfida l’Alimentazione Politicamente Corretta ed i Dittocratici della Dieta”; una frase di certo curiosa, non solo perché il libro è molto di più di un libro di ricette, ma perché promette di sfidare “l’alimentazione politicamente corretta”. Che cosa potrà mai voler dire alimentazione politicamente corretta?
Se guardiamo al termine correttezza politica vediamo che connota l’idea di fare uno sforzo, attraverso il linguaggio o un’azione tale da non offendere nessuno. Purtroppo, quello che di solito si arriva a fare è il prevedere quello che potrebbe offendere gli altri, auto-censurandosi; solitamente nel modo più sgraziato ed ovvio in modo da attirare l’attenzione verso lo sforzo compiuto, contribuendo ad aumentare il disagio per tutti. Cosa potrebbe esserci di più disagevole di avere messo a nudo ciò che un’altra persona pensa ti possa offendere, spesso senza alcuna conoscenza di cosa siete come individuo, andando ad agire piuttosto su stereotipi semplicistici – e anche in quel caso mancare completamente il bersaglio?
L’alimentazione politicamente corretta può essere considerata allo stesso modo. Si tratta di mangiare in un modo che è progettato per non offendere nessuno, in particolare quelli che si conformano alla prospettiva tradizionale e convenzionale di ciò che costituisce una sana alimentazione. È innegabile che almeno una parte delle risposte alla stragrande maggioranza dei problemi di salute cronici che attualmente affliggono la nostra popolazione è quella di cambiare radicalmente e migliorare la propria alimentazione, ma quali modifiche da apportare è in genere argomento di accesi dibattiti. La risposta politicamente corretta si riassume in quello che ci è stato detto da oltre mezzo secolo – mangiare meno, fare più esercizio fisico, ridurre il consumo di grassi, evitare il colesterolo e, sempre più, mangiare meno carne.
Sembra che il consenso attorno alle diete più raccomandate sia che il consumo di carne sia una brutta abitudine e che diminuire, se non eliminare del tutto il consumo di carne, sia la cosa migliore da fare per la propria salute. Le carni si stanno lentamente facendo strada verso lo stretto apice della piramide alimentare, istituita dal governo a raccomandare un minor numero di porzioni al giorno. Sono finiti i giorni dei 4 gruppi alimentari di base, quando le carni avevano tanto valore quanto frutta e verdura. Se si sta consumando una dieta politicamente corretta, si dovrebbe essere per lo meno vegetariani, idealmente vegan. Il mantra di Michael Polan, caro ai media e attuale re dei critici gastronomici eruditi, è un ottimo esempio del mantra della nutrizione politicamente corretta: “Mangiate cibo. Non troppo. Per lo più piante.”
Sempre più frequentemente il ‘cibo salutare’ è associato con il vegetarianismo. Spesso, nuovi intrugli vegetariani trattati si allineano sugli scaffali dei negozi di alimenti naturali, mentre le carni sane, semmai presenti, sono relegate alla sezione congelatore, sul retro. La figura del sano macellaio organico, che prepara carne priva di prodotti chimici, senza ormoni e antibiotici aggiunti, sembra estranea a questa cultura dell’alimento salutare. Anche tra gli appassionati salutisti consapevoli che ne sanno abbastanza da evitare alimenti trasformati, il cibo crudo vegano è l’impostazione predefinita, e non un omnivorismo cosciente.
