La storia d’America, il futuro del mondo, lo scriviamo tutti noi

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La missione dell’America, dopo la sua caduta e risurrezione

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Quel che mi disturba quando si parla di America è il riflesso condizionato tra molte persone di sinistra che le spinge a descrivere gli USA come i neocon o i leghisti descrivono l’Islam.
Un riflesso uguale e contrario a quello dei commentatori di destra che amano appassionatamente USraele.
Non ho scritto “Contro i miti etnici” assieme a Mauro Fattor perché ero disposto a tollerare questi dogmatismi e questo post dedicato a Jacob Needleman è il secondo di una lunga serie che lo vedrà protagonista, perché è uno dei pensatori che più ammiro in assoluto.

Mitch Horowitz intervista Jacob Needleman sulle tematiche trattate nel libro intitolato “The American Soul. Rediscovering the Wisdom of the Founders”

Mitch Horowitz: Il suo libro si apre con un aneddoto dell’epoca del Vietnam, in cui presenta ad un gruppo di studenti un uomo di cultura. Uno studente si lamenta amaramente dell’ipocrisia della nazione. A un certo punto, l’uomo si rivolge a lui e gli dice: “Tu non sai quello che hai qui”. Come l’ha intesa lei quest’affermazione e perché cominciare proprio da quella scena?

Jacob Needleman: Questa persona era un uomo molto saggio, ma anche un uomo di mondo, un uomo d’affari ed un grande maestro. Lo conoscevo da molti anni e lo consideravo la figura che più mi ha aiutato a comprendere la natura del cammino spirituale. Non ha mai parlato molto di politica, ma più che altro della via della tradizione spirituale. Volevo che questi giovani studenti lo incontrassero per via della saggezza delle sue idee filosofiche e spirituali. Saltò fuori il tema della guerra in Vietnam, come succedeva sempre con i miei studenti – questo era un momento in cui il paese era veramente straziato ed i giovani erano indignati. Nella mia vita, non ero mai stato in grado di coniugare spiritualità e questioni politiche. Le ho sempre considerate due mondi completamente separati e vedevo la politica come un mondo prevalentemente pieno di illusioni. Quest’uomo era venuto dalla Scozia e scherzosamente si definiva come “l’ultimo americano”. Ha davvero amato questo paese.

Gli studenti si rivolgevano a me condannando veementemente l’America e all’improvviso disse, in un modo che intimava ai presenti di fare attenzione: “voi non sapere quel che avete qui”. Sbalordì tutti. Ci fu un momento di silenzio assoluto. Venendo da quest’uomo sapiente e di profonda comprensione spirituale, le sue parole si insinuarono in noi come un grande interrogativo, un profondo shock spirituale che ci faceva riflettere e ci spingeva a porci delle domande.

È successo 30 anni fa. Quell’affermazione mi è rimasta dentro, come una bomba a orologeria, nel corso degli anni. E poi, una decina di anni fa, mi sono reso conto che nel tentativo di creare un ponte tra le idee spirituali e le problematiche del mondo contemporaneo – di vedere come le grandi tradizioni di saggezza del mondo potevano illuminare i problemi attuali – mi trovavo di fronte a delle questioni scottanti: Che cos’è l’America? Che cosa significa? A cosa serve? Chi siamo noi americani? Che cosa abbiamo qui? Queste domande, che erano lievitate in me in tutti questi anni, erano affiorate nella mia mente e mi avevano spinto a scrivere questo libro.

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Nel libro lei descrive l’America come parte di una catena di grandi civiltà che nel corso della storia sono state influenzate dalle tradizioni sapienziali. L’America può rivendicare una maggiore o diversa affiliazione a quelle tradizioni rispetto ad altre prospere nazioni democratiche della contemporaneità?

Sì, penso di sì. C’è qualcosa di speciale nell’America, nel senso che questo paese è nato con uomini e donne che erano ​​in parte o in larga misura spiritualmente motivati. Per molti di loro la motivazione della spiritualità era in un certo senso fondamentale e anche le nostre icone, i Washington, Madison, Jefferson, possedevano ragioni di natura spirituale frammiste a pragmatismo e motivazioni economiche e politiche. I fondatori erano profondamente interessati, in un modo o nell’altro, alle questioni relative al cuore, alla ricerca spirituale, e questa passione si è fatta strada nella formazione dei loro ideali, influenzati in larga misura dalle idee che hanno la loro radice nelle tradizioni spirituali dell’umanità, nella filosofia perenne, nella saggezza antica [il libro di Needleman offre abbondanti prove documentarie dell’impetuosa spiritualità degli architetti della dichiarazione d’indipendenza e della costituzione americana, i quali, aspetto non secondario della questione, erano in buona parte massoni o, come nel caso di Jefferson, amici di massoni, NdT].

