Il rischio di furia nichilista rilevato dai sondaggi europei è reale e va contrastato

Un sondaggio per le Acli da Ipr Marketing, realizzato tra il 22 ed il 25 aprile del 2012 e pubblicato il 2 maggio 2012, mostra che il numero di Italiani che ritiene che l’unico mezzo per cambiare il paese sia una rivoluzione (32,5%) non si discosta molto da quello di chi preferirebbeinterventi graduali e condivisi” (35,7%). Il 49,7% degli Italiani non crede più alla capacità o volontà dei politici di migliorare la società. L’opzione rivoluzionaria è di gran lunga maggioritaria tra i giovani (18-34 anni) dove raggiunge il 41,4% e tra gli adulti di età compresa tra i 35 ed i 54 anni (36,7%); anche tra le persone più anziane (oltre i 54 anni) è comunque condivisa da un ragguardevole 22,1%. Il 32,3% delle donne approverebbe una rivoluzione.

L’opinione pubblica greca si è orientata nella stessa direzione già nel 2011. Uno dei principali istituti demoscopici del paese, “Questioni Pubbliche”, ha rilevato che un terzo dei Greci (33%) desiderava una rivoluzione e che, complessivamente (includendo anche i contrari), la sensazione è che la rivoluzione sia in ogni caso assai probabile (78% contro un 21% di chi la considera improbabile), un valore in aumento del 7% rispetto al 2010.

Questo sondaggio è stato pubblicato nel maggio 2011, prima che si verificasse il tracollo socioeconomico che ha costretto Poul Thomsen, il capo della missione dell’FMI incaricata di monitorare il risanamento delle finanze della Grecia, ad ammettere che la via dell’austerità intransigente si è rivelata una scelta sbagliata (“IMF official admits austerity is harming Greece”, Guardian, 1 febbraio 2012).

In Spagna, un sondaggio pubblicato da El País il 30 aprile del 2012 registra un aumento del 10% (al 70%) degli intervistati, rispetto all’ottobre del 2011, che rispondono che le misure di austerità stanno solo distruggendo l’economia del paese. Solo un 21% degli intervistati crede che non ci siano alternative (-9%).

Il rapporto speciale dell’Eurobarometro 379 (dicembre 2011, pubblicato nell’aprile del 2012), dal titolo “Il futuro dell’Europa”, conferma che il 33% vuole cambiamenti anche radicali e rapidi (44% in Italia).

Gli altri indicatori misurati nel sondaggio descrivono un umore molto cupo in tutto il continente.

Poco più della metà degli europei concorda sul fatto che la sua voce conti nel proprio paese (52%) e solo un terzo sente che questo è il caso nell’Unione Europea (33%). In Italia i due valori crollano rispettivamente al 18% ed al 16%. L’89% dei cittadini europei reputa che esista un’ampia discrepanza tra il sentire dell’opinione pubblica e le decisioni prese dai leader politici. Spagnoli, Francesi e Tedeschi sono, a sorpresa, mediamente più severi degli Italiani nel valutare l’estensione di questo gap. Il 42% non pensa che i dirigenti europei siano in grado di gestire le sfide globali. In Francia, Paesi Bassi, Svezia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Grecia prevale la sfiducia. In Germania il valore è del 49%.

Il 52% pensa che la vita sarà più difficoltosa nel 2030, una crescita del 20% rispetto al 2009.

L’Europeismo è ancora flebile. Anzi, come vedremo nel capitolo sui miti europeisti, si sta indebolendo. Solo il 4% si sente già cittadino europeo, senza alcuna affiliazione nazionale. L’8% si sente prima di tutto europeo e poi cittadino della propria nazione. Il 46% antepone la nazione all’Europa e ben il 39% non sente alcun tipo di legame con l’Europa o le è ostile. Grecia, Portogallo e Ungheria si sentono sempre meno europei (-6%) rispetto al 2009.