Ma la domanda che bisogna porsi è se questa mossa verso una dieta vegetariana è nel nostro interesse dal punto di vista della salute. Ci sono molti argomenti per il vegetarianismo, ma quanti di loro sopravvivono ad un’inchiesta?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare indietro nella storia. Nonostante le affermazioni che si debba, attraverso la scienza e la tecnologia, diventare una popolazione più sana, l’effetto contrario è evidente a chiunque – anche coloro che promuovono le diete ‘politically correct’. È vero che i decessi derivanti da malattie infettive sono diminuiti in modo significativo dopo la fine del secolo scorso; (Quando è stata l’ultima volta che avete sentito parlare di qualcuno che muore di colera o di tifo?), quasi al punto in cui tali decessi sono sconosciuti ad oggi. Tuttavia, la malattia cronica è rimasta in costante ascesa nel medesimo periodo di tempo. La durata della vita umana può avere avuto un aumento post-industrializzazione (“può” perché questo fatto è discutibile se si considerano le statistiche sulla mortalità infantile), ma queste vite più lunghe, francamente, sono piene di malattie croniche. Cancro, malattie cardiovascolari, diabete, artrite, osteoporosi – queste sono le piaghe dei tempi moderni e, se non possono ucciderci rapidamente, rendono sicuramente la nostra nuova vite piena di molta più sofferenza.
Così, al fine di affrontare adeguatamente il problema delle malattie croniche, sembra più logico cercare indietro, al tempo in cui queste malattie croniche non erano presenti o per lo meno erano considerate un’anomalia invece che la norma. È qui che l’opera di Weston A. Price diventa inestimabile. Weston R. Price, un dentista e nutrizionista, nel 1939 ha viaggiato per il mondo ed ebbe l’unica fortuna di aver studiato la dieta di numerose società native, quando queste non erano ancora state raggiunte dalla piaga della moderna e trattata dieta occidentale. In più, è stato in grado di confrontare direttamente quelli del pool dello stesso gene che si alimentavano con una dieta tradizionale o con una moderna di cibi trattati (spesso studiando i membri della stessa famiglia o anche gemelli, mettendo a confronto un membro della famiglia che avevano soggiornato nel villaggio mangiando la loro dieta tradizionale, ad un altro che si era trasferito nella grande città, e che prese a seguire una dieta moderna).
Quello in cui Price si era imbattuto è stato a dir poco straordinario. Ha scoperto in primo luogo che ovunque i nativi si avvicinassero ai moderni alimenti trasformati come lo zucchero e la farina bianca – i principali prodotti della vita occidentale – si verificavano casi di malattie degenerative. Price trovò che piaghe della civiltà moderna come l’affaticamento muscolare, il mal di testa, carie dentaria, bocca stretta, con molari e l’affollamento dei denti, allergie, asma e molte delle malattie degenerative del giorno compresa la tubercolosi, le malattie cardiovascolari e cancro, erano semplicemente assenti in popolazioni che avevano continuato a sostentarsi con le loro diete indigene. Tuttavia, con lo spostamento verso prodotti alimentari occidentali, all’interno di una sola generazione queste stesse culture hanno sperimentato tutti i disturbi sopraelencati ed oltre.
Ma a parte questo notevole risultato, Price non aveva trovato società o tribù sane tra quelle vegetariane. Sebbene venne in contatto con alcune tribù vegetariane, inevitabilmente poi ne trovava di sane nelle vicinanze e che consumavano alcuni prodotti animali. L’antropologia culturale ha dimostrato che mangiare carne all’interno di una società è generalmente dettato dalla sua disponibilità, non da credenze o religioni. Società tradizionali sane mangiavano carne e non vi era dunque alcuna ragione per una tale società di adottare il vegetarianismo, soprattutto per motivi di salute.
Alla luce di questa constatazione, l’adozione del vegetarianesimo in tempi moderni ha bisogno di essere guardata per quello che è – una decisione morale. Non è, contrariamente a quanto ritenuto politicamente corretto, una decisione per la tutela della salute. Se Price aveva trovato società che prosperassero con una dieta vegetariana e aveva un senso per quelle società rinunciare a prodotti di origine animale, al fine di migliorare la loro salute, l’argomento avrebbe potuto cambiare direzione. Ma non fu così. Trovò il contrario.
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Le raccomandazioni di Price erano quelle di mangiare carni organiche, latte crudo e burro, brodo di ossa e gli alimenti vegetali coltivati in terreni fertili. Da nessuna parte si consiglia di tagliare il consumo di carne a favore di verdure o versandovi olio vegetale.