Le loro motivazioni principali non erano solo di mera convenienza politica, necessità economica, o del bisogno di fare in modo che le persone potessero fruire in parti eguali delle risorse della società. Gli ideali dell’Illuminismo erano molto più esplicitamente o fortemente sviluppate nella fondazione dell’America. Le sue radici affondano in una dimensione spirituale che riecheggia le tradizioni sapienziali. In questo senso, l’America è la madre di tutte le democrazie, anche quando le democrazie assumono forme diverse. Come genitrice di queste democrazie, l’America possiede ancora una dimensione spirituale come parte integrante della sua natura, una dimensione che non è così forte nelle altre democrazie, più recenti.

Oltre alla prosperità materiale ed alla democrazia politica, quali condizioni cercavano di creare in questa nuova società i suoi fondatori?

Stavano cercando di creare una condizione della vita umana in cui uomini e donne fossero liberi di cercare la propria verità, la verità della coscienza, un rapporto con ciò che c’è di più elevato e migliore in loro, di fronte a Dio. I fondatori non erano legati ad una particolare religione settaria, poiché sentivano che esse erano degenerate in dogmatismi e tirannie mentali. Volevano che le persone fossero libere di cercare la propria verità e di associarsi tra loro in modo tale da facilitare questa ricerca. Volevano delle condizioni in cui le persone fossero libere di interpretare Dio, non con partigianeria, ma in quei termini che riflettono una divinità interiore ed un Dio esteriore.

Il libro è popolato da molte delle icone della storia americana: George Washington, Abraham Lincoln, Frederick Douglass, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson – Lincoln sembra essere una spanna sopra gli altri. Quali influenze spirituali vede nella sua vita e nel suo lavoro?

Quando ero bambino mi bastava guardare il viso di Abraham Lincoln per avvertire quel senso di grandezza che gli esseri umani sono in grado di raggiungere. Sapevo che era un grande uomo. C’era qualcosa nella sua presenza o individualità, nel suo essere, una qualità di essere pienamente umano, che rivelava la sua grandezza. Era il mio primo contatto con una persona di un altro livello di esistenza, un altro livello di presenza.

Lincoln rappresenta l’individualità nella sua forma più matura: il significato dell’essere un individuo, non un’idea puerile di qualcuno che si limita a fare cose intelligenti od originali, o che non si cura di nessun altro parere, salvo il suo – nulla di tutto ciò. Fu un uomo che rappresentava nel suo volto, nel suo sguardo, nel suo corpo e nella sua presenza il diritto di dire: “Io sono”. È questo che mi ha impressionato, e che penso impressioni molti americani.

Lei descrive Benjamin Franklin come un uomo che ha creduto nella costante ricerca del proprio miglioramento. Che tipo di contributo ha dato all’anima americana?

Franklin è un meraviglioso rompicapo. Più lo studio, più complesso diventa. A volte ti chiedi se è solo un astuto, materialistico imprenditore della politica. Oppure è un esploratore scientifico che ama la conoscenza e la sperimentazione, o un diplomatico ed ambasciatore estremamente intelligente. È una figura come quella di Merlino o un uomo profondamente spirituale, alla ricerca di un contatto con il Dio della natura e del Dio che dimora nell’essere umano?

Penso che sia tutte queste cose e un uomo profondamente spirituale che è anche straordinariamente pratico delle cose del mondo. Mi piace ri-mitologizzarlo come il simbolo americano della ricerca della verità spirituale nel bel mezzo di un’attiva, impegnata ed efficace esistenza mondana. È un mago, in un certo senso, un imbroglione, un uomo che è legato a Dio in modo molto stretto, fortemente non convenzionale ma altrettanto robustamente genuino. È nel mondo, ma non vi appartiene. Tale principio, che si trova in tutte le tradizioni spirituali, si applica a Franklin in maniera estremamente dinamica.

Esiste, oggi, un’anima americana?

Se usiamo il termine “anima americana” per indicare il significato spirituale del paese, direi, sì, il paese ha un significato spirituale. Il paese rappresenta un’idea del sé umano che circola da migliaia di anni, un’idea del sé definita in una nuova lingua, una lingua americana calata in un’esperienza americana – quella che troviamo ben articolata in alcuni dei discorsi di Lincoln e anche da Emerson, Thoreau e Whitman.