Coerentemente, rispetto al 2007, l’importanza della diversità culturale tra le qualità che devono essere centrali nel progetto europeo è cresciuta dal 32% al 44%; è anche il valore che è salito maggiormente, a testimonianza del fatto che gli Europei sono molto affezionati alle proprie specificità.

Anche il governo economico unificato auspicato dai leader europei arriva al terzo posto tra le priorità degli Europei (33%), dietro maggiore equità (51%) ed una migliore istruzione (38%). Un esercito comune è in fondo alle priorità degli Europei.

Un sondaggio di Metroscopia riguardante l’immagine dell’Unione Europea in Spagna indica che la percentuale di cittadini che credono che l’adesione all’UE sia una buona cosa è scesa al 55% (10 punti percentuali in meno nel corso di tre mesi e 25 punti in meno rispetto al 2009). Al contrario, il 37% crede che appartenere all’Unione sia negativo per il paese. Un dato senza precedenti che rappresenta un aumento di 33 punti percentuali dall’inizio della crisi e 15 solo negli ultimi tre mesi.

Il rapporto 76 “Europa 2020” (marzo 2012) dell’Eurobarometro avvalora il dato spagnolo. Solo un 38% degli Europei pensa che l’Unione stia andando nella direzione giusta nel tentativo di risolvere la crisi, un valore in discesa di 8 punti percentuali rispetto ad un anno prima.

La cosa non deve sorprendere. Il Rapporto Flash dell’Eurobarometro numero 338 (ricerca sul campo dicembre 2011, pubblicazione aprile 2012), intitolato “Monitorare l’impatto sociale della crisi: percezione dell’opinione pubblica nell’Unione europea”, rileva che il 63% degli intervistati europei sostiene di correre il rischio di non riuscire a far fronte a spese impreviste di € 1.000 per il prossimo anno, il 45% dice di non potersi permettere di pagare le bollette ordinarie o acquistare cibo, il 43% dice di non essere in grado di pagare l’affitto o un mutuo e il 31% pensa che ci sia il rischio che non riesca a saldare i suoi debiti. Guardando ai prossimi 12 mesi, poco meno della metà (47%) si aspetta che tutto rimanga come prima e più di un terzo (36%) prevede un peggioramento, rispetto al 26% dell’ottobre 2010. Quasi un quinto (18%) degli intervistati non è sicuro di poter mantenere il suo posto di lavoro nei prossimi 12 mesi. Il 48% crede che, in quel caso, avrebbe difficoltà a trovare un altro impiego. La maggioranza (57%) degli intervistati europei teme che non avrà un reddito sufficiente per vivere la propria vecchiaia dignitosamente (53% a ottobre 2010). In Germania il dato è del 58%. In Europa, 1 cittadino su 6 nel corso degli ultimi 12 mesi ha dovuto scegliere tra pagare le bollette e comprare generi di prima necessità.

Nel 2011, in Grecia, si era ventilata l’ipotesi di un referendum. L’uomo dietro questa proposta era l’allora Ministro degli Interni Charalambos “Charis” Kastanidis, figlio di una vittima delle persecuzioni della dittatura dei Colonnelli. Paladino dei diritti umani, era determinato a sentire il parere dei Greci su quanto fossero disposti a rinunciare ed in più di un’occasione aveva messo in discussione l’efficacia di una terapia a base di misure di austerità, incolpato i grandi interessi finanziari di imporre la loro volontà a paesi sovrani e suggerito di seguire altre vie, per evitare che il tenore di vita greco crollasse istantaneamente a livelli disumani. Quel governo fu sostituito da un governo guidato dal banchiere Papademos. Oggi le cose sono cambiate e le obiezioni di Kastanidis sono diventate patrimonio di una maggioranza di elettori in diversi paesi europei (es. Francia, Olanda, Grecia e Irlanda).

