Massimo Gramellini, “Schwazer, tra la testa e il cuore”, da La Stampa del 9 agosto 2012.
Le avventure di Schwazer, il Dopato Buono, dividono gli italiani. Ma non come succede di solito: gli uni contro gli altri. Stavolta la scissione è avvenuta dentro di noi.
Il cuore prova umana simpatia per questo reo confesso che ha osato autodenunciarsi pubblicamente.
Tanto più in un Paese dove persino l’assassino colto in flagrante urla al complotto della magistratura. Se avesse accusato, se avesse negato, sarebbe stato sepolto dal disprezzo che in Italia è riservato non a chi infrange le regole, ma a chi si fa beccare. Invece ci ha messo la faccia. Anzi, ha fatto televisivamente di meglio: l’ha tenuta nascosta fra le mani per tutta la durata della confessione. Con quella voce frignante, sempre sull’orlo di franare in pianto, ma capace di soprassalti puntuti, strano impasto di coraggio virile e debolezza bambina.
Anche la nostra pancia è un po’ schwazeriana. Rapita dalla curiosità, benché assalita da un certo disgusto per il rito sacrificale della gogna in diretta. Piena di comprensione per questo italiano dal cognome irto di consonanti che ha denudato un’anima fragile, i complessi di inferiorità nei confronti della fidanzata famosa, la paura di illudere, di deludere, di perdere e quella nausea nei confronti del suo sport che lo avvicina al tennista Andre Agassi, il quale in un libro memorabile ha raccontato il suo odio per il tennis, trasformatosi in passione solo dopo il ritiro.
Rimane ancora, chissà per quanto, la testa. E quella ovviamente stecca sul coro. La testa zittisce la pancia, suggerendole di non provare pena per un privilegiato che aveva liberamente accettato le regole crudeli e i ritmi folli dello sport moderno. Tutti i lavoratori faticano e molti sono nauseati dal proprio lavoro, più oscuro e peggio pagato di quello di Schwazer. E tutti i corridori vogliono arrivare primi, ma non per questo sono disposti a passare col rosso.
La testa fa vacillare persino il cuore, estraendo dal romanticismo delle sensazioni il linguaggio prosaico dei fatti: martedì Schwazer ha detto di avere comprato il doping su Internet, mercoledì di averlo comprato in una farmacia turca. Ma davvero nelle farmacie turche ti incartano il doping insieme con le supposte? Davvero un atleta che fino a un mese fa si faceva di cioccolato al latte, all’improvviso impara a prendere le dosi giuste di epo? Non serviva l’apporto di un medico specializzato, anche solo per evitare di ammazzarsi e per cercare di ingannare i controlli? Ma la testa ne ha anche per i dirigenti del nostro sport, i quali dipingono Schwazer come un solitario un po’ balzano. Capirei ancora, afferma la testa, se l’atletica italiana avesse cinquanta campioni da medaglia come Cina e Stati Uniti. Ma avendone soltanto uno, non sarebbe stato più facile, e più necessario, marcarlo stretto?
Questo e altro dice la testa, prima di lasciare al cuore l’ultima parola: l’animo umano è complesso e Schwazer ci tocca una corda profonda perché, come scrive oggi Riotta, rappresenta l’uomo del Tutto o Niente, la morale degli eroi e dei malvagi. Invece la vita di noi normali è un compromesso quotidiano e sfiancante fra il bene e il male, la fantasia e il senso comune, la disciplina e la tentazione. Proprio per questo, forse, rappresenta la forma più sottile e profonda di eroismo.
Dagieco Ecologia Ltd (@DagiecoEcologia) said,
9 agosto 2012 a 13:14
grazie Gramellini, ci vorrebbero più persone ,;come Lei; capaci di farci pensare e abituarci ad adoperare il cervello, invece di pontificare….
Lorenzo
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oscar said,
9 agosto 2012 a 14:07
Il ragazzo è talentuoso, ma non fa ciò che gli piace.
Lui già dopo Pechino dichiarò che non era quella la vita che voleva intraprendere né la specialità atletica agonistica che più gli piaceva.
Però cosa successe? Dopo Pechino gli piovvero soldi e fama addosso. I soldi non vengono da soli, ma dagli sponsor.
E dietro gli sponsor chi ci stanno? Stronzoni senza scrupoli. Persone corrotte dall’idea del profitto ad ogni costo, capitalisti maledetti che collaborano col loro solo esistere a distruggere questo pianeta.
