Omaggio a Pino Scaglione

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Una persona davvero amabile, appassionata, briosa e colta.
Lieto di averlo intervistato.
Questo mio pezzo gli è piaciuto e allora lo condivido.

“Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico citius, altius, fortius – più veloce, più alto, più forte – che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la mobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in lentius, profundius, suavius – più lento, più profondo, più dolce -, e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso”.

Questa saggia esortazione di Alexander Langer è sempre più attuale e vale per ogni contesto, anche per il nostro rapporto con il territorio, al centro della rassegna intitolata “Paesaggio in Movimento”, che è il tema dell’edizione di quest’anno del laboratorio permanente “Futuro Presente”. Intellettuali, filosofi, architetti, scrittori, fotografi dialogheranno con il pubblico approfondendo quattro filoni: architettura e urbanistica, letteratura e reportage, cinema e documentari e, infine, fotografia.

La chiave di lettura di questi incontri è la ricerca di un futuro possibile che scaturisca da una soluzione ai mali del presente che sia assennata. Una via di mezzo tra il regresso nel passato del neotradizionalismo e la fuga in avanti di quello sperimentalismo sensazionalistico che produce quelle che al profano sembrano stanze per bimbi giganti sospese nel cielo, mostruose creature cristalline che sbucano da una dimensione parallela per divorare edifici storici, fortezze crepuscolari insofferenti alla luce, astronavi in attesa di decollare. Un architetto-star, Daniel Libeskind, arriva a descrivere l’architettura come “la macchina che produce l’universo che a sua volta produce gli dèi”.

L’alternativa, più mite e sensibile, che non rinuncia alla modernità e non ricorre a furbi mimetismi, prende il nome di landscape sensitive design (un design sensibile e attento al contesto paesaggistico) e ce l’ha spiegata in un’intervista Pino Scaglione, architetto e urbanista che insegna alla facoltà di ingegneria di Trento. Calabrese di nascita e trentino di adozione, sarà protagonista dell’incontro dal titolo “Architettura e arti nella costruzione del paesaggio della modernità in Trentino”, che si terrà OGGI a Rovereto, nella Sala conferenze del Mart, alle 18.00 e si soffermerà sul periodo fascista; non per fare del revisionismo apologetico, ma per far capire ai contemporanei che, per un accidente del caso, all’Italia toccò in sorte di provare a creare un paesaggio moderno, compatibile con la natura e la cultura, proprio durante il fascismo ed è un peccato che ciò abbia gettato un’ombra su una sperimentazione che andrebbe recuperata e aggiornata.

“L’errore che si è commesso nel dopoguerra”, afferma Scaglione, “è stato quello di fagocitare il paesaggio nella convinzione che fosse sovrabbondante. Poi, dopo averlo martoriato, siamo corsi ai ripari. La questione è di enorme importanza, perché occuparsi di paesaggio vuol dire occuparsi del futuro, in un ciclo economico che si chiude per l’insostenibilità del consumismo a tutti i livelli, incluso quello del paesaggio”.

Per Scaglione “il paesaggio è il nostro contesto di vita, l’insieme di tutto ciò che ci circonda e quindi anche le opere umane come le boscaglie, i vigneti, i prati, che richiedono un uso intelligente del territorio per trovare un equilibro con la natura, equilibrio che è esiziale, ma che si è perso”.

Né museificazione della natura, né abuso dissennato: una via di mezzo che ci faccia ritrovare la bussola.

Cita “Pensiero meridiano” di Franco Cassano, che deve molto alle riflessioni di Albert Camus sul giusto mezzo, l’equilibrio delle forze, il disciplinamento delle proprie pulsioni. Rileva che la recente traduzione inglese sta avendo un successo strepitoso proprio nei “celerissimi” Stati Uniti. Parla di lentezza come valore, di un uso della tecnologia che non deve per forza accelerare le nostre vite e farci mettere da parte il senso estetico e l’attenzione al mondo. Menziona Mosè Ricci, autore di “Nuovi paradigmi”, che illustra la transizione da un sistema incentrato sulla quantità ad uno pregno di valori che emergono dal basso, da una sensibilità popolare sempre più orientata al rispetto, alla cura, all’attenzione a ciò che si mangia, ciò che si consuma, ciò che si butta, alla sostenibilità del luogo in cui si risiede e quindi al paesaggio, che è insieme di valori nei quali ci identifichiamo.

“Non si fanno più piani urbanistici guidati dall’idea che il territorio è infinitamente disponibile, ma si comincia a capire che il paesaggio va re-introdotto nel contesto. Le arti disvelano le diverse forme del paesaggio e delle sensibilità e, come nel caso dei trentini Armani, Perini e Salvotti, lottano, magari donchisciottescamente, contro un sistema che quantifica e sacrifica la qualità.

Fortunatamente, constata Scaglione, “il contesto alpino, gelosamente possessivo nei confronti del territorio, ha retto meglio di altre realtà e questo è particolarmente vero in Svizzera, come potrà capire chi, il 16 giugno, andrà ad ascoltare Michael Jakob, sempre al Mart, in un incontro dal titolo “Costruire nuovi paesaggi: architettura contemporanea nelle Alpi”.

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