È il segnale che almeno una parte dell’opinione pubblica europea sta entrando in una nuova fase in cui comincia a farsi sentire l’esigenza di espandersi, di formulare obiettivi chiari, di rivedere sì il proprio stile di vita ma senza distruggere il futuro delle nuove generazioni. La mia speranza è che questo blog possa assistere questo processo di elaborazione concettuale ed in particolare serva a mettere in crisi quella parallela e crescente propensione ad auspicare un’esplosione di furia cieca contro tutto e tutti, inclusi quei politici che vorrebbero sinceramente migliorare le cose. L’umore diffuso, oggigiorno, è incapsulato in un motto semplice ed incisivo: “ora basta”. Ma è inaccettabile che si faccia di tutte le erbe un fascio anche se è comprensibile che ciò avvenga, date le attuali tragiche circostanze.

IL RIGETTO DELL’EUROPA

I dati dell’eurobarometro del novembre 2011 mostrano che, alla domanda se siano o no in favore di un’unione economica e monetaria con una valuta comune, l’euro, i favorevoli sono passati dal 63% della primavera del 2007 al 53% della fine del 2011. I contrari sono passati dal 31% (2007) al 40%. Ad una domanda riguardante le loro personali previsioni in merito alla crisi, il 68% ha risposto che “il peggio deve ancora arrivare”. Solo il 23% crede che le cose miglioreranno a breve. La domanda su quali istituzioni siano più in grado di gestire la crisi, vede l’Unione Europea al 23% contro il 20% dei governi, che già godono di scarsissima fiducia. Una percentuale analoga ha scelto altro, nessuna o non lo so. Gli eurobond interessano davvero a pochi (44%) rispetto alla lotta all’elusione fiscale (88%), una maggiore trasparenza dei mercati finanziari (87%), la tassazione sui profitti bancari (81%) e la regolamentazione dei salari nel settore finanziario (79%). La fiducia dei cittadini europei nei confronti dei loro governi ha raggiunto un minimo di 24%, verso i loro parlamenti è al 27%, verso l’Unione Europea è al 34%. Richiesti di dare un giudizio sull’Unione Europea che includa anche una posizione neutrale, il 26% si è detto ostile, il 31% favorevole, il 41% neutrale. Gli ostili sono cresciuti del 6% in soli sei mesi, i favorevoli sono crollati di nove punti percentuali. In pratica, siamo entrati nel 2012 con il 72% dei cittadini europei che non dà un giudizio positivo dell’Unione Europea, con una tendenza prevalente nel segno di un ulteriore calo delle impressioni favorevoli.

I dati statistici raccolti periodicamente dall’Unione Europea indicano che già nel 2010 il 47% Europei non si fidava dell’Unione Europea, contro un 42% in favore. Il tasso di fiducia era in caduta libera (-7%) rispetto all’autunno del 2009. Tra i più scettici figuravano Grecia, Germania, Austria, Regno Unito, Francia e Svezia. Tra i più favorevoli: Estonia, Slovacchia, Bulgaria e Danimarca. In ogni caso, tra il 2000 ed il 2006, il numero di coloro che avevano un’immagine positiva dell’Unione Europea non ha mai superato il 50%, oscillando intorno al 46%. Le nazioni con l’opinione migliore includevano, ai vertici, Irlanda (73%), Grecia (58%), Italia (56%), Spagna (51%) e Portogallo (50%), tutte nazioni successivamente colpite duramente dalle politiche europee e che ora sono tra le più scettiche. Se si osservano questa variazioni di fiducia si può constatare che i popoli meglio disposti sono quelli che ci guadagnano di più. L’europeismo, per i cittadini europei, sembra aver ben poco a che fare con aneliti morali e molto a che fare con considerazione di ordine esclusivamente pratico, come peraltro è normale che sia: le istituzioni devono servire i cittadini, non il contrario. Così, gli Italiani, in pochi anni, sono passati dalla condizione di entusiastico europeismo al più robusto euroscetticismo e, tra i Greci, il 64% ha un’immagine negativa della Commissione Europea, il 65% della Banca Centrale Europea. Alla domanda se l’Unione Europea abbia avuto un impatto positivo sull’impiego e sulle politiche sociali, i sì sono crollati del 19% in Italia, 20% in Francia, 25% in Portogallo, 29% in Grecia, 31% a Cipro. In Spagna il valore si è quasi dimezzato, passando dall’84% del 2009 al 44% del 2011.