I contratti che firmò Schwazer, sia pubblicitari che di sponsor, lo vincolavano alla sua attività agonistica senza scelte.
Ma lui non voleva continuare a correre, voleva rimanersene alla sua ruralità a Calice.
Qual’era l’unico modo per andarsene? Lo scandalo!
Ha assunto l’EPO (eritropoietina è un’enzima che emerge immediatamente in un’analisi banalissima dell’ematocrito) apposta per farsi beccare: ogni atleta infatti per convenzioni internazionali fra un Olimpiade e l’altra può venire sottoposto a massimo 2 controlli a sorpresa.
Schwazer prima di Londra in Germania venne convocato per il suo 3 controllo, quindi NON vincolante.
Ma cosa ha fatto? C’è andato lo stesso, consapevole di venire così pizzicato.
Perchè ciò? Per uscire dal business, dalla pubblicità che lui stesso era diventato.
Di contro cosa fanno gli sponsor che si vedono perdere una fonte di guadagno? Bombardano mediaticamente il povero atleta ‘disertore’ del dio denaro.
E così Schwazer ha fatto e forse è questo il ruolo nascosto del medico Ferrari con cui parlò più volte.
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Luca said,
9 agosto 2012 a 16:31
Il fatto che gli sponsor l’abbiano messo sotto contratto non è una colpa (puoi anche non firmare), semmai è un problema diverso, cioè che abbia dato la priorità ai soldi anziché alla felicità personale (anche perché con una medaglia d’oro alle olimpiadi la Federazione ti paga un monte di soldi che non dico ti fanno vivere di rendita ma…). La Kinder, ad esempio, ha avuto altri atleti testimonial come Fiona May (che ha avuto una gran carriera e una vita felice a quanto pare), Josefa Idem (immortale), Antonietta di Martino ed Andrew Howe (formidabili atleti fermati dagli infortuni). Questi ultimi due hanno continuato anche dopo gli scarsi risultati ad essere testimonials (Howe lo è ancora), però perché son spariti dall’atletica? La Federazione li ha abbandonati a sé stessi e non sta nemmeno dando possibilità agli atleti che devono succedere (Alessia Trost alle Olimpiadi perché non c’è? “Troppo piccola?”). E ciocchi con la Federazione, smetti con lo sport. Qui non hai scelte e sei obbligato a fare compromessi, non con gli sponsor a cui puoi dire “no grazie”.
Tornando a Schwazer, che si ritroverà con un contratto stracciato (ovvio, si è dopato, che immagine vuoi dare ai ragazzi?) c’è da chiedersi chi lo abbia portato lì pagandolo “solo” per allenarsi: i Carabinieri. Nessuno può dirci che non lo abbiano “costretto” a continuare l’attività sportiva pena il congedo (e il dott. Ferrari c’è di mezzo), e soprattutto, a differenza della maggioranza degli atleti degli altri paes, (quelli civili ovvio, in cui l’attività sportiva è complementare a studio/lavoro) per questioni legate al tempo l’han fatto solo allenare senza dargli una reale alternativa post-attività agonistica (un piccolo esempio ora è la Juventus che, oltre a “prelevare” ragazzi giovani dalle famiglie per farli giocare a calcio si occuperà anche della loro istruzione, perché è ingiusto che, se non rientrasse un giovane nel loro piano, venga gettato via come una cartaccia…). Il primo esempio che mi sovviene è la medaglia d’oro alla sbarra, un ragazzo olandese che si sta laureando in medicina, la cui federazione non ha posto veti del tipo “allenati e basta”, nè tantomeno dev’essere parte delle forze armate del paese.
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grandebeltazor said,
10 agosto 2012 a 08:25
grazie mille per questo contributo e grazie a tutti quelli che sono intervenuti ed interverranno!
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Franca Palloni said,
10 agosto 2012 a 07:16
Gramellini sei un grande!Scusa se ti do del tu ma sono una sessantenne insegnante sempre a contatto con la fragilita’ dei giovani,hai reso benissimo quello che anche io provavo,ma lo hai reso chiaro con le tue parole.Complimenti per il tuo libro “Fai bei sogni”che ho letto con sentimenti di commozione.Ti seguiamo sempre nella trasmissione Che tempo che fa,un appuntamento imperdibile e piacevolissimo!Un caro saluto.Franca 52
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