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Tra il 1909 e il 1999 il consumo di grassi animali è diminuito in modo significativo nelle nazioni occidentali, parallelamente alla crescente prevalenza di malattie degenerative – l’esatto opposto di quanto ci si aspetterebbe se l’ipotesi lipidica fosse a tenuta stagna. Il consumo di burro è sceso del 72,2%, mentre il consumo di margarina (senza colesterolo) è aumentato dell’800%. Il consumo di lardo e sego è sceso del 50% mentre il consumo di grassi vegetali è aumentato del 275% e per l’olio da insalata e da cucina il consumo è aumentato del 1.450%. Nel frattempo, il consumo di frutta è aumentato del 29%, il consumo di verdure è aumentato del 15,6% e il consumo di legumi e noci è aumentato del 37,5%. Ad essere onesti, il consumo di carni bovine e di pollo è salito di molto (22% e un folle 278%, rispettivamente), ma il consumo di uova è sceso del 13,5% e il consumo di carne di maiale è sceso del 19%. La tendenza generale è stata una forte diminuzione dei grassi animali con un aumento massiccio nei grassi vegetali da margarina e grassi idrogenati, come oli vegetali e di cottura. Mentre l’epidemiologia non può mai essere presa come una prova efficace, si devono valutare con attenzione certe prove – le malattie cardiovascolari sono aumentate, mentre il consumo di grassi animali è stato sostituito dagli oli vegetali – idrogenati e non. (Nota: il consumo di zucchero raffinato è aumentato del 74,7% nello stesso periodo di tempo, e di circa il 1.600% dal 1809. Questo, ancora, non prova nulla, ma un’ipotesi imparziale direbbe che anche questo è uno dei protagonisti chiave tra le malattie della modernità).
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Molti animali, insetti, uccelli, microbi e, ovviamente, le piante stesse, devono dare la loro vita per servire all’uomo i suoi vegetali. L’espansione in tutto il mondo dell’agricoltura ha distrutto molti ecosistemi, ha devastato le zone umide e causato l’estinzioni di molti. La morte è parte integrante di ogni boccone di cibo che ci sostiene.
È comprensibile che allo spiritualmente inclinato non mi piace questo fatto. Nessuna persona ragionevole in possesso di una coscienza vuole fare del male ad un altro essere vivente. Noi non siamo portati a pensare a questo quando ci sediamo a consumare i nostri pasti, perché il pensiero ci mette a disagio. Questa potrebbe essere la radice di uno dei problemi nella nostra catena alimentare. Il nostro evitare di riconoscere che è davvero la vita che è stata data al fine di alimentarci che può essere il fattore che ci ha portato fare questo agli animali, (e anche le piante, si potrebbe argomentare), cioè l’essere trattati in modo deplorevole all’interno di fabbriche agricole, con pratiche che sono di fatto terribili. Abbiamo ceduto ad un volere cieco, girando le spalle alla catena alimentare, una politica del ‘non chiedere’ e ‘non dire’ che ci nasconde verità scomode sul nostro sostentamento. Mentre una gran quantità di sofferenza viene consumata dietro le quinte, ci troviamo di fronte sottili pacchettini di polistirolo – privi de segni di quella vita che un tempo scorreva attraverso muscoli che sono diventati cibo.
Non possiamo giustificare i flagranti abusi di rispetto e di dignità che avvengono negli allevamenti intensivi prevalenti in Occidente. Non c’è dubbio che il sistema di produzione della carne in Occidente sia assolutamente deplorevole. Mangiare ciò che può essere chiamato un animale ‘allevato commercialmente’, di quelli cresciti con antibiotici, steroidi e con mangimi gravati da veleni tossici, da muffe e funghi e altri additivi, non può semplicemente essere giustificato. Né può l’indicibile tortura che gli animali in allevamenti intensivi sono costretti a sopportare per tutta la vita venir considerata accettabile in alcun modo.