L’anima americana esiste come parte delle nostre ossa e dei nostri tessuti – è nella nostra natura, in quanto americani – ma è stato soppressa, coperta ed oscurata dal consumismo, dal materialismo, dal militarismo e da tutte le cose che sono sbagliate nell’America e che continueranno ad esserlo. Ma il materialismo ed il consumismo fuori controllo della nostra cultura ci hanno fatto vergognare più di una volta di essere americani e ci hanno impedito di vedere l’anima americana celata sotto la superficie della nostra psiche. Ora, quest’anima sta riemergendo. Esiste, certo, ma in un certo senso del termine, è ed è sempre stata in procinto di rinascere, di essere riscoperta.

Quale reputa sia un giusto uso della forza degli Stati Uniti nel mondo di oggi?

L’America è una nazione e le nazioni operano nel mondo delle nazioni. Il mondo delle nazioni è una giungla. Si obbedisce ad una legge molto dura. Non si può giudicare una nazione come si giudica una persona. Alcune persone immaginano che l’America dovrebbe essere santa, ma una nazione non ha alcuna chance di esserlo. Una nazione deve proteggere i suoi cittadini, deve proteggere se stessa, deve lottare a volte, deve avere denti e armature, e ogni nazione che ne è priva viene immediatamente inghiottita o sconfitta dalle altre. Un governo esercita la sua forza: è lì per difendere, punire e proteggere. La società è molto diversa, molto più morbida, molto più umana, molto più etica e, vorrei aggiungere, spirituale.

Quindi mi sento di potermi rifare a Thomas Paine e dire che lo scopo del governo americano, della nazione americana, è quello di proteggere lo spirito americano, l’anima americana, per permetterle di crescere e prosperare. Quel che l’America può fare per noi, e quindi per il mondo, dal momento che è la nazione più potente del mondo e culturalmente la più influente, è continuare a proteggere e favorire la diffusione di condizioni che permettano la ricerca della verità che avrà luogo non solo nel nostro paese, ma anche all’estero. L’America può favorire chi cerca di divenire un essere umano autentico e le condizioni che rendono gli esseri umani felici. La ricerca della felicità non significa la ricerca del piacere. Significa la ricerca di una vita in cui si è in contatto con quegli aspetti di sé che, soli, possono rendere felici. L’America può proteggere quella ricerca e consentire che essa continui ad esistere nel mondo, così come all’interno dei suoi confini, ma non certo per mezzo di maldestre ingerenze.

Un’altra cosa che l’America può fare è essere più generosa verso i poveri del mondo. La qualità che contraddistingue gli americani è la loro buona volontà. Gli americani, con tutti i loro difetti, vogliono davvero aiutare, e sono abbastanza bravi a sistemare le cose. Quindi ci sono molti modi in cui la nostra forza può e dovrebbe essere utilizzata, perché se non riusciamo ad esprimere la nostra natura spirituale, la nostra forza scomparirà.

Lei ci ricorda che i nativi americani avevano una mitologia ed una metafisica pari a quella di qualsiasi altra nazione nella storia. Che cosa abbiamo perso con la distruzione della cultura degli indiani americani?

Abbiamo sicuramente perso la loro influenza spirituale. La forma di governo irochese può aver influenzato la nostra Costituzione, in quanto trova molti sorprendenti riscontri nella nostra Costituzione. Questa cultura si è formata a partire da una visione spirituale della natura dell’universo e delle forze divine operanti nel mondo – le forze cosmiche che gli esseri umani devono comprendere interiormente ed articolare nella forma in cui indirizzano le loro esistenze, il lavoro, il governo e la società. Quindi direi che una cosa che abbiamo perso è il significato cosmico del governo, delle leggi, dell’etica e delle relazioni umane.

Vi è una legge morale inscritta nella natura dell’universo e nella natura dell’essere umano, e il nostro modo di convivere deve rifletterla. È una cosa che ho appreso studiando la cultura degli indiani d’America. Per quanto riguarda il rapporto dei nativi con la natura, lo sanno tutti che, per molti versi, avevano una straordinaria civiltà immersa nella natura. La loro conoscenza della natura era pari a quella di molte delle nostre intuizioni scientifiche al riguardo. Tuttavia, avevano compreso la natura non solo attraverso la mente analitica, razionale e logica, alla quale abbiamo fatto così abbondante ricorso e che ci ha donato il tipo di potere che abbiamo, ma anche attraverso l’attivazione di una qualità della mente di cui sappiamo poco.