Un recente sondaggio di YouGov-Cambridge segnala che quasi due terzi degli inglesi vorrebbero allentare i legami con l’Unione Europea o, addirittura, sarebbero pronti ad abbandonare la nave. Il 60% domanda un referendum sulla permanenza nell’Unione, il 40% sarebbe felice di stabilire accordi commerciali e di cooperazione con l’Unione Europea, ma dall’esterno (attualmente circa il 50% delle leggi promulgate dal parlamento inglese ha origine da iniziative europee). Solo il 27% sarebbe felice che le cose restassero come sono. Un sondaggio tedesco commissionato dalla Frankfurter Allgemeine indica che tre quarti dei tedeschi non pensano che l’euro abbia un futuro e che solo il 19% ha ancora fiducia nella valuta comune. Il 68% non crede che la Grecia possa essere salvata. Un altro sondaggio per Die Welt vede l’opinione pubblica tedesca divisa tra un 50% che desidera tornare al marco e un 48% che sarebbe felice di tenersi l’euro. Nove svedesi su dieci non hanno alcuna intenzione di abbandonare la corona in favore dell’euro.

2 commenti

  1. stefano fait said,

    22 Maggio 2012 a 16:04

    Non so se siamo ancora in tempo per fermare la deriva. Certamente i politici non stanno facendo praticamente nulla per allentare la tensione.
    I progetti di riforma costituzionale spinti avanti a forza di larghe intese per bypassare i referendum e quindi il parere del popolo sovrano potrebbero essere la goccia che fa traboccare il vaso.
    Occorre comunque evitare che i politici divengano un capro espiatorio e che la rabbia contro le caste si sfoghi in un attacco al parlamentarismo che faciliterà i progetti di chi sta preparando la svolta presidenzialista, alle spalle dei cittadini.
    La maggior parte dei politici che ci sembrano conniventi non sa cosa sta facendo, nel senso che non ha capito il quadro generale, dove stiamo andando: è ignorante, ma in buona fede.
    Se la rivoluzione dovesse arrivare è fondamentale fare tutto il possibile per portarla a buon fine il prima possibile. Più si prolunga, peggio sarà. Meno idee costruttive ci saranno, più correremo il rischio di terrori rivoluzionari e tirannie “progressiste” ed “umanitarie”.
    Serve discernimento, buona volontà, spirito di sacrificio, umiltà, volontà di ascoltare le ragioni degli altri ed estrema attenzione e circospezione in tutto.

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  2. stefano fait said,

    22 Maggio 2012 a 16:33

    Saranno altri piani, meno pubblicizzati e non necessariamente nel nostro interesse, a far saltare il banco?

    “Un’Europa che potrebbe rivelarsi uno dei pilastri essenziali di un più ampio sistema euroasiatico di sicurezza e cooperazione sponsorizzato dagli americani. Ma, prima di ogni altra cosa, l’Europa è la testa di ponte essenziale dell’America sul continente euroasiatico. Enorme è la posta geostrategica americana in Europa…l’allargamento dell’Europa si traduce automaticamente in un’espansione della sfera d’influenza diretta degli Stati Uniti. In assenza di stretti legami transatlantici, per contro, il primato dell’America in Eurasia svanirebbe in men che non si dica. E ciò comprometterebbe seriamente la possibilità di estendere più in profondo l’influenza americana in Eurasia…Un impegno americano in nome dell’unità europea potrebbe scongiurare il rischio che il processo di unificazione segni una battuta d’arresto per poi essere addirittura gradualmente stemperato”.
    Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale, 1998, pp. 83-85

    “Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera”.
    Zbigniew Brzezinski, intervista rilasciata al Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012

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