Non è quello con cui i nostri antenati del Paleolitico si sono evoluti mangiando. Questo certamente non ci ha regalato un più grande cervello. Al contrario, dovremmo ritenerci fortunati se riuscissimo a scamparla avventurandoci in dieta come questa senza subire danni al cervello. Questo è l’esatto contrario di quello che Weston A. Price ha assistito tra culture tradizionali fiorenti nelle loro comunità isolate. Mangiare animali allevati in modo così innaturale e nutriti con una dieta completamente innaturale non può che condurre ad una popolazione malata come gli animali di cui si nutre. Questo può tranquillamente chiamare cibo anti-spirituale. Gravato da tossicità, di sofferenza e di carico karmico, mangiare in questo modo è come percorrere un sentiero di entropia e di morte.
Ma qui è dove l’argomento del movimento vegetariano spesso svela il suo errore più fondamentale – quello di equiparare tutti gli onnivorismi con una partecipazione nella catena alimentare priva di coscienza. C’è una via di mezzo tra il veganismo etico e pratiche assassine dell’allevamento industriale, e questa terra di mezzo è quello che il pensare e il sentire degli uomini spirituali fatica a trovare nell’ambiente alimentare odierno.
C’è un modo di mangiare carne come parte della dieta quotidiana, senza dover limitare il consumo di ogni altro giorno o solo nei fine settimana come Graham Hill, fondatore della treehugger.com, raccomanda. L’agricoltura, quando fatta in un modo che vede tutta l’azienda come un unico organismo – ogni parte, comprese le piante, gli animali e anche l’agricoltore, sono tutti componenti vitali che simbioticamente assistono reciprocamente ad uno sviluppo – non devono causare danni all’ambiente o alle persone che traggono sostentamento dall’azienda stessa.
Gli animali non mangiano naturalmente cereali e soia, non dovrebbero far parte della loro alimentazione. Le mucche devono mangiare erba dai pascoli e quindi restituire gli elementi nutritivi sotto forma di concime per rinvigorire il terreno. A differenza dei problemi inerenti alle operazioni di stoccaggio a terra dove vengono pompatae enormi quantità di rifiuti provenienti da animali malati nell’ambiente circostante causando problemi di inquinamento, i rifiuti di origine animale sani provenienti da una fattoria equilibrata sono invece un mezzo per nutrire il terreno. La salute del suolo è il modo migliore per misurare la salute della fattoria, tra cui piante e animali.
L’agricoltura presa come una pratica spirituale, intrisa di una conoscenza oggettiva, che riconosce la complessa interrelazione di tutta la vita e di come i cicli di una specie sono intimamente legati a quelli di tutti gli altri in favore dell’ambiente, è l’agricoltura del futuro. Questa è l’essenza dell’agricoltura biodinamica, ed è l’unica speranza per salvare il pianeta. Eliminando gli animali da questo delicato equilibrio sarebbe assimilabile ad eliminare un organo dal corpo”.
http://conosci-te-stesso.blogspot.it/2011/02/seppellire-lipotesi-vegetariana.html
Libro di Weston A. Price
http://journeytoforever.org/farm_library/price/pricetoc.html
Sul dibattito paleodieta-veganismo/vegetarianismo
http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/la-celebre-paleodieta-grande-richiesta.html
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/13/cosa-sta-succedendo-ai-clinton/
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/29/quali-celebrita-seguono-la-paleodieta/
Qui c’è un’utile scheda di ricapitolazione che spiega cosa fare per disattivare il più possibile gli antinutrienti (fattori antinutrizionali):
http://amaltea.vete.unimi.it/docenti/cheli/FAN.pdf
Il calore è utile (fino a un certo punto) per rendere meno tossici certi alimenti, altri richiedono un altro tipo di intervento.
Consiglio il prezioso blog di questo biochimico e neurologo che è una miniera di informazioni e di dati clinici/sperimentali; nel relativo forum si svolgono dibattiti molto istruttivi (in inglese!):
http://wholehealthsource.blogspot.it/
(come si vede dalle foto, si dedica all’orticoltura, quindi non ha escluso la verdura dalla sua dieta – sarebbe una sciocchezza – ma la consuma intelligentemente)