Parlano di “visioni” e noi subito pensiamo a qualche sorta di fantasia New Age. Eppure è una qualità della mente che interpreta la natura delle cose e comporta uno stato qualitativamente diverso di coscienza di quello in cui tendiamo a vivere. Le culture premoderne possedevano una visione, un potere, una conoscenza, una comprensione che a volte è superiore a quello che abbiamo. Non hanno usato la logica, l’approccio analitico che privilegiamo, ma l’indiano ce l’abbiamo nel sangue, nelle ossa. Dobbiamo renderci conto che la cultura indiana non se n’è davvero andata, anche se è stata distrutta.

L’atteggiamento americano verso la nostra storia è come un pendolo che oscilla da un estremo all’altro. Quindi o lodiamo George Washington come il ragazzo che ha abbattuto l’albero di ciliegio o denunciamo Thomas Jefferson per il suo schiavismo. Quale delle icone della storia americana direbbe che esemplifica meglio delle altre la nostra incomprensione?

Chiaramente Jefferson, al momento attuale. È stato buttato giù dal piedistallo e penso che le calunnie ai suoi danni indichino un malinteso non solo nei suoi confronti, ma anche circa il il tipo di simbolo che dovrebbe incarnare. È chiaro che i grandi riformatori del genere umano, per quanto ho potuto vedere, sono senza eccezione parte del problema a cui stanno cercando di porre rimedio. Capiscono il dolore e l’orrore del problema che fronteggiano, perché ne fanno parte e forse ne sono responsabili, ed è proprio questa constatazione che alimenta la loro energia riformatrice. Non dico che questo sia vero per tutti, ma Jefferson è stato invischiato nella schiavitù, come tutti i padri fondatori, in un modo o l’altro. Penso che proprio perché ne era intrappolato divenne uno dei maggiori formulatori di quegli ideali e valori e del linguaggio in cui furono espressi, sulla scorta dei quali, per ironia della sorte, oggi viene condannato. I suoi critici non avrebbero gli strumenti per giudicarlo se non avesse articolato quegli ideali. Non si rendono conto che i loro standard di uguaglianza e di equità sono dovuti in larga misura al pensiero di Jefferson ed alla sua mente.

Sì, è stato coinvolto nella schiavitù, e deve aver sofferto lui stesso, perché è noto che dichiarò che se Dio è giusto, allora non poteva che temere per il futuro del suo paese. Sapeva che con la schiavitù era come cavalcare una tigre. La storia dell’America inizia con un compromesso, perché l’America non avrebbe mai potuto prendere l’avvio senza un compromesso intorno a questa questione al momento della formulazione della Costituzione. Quindi Jefferson aveva questa grandezza, questa visione, i suoi ideali e al tempo stesso era coinvolto in quello stesso problema e probabilmente ne aveva tratto profitto. Ma questo non significa che non ne riconoscesse l’erroneità. Infatti, si potrebbe dire che la sentisse ancora più intensamente di chi, come noi, non si vede nei panni dell’oppressore. Ma noi siamo l’oppressore.

Quindi penso che Jefferson debba essere ripensato, proprio per i motivi che servono a condannarlo: era sia un visionario sia un responsabile del problema che stava cercando di correggere. Sant’Agostino e San Francesco divennero santi dopo essere stati peccatori; avevano un atteggiamento verso il loro peccato che li aveva trasformati. Perciò la santità o la virtuosità non derivano dalla capacità di astenersi dal peccare: ma dalla coscienza e dal rimorso. Questa è l’energia che ci guarirà.

Quale domanda crede che noi americani dovremmo tenere sempre al centro dei nostri pensieri?

Dovremmo porci quella domanda d’inizio intervista: “sappiamo che cosa abbiamo qui?”. Se riesaminiamo la storia e diamo un’occhiata al mondo vediamo che  sono molto rari i luoghi in cui si è liberi di informarsi, di associarsi, nella ricerca della verità. L’America, ad onta di tutti i suoi difetti, è ancora un posto in cui possiamo farlo. E’ ancora un luogo in cui possiamo lavorare insieme e cercare la verità. Abbiamo bisogno di apprezzare questo paese per questa ragione molto più di quanto lo stiamo facendo. L’America è il luogo dove possiamo ravvisare i nostri obblighi nei nostri confronti, verso Dio e verso la Terra. Questo è quello che vorrei fare io, nel mio cuore.

http://www.mitchhorowitz.com/jacob-needleman.html